Adriano Olivetti la sera stessa incontrò un agente del SOE, John McCaffery

La realizzazione di tale progetto però, come si è accennato, era legata alla destituzione del regime e alla risoluzione della situazione italiana e fu proprio questo aspetto che diresse Adriano Olivetti verso la Svizzera, ove si era peraltro già recato più volte nel decennio precedente in visita a Guglielmo Ferrero a Ginevra e a Ignazio Silone a Zurigo <16. Convinto fosse necessario costituire un collegamento tra forze alleate, e, sul fronte italiano, antifascisti, forze armate e casa reale – la quale, in questa prima fase, per Olivetti avrebbe potuto costituire il punto di coagulo delle forze antifasciste e di quelle militari, sia in patria che all’estero – egli cercò quindi di prendere contatto con l’Office of Strategic Services (OSS) alleato, di stanza in terra elvetica. Silone, François Bondy – agente OSS n. 514 <17) – ed Egidio Reale – conosciuto presumibilmente proprio a casa di Ferrero, e agente OSS n. 506 – agirono da intermediari <18. Tra fine gennaio e inizio febbraio 1943 Olivetti incontrava pertanto un informatore dell’OSS – forse proprio Bondy – in rappresentanza di quattro gruppi di opposizione italiani e, nel comunicarne l’intenzione di coordinare con gli Alleati un’azione rivoluzionaria in patria, presentava la prima versione del suo “Memorandum”, in parte già accettato dai suddetti gruppi come base per la discussione. L’informatore, che lo definirà “a man to be taken seriously, and of some weight” – consigliava, ai fini della trasmissione ad Allen Dulles, responsabile della centrale europea dell’OSS a Berna, di accorciarlo perché troppo preciso e poco concreto. Il 4 febbraio, a Jona sul lago di Zurigo, Adriano consegnava poi un manoscritto a un altro informatore dell’OSS, che lo inviava a Dulles l’11, in cui proponeva l’istituzione e l’azione coordinata di due nuovi “governi”: il primo avrebbe preso il controllo della situazione post-fascista in Italia creando lo Stato federale delle comunità, ad orientamento neutrale, sotto la reggenza di Maria José di Piemonte e secondo le linee stabilite nel Memorandum; il secondo invece, a orientamento politico cristiano-socialista, si sarebbe schierato con gli Alleati e sarebbe stato costituito, in tutto o in parte, da rifugiati all’estero guidati da Carlo Sforza, già designato portavoce degli antifascisti in esilio nel Congresso dell’Italia Libera di Montevideo del 14-16 agosto 1942. Alla fine della guerra i due governi si sarebbero unificati, mentre nell’immediato e a livello operativo si suggeriva l’avvio delle operazioni militari contro il regime su ordine di Vittorio Emanuele e delle negoziazioni preliminari per una pace separata. Il tutto avrebbe dovuto essere accompagnato dalla pubblicazione delle prime righe, quelle programmatiche, del Memorandum. Questi i primi contatti; in primavera poi, Luciano Foà, segretario generale delle Nuove Edizioni di Ivrea, fondate da Olivetti nel 1942, in Svizzera per lavoro, ebbe modo, tramite Bondy, di dialogare direttamente con Dulles a Berna, che si mostrò incline al reclutamento di un agente intermediario tra Svizzera e Italia. Olivetti – consapevole di essere un buon candidato perché in contatto con il PCI, il Partito d’Azione, il Partito proletario per una repubblica socialista e il Partito socialista-cristiano, nonché con il Vaticano, alcuni membri della famiglia reale e molti capi militari – coglieva immediatamente l’invito: il 14 giugno incontrava quindi un altro informatore dell’OSS per mettersi a disposizione degli Alleati a costo di qualsiasi rischio personale e il 15 diventava l’agente n. 660, dopo un colloquio con lo stesso Dulles. Al quale faceva poi pervenire, tramite Egidio Reale, una versione tradotta del suo progetto, che accompagnava con informazioni recenti in merito alla situazione italiana e alla fattibilità del piano di destituzione del regime e della resa agli Alleati. Adriano aveva infatti appena presentato a Maria Josè, a Roma il 7 giugno, un piano di riforma dell’istituto monarchico in concomitanza con quella delle istituzioni statali, “A complemento di un Memorandum sullo Stato federale delle Comunità in Italia” <19, la cui stesura aveva iniziato in maggio. Ma, dal momento che la principessa aveva lasciato intendere non si potesse contare su iniziative dalla casa reale, tre giorni dopo Olivetti aveva incontrato Pietro Badoglio, che, pensava allora, avrebbe potuto reggere il nuovo governo in Italia in sostituzione di Maria Josè. Aveva inoltre discusso con alcuni leader politici circa l’organizzazione all’estero di un Comitato italiano antifascista, nucleo di riferimento per l’azione rivoluzionaria in patria, composto da rifugiati da far espatriare ad hoc con mezzi messi a disposizione dalla flotta italiana <20. A luglio, di nuovo in Italia forse perché informato di ciò che stava per accadere, assisteva alla destituzione di Mussolini direttamente da Roma; insoddisfatto però della piega che stavano prendendo gli eventi, affidava all’autista Antonio Gaiani, affinché lo recapitasse a un informatore degli Alleati, un messaggio che li metteva in guardia da alcune componenti del governo Badoglio. L’informatore era invece un agente del Servizio Informazioni Militari (SIM): il 28 luglio Gaiani veniva quindi arrestato e il 30 lo seguivano Olivetti stesso e la segretaria Wanda Soavi, con l’accusa di “comprovata intelligenza col nemico e proposito di attività sovvertitrice dell’ordine interno” <21. Detenuto a Regina Coeli con il numero di matricola 9876, rimase “a disposizione” fino al 18 settembre per esser poi scarcerato il 22, con la Soavi, grazie all’intercessione di amici e familiari. Sperando in una celere avanzata degli Alleati, Olivetti si trattenne a Roma, che lasciò solo il 6 dicembre – il 4 il padre era peraltro deceduto a Biella – per nascondersi, in un primo momento a Ivrea e poi, ancora ricercato dal Ministero delle Forze Armate, trasferirsi a Milano. Vista la pericolosità della situazione, l’8 febbraio decideva di seguire la via di molti antifascisti e di riparare in Svizzera, sempre con la Soavi; passò il confine nei pressi di San Pietro, vicino a Stabio, con l’aiuto di un contrabbandiere contattato dalla madre di Luciano Foà <22. Ospitato in un primo tempo a Zurigo dal rappresentante della Olivetti in terra elvetica, Conrad Schnyder, onde evitare l’internamento in un campo, si stabilì poi a Champfèr, in Engadina vicino a Sankt Moritz. Vi rimase fino al 15 maggio del 1945. <23
[NOTE]
17) François Bondy (1915-2003), giornalista tedesco naturalizzato svizzero, emigrato in terra elvetica nel 1933, collaborava con varie riviste di tendenza socialista e, sotto gli pseudonimi “Suss” e “Henri Pleslier”, agì da collegamento tra antifascisti esuli in Svizzera e membri della Resistenza francese e tedesca, contribuendo alla diffusione di idee, progetti e iniziative riguardanti il federalismo europeo.
