Al tavolo Dulles e McCaffery da un lato, Parri e Valiani dall’altro

Ferruccio Parri – Fonte: RAI

Quando il 3 novembre 1943 Ferruccio Parri e Leo Valiani, esponenti del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, andarono a Villa De Nobili di Certenago presso Lugano per incontrare Allen Dulles e John McCaffery, responsabili delle Agenzie dell’Oss (Office of Strategic Services) e del Soe (Special Operation Executive), i servizi segreti statunitense e inglese, per sollecitare un sostegno militare e finanziario alla Resistenza, raccomandando “una propaganda più aderente alla realtà italiana”, la risposta che ottennero dal punto di vista tecnico fu interlocutoria e da quello politico lontana dalle aspettative. I sacri fuochi di una lotta armata con un grande esercito popolare erano apparsi in quel momento soffocati. Gli Alleati avevano preso le distanze da quella visione militare in nome di una strategia che non prevedeva cessioni di comando nella conduzione della guerra. La “guerra grossa” sognata da Parri per un riscatto del Paese contro l’oppressore “sotto la spinta di irrinunciabili istanze di rinnovamento politico e sociale” non rientrava negli impegni che gli Alleati avrebbero assunto nella campagna d’Italia. paginauno

Parlano le carte ingiallite degli archivi e rivelano episodi sconosciuti. Al centro ancora Varese. È l’autunno del 1943, i tedeschi hanno occupato l’Italia dopo l’armistizio con ventitre Divisioni in parte già presenti, in parte fatte scendere dal Brennero. La Resistenza muove i primi passi, incerti e zeppi di ostacoli.
Leo Valiani e Ferruccio Parri, i capi “azionisti” del Comitato di Liberazione Nazionale, partono per la Svizzera. L’appuntamento è a Certenago, un paesino nei pressi di Lugano, a Villa De Nobili con i responsabili dei Servizi d’Informazione statunitense e inglese, Allen Dulles e John MacKaffery. Tema: gli aiuti per la lotta. Viaggio delicatissimo sia per il contenuto che per le insidie disseminate lungo il tragitto.
I due capi partigiani salgono sul treno Milano-Varese delle Ferrovie Nord mescolandosi alla folla anonima dei “pendolari” e degli “sfollati” che lasciano la metropoli massacrata dai bombardamenti. Varese il 12 settembre era stata violata dalle truppe del Reich, un manipolo di SS, come un coltello in un panetto di burro. Non c’era stato un solo segno di battaglia. Resa indecorosa. Solo il prevosto Alessandro Proserpio alza la voce ma pochi lo ascoltano.
Ferruccio Parri “Maurizio” è un monumento nazionale. È la Resistenza in carne e ossa. Dall’Ufficio Studi della Edison in Foro Bonaparte progetta il riscatto del Paese precipitato nel burrone del fascismo, ora imbarbarito, ancor peggiore. Tre medaglie d’argento sul Grappa e sul Pasubio, promosso maggiore sul campo, redattore al rientro con Tarchiani al “Corriere della Sera” negli anni in cui il foglio milanese si opponeva all’ubriacatura nazionalista, antifascista della prima ora, compagno di galera di Carlo Rosselli.
Leo Valiani (in realtà Weiczen), fiumano, incarcerato da Mussolini, messo al confino, emigrato in Messico, combattente di Spagna con i repubblicani, era tornato da poco in Italia assumendo la segreteria del Partito d’Azione. Un uomo coraggioso.
