A Firenze nel 1975 alla Conferenza di Organizzazione del PSI il bilancio di Formica è amaro

Quella che si apre negli anni Settanta è una stagione cruciale nella storia del socialismo italiano, sia perché con essa ha inizio una nuova fase politica, dopo il fallimento della riunificazione con i socialdemocratici, sia perché in questo periodo il Partito Socialista sente la forte esigenza di riflettere sull’esperienza compiuta negli anni precedenti e di interrogarsi sul futuro. Tutto ciò nella consapevolezza di quanto sia ormai divenuto necessario il rinnovamento del partito e l’elaborazione di una linea in grado di offrire una risposta efficace alla grave crisi economica, politica ed istituzionale del Paese <1.
In soli sei anni, a partire dalla fallita unificazione con il Psdi nel 1969, si verificano ben tre cambi di segreteria, con l’alternanza tra Francesco De Martino e Giacomo Mancini, «entrambi incapaci di ridare slancio autonomo alla politica socialista e di rivitalizzare un partito diviso al suo interno, burocratizzato, immobile, invecchiato, del tutto inadatto ad attirare nuovi consensi dalla società in accelerato movimento» <2.
Il referendum del 12 maggio 1974, vinto dal fronte divorzista del «NO», ha testimoniato la crescita civile e culturale del Paese, la sua profonda trasformazione sul piano del costume oltre che su quello politico: «la possibilità anche solo teorica del cambiamento di schieramenti governativi dà fiato alla strategia dell’alternativa» <3, che trova all’interno del Psi nuovi sostenitori, «anche nelle file degli autonomisti, timorosi sempre più che l’abbraccio del compromesso storico potesse rivelarsi troppo soffocante per il più debole Partito Socialista, e nello stesso tempo da sempre più sensibili alle istanze laiche» <4.
L’analisi della documentazione relativa alla struttura interna è certamente utile per fotografare lo stato del Partito Socialista italiano nella prima metà degli anni Settanta <5.
I dati attinenti alla consistenza e alla stratificazione sociale degli iscritti al Psi indicano che il numero dei tesserati risulta essere mediamente superiore alle 500.000 unità. Tra le federazioni provinciali più vitali per numero di sezioni e di iscritti si annoverano quelle di Milano, Bari, Roma, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna e Firenze. Nei primi anni Settanta si registrano rilevanti mutamenti nella dislocazione geografica della base socialista, con una chiara tendenza ad una progressiva “meridionalizzazione” del partito. Nel 1975 gli iscritti nell’area Lazio – Sud raggiungono il 45,2% a fronte del 39,8% del 1961. Il processo di dislocazione geografica della base socialista comporta di fatto un’alterazione profonda nella stratificazione socio-professionale del partito: non c’è infatti un gruppo sociale che connota in maniera esclusiva la forza socialista. La tradizionale configurazione operaia del partito si va sempre più affievolendo e la categoria comprensiva di operai e contadini rappresenta il 48,2% degli iscritti; assumono rilevanza alcuni strati sociali tradizionalmente minoritari nella composizione del Psi: ceti impiegatizi e liberi professionisti, piccoli coltivatori diretti, artigiani e commercianti e soprattutto le categorie inattive (casalinghe e pensionati).
«Il Psi della prima metà degli anni Settanta, dunque, come altri partiti di massa, che si stanno ormai allontanando da una caratterizzazione nettamente classista, si muove lungo una direzione che riflette gli sviluppi e le trasformazioni in atto nella società italiana» <6, dove la crescita di un nuovo ceto medio, già iniziata, sarebbe emersa in tutta la sua evidenza sul finire del decennio, quando il numero di addetti del terziario supera quello degli operai delle industrie <7.
