Ah, fosse rimasto là, non avrebbe mai conosciuto Salvatore, il suo assassino!

Quella del 21 luglio è una giornata di mezza estate particolarmente afosa. Un vento caldo sfiora le piante che sbucano come lance sui monti intorno a Zeri.
Mi sono alzato presto per arrivare nella prima mattinata ad Adelano.
Quella del 21 luglio è una giornata strana: è la prima volta che salgo da queste parti ed appena dopo qualche ora mi pare di conoscere tutto il paesaggio intorno.
Ho dormito poco ed ho pensato tutta la notte inseguendo con la mente dei colpevoli o forse dei mandanti.
Intorno sui prati ci sono ormai troppi villeggianti, troppi bambini che gridano, che giocano a palla.
All’alba del 21 luglio Dante Castellucci, detto Facio, è stato ammazzato a fucilate proprio sul dosso di questa montagna. Sì, lo confesso: questa storia, la storia di questa morte assurda, o forse anche troppo chiara, mi ha appassionato ed emozionato come se fosse successa ieri.
La sentenza di morte era stata firmata durante la notte dall’ex commissario politico dello stesso battaglione di Facio, Antonio Cabrelli, o meglio Salvatore.
Ma perchè fu firmato quell’ordine? Chi aveva ispirato il Tribunale speciale ad emettere la condanna col banale pretesto del furto di un lancio?
Le rivalità tra piccoli capi partigiani o qualcuno molto più in alto? Nemmeno Facio riusciva a capirlo e stava andando a morire per mano dei suoi compagni senza sapere perchè.
Verso le cinque il fatto è avvenuto. Sono partiti dieci, forse venti colpi da fucili che non volevano sparare. Poi il silenzio. Poi le grida. Poi nuovo silenzio. Per Laura Seghettini, la sua compagna, per Libero Spuri, per Antonio Pocaterra, rinchiusi in una cantina dopo avere accompagnato la sera prima il capo e l’amico ad Adelano, sono stati il segnale che il fatto era avvenuto.
Rimango qui a scaldarmi al sole guardando intorno le montagne.
So esattamente come il fatto è avvenuto. So esattamente quello che è avvenuto nelle ore immediatamente precedenti.
Il finto processo
Verso la metà del finto processo è arrivata Laura. Lui stava zitto e non si difendeva. Lei lo ha pregato, lo ha scongiurato di dire tutto quello che sapeva su Salvatore, sul personaggio che lo stava accusando. Ma lui non si difendeva, perlomeno davanti ad un tribunale dei partigiani. Dopo la sentenza lo hanno rinchiuso in una cantina insieme a Laura ed a un gruppo di uomini che dovevano sorvegliarlo a vista. Tutti lo conoscevano di fama. Questi uomini non volevano la sua morte, volevano che scappasse. Laura lo ha pregato, lo ha scongiurato di scappare. Ma lui non voleva, perlomeno non dai partigiani..
Alla mattina alle cinque lo hanno portato fuori nel prato. Facio era l’unico che non tremava. Il plotone non voleva sparare, finchè lui ha gridato di farsi coraggio, di puntare e premere il grilletto.
E cosi hanno fatto. Così ha avuto fine la vita di Dante Castellucci, detto Facio, intellettuale calabrese emigrato in Francia, uno dei comandanti più coraggiosi della guerra partigiana.
Hanno gridato forte i suoi amici, imprigionati nella cantina e svegliati bruscamente dal rumore ritmico delle pallottole da esecuzione. Poi per tanti anni il silenzio.
Durante la notte Facio ripensava al perchè lo volevano morto. E al suo passato.
Emigrato in Francia, a Parigi aveva studiato filosofia alla Sorbona ed aveva imparato a suonare il violino.
Ah, fosse rimasto là, non avrebbe mai conosciuto Salvatore, il suo assassino! Ma non avrebbe nemmeno conosciuto i fratelli Cervi, le loro idee libertarie, il loro coraggio. E allora meglio così!