18) Cfr. D. Cadeddu, Adriano Olivetti e la Svizzera, in Spiriti liberi in Svizzera. La presenza di fuoriusciti italiani nella Confederazione negli anni del fascismo e del nazismo (1922-1945), a cura di R. Castagnola, F. Panzera, M. Spiga, Firenze, Franco Cesati Editore, 2006, pp. 218-226.
19) In A. Olivetti, Stato federale delle comunità, cit., pp. 138-142.
20) Su questi fatti cfr. quanto ricostruito da Cadeddu nell’Introduzione ad A. Olivetti, Stato federale delle comunità, cit., pp. 13-28.
21) Citazione tratta da A. Olivetti, Stato federale delle comunità, cit., p. 29, n. 92.
22) Cfr. il Verbale d’interrogatorio, in Archivio di Stato di Bellinzona, Fondo Internati 1943-1945, sc. 60, fasc. 8, Adriano Olivetti fu Camillo (citazione tratta da D. Cadeddu, Adriano Olivetti, Luigi Einaudi e l’ordine politico delle Comunità, “Il Politico”, LXVIII, 2003, n. 3, p. 523, n. 1). Vedi anche R. Broggini, Terra d’asilo. I rifugiati italiani in Svizzera 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 107.
23) Cfr. la ‘Dichiarazione’, con la quale Olivetti rinunciò all’ospitalità svizzera, riportata in R. Broggini, La frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Milano, Mondadori, 1998, p. 444, n. 35.
Raffaella Cinquanta, Adriano Olivetti rifugiato in Svizzera, Cantonetto

Dal 1942 Adriano Olivetti si recò in Svizzera dove era in contatto sia con il SOE (Special Operation Executive, servizio segreto inglese) sia con i servizi segreti statunitensi OSS (Office of Strategic Service) per cercare una soluzione volta ad estromettere Mussolini dal potere politico. Continuò a scrivere opere, articoli con i quali ribadiva la sua ostilità verso i principi fascisti. Elaborò persino un progetto per riformare lo Stato italiano e lo portò a Luigi Einaudi. Nel 1943 scrisse il “Memorandum sullo Stato Federale delle Comunità in Italia” nel quale si possono evidenziare 3 punti cardine
[…] Successivamente, Olivetti affidò a Luciano Foà, intermediario tra Svizzera e Italia, l’incarico di tradurre il suo lavoro ”Riforma politica, Riforma sociale” fatto trascrivere dalla sua fedele segretaria Wanda Soavi in
caratteri micron. Olivetti continuò nel suo intento di delegittimare il potere di Mussolini proponendo addirittura un colpo di stato militare sia all’agente americano che inglese, ma non era facile la collaborazione poiché nessuno dei governi interessati voleva avere le mani legate. Secondo Olivetti era necessario formare un comitato antifascista con sede a Londra con esponenti di spicco come Ugo La Malfa, Luigi Salvatorelli e Carlo Levi, del Partito d’Azione.  Le iniziative di Adriano Olivetti erano molteplici: riuscì anche ad attivare un canale con il Vaticano e addirittura il Pontefice era favorevole ad ospitare gli eventuali negoziati che si sarebbero tenuti per realizzare il colpo di Stato. Il 10 luglio 1943 le truppe alleate sbarcarono in Sicilia ed ufficialmente Olivetti, da Berna, si definì il rappresentante dell’opposizione italiana. Il 25 luglio 1943 Mussolini venne destituito. Adriano Olivetti vedeva realizzato parte del suo piano: poteva iniziare a pensare come realizzare la sua società, il suo Stato. Decise di mettere per iscritto il suo compiacimento ed affidò il suo scritto all’autista, ma venne intercettato dal Servizio Informazioni Militari (SIM). Ormai la sua collaborazione antifascista era palese, scritta nero su bianco; il 30 luglio venne arrestato con la sua segretaria e condotto nelle carceri di Regina Coeli, ma grazie alle sue amicizie venne liberato prima che i tedeschi si impossessassero del carcere.
Marco Corbucci, Adriano Olivetti e il modello innovativo di impresa fra politica e comunicazione, Tesi di laurea, Università Luiss, Anno accademico 2019/2020

Documento conservato all’Archivio di Stato di Bellinzona, Fondo Internati 1943-1945, fasc. personale Adriano Olivetti, 60/8 – immagine qui ripresa da Raffaella Cinquanta, art. cit.

Le difficoltà della Gran Bretagna a penetrare e operare in Italia e il fallimento della politica di reclutamento di agenti tra i Pow e gli enemy aliens italiani spiegano i modesti esiti dell’approccio operativo del Soe.
D’altro canto, l’approccio “politico” ebbe risultati persino peggiori. Il Soe, mirando a favorire un’uscita soft dell’Italia dalla guerra, entrò in contatto con antifascisti in esilio come Emilio Lussu e con gli ambienti del Partito d’azione; con esponenti della “fronda” militare come Badoglio; con industriali antifascisti come Adriano Olivetti. In ogni caso, le sue relazioni con gli oppositori al regime vennero bloccate: prima da un vuoto di indicazioni politiche, poi dall’adozione da parte del War Cabinet della “linea dura” rispetto all’Italia, vale a dire di una chiusura totale a qualsiasi richiesta di patteggiamento per la pace, portata avanti più o meno esplicitamente dagli interlocutori italiani del Soe. A ciò si aggiunga che il Foreign Office riteneva troppo debole l’antifascismo politico italiano, poco credibile l’opposizione “istituzionale” al regime, e pericoloso rispetto agli alleati assumere nei loro confronti una condotta che potesse far sorgere anche il minimo dubbio sulla lealtà britannica.
Mireno Berrettini, Set Italy ablaze! Lo Special Operations Executive e l’Italia 1940-1943, “Italia contemporanea”, settembre-dicembre 2008, n. 252-253

François Bondy; a destra, Ignazio Silone – Fonte: Amici di Ignazio Silone

«Vivere come uomo e non come santo» nell’Italia del 1942, per un Olivetti significava cercare una soluzione a problemi antichi, trovare «la strada per realizzare socialismo e democrazia e libertà» <709.
