A Varsavia Malaparte avrebbe trovato una conferma della sua teoria sul carattere “tecnico” dei colpi di Stato

Nella prefazione alla prima edizione italiana della Tecnica del colpo di Stato del 1948, Curzio Malaparte dedica un ampio spazio allo “strano e avventuroso” destino del libro, che gli diede “quella povera cosa che è la gloria, ma anche quante miserie”: “Non sarà forse inutile […] avvertire il lettore italiano che questo mio libro non è stato a suo tempo proibito soltanto in Italia, ma anche in Germania, in Austria, in Spagna, in Portogallo, in Polonia, in Ungheria, in Romania, in Jugoslavia, in Bulgaria, in Grecia, in tutti quegli Stati, cioè, dove, o per l’arbitrio di un dittatore, o per la corruzione degli istituti democratici, le libertà pubbliche e private erano soffocate, o soppresse. […]
Come accolse Mussolini la mia Tecnica del colpo di Stato? Il libro gli piacque, ma non gli andò giù. E per una di quelle contraddizioni proprie del suo carattere, ne proibì l’edizione italiana, ma permise che i giornali ne parlassero ampiamente. Un bel giorno, all’improvviso, la stampa italiana ebbe l’ordine di non occuparsi più del mio libro, né in bene, né in male. […] In Inghilterra, in America, in Polonia, in Spagna, nella Spagna repubblicana del 1931, la mia Tecnica del colpo di Stato fu accolta dall’universale favore”.
Dietro il silenzio imposto alla stampa italiana si nascondeva, secondo Malaparte, la pressione esercitata sul capo del governo italiano da Adolf Hitler, presentato nel libro come un personaggio quasi caricaturale, “una mediocre specie di Mussolini”, dotato di “uno spirito profondamente femminile”.
Quella pressione avrebbe portato nel 1933 all’arresto dello scrittore e il suo successivo confino a Lipari.
La notizia dell’accaduto si diffuse largamente anche sulla stampa polacca. I numerosi interventi giornalistici variano dai comunicati delle agenzie di stampa alle piuttosto complesse presentazioni biografiche dell’autore di una “famosissima” e “scritta con talento” Tecnica del colpo di Stato. Come motivo dell’arresto si indicava generalmente l’attività antifascista svolta da Malaparte a Parigi, ma secondo alcuni titoli la disgrazia sarebbe stata il risultato di un complotto ai vertici del governo fascista rivolto contro Malaparte o/e dei suoi contatti con l’autore di una biografia di Mussolini, l’antifascista Antonio Aniante, il quale, rappacificato con il regime, avrebbe denunciato lo scrittore toscano di esser stato il vero ispiratore dell’opera.
I biografi di Malaparte escludono la possibilità che l’autore avesse rotto con il regime e come motivo della disgrazia indicano il conflitto con l’eroe nazionale del momento, Italo Balbo.
Maurizio Serra ammette comunque che nella vicenda ci sono molti “punti oscuri”, che non mancano nemmeno a riguardo della “strana e avventurosa” fortuna europea di Technique du coup d’État.
La passione autocreativa di Malaparte ci costringe a muoverci tra le molteplici “vite e leggende” dello scrittore.
Dalla sua corrispondenza con l’editor e amico Daniel Halévy risulta chiaramente che fu lui stesso, almeno inizialmente, a non volere la versione italiana del libro, e che nel 1932 ricevette l’“exequatur” per la pubblicazione dell’opera in patria.
Similmente, le affermazioni malapartiane sulla presunta censura alla Technique in Polonia da parte del regime di sanacja e sul contemporaneo “universale favore” dei critici e commentatori, richiedono ulteriori conferme.
Allo stato attuale delle ricerche di archivio non è possibile ribadire con certezza se il libro fosse stato infatti proibito dalle autorità politiche, se gli editori polacchi si autocensurassero in visione di una confisca dell’intera edizione, oppure se si trattasse di una decisione basata sulla valutazione artistica dell’opera o sul calcolo economico.
Più facile da verificare sembra la tesi sul modo in cui fu accolta la Tecnica, che, come si proverà più avanti, non fu affatto “universalmente” positivo.
Technique du coup d’État, uscita in francese nel 1931 presso l’editore Grasset, nella traduzione di Juliette Bertrand, contiene un ampio ricordo di Malaparte dedicato alla guerra polacco-bolscevica del 1920, della quale il giovane Kurt Erich Suckert fu un testimone oculare. Un incarico presso la segreteria della Regia Legazione d’Italia a Varsavia, sotto la guida di un diplomatico esperto come Francesco Tommasini, permise all’autore di osservare direttamente gli attori principali degli eventi (Piłsudski, il primo ministro Wincenty Witos, i generali Haller, Bułak-Bałachowicz, Weygand), di assistere alle conversazioni del corpo diplomatico accreditato in Polonia e di girare per le strade della capitale, pervase dall’inquietudine di una guerra in arrivo.
A Varsavia Malaparte avrebbe trovato una conferma della sua teoria sul carattere “tecnico” dei colpi di Stato che non fossero risultanti da particolari circostanze politiche e sociali, né richiedessero una mobilitazione delle masse oppure situazioni d’emergenza, ma fossero una conseguenza dell’operato efficace di “catilinari”, pochi individui determinati e capaci di paralizzare la macchina statale.
Eppure la situazione nella Polonia del 1920 pareva un’eccezione a quella regola: anche se non mancavano potenziali Catilina o catilinari (gli ebrei del quartiere Nalewki che “diventavano sediziosi”, i comunisti, Haller, Bułak-Bałachowicz e i suoi cosacchi), la rivoluzione non arrivò. Invece nel 1926 si realizzò un “interessante” colpo di Stato parlamentare, operato da Piłsudski, il quale si impadronì del potere con l’aiuto del partito socialista (trasformandosi così da “generale ribelle” in “una specie di capitano del popolo, di eroe proletario, di Bonaparte socialista) e in conseguenza delle dimissioni affrettate del presidente Stanisław Wojciechowski e del primo ministro Witos.