Sul treno Parri è muto. Teme qualche spione. Non si fida. A Varese ad attendere la coppia ci sono l’ingegner Giacinto De Grandi e la moglie. I due non appartengono ad alcun partito politico (a Varese fra l’altro assai deboli e in lite continua fra loro sul da farsi) ma con forte senso della libertà. De Grandi è un affermato imprenditore edile, colto, di larghe vedute. Aveva già aiutato gli ebrei giunti a Varese in massa a trovare un rifugio e a passare poi in Canton Ticino. L’impresa più grande era stata quella di ricoverare in una cascina di Cunardo l’intera famiglia del rabbino di Padova Paolo Nissim fornendo a ogni familiare (moglie, suocera, cognata e i due figlioletti) una carta d’identità postale intestata al nome dei Torniamenti di Caserta, luogo, per via della Linea Gotica, difficile da raggiungere per eventuali controlli anagrafici. Il passo successivo era stato quello di agganciare i primi partigiani, riunirli nel Comitato Militare guidato dall’ingegner Luigi Ronza, “azionista”, direttore della Azienda del Gas, poi catturato dai nazifascisti e inviato a Gusen da cui tornerà.
L’ingegner De Grandi e la moglie prendono un caffè con gli ospiti all’Hotel Magenta (oggi l’orrendo Mc Donalds) esponendo loro la situazione locale. La linea del confine è sotto il pieno controllo della Guardia Doganale germanica per l’intero tratto da Pino Lago Maggiore a Luino a Porto Ceresio. La Guardia di Finanza, passata quasi al completo in Svizzera, è stata sostituita dalla Milizia Confinaria. Insomma varcare la frontiera non è uno scherzo.
È il 14 novembre e da poche ore era iniziato l’assalto al Monte San Martino. Parri non si scompone. Conosce i luoghi e il valore del colonnello dei bersaglieri Carlo Croce, capo della formazione militare. Fa a tempo a dare dei consigli che evidentemente non raggiungono i destinatari dal momento che il tracollo è rapido e completo.
L’ingegner Luigi Ronza a quel punto mette a disposizione dei due capi partigiani un automezzo della Azienda del Gas con tanto di scritta sulle portiere. Possono essere abbastanza tranquilli e nel caso fossero bloccati debbono giustificarsi dicendo che stanno per visitare alcuni contadini per acquistare marmellata e uova. Una versione semplice, credibile fino a un certo punto.
Il passaggio dalla rete non aveva creato problemi. La guardia di servizio aveva fatto finta di guardare dall’altra parte e Parri e Valiani si erano ritrovati in Svizzera. Valiani si era disfatto delle forbici che aveva con sé per tagliare la “ramina”, la rete ci confine collegata a un sistema d’allarme. Non ce n’era stato bisogno.
Il paesaggio del Ticino è descritto da Valiani con abbandoni poetici. “Siamo – annota – sul sentiero dal quale si vedono delle oasi magnifiche, i villaggi ticinesi illuminati. Le loro luci feriscono gli occhi abituati all’oscuramento di Londra, di Algeri, di Roma, di Milano, ma fanno bene al cuore. Come sarebbe bello se il soggiorno in Svizzera potesse durare un paio di settimane: ma no bisogna ritornare in Italia entro un paio di giorni al massimo”. Dopo un pranzo con ogni ben di Dio, prodotti in Italia introvabili, fra cui l’Emmenthal e i boccali di birra, un viaggio su un trenino “comodo, pulito, puntuale” Parri e Valiani erano giunti a Lugano, poi a Casa De Nobili a due passi da Villa Tanzina dove Mazzini visse al tempo delle cospirazioni luganesi.
Al tavolo Dulles e McKaffery da un lato, Parri e Valiani dall’altro. Partenza in salita. Gli Alleati non vogliono sentire parlare di una Resistenza “politica”. Gli italiani debbono restare al traino alleato, fare un po’ di azioni, dell’intelligence, dei sabotaggi. Tutto qui. Nessun esercito popolare, nessuna “guerra grossa” quella che Parri vorrebbe. Il fattore “K” (comunisti) preoccupava Dulles e il suo collega. Non avrebbero mai voluto che i lanci di armi fossero finiti nelle braccia dei “rossi”! Quando sembrava che tutto dovesse precipitare Parri aveva giocato il suo jolly, ricordando il salvataggio compiuto dal CLNAI di centinaia di prigionieri Alleati fuggiti dopo l’8 settembre dai 75 campi di Mussolini sparsi per l’Italia. Mediazione raggiunta. Gli aiuti ci sarebbero stati dal cielo e da terra (uno dei “corrieri” sarebbe stato il varesino Guglielmo Mozzoni) tenendo presente il “colore” delle formazioni.