Nei primi mesi dell’anno si recò a Pietra Ligure e a Grazzano, per incontrare prima il maresciallo Enrico Caviglia e poi Pietro Badoglio <710. Il contenuto esatto delle discussioni non sono appurabili, ma i successivi passi di Olivetti lasciano intendere che cercasse di convincere due uomini vicini al re di consigliare il monarca, unico in grado di farlo legalmente e di evitare un’eventuale sommossa popolare o una rappresaglia tedesca, a far decadere l’ormai ventennale governo di Mussolini.
A partire dal maggio 1942, da Ivrea Olivetti si recava spesso nella vicina Svizzera, dove a Berna avevano sede tanto lo Special Operations Executive (SOE) – il servizio segreto britannico creato appositamente da Churchill durante la seconda guerra mondiale per raccogliere informazioni nei paesi nemici – quanto i colleghi statunitensi dell’Office of Strategic Services (OSS), l’antenato della CIA <711. Nella capitale elvetica comunicava con John McCaffery, al contempo rappresentante in Svizzera dei servizi segreti britannici e informatore dell’OSS numero 645 <712.
Probabilmente, quell’estate incontrò la principessa del Piemonte Maria José, nota per la sua contrarietà al fascismo <713, che aveva conosciuto in occasione dell’inaugurazione dell’asilo Olivetti nell’estate del 1941, e lesse i programmi dei movimenti clandestini antifascisti, che però ai suoi occhi «non costituivano niente di nuovo, contenevano ancora della vaghe affermazioni, delle intenzioni» <714.
“Fu appunto allora, in quella fine tormentata del 1942, in quel tempo in cui l’alterna vicenda della guerra, la sua durezza, tra aumentati sacrifici preparava un periodo ancor più tragico, quello dell’occupazione tedesca, in quella dura vigilia compresi che occorreva fare uno sforzo, bisognava condensare in una unica formula tutte quelle esperienze e conoscenze politiche e non politiche che alternative continue fra il lavoro, la vita e lo studio mi avevano concesso di esplorare”.
[…] Nei primi mesi del ’43, l’antifascismo iniziava ad agire attorno ad Olivetti. Riccardo Levi abbandonò definitivamente la fabbrica per darsi alla Resistenza. Temendo i tedeschi, Camillo si dette alla macchia, dove riuscì comunque a comporre un opuscolo anonimo, “Riforma tributaria” <717. Il 4 e 18 febbraio si recò da Luigi Einaudi e gli consegnò una copia del proprio progetto di riforma, che sarebbe giunto a Calogero, forse a Omodeo, aprendogli così una porta nel nascente Partito d’Azione. Luciano Foà, Umberto Campagnolo e Alessandro Levi – amici e collaboratori delle Nuove Edizioni Ivrea – componevano lo “staff” del neo uomo politico, che studiava e commentava i testi che egli redigeva per integrare e correggere il primo abbozzo di riforma. Adriano Olivetti inviò Foà a colloquio con Gustavo Del Vecchio, Federico Ricci, Giovanni de Maria, e il giovane editore il 21 febbraio entrava in casa di Benedetto Croce <718. Nel frattempo, forse tramite il socialista cristiano Ignazio Silone, Olivetti si presentò ad un agente dell’OSS come portavoce dei partiti antifascisti (il PCI, il PdA, il Partito Proletario per una Repubblica Socialista e il Partito cattolico antifascista, un’alleanza tra il Partito Socialista-Cristiano, il Partito Popolare e il Partito Comunista Cristiano) <719. L’agente gli chiese di ridurre “Riforma politica, riforma sociale” a un breve testo di 5-6 pagine, nel quale Olivetti si concentrò soprattutto su una complessa strategia politica: far cadere il fascismo, nominare in Italia un governo neutrale che avrebbe instaurato lo Stato Federale delle Comunità e un secondo governo londinese, «orientato politicamente verso un socialismo cristiano» e a favore degli Alleati, costituito da antifascisti rifugiati all’estero e guidati da Carlo Sforza <720.
A inizio maggio del 1943 <721 Olivetti completò il “Memorandum sullo Stato Federale delle Comunità in Italia”, un testo che aveva redatto nei mesi precedenti e in cui erano riassunti ed approfonditi i temi affrontati in “Riforma politica, riforma sociale”. Vi erano però almeno tre punti originali. Primo, un’espressione di diffidenza verso i partiti, dimostratisi secondo lui incapaci di rappresentare con dei programmi astratti il futuro voluto dagli elettori. Occorreva secondo Olivetti portare al centro della vita politica “il fare”, l’esperienza e il merito delle persone, riducendo così lo spazio tra candidato e elettore, tra i valori vigenti nella società e quelli nella politica.
“L’importanza tradizionale dei partiti dovrà necessariamente diminuire. La insopprimibile lotta di tendenza, presidio di libertà, nascerà nell’ambito delle Comunità. Laddove sarà concreta visone di problemi e diretta designazione di uomini. Onde l’esperienza di questi, la loro saggezza e la loro competenza e non soltanto i loro programmi saranno criteri di scelta e di giudizio”. <722
[…] Mentre a causa dell’eccessivo lavoro Olivetti si riposava alla clinica Sanatrix di Torino, alla fine di aprile Luciano Foà incontrò il giornalista François Bondy, che lo accompagnò all’ambasciata americana di Berna per un incontro con Allen Dulles, direttore della sede europea dell’Office strategic services, che accettò distrattamente di assegnargli il compito di intermediario tra la Svizzera e l’Italia <725. Olivetti incaricò Foà di tradurre immediatamente in inglese “Riforma politica, riforma sociale”, che fece trascrivere in caratteri micron dalla segretaria Wanda Soavi. Tra il 12 e il 18 maggio 1943 si recò in Svizzera e all’albergo Schweizerhof, che ancora oggi si specchia sontuoso sul fiume Aare, incontrò il repubblicano Egidio Reale, agente dell’OSS n. 506, per comunicare a Dulles informazioni recenti e consegnare il libretto su cui era segretamente iscritto il testo.
Nelle settimane seguenti Olivetti riprese un’intensa attività diplomatica con vari militari italiani ostili al fascismo. Nell’ultima settimana di maggio del 1943 si intrattenne a colloquio con il generale Raffaele Cadorna, in contatto con i responsabili del PCI e del Partito d’Azione.