Le analisi relative alla struttura organizzativa del partito permettono altresì di guardare alla composizione degli iscritti socialisti con riferimento al sesso, all’età e al livello di istruzione. E’ scarsa la presenza femminile, di poco superiore al 10% e concentrata prevalentemente nelle fasce centrali di età; con riferimento ad esse, sono quelle comprese tra i 26 e i 40 anni e tra i 41 e i 60 che giocano un ruolo rilevante, essendo rappresentative, rispettivamente, del 32,8 e del 40,6% degli iscritti maschi; il dato relativo al livello di istruzione, infine, si presenta fondamentalmente omogeneo a quello, già visto, della stratificazione professionale: è molto alta (68,5%) la percentuale di iscritti in possesso di licenza elementare, a fronte di un 3,3% di laureati (quest’ultimo dato, comunque, non è da sottovalutare se si considera che, nell’arco temporale preso in considerazione, la percentuale di laureati a livello nazionale si attesta sull’1,7). Anche l’apparato centrale e periferico del partito è di estrazione piccolo-borghese: solo il 20% dei segretari di sezione, il 17% degli amministratori e lo 0,2% dei quadri sono operai; mentre il 35% dei segretari di sezione, il 43% degli amministratori ed il 73% dei quadri sono impiegati.
1.1 Il travaglio socialista: dalla Conferenza di Organizzazione alla fine del centro-sinistra
I profondi mutamenti della struttura interna, che rispecchiano le più generali trasformazioni avvenute nel corpo della società, sono al centro delle riflessioni dei socialisti, che riuniti dal 6 al 9 febbraio 1975 a Firenze, celebrano un’importante Conferenza Nazionale di Organizzazione. Nelle intenzioni degli organizzatori, l’appuntamento fiorentino deve «portare il partito a un più maturo grado di riflessione sul suo modo di essere e sugli strumenti adeguati senza i quali qualsiasi linea politica rimane nel migliore dei casi “fatto” di opinione ma non si traduce in azione politica» <8. La Conferenza, dunque, nasce dalla necessità di «adeguare il Psi ai mutamenti profondi intervenuti nel contesto sociale italiano, per assicurargli il suo ruolo di guida politica» <9, determinante soprattutto in quella cruciale fase storica. La relazione introduttiva di Rino Formica, responsabile dell’organizzazione del partito, è incentrata sull’analisi della struttura socialista, sulla sua forza organizzativa oltre che sulla base sociale del partito e sui gruppi dirigenti che essa esprime. A questo esame fa da sfondo la rappresentazione dei grandi cambiamenti intervenuti nella struttura economica del Paese, nelle sue stratificazioni sociali, nelle sovrastrutture politiche. Il bilancio di Formica è amaro: l’articolazione in correnti, un tempo elemento costitutivo della libera dialettica interna, è degenerata in lotta tra fazioni cristallizzate e contrapposte, spesso non comunicanti tra loro, con il risultato di far prevalere il momento del potere su quello del comportamento politico; la sezione, che dovrebbe costituire il canale di penetrazione del partito nel sociale, «è andata sempre più assumendo i caratteri di una struttura di ridotta efficienza e in parte staccata dal contesto sociale; con le conseguenze di esprimere una crescente sensibilità ai problemi “interni” (elezioni, congressi, nomine, spostamenti di gruppi) a svantaggio di quei fattori “esterni” che, mutando i rapporti all’interno della società, offrono spazio politico e di intervento organizzativo per il partito» <10. Mentre lancia alcune proposte per rinnovare il Psi (la rotazione degli incarichi, il ridimensionamento delle Federazioni provinciali, il potenziamento degli organismi regionali), Formica denuncia la «pratica clientelare e burocratica del tesseramento» <11, cui si accompagna un attenuarsi della tensione politica dei militanti <12; la sua analisi critica non risparmia altresì «la sottovalutazione del valore politico dell’impegno intellettuale e culturale[…] che ha condotto ad una separazione netta, nel partito, tra “politici” e “intellettuali”. I primi sono i gestori del potere; il ruolo dei secondi si limita ad essere quello di consulenti nel partito o nel governo, o di mandatari nel sotto-governo» <13.