È vero che l’opera in cui Malaparte colloca Piłsudski tra i “Catilina” moderni, tra Primo de Rivera, Hitler, Mussolini e Lenin, e si esprime in parole poco entusiaste sui talenti politici e militari del maresciallo, non ebbe nella Polonia degli anni Trenta un’edizione in volume.
È alquanto vero che le élites politiche dello Stato autoritario di Piłsudski erano preoccupate che il libro, “pubblicato in francese e scritto con talento, in modo interessante”, avrebbe causato al governo “gravi danni nell’opinione pubblica internazionale”. Nell’archivio del Ministero degli Affari della Repubblica Polacca si è conservata la lettera di un alto funzionario, Tadeusz Lechnicki, rivolta all’Ambasciata di Roma, in cui si obbligava il corpo diplomatico a reagire sulle eventuali pubblicazioni che diffondessero le tesi malapartiane sulla politica polacca, ritenute “ostili” e “tendenziose”, in quanto ridicolizzavano il Capo dello Stato e attribuivano il merito della vittoria sulla armata russa al generale francese Maxime Weygand (1867-1965), comandante della Missione militare francese, mandata in aiuto all’esercito polacco, e consigliere militare di Piłsudski.
Tuttavia è vero pure il fatto che, nonostante le pressioni diplomatiche all’estero e la censura interna che si stava gradualmente restringendo dopo il 1926, le autorità polacche non impedirono né un acceso dibattito pubblicistico intorno alla Tecnica, né la pubblicazione dei capitoli “problematici” relativi a Piłsudski in “Wiadomosci Literackie”, la più rinomata rivista culturale dell’epoca. Per lo più, la scelta del francese, lingua “ipercentrale” nella “Repubblica mondiale delle lettere” di allora, assicurò alla Tecnique una diffusione transnazionale.
[…] Quando nel 1933 si era sparsa la notizia dell’arresto di Malaparte, “l’antifascista” era ormai ben noto al pubblico in Polonia. Il suo nome sarebbe ritornato occasionalmente sulle rubriche culturali e politiche della stampa polacca nel corso degli anni successivi e su base più regolare dopo il 1938, quando presso la casa editrice Rój uscì la traduzione del Bonhomme Lénine in polacco, intitolata Legenda Lenina (La leggenda di Lenin), firmata da Stanisław Łukomski (pseudonimo di Julian Maliniak, 1889-1972) e Wiesława Komarnicka (1912-1984). Fu in assoluto la prima versione straniera di quell’opera e per quanto ne sappiamo resta l’unica, accanto alle edizioni in francese e italiano.
Infine, nel 1939 fu pubblicato Sztuka pod dyktatura, raccolta di saggi del giornalista culturale e critico musicale Jerzy Waldor (1910-1999), dedicata all’organizzazione dell’arte italiana sotto la dittatura fascista.
Anita Kłos, Uno specialista di colpi di Stato. La fortuna di Malaparte nella Polonia degli anni Trenta [w:] Il Volga nasce in Europa. Curzio Malaparte in Polonia e in Russia, red. R. Bruni, L. Massi, M. Ślarzyńska, Wydawnictwo Naukowe UKSW, Warszawa 2020, s. 69–91.

Dei fatti cruciali che hanno reso questo secolo «infame», Malaparte fu testimone e cronista. Tecnica del colpo di stato è il racconto e l’analisi di come abbia potuto realizzarsi la conquista dello Stato da parte di gruppi politici che hanno così drammaticamente inciso sulla storia politica e sociale dell’Europa e segnato in modo indelebile le coscienze.
Technique du coup d’état venne pubblicato in Francia nel 1931 e costò a Malaparte il soggiorno coatto, per cinque anni, a Forte dei Marmi. Dell’anno successivo è la traduzione inglese, apparsa con il titolo Coup d’Etat, the Technique of Revolution. Sempre nel 1932 è l’edizione tedesca Des Staatsstreichs. In Italia Tecnica del colpo di stato venne pubblicato appena nel 1948.
Il perché dell’obiettivo che si prefiggeva con questo lavoro Malaparte lo chiarisce in modo esplicito: “La ragione di questo libro non è di discutere i programmi politici, sociali ed economici dei catilinari: bensì di mostrare che il problema della conquista e della difesa dello Stato non è un problema politico, ma tecnico, che l’arte di difendere lo Stato è regolata dagli stessi principi che regolano l’arte di conquistarlo, e che le circostanze favorevoli a un colpo di Stato non sono necessariamente di natura politica e sociale e non dipendono dalle condizioni generali del paese. Il che, forse, non potrebbe mancare di svegliare qualche inquietudine anche negli uomini liberi dei paesi i meglio organizzati e i più policés dell’Europa d’occidente. Da questa inquietudine, così naturale in un uomo libero, è nato il mio proposito di mostrare come si conquista uno Stato moderno e come si difende”.
L’intento dichiarato è dunque di mettere in guardia le democrazie parlamentari dalla loro «eccessiva fiducia nelle conquiste della libertà di cui niente è più fragile nell’Europa moderna». Conoscendo, infatti, gli strumenti e i metodi con cui movimenti e gruppi ben organizzati possono impadronirsi del potere, le democrazie sanno come contrastarli e vanificare la loro azione distruttrice.
Bruno Tellia, Presentazione di Curzio Malaparte, Tecnica del colpo di stato, Edizione Coop. Al Ponte delle Grazie, Firenze, 1998