Il 7 giugno incontrò nuovamente la principessa del Piemonte Maria José, a Roma, e le consegnò il “Memorandum” e la nota a complemento dello stesso <726. Olivetti considerava che il re fosse il solo capace di far cadere il governo di Mussolini in piena legalità, mentre vedeva nella principessa l’unico membro della famiglia reale in vista agli angloamericani e capace di reggere una monarchia di transizione verso un sistema politico federale in cui la corona avrebbe assunto il ruolo di garante della Costituzione. Ma Maria José era reticente, difese il marito che aveva attaccato la Francia, si dimostrò ostile ad azioni da parte della monarchia per timore dei tedeschi in Italia <727. Due giorni dopo l’imprenditore discuteva con il generale Caviglia, che propose un governo di Ivanoe Bonomi, ma era «molto vecchio, 84 anni, e benché sia lucido mentalmente, da lui non c’era da aspettarsi nessuna azione» ed indicava perciò il maresciallo Giovanni Messe <728. L’indomani, il 10 giugno 1943, Olivetti incontrò nuovamente Pietro Badoglio e «lo trovò in forma eccellente e voleva esaminare l’intera situazione ed aveva espresso gran risentimento contro Mussolini» a causa della decisione di attaccare la Grecia che lo aveva portato alle dimissioni da capo dello Stato Maggiore, anche se «asserì di non avere ambizioni politiche» <729. Il futuro capo del governo incaricato si rendeva comunque disponibile ad accettare un incarico ma, aspettando che gli Alleati coordinassero un’azione dall’estero, non volle prendere iniziative personali. O almeno non nel senso indicato da Olivetti, che da quel momento avrebbe fatto letteralmente “di testa propria”, ossia autonomamente, con intelligenza e intuito, cercando di coordinare forze disparate, senza però avere sempre il tempo necessario per negoziare le basi di un proficuo e duraturo incontro.
Il 14 giugno 1943, sempre in Svizzera, Olivetti si intrattenne con un altro informatore dell’OSS, del quale il giorno successivo sarebbe entrato a far parte come agente numero 660 <730. Ripropose il colpo di Stato militare, la formazione di un governo all’estero dei partiti antifascisti e uno in Italia, guidato da Badoglio <731. Per un futuro democratico in Italia, occorreva che la liberazione dal fascismo non sembrasse un «regalo dall’estero né la semplice conseguenza di un’invasione» <732.
Non perse tempo, il neo cospiratore per la libertà d’Italia, e la sera stessa incontrò un agente del SOE, John McCaffery, che l’indomani spedì un lungo rapporto alla centrale di Londra.
“Ieri sera abbiamo incontrato Adriano Olivetti, proprietario dell’omonima ditta di macchine per scrivere […] Negli ultimi due anni ha visitato Berna di frequente, nel corso di brevi viaggi d’affari. Era solito incontrarsi con l’agente “Jq 400” per questioni di lavoro, che poi a sua volta mi riferiva sulle conversazioni <733 […] D’ora in poi, Olivetti sarà chiamato “Brown” […] L’elemento essenziale che emerge dalle conversazioni con “Brown” è il seguente: egli afferma di poter organizzare in Italia un’opposizione in grado di rovesciare il regime fascista. In altre parole, egli può offrirci qualcosa di concreto in territorio italiano […] È convinto che l’Italia debba schierarsi attivamente a fianco degli Alleati. Tuttavia, ciò non può avvenire in una volta sola. Anzitutto, occorre eliminare il regime e arrivare a una cessazione delle ostilità tramite, ad esempio, Badoglio <734. Siamo rimasti colpiti dall’energia di “Brown”. È una persona dotata che ha sempre dimostrato un grande talento imprenditoriale. Se è un tipo in gamba, come io ritengo, al momento è questa la migliore scommessa che possiamo fare. Abbiamo ricevuto un’improvvisa telefonata di “Phillips” [Filippo Caracciolo, console italiano a Lugano] e partiamo per Lugano domani mattina. Saremo di ritorno il 17 per incontrarci nuovamente con “Brown”. Per piacere, inviateci i vostri commenti prima di quella data”. <735
Durante l’incontro Olivetti portò avanti anche una proposta interessante: formare un comitato antifascista con sede a Londra e diretto da Luigi Salvatorelli, Carlo Levi e Ugo La Malfa, esponenti di spicco del Partito d’Azione. Le proposte erano però – a sua insaputa – rischiose, perché cercavano di evitare l’invasione alleata della penisola e di costruire un futuro politico per il paese, mentre i piani del governo inglese «prevedevano la conquista assoluta dell’Italia» <736. Dalla centrale di Londra ricordavano a Berna che un agente doveva informare ed eseguire gli ordini, non proporre azioni e soluzioni anche se, come nel caso di Olivetti, le sue «capacità manageriali lo rendevano adatto a un lavoro organizzativo» <737.
Di ritorno dall’incontro con Caracciolo a Lugano, giusto il tempo per leggere la missiva appena giunta dal Londra, e da McCaffery si presentava nuovamente Olivetti. Che intese immediatamente che gli Alleati non volevano sbilanciarsi nell’appoggiare un partito la cui posizione politica non era chiaramente definita in senso atlantico, ma ripropose «il golpe per rovesciare il regime e dichiarare la neutralità dell’Italia prima dello sbarco alleato». Occorreva infatti aspettare la caduta di Mussolini prima dello sbarco, poiché «il nuovo governo avrebbe finito per essere screditato e avrebbe avuto così vita breve». Il governo amico avrebbe dichiarato «una finta neutralità che avrebbe favorito la nostra presenza nella penisola. In seguito l’Italia sarebbe divenuto nostra alleata» <738. «“Brown” avrebbe gradito discuterne con Badoglio e altre personalità», ma da Berna consigliavano Londra di «sostenerlo senza esitazioni di sorta» perché era «una persona capace, concreta e coraggiosa» e poteva aiutare «a riattivare tutti i precedenti contatti» in Italia <739.
Un paio di giorni dopo, il 21 giugno, McCaffery spedì direttamente al Foreign Office un lungo memorandum con il riassunto di due proposte di golpe molto simili: una del PdA, tramite Caracciolo, l’altra di Olivetti, che sosteneva di «aver sondato le vedute delle seguenti personalità: la principessa di Piemonte, il maresciallo Caviglia, il maresciallo Badoglio, il generale Cadorna. Ha inoltre contattato il Pci, il PdA, i socialisti e i cristiano-socialisti». Il ministero degli Esteri britannico ribadiva quanto aveva già riferito la centrale londinese dei servizi segreti: «il governo di Sua Maestà» accettava di incontrare emissari per un piano comune, ma considerava inopportuno legarsi «a un comitato che avrebbe potuto pretendere di entrare in un futuro governo italiano». Il desiderio del governo inglese «era avere le mani totalmente libere, con l’obiettivo di formare un governo adeguato agli interessi britannici» <740.
