Nonostante la cocente sconfitta nell’operazione Bastogi, alla fine della quale aveva perso anche il suo principale alleato, Sindona seguì il consiglio dello stesso governatore Carli che lo aveva osteggiato, cercando un nuovo appoggio internazionale al fine di spostare il baricentro delle proprie attività all’estero <771.
Nel giugno 1972 si presentò a New York nell’ufficio di Laurence A. Tisch, presidente della Loews Corporation, una società con interessi nel settore immobiliare, bancario e nella vendita di tabacco. A fargli il nome del finanziere americano era stato lo studio di consulenza Kuhn-Loeb & Co. con cui Sindona era in affari da tempo <772. Tisch possedeva il pacchetto di maggioranza della Franklin New York Corporation, una finanziaria proprietaria al 100% della Franklin National Bank, la ventesima banca americana, un colosso con quasi 4 miliardi di dollari di depositi, 3.700 dipendenti, 104 sportelli non solo in America, un grattacielo nel cuore della City, in Park Avenue, a Manhattan. Tisch, in base alla legge americana, doveva liberarsi di quel pacchetto di controllo, non potendo avere contemporaneamente interessi nel settore industriale e in quello bancario, il problema era che fino a quel momento nessuno aveva voluto comprarglielo perché pretendeva 40 dollari ad azione, 8 in più della quotazione in borsa, per una cifra aggiuntiva di 8 milioni di dollari (5 miliardi di lire). Sindona, senza batter ciglio, accettò e pagò sull’unghia i 40 milioni di dollari necessari, pari a 26 miliardi di lire <773. Il mese successivo, sul grattacielo di Park Avenue iniziò a sventolare la bandiera della Fasco International, società lussemburghese creata appositamente per gestire i gioielli americani del finanziere di Patti.
Con questa mossa Sindona si confermò un precursore dei suoi tempi, anticipando una tendenza all’assunzione di partecipazioni in banche americane che poi si diffuse ampiamente, sulla scia dei mutamenti innescati nel sistema finanziario e monetario internazionali dopo la decisione di Nixon del 15 agosto 1971 di sancire l’inconvertibilità del dollaro in oro <774.
Quella data, che segnò uno spartiacque come abbiamo visto nella storia del capitalismo occidentale, fu all’origine di una prolungata fase di instabilità, che moltiplicò la liquidità internazionale espressa in dollari (in particolare con il mercato del cosiddetto euro-dollaro, i dollari depositati presso le banche europee), creando un’imponente massa di manovra per la speculazione sulle valute. Il ruolo di Sindona in questa fase fu ben descritto dal governatore Carli, che lo dipinse come il protagonista della grande pestilenza che si abbatteva sul capitalismo in quegli anni:
«Su un punto importante Polibio, Lucrezio e Manzoni sono concordi: le grandi pestilenze agiscono sulle comunità umane come fattori improvvisi di assenza della legge. L’effetto sugli individui, spesso, è la lussuria, l’abbondarsi al vizio, alla depravazione, al delitto. La disintegrazione dell’ordinamento monetario internazionale, la crisi petrolifera, ebbero un effetto simile a quello della peste. Scatenarono grandi passioni. Produssero e distrussero grandi ricchezze, sogni, progetti. Istigarono in molti finanzieri l’ebbrezza dell’onnipotenza, del gioco d’azzardo […] La figura dell’avvocato Michele Sindona, così come l’ho conosciuta nella sua grandezza, sinistra ma indubbia, così come l’ho combattuta, è senza dubbio la figura di un protagonista della grande pestilenza» <775.
Alla notizia del passaggio di proprietà della ventesima banca statunitense dall’americano Tisch al siciliano Sindona, non tutti accolsero quest’ultimo come un re della finanza e un banchiere di primaria grandezza. Qualcuno cominciò a domandarsi da dove venissero così tanti soldi. Era pur vero che negli anni il fido Dan Porco gli aveva procacciato la compravendita delle aziende più disparate, sin da quella Pier Bussetti agenzia di viaggi il cui ruolo non fu mai del tutto chiarito nella geometria dell’impero sindoniano: comprare e vendere società era, per il finanziere di Patti, il modo migliore per fare amicizie con la gente che conta <776. Così come era noto il legame con David Kennedy, in quel momento ministro del Tesoro di Nixon, e Paul Marcinkus, divenuto presidente dello IOR. Ritornarono però in auge vecchie ombre di un suo rapporto con Cosa Nostra, a partire da quella lettera del 1° novembre 1967 scritta da Fred J. Douglas, capo dell’International Criminal Police Organisation di Washington alla Criminalpol di Roma, dove si leggeva:
«I seguenti individui sono implicati nell’illecito traffico di sedativi, stimolanti e allucinogeni tra l’Italia e gli Stati Uniti e fra altre regioni di Europa: Daniel Anthony Porco, nato a Pittsburg (USA) il 7 novembre 1922, professione contabile. Pare abbia grosse somme in Italia, presumibilmente ricavate da attività illecite negli Stati Uniti; Michele Sindona, nato a Patti (Messina) l’8 maggio 1920, professione procuratore, residente a Milano in via Turati; Ernest Gengarella, che pare abbia interesse nel motel Sands di Las Vegas; Vio Rolf, nato a Milano, su cui per il momento non abbiamo altri dati» <777.