Il rimpatrio della “missione” fu complesso. Parri e Valiani, attesi a Milano al più presto, vennero sorpresi senza documenti e quel che apparve più grave agli occhi degli “svizzeri” con cioccolata, caffè e tabacco di contrabbando. Morale: galera a Mendrisio, poi a Bellinzona. Undici giorni. In Italia credevano che i due capi fossero stati catturati dai nazifascisti. Franco Giannantoni, Parri e Valiani a Varese in RMF on line.it Varese, 13 giugno 2014

Guerra di servizi. Tra Italia e Svizzera, la rete informativa della Resistenza
Matteo Millan
Padova, Il Poligrafo, 317 pp., Euro 23,00 2009
Il libro è frutto della rielaborazione di una tesi di laurea svolta all’Università di Padova da Matteo Millan, oggi dottorando di ricerca presso lo stesso Ateneo. Il punto di vista della ricerca, per certi versi originale, è ben definito nell’introduzione: studiare il ruolo dell’informazione nel contesto della guerra partigiana come strumento forte di legittimazione (la Resistenza aveva lottato fin dal settembre del 1943 per ottenere un riconoscimento da parte degli Alleati), ma anche «preziosa moneta di scambio nella concessione di aiuti e finanziamenti» (p. 213).Due sono i punti di osservazione privilegiati. Dapprima Milano, snodo dei numerosi flussi informativi del Clnai. In questa prima parte, dopo aver contestualizzato la nascita delle reti resistenziali, l’attenzione è volta ad analizzare i media utilizzati dalle diverse reti che fanno riferimento alla capitale (radio, notiziari giornalieri, bollettini settimanali, monografie, segnalazioni di controspionaggio…); inoltre, l’a. si propone di ricostruire e analizzare il ruolo dell’informatore, poco considerato nell’immaginario collettivo veicolato dalla Resistenza (pp.14-15), affrontando così anche le dinamiche interne alle reti di informazione partigiane.In una secondo parte, superata la «semi-permeabile» frontiera, l’a. porta l’attenzione sulla Svizzera, base operativa per i servizi d’informazione degli Alleati, luogo dove partigiani e mondo libero annodano proficui contatti, indagando in particolare il rapporto tra i vertici della Resistenza italiana e il capitano dell’esercito elvetico Guido Bustelli, incaricato alla fine del 1940 di creare a Lugano un ufficio informazioni dell’esercito, che contribuisse a raccogliere notizie sulla situazione politica e militare del fronte sud.Se per la prima parte Millan offre utili elementi contestuali per capire come si sviluppano le reti informative analizzate, in questa seconda parte una maggiore conoscenza della letteratura sul contesto politico e militare elvetico durante la seconda guerra mondiale, e anche delle relazioni di lungo percorso intrattenute con l’Italia, avrebbe forse permesso meglio di comprendere come si instaurano questi contatti transfrontalieri, evitando alcune eccessive semplificazioni.L’a. conclude affrontando gli ultimi mesi delle reti informative, quando «cala il sipario» su una rete «federale» considerata da uno dei suoi principali fautori, Ferruccio Parri, come «un’opportunità strategica inimitabile» (p. 305) – anche se non scevra da lotte interne – per l’attuazione di una politica estera da parte delle istituzioni partigiane.Nel complesso, tenuto conto anche della natura del lavoro, (e solidi lavori di laurea come questo non possono che essere benvenuti), l’a. è riuscito nel suo intento di «ricostruire come da Milano si vedessero le organizzazioni informatrici periferiche tralasciando [?] di indagare con la lente di ingrandimento la vita come si svolge nelle reti periferiche» (p. 17).