Eppure, i progetti di Caracciolo e Olivetti – sostanzialmente due versioni concordate preventivamente di un unico disegno – iniziavano a convincere anche gli uomini del SOE di Londra, come testimonia un memorandum interno del 28 giugno 1943 in cui i servizi segreti si lamentavano perché, mentre loro cercavano di rendere lo sbarco in Sicilia più facile e sicuro, il Foreign Office si occupava solo della situazione politica successiva. Si riteneva quindi opportuno incoraggiare l’idea del comitato politico e sostenere i progetti di golpe di “Phillips” e “Brown”: «se il colpo di stato contro il fascismo riuscisse, è probabile che decidano di formare un loro governo, almeno per un certo periodo. E noi trarremo profitto dalle difficoltà che emergeranno in seguito a tale mossa, anche se le loro azioni finissero per essere represse dopo pochi giorni (o persino dopo poche ore)» <741.
Ma Olivetti era attivissimo, e ai primi di luglio «la sede svizzera comunicò alla centrale londinese che [“Brown”] aveva attivato un canale con il Vaticano, e che il pontefice era favorevole a ospitare dei negoziati», a condizione di essere contattato direttamente da Casa Savoia o dal governo britannico <742. I rapporti con gli ambienti vaticani gli permettevano di mettersi in contatto con Galeazzo Ciano, da qualche mese ambasciatore in Vaticano <743, quindi di stabilire un legame tra gli anglosassoni ed il governo italiano ancora più immediato di quello con Massimo Magistrati, cognato di Galeazzo Ciano e segretario di legazione a Berlino sin dal 1933, che il 10 luglio 1943 venne improvvisamente nominato ambasciatore a Berna <744.
Sembrerebbe che queste relazioni potenziali, ricercate da alcuni membri del governo italiano che volevano probabilmente giungere ad accordi segreti con gli inglesi e gli americani prima di staccarsi dall’alleato tedesco, fossero state segnalate agli anglosassoni ed instaurate proprio da Adriano Olivetti, che già il 14 giugno indicava all’OSS che «il prossimo ministro italiano a Berna sarà Magistrati, cognato di Ciano, che proverà a stabilire contatti ed sostiene fortemente una pace separata. L’addetto stampa è il marchese Antinori da Firenze, assolutamente antifascista e considerato “très fin”» <745. Tramite il Vaticano, secondo “Brown” «si sarebbe potuto aprire immediatamente un negoziato per l’uscita simultanea dall’Asse di Italia, Ungheria, Romania e Finlandia.
Ma “Olivetti chiedeva una risposta entro la sera dell’8 luglio”» <746. Il Foreign Office fu più rapido e lapidario: «Il SOE non è autorizzato a trattare la proposta Olivetti», che non dette ascolto alla richiesta di McCaffery di adeguarsi alle disposizioni prese a Londra. Il 10 luglio 1943 le truppe alleate sbarcavano in Sicilia e, volendo sempre evitare un dominio militare e politico dell’Italia da parte degli anglosassoni, il 15 luglio Olivetti era nuovamente a Berna per definirsi «il rappresentante dell’opposizione italiana», assicurare che era «giunto alla fase finale del suo piano» e chiedere urgentemente che «l’ambasciatore britannico in Vaticano si rivolgesse al sostituto segretario di Stato vaticano [Giovanni Battista Montini] per organizzare un incontro». “Brown” diceva di aver scritto all’OSS affinché «gli americani comunicassero un messaggio preciso ai Savoia: “A guerra finita la forma istituzionale riconosciuta da Washington dovrà essere quella di una monarchia limitata della sua autorità. Inoltre, dovrà cambiare anche il suo rappresentante (in sostanza, la principessa Maria José assumerà la reggenza al posto del figlio). Tutto ciò avverrà a prescindere dalle forme di governo che si concretizzeranno in Italia nei prossimi mesi”». Nel rapporto a Londra, da Berna aggiunsero che «non ce la sentiamo affatto di biasimare il comportamento di Olivetti, anche se agisce contro le nostre istruzioni […] In ogni modo, non prevediamo di incontrarlo prima del 26 luglio» <747. Il giorno dopo Vittorio Emanuele III convocò Badoglio per «escludere l’idea di un colpo di Stato preordinato a data fissa» ma chiese comunque al generale «se avrebbe accettato la successione di Mussolini» <748.
Nel movimento rapidissimo di comunicazioni, il giorno seguente il Foreign Office inviò un telegramma «all’ambasciatore britannico in Vaticano annunciando che verso il 20 del mese Olivetti o un suo emissario (nome in codice “Edward Cartin”) avrebbero potuto mettersi in contatto con lui per consegnarli una lettera firmata da un certo “Ruben”». L’ambasciatore avrebbe dovuto «recepire questa lettera ma astenersi dall’aprire una conversazione, limitandosi a comunicare loro che la missiva sarà inviata a Londra» <749. Il ministero degli Esteri britannico voleva temporeggiare, ma era più lento di Olivetti, che probabilmente la sera del 15 luglio <750 era già in Vaticano, «da dove, con ogni probabilità, contribuì segretamente alle operazioni che di lì a pochi giorni avrebbero portato alla deposizione del duce» <751.
[NOTE]
709 OLIVETTI, Adriano, “Come nasce un’idea”, in id., Tecnica delle riforme, MOVIMENTO COMUNITÀ (ed.), Torino, 1950, ristampato in OLIVETTI, Adriano, Società, Stato, Comunità. Per una economia e politica comunitaria, Milano, Edizioni di Comunità, 1952, p. 17-18, e ora in id., Il mondo che nasce, cit.
710 Cf. CAIZZI, Bruno, Gli Olivetti, cit., p. 193.
711 Tramite di Luigi Rusca, nome in codice “Vulp” e condirettore amministrativo alla Mondadori, nel maggio 1942 gli stessi generali Badoglio e Caviglia proposero al SOE un programma per ribaltare il fascismo: attuare un colpo di Stato contro Mussolini, far incaricare dal re un governo militare “che firmi l’armistizio con gli Alleati e si sieda al tavolo delle trattative di pace”. Nel gennaio 1943 Badoglio riteneva di «poter mettersi alla testa degli italiani che credono nella vittoria della Gran Bretagna», CEREGHINO, Mario José, FASANELLA, Giovanni, Il golpe inglese, cit., p. 58. Sulla confusione tra Rusca Olivetti, non completamente dipanata, v. CADEDDU, Davide, “Introduzione”, in OLIVETTI, Adriano, Stato federale delle Comunità, cit., p. 17.