L’amicizia con i Cervi
Nel 1942 Facio aveva disertato e si era rifugiato a Reggio Emilia. Papà Cervi ha di lui un ricordo preciso: «Era un intellettuale malinonico e riflessivo». Facio condivide in quei giorni la vita dei suoi figli. Con loro organizza la guerriglia cittadina contro i tedeschi. Con loro sale sulle montagne. Quando poi i Cervi vengono catturati, sarà proprio lui a studiare il piano per la loro liberazione. Ma i Cervi vengono fucilati innaspettatamente senza processo. Qualcuno, forse tra gli stessi partigiani, aveva avvisato i fascisti di un imminente colpo di mano.
Facio è frastornato. Si aggrega al distaccamento Picelli nell’alta Val di Taro e diventa un eroe. Quando nella battaglia di Borgotaro muore il comandante Fermo Ognibene, Facio, per volontà di tutti, lo sostituisce. Le sue doti non sono solo militari. E’ colto, è pieno di ascendente verso i partigiani e verso la popolazione. Il suo nome circola tra la gente quasi come una leggenda. In quei mesi un ispettore centrale del CNL visita il distaccamento di Facio. Il suo rapporto, contrariamente alla norma, non è per niente burocratico, anzi pieno di entusiamo: Facio viene definito «pieno di passione umana, acuto di ingegno, intelligente, coraggioso, ottimo comandante rnilitare.»
Nell’estate del 44 la sua formazione, forte di una cinquantina di uomini, è già un mito. Parla di socialismo libertario, di democrazia. Tutti vogliono andare con lui, e lui può scegliere i suoi uomini fra i migliori.
Ma spuntano i nemici. Tra questi Tullio, un capo partigiano che dopo la guerra finirà male, tra rapine e atti di delinquenza comune, e sopratutto Antonio Cabrelli, detto Salvatore, con il quale il destino gli sta preparando un fosco appuntamento. Antonio Cabrelli, militante comunista, durante il fascismo si era rifugiato a Mosca e lì aveva frequentato la scuola di partito. Aveva poi militato in Spagna nelle Brigate Internazionali, rigidamente inquadrate dai burocrati sovietici. Lì aveva partecipato alla eliminazione degli anarchici spagnoli durante la breve esperienza della Repubblica di Catalogna.
Scrive Amendola: «Il partito comunista francese aveva scelto Salvatore come suo rappresentante per controllare l’attività dei comunisti italiani operanti in Tunisia. Ma Salvatore in Tunisia fu fermato ed espulso dalle autorità francesi, che mostrarono prove fotografiche di una sua attività di spionaggio per conto dei servizi segreti fascisti.»
Dopo essere rientrato in Italia Salvatore aderisce alla resistenza, si presenta a Facio e gli chiede di essere accettato nella sua formazione. Buon oratore, aspira a diventare commissario politico, vantando lunghi anni di esperienza. Ma il comando di Parma blocca la nomina e in un’assemblea tra i partigiani Facio informa i compagni dei dubbi che circolano su Salvatore, che comunque è nominato egualmente commissario di un distaccamento.
Nel 1944 i partigiani di Facio sono impegnati in grandi battaglie, come quella del Lago Santo, nella quale dodici uomini tengogono testa a 180 repubblichini, suscitando persino in questi ultimi ammirazione e rispetto. Verso i primi di luglio del 1944 Facio si lamenta della scarsa attività di guerra del distaccamento in cui milita Salvatore, il quale per di più non partecipava mai ad azioni di guerra. Da quel momento tra Facio e Salvatore è scontro aperto. Il comissario politico rifiuta l’ordine di rientare nel territorio di competenza, rifiuta di obbedire agli ordini del CNL di Parma, e si mette a disposizione della resistenza ligure con cui aveva allacciato da tempo relazioni e rapporti preferenziali.