Nelly Valsangiacomo, Matteo Millan, Guerra di servizi. Tra Italia e Svizzera, la rete informativa della Resistenza, SISSCO Società italiana per lo studio della storia contemporanea

I rapporti con gli alleati hanno molta importanza nella storia della Resistenza Ossolana, in particolar modo per il periodo della breve liberazione dell’autunno 1944.
La posizione geografica della zona, con la sua lunga frontiera che la delimita e separa dalla Svizzera, coi facili valichi del Ticino, resero continui i rapporti tra i maggiori esponenti della Resistenza Ossolana ed i rappresentanti alleati che risiedevano nel piccolo stato neutrale.
Tali rapporti risalgono all’ottobre 1943, quando l’ing. Ballarini aveva avuto un primo colloquio col vice console inglese a Lugano De Garston, e si intensificarono nel novembre, quando i maggiori patrioti, bruciati in patria, dovettero cercare rifugio e scampo nella Confederazione Elvetica.
Quivi e soprattutto a Lugano, divenuto il centro degli esuli italiani, nei primi mesi del 1944 troviamo tre gruppi ben distinti di profughi o di esponenti della Resistenza Italiana che per varie ragioni si occupano dell’Ossola e degli aiuti alleati ad essa.
Vi era il prof. Ettore Tibaldi, con gli amici Cipriano Facchinetti ed Ezio Vigorelli, che si appoggiavano agli inglesi facenti capo a John Mac Caffery, addetto all’ambasciata inglese con la funzione di sovraintendente a tutto il movimento di lotta clandestina europea contro i tedeschi.
Agli americani ed a John Dulles loro capo guardavano Corrado Bonfantini e Sandro Beltramini.
Con gli uni e con gli altri teneva rapporti G. B. Stucchi, che nell’aprile era stato inviato dal C.L.N. come delegato presso gli Alleati in Isvizzera.
Prima della liberazione, i contatti fra l’Ossola partigiana da una parte, ed esuli ed alleati dall’altra, erano tenuti da un vero e proprio ufficiale di collegamento: il colonnello Attilio Moneta che cadrà poi al fianco di Alfredo Di Dio nel tristissimo autunno. C’era la giovane staffetta del C.L.N. di Novara, Flavia Tosi, che quasi settimanalmente varcava e rivarcava la frontiera, con la disinvoltura di un consumato contrabbandiere, portando con sè il denaro che dagli alleati veniva concesso alle formazioni partigiane.
Gli Alleati, da parte loro, interessandosi delle varie organizzazioni e movimenti di liberazione, miravano soprattutto ad avere informazioni sull’entità e sugli spostamenti delle truppe tedesche; davano poi una certa importanza alle opere di salvataggio ed infine si occupavano delle formazioni partigiane. Pensando tuttavia al dopoguerra, si interessavano anche delle tendenze politiche di ognuna di esse ed alle personalità dei vari comandanti.
Essi poi non gradivano troppo la lotta di liberazione portata su un piano nazionale e contestavano al C.L.N. che tutte le formazioni ed i servizi fossero ad esso soggetti.
Tra Americani ed Inglesi vi era poi un forte antagonismo che impediva un unico indirizzo di rapporti ed aiuti.
Comunque gli Americani aiutavano più generosamente e disordinatamente degli inglesi, parchi, ma operanti attraverso una organizzazione quasi perfetta.
Nella primavera del 1944 gli Alleati guardavano già con particolare interesse all’Ossola, ed in previsione della fine della guerra, che i più rimandavano all’autunno, prospettavano la possibilità di formare quivi una zona franca.
I primi ad occuparsene furono gli Inglesi che, in maggio, incaricarono il delegato del C.L.N. Gian Battista Stucchi di studiare e presentare un piano d’azione e di liberazione. Piano che venne chiamato poi «Morelli» e per il quale, prima di approvarlo, gli Inglesi richiesero ulteriori chiarimenti, e più dettagliate notizie sulla possibilità di approvvigionamenti e sulla natura dei rapporti tra i partigiani e le popolazioni civili.