Dai lavori della Conferenza emerge la chiara coscienza della profondità della crisi nel rapporto tra il partito e la realtà sociale. «E’ unanime tra i compagni – sottolinea il responsabile organizzativo – la denuncia dell’insufficiente partecipazione di base, del deterioramento dell’immagine esterna del partito rispetto all’organizzazione sociale» <14. Soltanto lavorando a un più stretto collegamento con la realtà sociale, è il senso del discorso, sarà possibile definire una proposta organizzativa e politica convincente: «Il Psi è la sede in cui si realizza la costruzione della forza politica per il cambiamento. Da questo punto di vista vanno ripensate e rinnovate le strutture del partito, il suo modo di lavorare, il suo stesso modo di essere. Occorre dunque aprire il partito, nel senso che il modello di partito deve essere più vicino al modello della società che il Psi può contribuire a creare. In questo modello acquistano maggior peso la dialettica delle idee e il confronto continuo interno-esterno, l’omogeneizzazione dei gruppi dirigenti, la ricerca partecipata e senza verticismi» <15. Parole da cui traspare una indubbia volontà di cambiamento, da accompagnarsi ad un altrettanto serio sforzo di elaborazione politica. Da non trascurare è il riferimento al tema dell’autonomia culturale e politica del partito, che viene in primo piano quando il responsabile dell’Organizzazione socialista precisa che il partito di Via del Corso deve superare due limiti: «il primo è quello di tendere, per carenza di elaborazione culturale e teorica […], a dire più quello che non siamo e non vogliamo anziché quello che siamo o vogliamo […]. Il secondo limite è quello di oscillare […] tra un paleomarxismo retorico e un neo-liberismo acritico. Tra questi due poli c’è invece lo spazio per una piattaforma culturale socialista che non può essere ridotta solo alla generica aspirazione di un “socialismo dal volto umano”, ma che fornisca le coordinate culturali per un progetto di trasformazione della società» <16.
Nel dibattito che si apre dopo la relazione introduttiva, significativo appare l’intervento di Giuseppe Tamburrano, secondo il quale sono ormai mature le condizioni per il rinnovamento del Psi «perché maturano le condizioni per una nuova strategia socialista: la crisi dell’egemonia, politica ed elettorale della Dc, da un lato, e la crescita nel Paese di una nuova cultura, laica e libertaria, e di forme di democrazia di base di tipo consiliare» <17 allargano infatti lo spazio naturale che può occupare una forza come quella socialista se però pone fine «all’integrazione nell’attuale sistema di potere, e diventa il fattore coagulante di un’alternativa democratica e di sinistra. Collocato in questo quadro – prosegue Tamburrano – il rinnovamento del partito da esigenza moralistica o illusione tecnica diventa un obiettivo possibile, anzi necessario. Il cambiamento del Psi suppone dunque che il Psi diventi il partito del cambiamento» <18.
Fabrizio Cicchitto, della corrente lombardiana, riconosce la bontà dell’intervento introduttivo di Formica che «mentre formula alcune proposte precise per il rinnovamento del partito, coglie anche il fatto che questa ricerca di un nuovo modello di partito è collegata ad una ricerca, tuttora non risolta, di una nuova linea strategica» <19. Per Cicchitto, infatti, la crisi dell’esperienza di centro-sinistra e il vuoto di potere istituzionale che ne consegue, pongono il Partito socialista di fronte alla necessità di «ritrovare coerenza tra il rinnovamento organizzativo e il ripensamento della strategia e della iniziativa politica, perché altrimenti si rischia di arrivare ad una sorta di sfasatura tra l’analisi e il momento dell’iniziativa politica» <20.
Giacomo Mancini riconosce ai socialisti il merito di aver prodotto nell’arco di un decennio idee e proposte che hanno pesato sulla vita politica nazionale e si dice in disaccordo con il Pci che «giudica globalmente fallimentare l’esperienza di centrosinistra e ciò che essa ha rappresentato in Italia per lo sviluppo della democrazia» <21. Il leader calabrese si dice convinto della necessità di proseguire nel dibattito intrapreso e di «raccogliere la spinta unitaria e di partecipazione che viene dalla base, facendo funzionare meglio e con più frequenza gli organi dirigenti centrali» <22, trovando una soluzione alla forte contrapposizione tra le varie correnti che rende immobile il partito, proprio perché «a un gruppo dirigente unito corrisponde un partito unito anche nelle sue articolazioni periferiche» <23.