Il PC spezzino nomina Salvatore commissario politico
Nei primi giorni di luglio tutti i capi partigiani che operano tra La Spezia e la Cisa si riuniscono a Zeri per fondare la prima divisione ligure. Ci sono testimonianze (riportate anche da Giacomo Vietti in un volume edito dall’associazione Nazionale Partigiani di Parma) che Salvatore in quei tempi si agita molto, compie frequenti viaggi ed intrattiene stretti rapporti con dirigenti comunisti liguri di stretta osservanza moscovita. Ed è proprio il partito comunista spezzino che lo nomina in quell’occasione comissario politico.
La tragedia di Facio sta per compiersi. Il comando della sua divisione è a Parma. I suoi uomini soffrono gravi stenti per i rifornimenti di viveri e di armi. Con le formazioni liguri, grazie a Salvatore i rapporti sono pessimi. Tutti i lanci appartengono agli spezzini. Ormai questo è il loro territorio. Il 18 luglio un uomo di Facio trova una piastra di mortaio paracadutata dal cielo. Il Comandante ordina di trattenerla. Il 19 un’altro lancio non raggiunge la formazione di Beretta a cui era destinata, in quanto la formazione è sbandata per un rastrellamento. Nessuno si presenta a raccogliere il materiale e allora Facio ordina di nuovo di trattenere il materiale.
Per accusare Facio esiste ormai un pretesto. Il 20 luglio ad Adelano si riuniscono i capi della divisione ligure, appena costituita. Salvatore riesce a convincerli a nominare un tribunale per processare Facio.
Un delitto politico
Sono in diversi a capire che Salvatore è poco più di un esecutore, anche se molto interessato, di decisioni prese altrove.
Ma dove e da chi?
Alcuni si scandalizzano e lasciano la riunione, ma il tribunale viene nominato egualmente: è composto da Tullio, da Renato Arduini, da Salvatore e da Nello e Luciano Scotti. Sono loro che attirano con una scusa Facio all’accampamento di Adelano, sono loro che lo invitano a bere appena arrivato, sono loro che lo disarmano e lo percuotono. Poi lo condannano a morte.
La sentenza ha la firma di Salvatore, anche a nome del partito comunista. A tanti anni di distanza i giudici di Facio sono morti, tutti tranne Scotti.
Scotti vive a La Spezia dove è stato a lungo comandante dei vigili urbani della città.
Lui sa. Sa esattamente chi ha voluto quella morte e quando e dove è stata decisa. Certamente non da Salvatore, ma da qualcuno dal quale Salvatore andava a prendere ordini nei suoi frequenti viaggi. Scotti non ha mai voluto parlare. Assolutamente.
Sono molti i dirigenti comunisti che in quarant’anni hanno fatto la spola tra Roma e la casa pontremolese di Laura Seghettini, la sua compagna. Perchè? Cosa cercavano? Chi proteggevano?
Dante Castellucci, detto Facio, calabrese di passione, parigino di cultura, aveva condiviso il comunismo libertario dei fratelli Cervi, che non andava a genio ai dirigenti di partito formatisi alla scuola di Mosca. D’altronde, ormai è certo, la cattura dei fratelli Cervi è stata possibile grazie ad un tradimento di un loro compagno.
Come in Spagna?
Qualcosa di simile è forse avvenuto per Facio. Qualcuno in alto temeva lo spirito del comunismo libertario, temeva quello che Facio aveva imparato dai fratelli Cervi e quello che sapeva sulla loro morte.
In Spagna le brigate intemazionali, fedelissime di Stalin (nelle quali aveva militato Salvatore), non avevano forse sterminato gli anarchici, loro compagni di lotta contro Franco, pur di non mettere in discussione il modello stalinista?
Così è morto Facio, ad Adelano in Lunigiana in un’alba di luglio di mezzo secolo fa. Poi quarantacinque anni di silenzio.