Anita Azzari, I rapporti tra l’Ossola e gli Alleati nell’autunno 1944, Atti del 3. Convegno di studi sulla storia del movimento di liberazione ‘Momenti cruciali della politica della Resistenza nel 1944’, Rete Parri

Quando nel novembre 1943 Ferruccio Parri e Leo Valiani si erano incontrati a Certenago con i rappresentanti degli angloamericani chiedendo l’inserimento dell’attività partigiana nel quadro operativo della guerra alleata, avevano trovato degli interlocutori freddi e diffidenti: Allen Dulles e John Mc Caffery, rappresentanti dei servizi segreti americano e britannico, avevano rifiutato l’impostazione “mazziniana” di guerra di popolo che Parri e Valiani prospettavano, sollecitando invece la creazione di una semplice rete di nuclei di tecnici e di sabotatori.
La situazione era parzialmente mutata in primavera, con la creazione del governo di unità nazionale nel Regno del Sud e il contemporaneo crescere del movimento resistenziale al Nord. Preoccupati dalle possibili conseguenze politiche di una lotta di liberazione in cui le forze di sinistra erano elemento trainante ma, nel contempo, militarmente interessati ad un’attività che impegnava numerose forze nemiche, gli alleati paracadutavano nell’Italia occupata le prime missioni: si trattava di ufficiali incaricati di assistere gli ex prigionieri, di organizzare lanci di viveri e di armi, di raccogliere informazioni sulla consistenza e sulla disposizione delle forze armate tedesche, ma anche di studiare il movimento partigiano, di verificare l’affidabilità politica, di condizionarne, dove possibile, gli orientamenti.
Le prime missioni inglesi e americane – ha scritto Roberto Battaglia – seguono una politica ben precisa: non solo stabiliscono la loro sede presso il comando delle formazioni che esse ritengono, a torto o a ragione, ‘più a destra’, non solo evitano di far capo ai CLN cittadini e agiscono ognuna per proprio conto, ma seguono una costante politica di discriminazione nei lanci. La Resistenza in Val Sangone, 11 dicembre 2014

12 dicembre 1926: Lorenzo De Bova, Filippo Turati, Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Ferruccio Parri a Calvi, in Corsica, dopo la fuga in motoscafo da Savona – Fonte: Wikipedia

A fine ottobre 1943 nacquero le Brigate Giustizia e Libertà che, come abbiamo già visto, erano distinte sul piano organizzativo, politico e ideologico da quelle comuniste, ma decise a mantenere una caratterizzazione di sinistra democratico – rivoluzionaria. Questo, probabilmente, per scongiurare il rischio di finire su posizioni pregiudizialmente anticomuniste.
Per evitare, però, che i comunisti si impossessassero dell’intero movimento di Resistenza, fu costretto a diventare uomo di parte, lasciando la nazione per il partito, salvo poi rivendicare, nel periodo postbellico, la precedenza della prima sul secondo.
Notiamo due fasi: la prima in cui fu fautore di una centralizzazione in chiave anticomunista, la seconda in cui si accordò con i comunisti per evitare che questa centralizzazione assumesse un carattere apolitico, di segno moderato, sotto la guida di Cadorna.
Riunì nella sua persona molte cariche: con il nome di battaglia “Maurizio” fu capo del Comitato militare del Cln milanese, rappresentante azionista nel Cln e capo del partigianato nel suo partito.
Fu sottoposto a numerose critiche, infatti, per aver collocato molti uomini del suo partito nei ruoli più importanti, nonostante dichiarasse la volontà di cercare di far entrare il meno possibile i partiti nella Resistenza. La sua ambizione più grande era quella di rilanciare l’idea di un esercito nazional-democratico e di promuovere il ritorno sulla scena pubblica della generazione della Grande Guerra di combattenti democratici che non avevano aderito al fascismo e si erano opposti alla dittatura mussoliniana.