Anche Lelio Lagorio, autonomista come Formica, si dice preoccupato della situazione interna al Psi, dove le correnti si sono trasformate «da strumenti di idee in macchina di pressione per la conquista di potere nel partito» <24. Ma la soluzione, a suo giudizio, non è quella di eliminare le correnti, bensì quella di «razionalizzarle e semplificarle. Proporne l’abolizione può oggi voler dire un “patto di congelamento” del gruppo dirigente centrale. Le correnti è giusto che ci siano ma soltanto attorno alle grandi linee politiche alternative, non attorno a linee fittizie» <25.
Ai delegati riuniti a Firenze, Riccardo Lombardi pone un interrogativo: rinnovare il Psi, ma per perseguire quale tipo di politica ? Nel ricordare che spetta solo al Congresso definire la linea del partito, il leader della sinistra interna appare però perentorio: «il risvolto politico desumibile dalle stesse conclusioni di Formica è quello dell’alternativa, e di essa è opportuno cominciare subito a discutere, partendo dal presupposto che una politica di alternativa è difficile, ma si commetterebbe un grave errore se, anziché affrontare le difficoltà per superarle, si riducesse l’alternativa unicamente a un problema storico, invece di considerarla un dato politico, una scelta obbligata che il partito sarà costretto a fare» <26. Nella convinzione che il sentiero da seguire è quello che porta all’alternativa, ribadisce Lombardi, «dobbiamo abbandonare l’illusione di poter mantenere in vita in un modo o nell’altro un rapporto permanente di collaborazione con la Dc, ora che tutti siamo d’accordo sul fatto che il centro-sinistra è finito; e dobbiamo vincere un confronto con il Pci, che si pone in una posizione contraria alla politica d’alternativa nell’illusione, anziché di incalzare la Dc, di offrirle invece un approdo che non comprometta il suo sistema, sistema di potere cui la Dc non vuole, né del resto può rinunciare, senza essere altra cosa» <27.
Il tema dell’alternativa è anche al centro dell’intervento di Claudio Signorile. Egli esprime la convinzione di essere ormai entrati in una nuova, difficile fase della vita politica italiana: «certo, non c’è dietro l’angolo l’alternativa, ne siamo più che consapevoli; ma sappiamo che dietro l’angolo non c’è più la Dc, non c’è più un rapporto che possa considerarsi esclusivo o risolto, in una ripetizione di equilibri di governo. Dietro l’angolo c’è una società viva che chiede soprattutto al nostro partito di essere elemento traente e propulsore di questa innovazione, di questo rinnovamento, di questa alternativa di direzione politica» <28. Occorre l’unità di tutto il partito, spiega ancora il delfino di Lombardi, per definire il ruolo dei socialisti, la loro collocazione nel mutato contesto sociale, i metodi e gli strumenti da utilizzare per dar vita ad un nuovo, grande Psi in grado di modificare gli equilibri tradizionali del sistema politico italiano.
A Firenze prende la parola anche un altro esponente della corrente autonomista, il giovane vicesegretario del partito Bettino Craxi.
[NOTE]
1 «Le difficoltà in cui si dibatte il Partito Socialista alla metà degli anni Settanta – nota Simona Colarizi – vanno iscritte nel generale declino del sistema politico italiano che, a quella data, mostra già i primi sintomi di una crisi, destinata ad approfondirsi durante il corso del decennio successivo fino a determinare il crollo della Prima Repubblica nel 1992 – 1994. Di fronte al progressivo allargarsi della forbice società politica – società civile, tutti i partiti sono costretti a interrogarsi sulla propria identità e a tentare nuove strade per rinnovarsi al loro interno, con maggiore o minore successo. Nel Psi, tuttavia, l’opera di rifondazione appare assai più radicale e tempestiva, anche perché la perdita di fiducia del paese nella partitocrazia che lo guida fin dalle origini della Repubblica ha effetti immediatamente visibili sul piano elettorale. Già alle politiche del 1972 i socialisti scendono al 9,6%, la più bassa percentuale registrata dal 1946 […]». Cfr. S. Colarizi, I socialisti e la società italiana, Relazione al Convegno promosso dalla Fondazione Italianieuropei, “Riformismo socialista e Italia repubblicana”, Roma, 17 novembre2003, ora in “Italianieuropei”, n. 5 – 2004, pp. 173 – 190.