Ora è arrivato il momento di capire, non di compiangere. Perchè la verità è l’unica ad essere rinnovatrice. Perchè, come ha scritto Mauro Calamandrei: «Non è Facio che dobbiamo compiangere; compiangiamo invece i suoi fucilatori e soprattutto i loro mandanti, capaci di tanta scelleratezza»
Maurizio Bardi, Il caso Facio, il finto processo e le verità nascoste, LUNIGIANA la SERA, Ottobre 1990, articolo ripubblicato anche in Cronaca di un Secolo in Lunigiana

Intanto nel gennaio 1944 il distaccamento “Guido Picelli” della XII Bgt Garibaldi di Parma si sposta dal versante parmense dove si era costituito e si stabilisce nell’Appennino pontremolese guidato da Fermo Ognibene “Alberto”. Tra le prime azioni il 4 marzo assale la postazione di militi della RSI al Passo del Brattello e ne uccide i quattro componenti. Il 15 marzo Ognibene cade a Succisa assieme a due compagni in uno scontro con i fascisti mentre copre la ritirata del gruppo. Gli subentra Dante Castellucci “Facio” che diviene ben presto uno dei comandanti partigiani più noti. Molte le azioni messe in atto per disarmare i caselli lungo la linea ferroviaria e procurarsi armi e munizioni. Nel luglio ‘44 dopo l’uccisione di Facio i suoi più fedeli lasciano la nuova formazione che si costituisce per aderire alla I Divisione Liguria e si trasferiscono in Val Parma dove continuano la lotta fino alla Liberazione.
Redazione, Venti mesi per la Libertà nella provincia di Massa Carrara, ISRA, Istituto Storico della Resistenza Apuana

Dopo diversi tentativi, il 28 luglio 1944 fu ufficialmente costituita a Zeri, anche grazie agli sforzi del CLN, la I Divisione Liguria, comprendente le brigate partigiane Cento Croci, Vanni, Gramsci e la colonna Giustizia e Libertà (già brigata Lunigiana). A capo della divisione fu posto il colonnello Mario Fontana, affiancato dal commissario politico Antonio Cabrelli “Salvatore”, vecchio militante comunista.
Nei giorni immediatamente precedenti la nascita della divisione venne fucilato dopo un processo-farsa, organizzato da alcuni esponenti comunisti spezzini, il comandante del battaglione Picelli “Facio”. Le ragioni di questa esecuzione non sono mai state completamente chiarite.
La I Divisione Liguria era numericamente uno dei più temibili gruppi partigiani della Liguria, ma le brigate che la formavano erano cresciute troppo in fretta e avevano gravi problemi d’organizzazione e di disciplina, inoltre il coordinamento tra i vari comandi lasciava molto a desiderare. Tutti i nodi vennero al pettine il 3 agosto 1944, quando i tedeschi e i fascisti iniziarono un imponente rastrellamento nella zona controllata dalla I Divisione.
Maurizio Fiorillo, La Resistenza nello Spezzino in Resistenza (della), viale Sesta Godano, SP, a cura di Valerio Martone, M. Cristina Mirabello, Progetto “Le vie della Resistenza (1943-1945)”, ISR La Spezia, – Il progetto “Le vie della Resistenza”, è uno “stradario” realizzato dall’I.S.R. (Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea) in collaborazione con il Comune della Spezia e con i Comuni della Provincia della Spezia, per celebrare i 70 anni della Liberazione (1945-2015) – (Il testo di Maurizio Fiorillo è apparso nel 2001, in forma diversa e più ampia, sulla rivista “Storia e Memoria” edita dall’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea)