712 Cf. CADEDDU, Davide, “Introduzione”, cit., p. 17 e 27. L’edizione critica degli scritti redatti da Olivetti e la ricostruzione della biografia durante la seconda guerra, compiute da Davide Cadeddu, si fondano sui documenti archivistici conservati presso il National Archives and Records Administration (NARA), Rg 226, Entry 210, Box 335, file 660 e RG 226, Entry 210, Box 449, e presso l’ASO, Fondo Adriano Olivetti, Scritti inediti.
713 Cf. OCHETTO, Valerio, Adriano Olivetti, cit., p. 115.
714 OLIVETTI, Adriano, “Come nasce un’idea”, cit., p. 17. Tra i testi letti da Olivetti vi fu probabilmente il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, con i quali avrebbe collaborato a partire dal 1944. Sempre di quel periodo i rapporti con un altro federalista, Mario Alberto Rollier: «”Gioventù Cristiana” […] alla fine del 1941 risorgeva con un altro nome: “L’Appello”, rivista bimestrale di storia, religione, filosofia, travasandosi in una rivista milanese di “varia attualità”. Per eludere la censura fascista fu comprata, con l’aiuto finanziario dell’industriale Olivetti, la testata di detta rivista che, “fondata da un certi reverendo di Salsomaggiore”, era giunta al sesto anno propinando ai suoi lettori un “molto sabaudo miscuglio sporifero di trono e di altare”. […] “L’Appello” uscì sotto la direzione di Mario Alberto Rollier, assistente al Politecnico di Milano, poi esponente del Partito d’Azione nella sua città», ROGNONI VERCELLI, Cinzia, Mario Alberto Rollier un valdese federalista, Milano, Jaca, 1991, p. 66.
717 Cf. CAIZZI, Bruno, Gli Olivetti, cit., p. 187 e seguenti.
718 Cf. OCHETTO, Valerio, Adriano Olivetti, cit., p. 115 e CADEDDU, Davide, “Introduzione”, cit., p. 27-28.
719 L’agente segreto era probabilmente l’elvetico François Bondy, alias Henri Peslier, agente Oss n. 514, che nel dopoguerra avrebbe diretto la rivista «Preuves», anticomunista e filoamericana, portavoce del Congress for Cultural Freedom/Congrès pour la liberté de la culture, tra i cui dirigenti vi era Ignazio Silone e nella cui filiale italiana – l’Associazione per la libertà della cultura, come tutto il resto dell’organizzazione sospettata d’essere alimentata da forti dosi di dollari dalla CIA – faceva parte anche Adriano Olivetti, cf. STONOR SAUNDERS, Frances, La guerra fredda culturale. La CIA e il mondo delle lettere e delle arti, Roma, Fazi, 2004, p. 94-95.
720 CADEDDU, Davide, “Introduzione”, cit., p. 16-19.
721 Cf. ibid., p. 53.
722 OLIVETTI, Adriano, “Memorandum sullo Stato Federale delle Comunità in Italia”, in Stato federale delle Comunità, cit., p. 104-105.
725 CADEDDU, Davide, “Introduzione”, cit., p. 20.
726 V. “Memorandum”, 14 giugno 1943, in NARA, Rg 226, Entry 210, Box 335, file 660, p. 2.
727 Nel giugno-luglio 1943, la principessa dialogò comunque, durante incontri poco segreti, con Benedetto Croce, Umberto Zanotti, Carlo Antoni, Meuccio Ruini, Ivanoe Bonomi. Ma Vittorio Emanuele III la convocò dopo i bombardamenti su Roma del 19 luglio e le ordinò di rifugiarsi nella residenza di Sant’Anna di Valdieri, vicino a Cuneo.
728 «He is very old, 84, and while his mind is entirely clear, no action could be expected from him […]the one man who might be of help if he could be got into a strategic position was Marshal Messe, whom, he said, was a man of great merit», “Memorandum”, 14 giugno 1943, in NARA, Rg 226, Entry 210, Box 335, file 660, p. 2.
729 «He found him in excellent form and desirous of examining the whole situation and expressed great resentment against Mussolini. He asserted that he himself had no political ambitions», ibid.
730 «Adriano Olivetti has been given number 660. His credentials seem in order and he is highly recommended by reliable sources, among them 506 [Egidio Reale, alias Drumbee]», telegramma da Berna all’OSS, 15 giugno 1943, in NARA, RG 226, Entry 210, Box 449; v. anche “Terms, Names, Organizational Abbreviations, and Code Words Frequently Found in Office of Strategic Services (OSS) Records”, NARA, in linea <http://www.archives.gov/iwg/declassified-records/rg-226-oss/terms.pdf> (consultato il 17 luglio 2013). Il 16 giugno 1943 Allen Dulles inviò un telegramma alla centrale USA dell’OSS per segnalare che l’agente 660 era a Berna e a loro disposizione «for any effective Anti-Fascist operations either within his country or our side», “Document 1-71”, in DULLES, Allen, From Hitler’s Doorstep: The Wartime Intelligence Reports of Allen Dulles. 1942-1945, University Park, The Pennsylvania State University Press, 1996. Condivido l’ipotesi avanzata da Cadeddu sull’identità dell’agente segreto con cui Olivetti entrò in contatto, che non può essere che François Bondy, alias Henri Peslier. Non solo a causa dei numerosi francesismi (tra tutti, “entretien” invece di “interview”, due termini sinonimici in francese, mentre in inglese esiste solo il secondo), ma anche per l’affermazione già citata supra, p. 122, dove l’autore della lettera scriveva che Olivetti «assomiglia fisicamente» a Rosselli. Infatti, oggi riconosciamo la figura di Rosselli grazie ad alcune fotografie divenute simboliche, ma nel 1943 solo una persona che avesse conosciuto il liberalsocialista di persona poteva fare un’affermazione simile, e François Bondy «era stato fermato il 24 luglio 1935» poiché «era implicato nell’impresa di un progettato, imminente lancio di materiale propagandistico dal Ticino verso l’Italia ai cui preparativi aveva lavorato assiduamente. Su incarico, a suo dire, di Rosselli aveva partecipato agli esperimenti di lancio», Fra le righe. Carteggio fra Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini, cit., p. 75.
731 Si noti che Olivetti aveva profondamente modificato il programma proposto nel febbraio 1943 al SOE (v. supra, p. 183) in direzione di quello proposto da Caviglia e Badoglio ai britannici già nella primavera del 1942 (v. supra, p. 181) e della volontà dei rinati partiti politici – che aveva incontrato nel frattempo – di partecipare alla ricostruzione del paese. Chi influenzò chi non è dato saperlo, ma essendovi al centro la corona, le gerarchie militari e i partiti antifascisti, e riproducendo lo schema del doppio governo ideato da Olivetti, sembrerebbe plausibile l’ipotesi che il programma fosse frutto di un’elaborazione collettiva coordinata dall’ottimo manager Olivetti.