Da Roma, la richiesta di informazioni venne trasmessa a Milano, dove il questore Giuseppe Parlato impiegò tre mesi per rispondere con una lettera in cui si faceva sì cenno ai rapporti di affari esistenti tra Porco e Sindona, ma dove si concludeva perentoriamente che «allo stato degli accertamenti da noi svolti, non sono emersi elementi per potere affermare che le persone di cui innanzi, e soprattutto il Porco e il Sindona, siano implicati nel traffico degli stupefacenti tra l’Italia e gli USA» <778.
Quando qualcuno gli chiese se effettivamente fosse legato ai padrini siciliani, Sindona rispose divertito: «la mafia? Per le mie operazioni è troppo povera. In Sicilia dicevano che uno dei boss, Calogero Vizzini, don Calò, era ricchissimo perché aveva 150 milioni di lire in banca e proprietà immobiliari per 400 milioni. Che cosa ci farei io con quegli spiccioli?» <779.
Ai tempi della scalata alla Franklin, in effetti, prove sui legami mafiosi di Sindona non ve ne erano. Furono scoperti più tardi, negli anni ’80 e ’90, dopo le minacce a Enrico Cuccia, l’omicidio Ambrosoli e il finto rapimento che inscenò subito dopo, nel 1979, in cui Cosa Nostra ebbe un ruolo di primissimo piano. Solo con il Processo Andreotti, però, si delineò meglio il ruolo di Sindona, grazie alle testimonianze dei collaboratori di giustizia Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo e Gaspare Mutolo: il finanziere di Patti riciclava, per conto di Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e John Gambino, gli ingenti proventi del traffico internazionale di stupefacenti in società finanziarie, immobili ed alberghi, tra la Florida e l’isola di Aruba <780.
In quest’ottica si spiega l’attivismo di Cosa Nostra, o meglio, delle famiglie palermitane che l’avrebbero retta fino all’ascesa dei Corleonesi, nell’aiutare Michele Sindona con ogni mezzo possibile a salvare il proprio impero, collassato nell’estate del 1974: i boss cercavano di recuperare i propri soldi, come confidò Bontate a Marino Mannoia <781. Così come si spiega, nella strategia ricattatoria che portò avanti fino all’ultimo nei confronti di ex-amici e politici, il riferimento alla Banca Rasini come canale di riciclaggio di Cosa Nostra a Milano, nella famosa intervista a Nick Tosches, confermando la circostanza emersa nel 1983 con l’Operazione San Valentino782, quando furono trovati diversi conti correnti intestati ad alcuni degli uomini d’onore più potenti, legati a Totò Riina, cioè alla fazione vincente della Seconda Guerra di Mafia. Michele Sindona era così importante per le famiglie mafiose tra l’Italia e gli USA che ebbero un ruolo attivissimo nel generale piano di ricatto e intimidazione a istituzioni e vertici del sistema finanziario italiano.
[NOTE]
771 Magnani, op. cit., p. 54.
772 Panerai, De Luca, op. cit., p. 142.
773 Ivi, p. 144. I fondi per l’acquisto provenivano dalle sue banche e probabilmente anche dai suoi clienti, con la tecnica dei depositi fiduciari.
774 Magnani, op. cit., p. 54.
775 CARLI, G. (1993). Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, p. 320, citato in Magnani, op. cit., p. 54.
776 Panerai, De Luca, op. cit., p. 148.
777 Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed amministrative ad esso eventualmente connesse, (1982). Relazione Conclusiva, Relatore Sen. Azzaro – VIII Legislatura, Roma, 24 marzo, p. 485.
778 Ibidem.
779 Panerai, De Luca, op. cit., p. 145.
780 INGARGIOLA, F. (Presidente). (1999). Sentenza n. 881/99 contro Andreotti Giulio, Capitolo VI – I rapporti tra il Sen. Giulio Andreotti e Michele Sindona, paragrafo 1 – i legami di Michele Sindona con Cosa Nostra, Tribunale di Palermo, 23 ottobre, pp. 1770-2165.
781 Ivi, p. 1779.
782 Nell’intervista del 1985 Sindona negò di essere riciclatore di Cosa Nostra, sostenendo che la sua era «una banca dell’aristocrazia. La mafia invece si serve sempre di istituti e professionisti di second’ordine… in Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti», omettendo di dire però che il suo più fidato avvocato, Mario Ungaro, sedeva nel suo cda e lui stesso era entrato in affari con la Rasini, che controllava una quota della Cisalpina Overseas Nassau Bank. La citazione è tratta da TOSCHES, N. (1986). Il mistero Sindona: le memorie e le rivelazioni di Michele Sindona, Milano, SugarCo, p. 111.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020