2 Ivi.
3 Cfr. S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Laterza, Roma – Bari, 1998, p. 420. Cfr. anche S. Colarizi, Biografia della Prima Repubblica, Laterza, Roma – Bari, 1996; P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Utet, Torino, 1995.
4 Cfr. Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, G. Sabbatucci, Storia del Psi. Dal dopoguerra a oggi, vol. 3, Laterza, Roma-Bari, 1993, p. 414. Proprio a testimonianza di quanto scrive M. Degl’Innocenti, è interessante riproporre il passo di un’intervista a Bettino Craxi. Interrogato sul rischio che il suo partito possa farsi “stritolare” dall’abbraccio Dc-Pci, il giovane leader della corrente autonomista del Psi afferma: «[…] Si comprende l’utilità di compromessi sul terreno delle cose utili per il rinnovamento del paese. Si contesta invece il proposito “storico”, e cioè strategico e finalistico. Si considera una sciagura l’ipotesi di un avvento della diarchia Pci-Dc», cfr. l’intervista di B. Craxi alla rivista “Epoca”, settembre 1975, ora in B. Craxi, Socialismo da Santiago a Praga, SugarCo, Milano, 1976, pp. 252 – 261.
5 Sulla struttura sociale del Psi si vedano, in particolare, Il Partito Socialista. Struttura e organizzazione, Atti della Conferenza nazionale di Organizzazione, Marsilio, Venezia, 1975, pp. 313 – 366; Psi, base sociale e struttura del partito, “Quaderni della Sezione centrale di organizzazione”, n.1, 1975; Psi, il partito e il paese. Annuario Statistico 1975, “Quaderni della Sezione centrale di organizzazione”, n. 6, dicembre 1975; Almanacco socialista 1975/1976; V. Spini e S. Mattana (a cura di), I quadri del Psi, “Quaderni del Circolo Rosselli”, gennaio – marzo 1981, dove viene presentata una vera e propria radiografia del partito negli anni Settanta.
6 Cfr. G. Bettin, Il Psi e il trend plebiscitario (1976-1981), Working Papers del Centro di Sociologia Politica, Facoltà di Scienze Politiche “C. Alfieri”, Università degli Studi di Firenze, 1984, p. 22.
7 Cfr. P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica 1943 – 1988, Einaudi, Torino, 1989, cap. XI.
8 Cfr., Il Partito Socialista. Struttura e organizzazione, cit., p. 16.
9 Ibidem.
10 Cfr., Il Partito Socialista. Struttura e organizzazione, cit., p. 20.
11 Cfr. Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, G. Sabbatucci, Storia del Psi. Dal dopoguerra a oggi, cit., p. 419.