732 « the liberation of Italy may not seem a gift from outside and purely a consequence of invasion – which would compromise the future of Italy, and of democracy there, making these people seen thereafter only agents of foreign powers», lettera di accompagnamento del “Memorandum”, 14 giugno 1943, in NARA, Rg 226, Entry 210, Box 335, file 660.
733 Olivetti era in contatto con il SOE dal 1939, come si deduce dalla classificazione dei documenti conservati in The National Archives (TNA), Tna/Pro, Hs 9/1119/7, in linea <http://discovery.nationalarchives.gov.uk/SearchUI/details/C10326907?descriptiontype=Full&ref=HS+9/1119/7> (consultato il 13 luglio 2013). Non ho potuto consultare direttamente i documenti britannici per questioni logistiche.
734 Che era in contatto con il SOE sin dal 1942, cf. CEREGHINO, Mario José, FASANELLA, Giovanni, Il golpe inglese, cit., p. 58. Devo ringraziare l’amico e collega Alessandro Giacone per avermi segnalato questo volume, che ci fa scoprire la collaborazione di Olivetti con il SOE e rende ancora più complessa la sua posizione in quei mesi. Tutti i documenti che citeremo in seguito sono stati redatti in lingua inglese e tradotto da Cereghino e Fasanella.
735 Ibid., p. 59.
736 Ibid., p. 60. In ogni caso, ricordava Londra a Berna, lo sbarco in Sicilia era già previsto per il 10 luglio e i piani Olivetti avrebbero richiesto troppo tempo.
737 «Sembra che Olivetti sia riuscito a penetrare in profondità gli ambienti antifascisti, veri o potenziali che siano. Escludendo la possibilità che egli sia stato ingaggiato dai fascisti per tale compito, possiamo concludere che, ora, gli antifascisti si sentano sufficientemente forti e che non desiderino rimanere inattivi. Olivetti è ottimamente piazzato per coordinare i vari elementi, oppure per scegliere quelli che offrono le migliori garanzie di un’azione concreta», ibid., p. 61.
738 Rapporto del SOE di Berna alla centrale londinese, spedito il 19 giugno 1943, in ibid.
739 Comunicazione del 19 giugno, ibid.
740 TNA, Tna/Pro, Fo 371/37256, citato in ibid., p. 63.
741 TNA, Tna/Pro, Hs 9/1119/7, citato in ibid., p. 64-65.
742 Ibid., p. 65. Olivetti aveva comunicato all’Oss d’essere in contatto con il Vaticano e di essere stato ricevuto in udienza dal papa nei primi mesi del 1944 «He also has access to Vatican circles and, although a Protestant, had an audience with the Pope some few months ago», “Memorandum”, 14 giugno 1944, NARA, Rg 226, Entry 210, Box 335, file 660, p. 1. La segretezza degli archivi Vaticani non permette di procedere ulteriormente e con maggiore precisione nella ricerca.
743 Con Magistrati si trasferì a Berna «il Marchese Antinori, addetto stampa, coltissimo, scettico, intelligente, pare dominato da un astio incredibile per i tedeschi e il Reich. Dai primi contatti traggo l’impressione che in questa Ambasciata, considerata la roccaforte dell’Asse, non aliti certo un particolare spirito di amicizia per la Potenza alleata: al contrario», 21 ottobre 1939, SIMONI, Leonardo, Berlino: Ambasciata d’Italia, 1939-1943, Roma, Migliaresi, 1946, p. 6. A fine gennaio 1943 il genero del duce fu udito pronunciare commenti positivi sulle forze anglosassoni e l’8 febbraio fu “destituito” da Mussolini, che dal ministero degli Esteri lo incaricò di Ciano stabilisse, con l’aiuto di Dino Grandi, l’appoggio del Vaticano e dei servizi segreti in Svizzera, rapporti amichevoli con i britannici (cf. CEREGHINO, Mario José, FASANELLA, Giovanni, Il golpe inglese, cit., p. 56-57).
744 Il 10 luglio 1943, ossia il giorno dello sbarco alleato in Sicilia: come camuffare meglio un cambiamento così importante nelle relazioni internazionali? Qualche giorno prima dell’incontro con Olivetti, il 25 giugno 1943, anche Roosevelt sarebbe voluto entrare nella “lobby anglofila in Vaticano”, ma il SOE era contrario, perché voleva evitare troppi rumori – e ovviamente perché gli inglesi non volevano spartire con gli americani un pesce grossissimo che si erano trovati appeso all’amo.
745 «The next Italian minister in Bern will be Magistrati, Ciano brother in law, who will try to have contacts and is strongly pro-separate peace. Press-attaché is [illeggibile] marquis Antinori from Firenze, absolutely antifascist and considered “très fin”», nota manoscritta alla brutta copia del “Memorandum”, in NARA, Rg 226, Entry 210, Box 335, file 660.
746 Ibid., p. 66. Si noti che nel gennaio 1943 Galeazzo Ciano fu udito pronunciare commenti positivi sulle forze anglosassoni e l’8 febbraio fu “destituito” da Mussolini, che dal ministero degli Esteri lo incaricò di dirigere la diplomazia italiana in Vaticano. Sembrava una punizione, ma è plausibile che il duce volesse che il genero stabilisse, con l’aiuto di Dino Grandi, l’appoggio del Vaticano e dei servizi segreti in Svizzera, rapporti amichevoli con i britannici (cf. CEREGHINO, Mario José, FASANELLA, Giovanni, Il golpe inglese, cit., p. 56-57). Nello stesso senso sembra l’improvviso spostamento di Massimo Magistrati, cognato di Galeazzo Ciano e segretario di legazione a Berlino sin dal 1933, che il 10 luglio 1943 venne nominato ambasciatore a Berna. Qualche giorno prima dell’incontro con Olivetti, il 25 giugno 1943, anche Roosevelt avrebbe voluto entrare nella “lobby anglofila in Vaticano”, ma il SOE era contrario, perché voleva evitare troppi rumori – e ovviamente perché gli inglesi non volevano spartire con gli americani un pesce grossissimo che si erano pescati da soli.