Ricordare il partigiano “Facio” significa anche rievocare una tragedia della Resistenza avvenuta sui monti ai confini fra Parma, La Spezia e l’alta Lunigiana, quindi rivivere, ma anche ripensare, a quel clima di isolamento, assedio, sospetti, contrasti e anche ingiustificate rivalità. Di quel dramma Dante Castellucci (1920-1944), nome di battaglia “Facio”, fu protagonista e vittima innocente. Guerrigliero coraggioso, autore di esaltanti imprese contro nazisti e fascisti, comandante amato dai suoi uomini e dalle popolazioni di quelle valli, cadde sotto il piombo di un plotone di esecuzione composto da partigiani. Era l’estate del 1944, nella zona di Pontremoli [località Calzavitello di Adelano, in Comune di Zeri – MS]. Aveva 24 anni. Negli anni successivi alla Liberazione la vicenda fu oggetto di indagini e inchieste, anche da parte di magistrati; purtroppo senza giungere ad una riabilitazione piena. Giunse invece, nel 1963, per il partigiano Dante Castellucci, l’eroico “Facio”, la medaglia d’argento alla memoria. Inaspettata. Una sfida, una beffa o un riconoscimento tardivo? Propende per la prima ipotesi lo storico Carlo Spartaco Capogreco, nel suo notevole libro “Il piombo e l’argento” (pubblicato da Donzelli editore nel 2007). Nato nel 1920 a Sant’Agata d’Esaro, in provincia di Cosenza, aveva vissuto quasi sempre in Francia, dove il padre fu costretto a fuggire dopo avere schiaffeggiato un notabile del paese. In Francia, Dante aveva studiato e anche lavorato. Suonava il violino, scriveva poesie, disegnava. Rimasto senza lavoro il padre, la famiglia nel 1939 ritornò in Calabria e qui Dante fu raggiunto dalla chiamata alle armi, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia. Designazione fronte alpino. È durante una convalescenza al suo paese, sul finire del 1940, che Dante farà il primo incontro determinante per la sua futura vita. Diventa amico di Otello Sarzi (diciottenne militante antifascista), componente della famiglia di attori e burattinai, già nota in quei tempi e diventata famosa nel dopoguerra. Nel 1941 Dante è nuovamente in caserma: farà parte dei 250.000 soldati inviati in Russia con l’Armir. Sul finire del 1942 rimane ferito durante la “seconda battaglia difensiva del Don” e, trasportato in Italia, è ricoverato in vari ospedali per mesi. Durante la convalescenza, raggiunge Otello Sarzi e la sua famiglia a Campogalliano, vicino a Modena. Artista per temperamento, Dante entrò con naturalezza a far parte della famiglia e della compagnia teatrale che, con un tendone, girava per i paesi dell’Emilia. Diventa attore, dipinge le scene, suona il violino e la chitarra e – come tutti i Sarzi (che nascondono pure una tipografia clandestina) – svolge attività antifascista. Giunge così il secondo incontro decisivo: quello con la famiglia di Alcide Cervi con i suoi sette figli, nella cascina ai Campi Rossi nel Comune di Gattatico. Ora l’attività antifascista è più intensa, la Resistenza è già iniziata, prima ancora dell’8 settembre. Dante si trasferisce in casa Cervi, partecipa all’organizzazione della fuga dei soldati stranieri, prigionieri nei campi di concentramento. Ed è qui, nella casa dei Campi Rossi, che insieme ai fratelli Cervi viene catturato dai fascisti e dai tedeschi. Fingendosi soldato francese viene rinchiuso in un carcere diverso da quello dei partigiani. I sette eroici fratelli Cervi vengono fucilati. Lui riesce a fuggire e a raggiungere i monti del Parmense e le prime bande della Resistenza armata, dove si distingue in ripetute azioni di guerriglia. Una in particolare è da ricordare, quella del Lago Santo, montagna dell’Alta Val Parma, 1508 metri sul livello del mare: è il 18 marzo 1944, sono in corso rastrellamenti nazifascisti e nove partigiani guidati da “Facio”, giungono nel rifugio “Mariotti”, una palazzina dalle grosse mura con inferriate alle finestre. In riva al lago dovrebbe convergere in quelle ore il resto del distaccamento “Guido Picelli”. Ma verso l’imbrunire il gruppo è circondato da un centinaio di tedeschi e fascisti ben armati, al contrario dei ribelli dotati di armi leggere per rapidi colpi di mano. I