12 La preoccupazione per lo stato di salute del partito e la volontà di impegnarsi profondamente per il rinnovamento della forza socialista emergono chiaramente da un documento approvato dal Collegio Nazionale dei Probiviri nel luglio 1972, già tre anni prima della Conferenza Nazionale di Organizzazione. Nel documento in questione, conservato nell’Archivio della Fondazione Craxi, si legge: «Il Collegio Nazionale dei Probiviri, riunito nella sede della Direzione del Partito il 7 luglio 1972, ha approvato all’unanimità il seguente documento: il Collegio Nazionale dei Probiviri richiama l’attenzione degli organi del Partito sullo stato di deterioramento e di decadimento delle strutture e della vita interna, la cui persistenza impedisce al Partito l’assolvimento della sua funzione di azione e di guida politica, proiettando ombre sulla spontaneità e fedeltà dei risultati del prossimo Congresso; non per la ricerca di responsabilità, che dovrebbero essere distribuite nel tempo e fra diversi organi e compagni, ma allo scopo costruttivo di migliorare le condizioni del Partito, e di ricreare la tensione ideale e morale indispensabile per la ripresa ed il rilancio, indica alcune tra le cause o le manifestazioni più evidenti delle criticate condizioni interne: la mancanza di un effettivo controllo e collegamento da parte della base del Partito nei confronti delle attività degli organi centrali; l’indifferenza per le violazioni dello Statuto (sulle incompatibilità, sulle degenerazioni elettorali, perfino sulle norme relative alla convocazione ed al funzionamento degli organi statutari); l’assenza di una politica verso i quadri e l’apparato del Partito; il mancato tempestivo intervento degli organi centrali nei casi più gravi di contrasti locali. Ricordato che nelle recenti sedute del Comitato Centrale del 7-9 giugno, molti membri hanno sottolineato le situazioni anomale di Federazioni, le infiltrazioni clientelari, le carenze dell’apparato centrale, il grave deterioramento del costume, le violazioni statutarie rimaste impunite; che le illegalità statutarie e le degenerazioni del costume, anche se locali, incidono sul potere di penetrazione e di attrazione del Partito tra i lavoratori e particolarmente tra i giovani, come nel C.C. è stato anche rilevato; riconfermando il proprio impegno ad operare, d’intesa con gli altri organi del Partito, per denunziare e combattere le carenze lamentate, e ricordando inoltre gli appelli rivolti dal Collegio in varie circostanze, e l’impotenza statutaria dei Probiviri (addirittura assenti in molte Federazioni), ritiene indispensabile che, indipendentemente dalla ricerca di errori e responsabilità passate, si compia subito uno sforzo comune,da parte degli organi competenti del Partito, per porre fine a questo stato di cose, e segnala tra i punti più
importanti: 1) l’eliminazione dei casi di incompatibilità tra più cariche ricoperte dallo stesso compagno, in aperta violazione dell’art. 35 dello Statuto, e con pregiudizio della stessa possibilità di convivenza tra compagni di diverse componenti e correnti; 2) il rilievo dei casi più gravi di degenerazione elettorale, verificatisi nella campagna del 7 maggio u.s., al fine di evitarne la puntuale ripetizione ad ogni elezione; 3) l’intervento della Direzione del Partito – organo competente ed idoneo, non solo per la sua collocazione al vertice delle strutture esecutive del Partito, ma anche per la sua collegialità e la sua imparzialità rispetto agli interessi di gruppi e di compagni – al fine di dirimere i più aspri contrasti locali, o almeno di porre i Probiviri in condizione di poter giudicare; 4) la verifica della posizione di tutti i compagni che prestano la loro opera retribuita per il Partito, al centro o alla periferia, per eliminare eventuali sperequazioni nel loro trattamento, in base al lavoro, alla capacità, al rendimento di ognuno, e per migliorare l’efficienza dei settori di lavoro, degli organi e delle organizzazioni di Partito; 5) il controllo, ai fini congressuali, della regolarità delle iscrizioni al Partito nell’ultimo biennio; 6) la ricerca dei modi e dei termini per inserire nella tematica congressuale la chiara denuncia delle degenerazioni del Partito, al fine di approfondirne le cause e di stroncarle, restituendo a tutti i militanti la fiducia e la carica ideale necessarie per l’azione e le lotte del Partito», Archivio Fondazione Craxi, Roma, Fondo Bettino Craxi, Sezione I: Attività di partito, Serie partito Socialista italiano (1965 – 1976).
13 Cfr. Il Partito Socialista. Struttura e organizzazione, cit., p. 65.
14 Ivi, p. 23.
15 Ivi, p. 39.
16 Ivi, p. 66.
17 Ivi, p. 146.
18 Ibidem.
19 Ivi, p. 159.
20 Ibidem.
21 Ivi, p. 163.
22 Ivi, p. 164.
23 Ibidem.
24 Ivi, p. 165.
25 Ibidem.
26 Ivi, p. 167.
27 Ibidem.
28 Ivi, p. 212.
Andrea Spiri, Le trasformazioni del Psi e i mutamenti del sistema politico italiano (1975-1981), Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2007