A spiccare in termini di diffusione della violenza nel corso dei Settanta, tra le città venete, fu sicuramente Padova

Come detto il Veneto fu regione di prim’ordine per quanto riguarda l’evoluzione della violenza politica tanto di destra quanto di sinistra, anticipando di fatto anche quanto accaduto a piazza Fontana il 12 dicembre 1969. Padova, nello specifico, fu teatro di attentati già il 15 aprile dello stesso anno, quando una bomba squarciò lo studio dell’allora rettore dell’università Enrico Opocher, filosofo e giurista considerato mentore di Antonio “Toni” Negri. Sebbene l’evento non causò vittime, segnò un primo passo verso l’avvio della strategia della tensione: la responsabilità dell’attentato venne attribuita ad una cellula terroristica neofascista legata ad ON, capeggiata da Franco Freda e Giovanni Ventura, futuri imputati come organizzatori della strage milanese sopracitata. Sempre sulla scia del cosiddetto «terrorismo nero»: dal Veneto proveniva Gianfranco Bertoli che, fintosi anarchico ma vicino agli ambienti del SIFAR, ottenne l’ergastolo per aver lanciato una bomba a mano all’interno della questura di Milano nel 1973; Gilberto Cavallini e Valerio Fioravanti, membri di spicco dei NAR, si nascosero in Veneto dove, alla periferia di Padova, si resero protagonisti nel 1980 dell’omicidio di due carabinieri che li avevano sorpresi nel trafficare armi; nella regione trovò inoltre avvio la trama golpista della «Rosa dei Venti», organizzazione neofascista diretta in cooperazione da membri del SID, dei carabinieri e dei vertici delle Forze Armate <86, la cui scoperta si dimostrerà di fondamentale importanza nel confermare le connessioni tra servizi segreti e le organizzazioni di estrema destra. Altrettanto utili si dimostreranno le «carte di Montebelluna», documentazione riguardante la costituzione dei Nuclei di difesa dello Stato che proverà il legame tra l’agente segreto Guido Giannettini e Ventura <87.
Per quanto concerne il «terrorismo rosso» la regione vide organizzazioni come Potere operaio e Autonomia operaia aumentare significatamene di adesioni, soprattutto tra gli studenti e sotto l’impulso delle opere di teoria politica del già citato Toni Negri, docente alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Ateneo di Padova.
Tali movimenti rivoluzionari, sebbene caratterizzati da azioni meno cruente (in primis manifestazioni, occupazioni, contestazioni ed in seguito sabotaggi, espropri proletari e guerriglia urbana), saranno strettamente collegate alle cellule terroristiche fautrici della lotta armata come Prima Linea e Brigate Rosse <88. Proprio a Padova le BR si renderanno protagoniste, il 17 giugno 1974, del loro primo omicidio politico con l’assassinio di due militanti missini, episodio al centro della rassegna stampa del seguente capitolo e che Renato Curcio, leader brigatista, definirà «un imbarazzante incidente di lavoro». L’anno successivo a perire, sempre a Padova, sarà l’agente della Polizia Stradale Antonio Niedda: solo uno degli 11 morti e delle 32 persone gambizzate nel 1975 per mano delle BR. Tra il 1974 e il 1975 nascono inoltre i CPV (Collettivi politici del Veneto per il Potere operaio) e la lista di bersagli, uccisi o gambizzati, si estende dai docenti universitari (Guido Petter, Oddone Longo, Ezio Riondato, Angelo Ventura) a giornalisti (Antonio Garzotto del “Gazzettino”, autore di alcuni degli articoli che vedremo in seguito), avvocati (Vincenzo Filosa) e bancari (Franco Pilla).
Solamente con i sessanta arresti a carico dei membri dei CPV, disposti dal pubblico ministero Pietro Calogero il 21 marzo 1977, e il blitz del 7 aprile 1979 che porteranno all’incarcerazione, tra gli altri, di Toni Negri <89, il fenomeno della violenza politica comincerà progressivamente a scemare per poi spegnersi definitivamente intorno al 1982.
Il caso padovano
A spiccare in termini di diffusione della violenza nel corso dei Settanta, tra le città venete, fu sicuramente Padova, tanto che Andrea Baravelli la definisce la «Milano del Veneto»90. Sebbene non si trattasse di una metropoli, essa condivideva con le principali città interessate da violenti scontri politici (Roma, Torino e, appunto, Milano) alcuni elementi: un sistema produttivo in crescita, di centrale rilevanza nel nord-est e ben collegato, arrivando ad interagire sino al centro industriale di Marghera; un settore terziario in rapida ascesa; una notevole concentrazione di studenti impegnati nelle scuole medie di secondo grado e negli studi universitari <91. Proprio quest’ultimo fattore è utile a comprendere la propagazione della violenza: più che dal disagio economico dettato dalla crisi di metà decennio, del quale Padova soffrì in termini inferiori rispetto alle altre realtà sia venete che italiane, le formazioni extraparlamentari furono abili a fare leva ideologica sui giovani, gruppo sociale ricco di aspettative ma anche frustrato da inquietudini e sensibile alla protesta. La mole di studenti riversatosi in città si moltiplicò (dai quasi 15.000 del biennio 1965-1966 ai circa 50.000 del 1975-1976), indotto generato dall’incremento in termini di benessere e reddito del ceto medio, dimostrando ben presto l’incapacità sia dell’amministrazione padovana che dell’Ateneo di gestire un tale flusso: si vennero a creare zone abitative degradate ospitanti quasi ed esclusivamente studenti. Oltre a tale insufficienza strutturale, scelte quali l’abolizione del presalario, l’aumento delle rette universitarie e dei prezzi delle mense, che fino ad allora avevano mantenuto «prezzi politici» (1/3 del costo effettivo del pasto), il cui fine era riuscire a migliorare i servizi offerti agli studenti, finirono per generare ampie proteste e incrementare l’astio verso l’ambiente universitario e cittadino. Fu da qui che cominciarono a diffondersi le violenze fisiche su docenti e studenti, le azioni di esproprio proletario ai danni degli esercizi cittadini e le occupazioni delle aule universitarie trasformate in vere e proprie basi operativo-logistiche: da una parte le organizzazioni estremiste presero sempre più piede, dall’altra l’Università di Padova, così come l’amministrazione cittadina, non trovarono la forza di contrastare tale fenomeno, ammutoliti dalla violenza, di fatto favorendolo <92.
[NOTE]
86 Mirco Dondi, L’eco del boato: storia della strategia della tensione 1965-1974 (Bari: Editori Laterza, 2015), pp. 335
87 Ivi, p. 64
88 Fumian, 2000, pp. 169-170
89 Francesco Jori, La stagione del terrorismo a Padova, contenuto in Il Veneto nel secondo Novecento, a cura di Filiberto Agostini (Milano: FrancoAngeli, 2015), pp. 231-236
90 Andrea Baravelli, Istituzioni e terrorismo negli anni Settanta (Roma: Viella, 2016), p. 115
91 Baravelli, 2016, pp. 116-118
92 Ivi, pp. 127-142
Matteo Pederiva, Sulla storia del Movimento sociale italiano: il caso Veneto e l’attentato di Via Zabarella attraverso la stampa, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno accademico 2024-2025

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