nove uomini decidono di battersi. Il rifugio diventa una trincea. Il combattimento dura dal pomeriggio fino a notte e poi riprende all’alba sino a quasi sera; i partigiani sono esausti, alcuni feriti, quando gli assedianti abbandonano il campo lasciando 16 morti e 36 feriti. La battaglia del Lago Santo diventa un episodio leggendario: su una facciata del rifugio, ora c’è una lapide con i nomi dei vittoriosi combattenti. E anche “Facio” diventa una leggenda. Forse il suo comportamento insofferente alla disciplina – unitamente a invidie, risentimenti, contrasti – provocano quel tragico processo nel quale “Facio” viene accusato di avere sottratto con il suo gruppo un “lancio” destinato ad altri e la piastra di una mitragliatrice. Lui rimane così incredulo, umiliato e deluso che rinuncia a difendersi e anche a fuggire, come i suoi uomini gli chiedono. È fucilato all’alba del 22 luglio 1944. La stessa data riportata nella motivazione della medaglia d’argento al valor militare nella quale si legge: “Valoroso organizzatore della lotta partigiana, incurante di ogni pericolo, partecipava da prode a numerose e cruente azioni. Scoperto dal nemico si difendeva strenuamente; sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto. Esempio fulgido del più puro eroismo”.
Redazione, “Facio”, al secolo Dante Castellucci comandante partigiano, Non solo eventi Parma

Poiché l’attività partigiana di Primo Battistini si articola temporalmente su più formazioni, per ulteriori approfondimenti su di lui, v. altra nota riportata nella Scheda Via Brigata U. Muccini (Stradario di Sarzana- SP) e Fonti citate per essa. Nella presente nota ricordiamo che, sempre nell’estate 1944, Primo Battistini è fra i protagonisti della drammatica vicenda legata alla fucilazione, all’alba del 22 luglio 1944, del comandante partigiano del battaglione “Picelli”, il comunista Dante Castellucci “Facio”, convocato presso il comando della “Vanni” ad Adelano di Zeri e lì condannato a morte per una sentenza emessa da un Tribunale partigiano appositamente convocato. Il Tribunale, presieduto da Antonio Cabrelli “Salvatore” (che diventerà Commissario politico per qualche mese della IV Zona Operativa) è tutto composto da elementi comunisti (fra essi appunto lo stesso Battistini). Per tale episodio, peraltro subito criticato dal Segretario del Partito Comunista, Silvio Borgatti, che invia sul luogo Paolino Ranieri in ispezione, cfr. in ordine cronologico la seguente essenziale bibliografia: Jacopini, Renato, Canta il gallo, Edizioni Avanti! 1960, capitolo Per una piastra di mortaio, p.70-74; Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Matteotti-Picelli, 1978: paragrafi Fra Zeri e Sesta Godano, Il “Picelli e il processo di unificazione delle forze spezzine, Il problema dei lanci, Arresto e morte di Dante Castellucci (Facio); Bianchi, Antonio, La Spezia e Lunigiana, Società e politica dal 1861 al 1945, Franco Angeli, 1999, pp. 406-407; Capogreco, Carlo, Spartaco, Il piombo e l’argento, La vera storia del partigiano Facio, Donzelli, 2007; Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia- Bande partigiane e guerra civile- Lunigiana 1943-45, Laterza, 2010, pp. 167-174, Madrignani, Luca “Il caso Facio. Eroi e traditori della Resistenza”, Il Mulino, Bologna 2014.
(a cura di) Maria Cristina Mirabello, Battaglione Vanni, via Pieve di Zignago, Comune di Zignago, SP, Progetto “Le vie della Resistenza (1943-1945)”, ISR La Spezia, – Il progetto “Le vie della Resistenza”, è uno “stradario” realizzato dall’I.S.R. (Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea) in collaborazione con il Comune della Spezia e con i Comuni della Provincia della Spezia, per celebrare i 70 anni della Liberazione (1945-2015)