747 Ibid., p. 66. Affermando che l’incontro previsto con Olivetti non sarebbe avvenuto prima del 26, «cioè non prima del golpe che Ciano e Grandi stanno organizzando segretamente per il 25 luglio», Cereghino e Fasanella compiono un ragionamento logico non supportato storicamente. La richiesta di convocare una riunione del Gran Consiglio del Fascismo sarebbe stata fatta da Farinacci, dopo le lamentele di Bottai, durante un incontro dei gerarchi avvenuta il 16 luglio al quale Grandi non era presente. Richiesta che fu accettata da Mussolini al ritorno dal convegno con Hitler a Feltre, cioè il 20 luglio (cf. SALVATORELLI, Luigi, MIRA, Giovanni, Storia d’Italia nel periodo fascista, cit., p. 523-524). Anche se Ciano e Grandi erano in contatto con il SOE, anche se stavano organizzando il golpe, il 15 luglio il SOE non poteva sapere che Mussolini sarebbe stato destituito proprio il 25 luglio e, quindi, non poteva sapere che il 26 luglio avrebbe assunto un valore simbolico nella storia italiana.
748 SALVEMINI, Gaetano, “Badoglio nella seconda guerra mondiale”, in «Il Ponte», n. VIII (1952), p. 1728.
749 CEREGHINO, Mario José, FASANELLA, Giovanni, Il golpe inglese, cit., p. 67. Gli autori non attribuiscono la paternità all’anonimo Cartin, mentre affermano che Ruben sia uno degli pseudonimi di Olivetti. Si noti comunque l’origine ebraica del nome.
750 Cf. CADEDDU, Davide, “Introduzione”, cit., p. 28 e, in particolare, la nota 85.
751 Ibid., p. 67. Olivetti non era l’unico a tramare con alleati, antifascisti e Vaticano. Come si è già accennato, Dino Grandi (presidente della Camera dei Fasci e delle corporazioni), con l’appoggio di Galeazzo Ciano preparò un piano che prevedeva la consegna dei poteri politici e militari italiani al governo inglese tramite la firma da parte di un nuovo capo del Governo fascista (il generale Caviglia), ma che fu vanificato da Vittorio Emanuele III con l’arresto di Mussolini e l’assegnazione del governo a Badoglio dopo la famosa riunione del Gran Consiglio avvenuta tra il 24 e il 25 luglio. Winston Churchill annotò che Grandi era «l’uomo che ha affossato Mussolini», in ibid., p. 72. «Dunque, sono due le cordate attivate [dai britannici] per rimuovere il duce. Quella guidata da Grandi-Ciano e quella diretta da “Brown” (Adriano Olivetti)-Badoglio-“Phillips” (Filippo Caracciolo). Con obiettivi in parte coincidenti, in parte diversi. L’una si è mossa all’insaputa dell’altra. Ma entrambe su input britannico e controllate dei servizi e dalla diplomazia di Londra», ibid., p. 75.
Marco Maffioletti, L’impresa ideale tra fabbrica e comunità. Una biografia intellettuale di Adriano Olivetti, Tesi di dottorato, Université de Grenoble in cotutela con Università degli Studi di Torino, 2013

Non si deve pensare che il Soe intendesse contestare le direttive dei suoi superiori, piuttosto esso cercava di ritagliarsi uno spazio che gli garantisse maggiori margini di manovra. Già dal dicembre 1942 Baker Street, sebbene autorizzasse cauti sondaggi “operativi” tra coloro che volevano collaborare con gli inglesi anche in caso di invasione della penisola, vietava qualsiasi tipo di negoziato in cui si menzionasse una pace separata <144. Per questa posizione – di disponibilità operativa e di chiusura politica – il Soe avrebbe optato ufficialmente durante i negoziati con Badoglio, ma essa de facto già guidò Baker Street durante i colloqui con Emilio Lussu e venne ribadita durante quelli con Filippo Caracciolo e quelli con Adriano Olivetti.
La decisione britannica di totale chiusura a qualsiasi tentativo italiano di patteggiamento per la pace contribuì, al pari del fallimento politico-negoziale delle opposizioni – antifascista e ‘istituzionale’ -, alla crisi dell’8 settembre. Essa era tuttavia giustificata da premesse razionali: i precedenti del 1917-1918 e del 1940 <145; l’inutilità operativa di fornire garanzie <146; la debolezza dell’antifascismo <147; le negative ripercussioni mediatiche <148 e diplomatiche <149.
[NOTE]
144 J a S, 19 dicembre 1942, HS 6/777.
145 In entrambi i casi, gli inglesi si erano impegnati politicamente a sostenere movimenti indipendentisti e/o nazionali che si erano rivelati molto deboli, condizionando la diplomazia britannica.
146 I rapporti del Soe indicano che gli italiani non si ribellavano contro il regime: ciò per timore non tanto di uno smembramento postbellico dell’Italia sconfitta, ma della prevedibile reazione tedesca a un eventuale crollo del fascismo. J, nel dicembre 1941, era sicuro però che tale timore sarebbe scemato se gli inglesi si fossero mostrati abbastanza “forti da proteggerli” (J a A/DS, loc. cit. a nota 136), una considerazione ribadita da Berna (in un documento presumibilmente destinato al Soe di Londra) il 23 maggio del 1943 (HS 6/904). Sul peso di quella che era giudicata l’incapacità italiana di staccarsi dalla Germania, cfr. M. De Leonardis, La Gran Bretagna e la Resistenza, cit., p. 61; Antonio Varsori, L’antifascismo e gli alleati. Le missioni di Lussu e Gentili a Londra e a Washington nel 1941-1942, “Storia e politica”, 1980, n. 3, pp. 470-496.
147 Agli stessi occhi di Hambro, l’Italia del febbraio 1943 appariva ancora un paese fascista (CD a Cadogan, loc. cit. a nota 140), o almeno gli italiani erano troppo legati alla patria per “tradirla” collaborando con gli inglesi. Per Desmond Morton (Morton a CD, 8 maggio 1943, HS 6/901), “il 60 per cento della macchina burocratica [era] fascista”.
148 Emilio Lussu ricorda il pericolo che la propaganda dell’Asse sfruttasse questa manifestazione di “debolezza” alleata (Diplomazia clandestina. 14 giugno 1940-25 luglio 1943, Firenze, La Nuova Italia, 1956, pp. 64 sg.).
149 Preoccupazioni che ciò provocasse gravi ripercussioni sulle relazioni con Unione Sovietica, Grecia e Jugoslavia sono espresse dalla lettera di Sargent a CD (21 gennaio 1943, HS 6/777) e dal memorandum del Soe Berna “Free Italian Army” (5 maggio 1943, HS 6/777)
Mireno Berrettini, Op. cit.

Bern, Switzerland cables, March-June 1943, ca. 35 pp. Contains reference to Adriano Olivetti, industrialist and owner of the typewriter company. [WN#16284-WN#16285]
[…] Views of Adriano Olivetti, owner of the typewriter equipment manufacturing company, June 14, 1943, 8 pp. [WN#13839 and WN#13840]
Redazione, Records of the Office of Strategic Services (Record Group 226) 1940-1947, NARA