Il conflitto principale nei primi momenti della Resistenza fu quello che oppose Parri ai comunisti. Essi lo accusarono di gestire in modo dispotico le strutture dell’organizzazione militare e in effetti, come abbiamo visto analizzando le due fasi in precedenza, nei primi momenti si provò a mantenere i comunisti ai margini delle decisioni più importanti. Lo scontro fu dovuto sicuramente al suo radicato anticomunismo, però Giancarlo Pajetta anni dopo ha ammesso che la colpa fu anche del settarismo ideologico dei comunisti stessi, che avevano aderito al Comando militare in modo strumentale perché, fondamentalmente, non sopportavano l’idea di collaborare con dei borghesi, come erano visti Parri e gli azionisti, “quella gente” in cui “non si aveva mai avuto fiducia” (28) […]
A causa di queste diffidenze reciproche ci vollero complesse trattative per giungere agli accordi, nel dicembre del 1944, tra il generale Wilson e i rappresentanti del Clnai (Parri, Pajetta, Sogno e Pizzoni), che sancì il riconoscimento ufficiale del movimento resistenziale da parte degli Alleati.
All’inizio del 1945 Parri fu prigioniero dei tedeschi e venne liberato il 7 marzo grazie a un complesso gioco di scambi tra vertici militari e politici tedeschi e Alleati. Questi ultimi lo portarono in Svizzera prima e poi, insieme a Cadorna, in missione nel Sud liberato. Quindi tornò per un breve periodo a Milano prima di dover trasferirsi a Roma, come Capo del governo, al Viminale, che non abbandonò mai durante la sua presidenza del Consiglio (dormiva nel suo ufficio su una branda militare). In una elaborazione probabilmente futura, dovuta alla rapida caduta del suo governo, Parri parlò di una triplice prigionia vissuta in quel periodo: la prima inflittagli dai nazisti, la seconda dagli angloamericani e la terza dai partiti del Cln, che lo spedirono al governo per poi, come già detto, costringerlo alle dimissioni entro breve tempo (37). 28 G. Quazza, E. Enriques Agnoletti, G. Rochat, G. Vaccarino, E. Collotti, Ferruccio Parri. Sessant’anni di storia italiana, De Donato, Bari, 1983, cit., pp. 144-145.
37 F. Parri, Due mesi con i nazisti, Carecas, Roma, 1973, cit.
Giuseppe Paolino, Parri e Togliatti, due anime della Resistenza, Tesi di Laurea, LUISS Guido Carli, Dipartimento di Scienze Politiche, Cattedra Storia Contemporanea, Anno Accademico 2013-2014

Angelo Giuseppe Zancanaro (Arsiè, 22 maggio 1894 – Feltre, 19 giugno 1944) è stato un militare e partigiano italiano pluridecorato. Nato nella frazione di Incino di Arsiè fu capitano degli Arditi nella Prima guerra mondiale. Nel dopo guerra intraprese la carriera militare diventando tenente colonnello. Dopo l’8 settembre 1943, coordinò l’intera organizzazione militare delle forze partigiane della provincia di Belluno. Per queste motivazioni e per la sua tragica morte per mano fascista gli fu concessa nel 1976 la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. […] L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo vide da tenente colonnello al comando del Battaglione “Gemona” dell’8º Reggimento Alpini – Divisione Julia unità di Tricesimo che farà sciogliere senza che nessun alpino venisse preso prigioniero dai tedeschi. Come ricorda la medaglia d’oro al valor militare nella lotta di liberazione dopo essere rientrato a Feltre prese i contatti con le FADP (Le Forze Armate della Patria) organizzate dal ‘’Colonnello Sassi’’ (ovvero il capitano di vascello di origine polacca Jerzy Sas Kulczychy (1905-1944) e con il CLN Veneto. A questo scopo partecipò alla riunione dell7 ottobre 1943 che si svolse nella canonica di Bavaria di Nervesa della Battaglia. Il tessuto organizzativo su cui poteva contare Zancanaro era quello della Azione Cattolica, organizzata da don Giulio Gaio e dai parroci. Quest’ultimi costituirono subito un “Comitato cittadino clandestino feltrino” e si esposero per tutti i venti mesi della lotta di liberazione dal nazifascismo. Il Tenente colonnello Zancanaro, forte di questi legami e del prestigio personale di militare pluridecorato, dopo l’esaurimento dell’iniziativa del FADP fu nominato dal neo costituito CLN di Belluno responsabile militare dell’intera provincia. Nella sua zona costituì, assieme agli ufficiali Vida e Taricco e il ragionier Luigi Doriguzzi, un gruppo partigiano autonomo, la Brigata alpina “Feltre”. Erano circa 350 ex alpini della zona distribuiti nei vari paesi del Feltrino. Zancanaro e la sua organizzazione ebbe anche contatti radio col Maresciallo d’Italia Giovanni Messe, capo di stato maggiore del Comando Alleato, che aveva conosciuto durante la Prima guerra mondiale nel IX Reparto d’assalto degli arditi sul Monte Grappa. Inoltre divenne anche il referente delle forze anglo-americane in zona a cui indirizzare gli aviolanci con i rifornimenti e l’armamento. Durante l’inverno organizzò a scopo difensivo, secondo l’orientamento “attendista” del mondo cattolico-moderato, una “resistenza passiva” con la creazione di depositi di armi e l’allestimento dei due campi di lancio a Malga Erera (Val Canzoi) e sulle Vette Feltrine. Dal 7 marzo 1944 alla fine di aprile Zancanaro fu arrestato e incarcerato (carcere di baldenich) dai nazifascisti bellunesi con altri ufficiali di carriera. Il comando della “Brigata Feltre” fu assunto dal maggiore Francesco Vida con la collaborazione di Luigi Doriguzzi del CLN di Belluno (Luciano Granzotto Basso e l’ingegner Attilio Tissi). […] La notte tra il 18 e il 19 giugno 1944 a Feltre degli uomini in divisa tedesca, guidati da “quello sparuto gruppo di fascisti” fecero irruzione nella casa di Zancanaro, dove uccisero con una raffica di mitragliatrice lo stesso Zancanaro e il figlio Luciano di 19 anni. Nella stessa azione furono poi uccisi anche l’ingegner Pietro Vendramin (1891-1944), Oldino De Paoli (1907-1944), e un giovane veneziano, che si trovava casualmente in città, Gino Colonna-Romano (1920-1944), furono invece prelevati due sacerdoti: il Rettore del Seminario Candido Fent e Monsignor Giulio Gaio. Il 21 giugno, due giorni dopo la morte di Zancanaro, il CLN di Feltre decise che il reparto che era da lui comandato assumesse la denominazione di Battaglione “Zancanaro” e fosse fatto confluire nella Brigata Garibaldina Antonio Gramsci. Con l’afflusso degli uomini di Zancanaro la Brigata Garibaldina composta da un centinaio di uomini raggiunse in settembre 996 effettivi. Redazione, Angelo Giuseppe Zancanaro, www.owlapps.net

Fin dal settembre 1943 l’ORI collaborò alla spedizione della prima missione alleata (Law) nel Nord. Trasportata da un sottomarino e diretta a Lavagna in Liguria, essa era guidata da un nipote di Matteotti, Guglielmo (Minot) Steiner, e comprendeva Fausto Bazzi e Guido De Ferrari. Alla missione si aggiunsero poi Piero Caleffi del PDA di Genova e altri, tra cui il radiotelegrafista Giuseppe Cirillo che più tardi proseguì la sua attività presso la direzione milanese della Resistenza. Nell’ottobre l’ORI di Craveri stabilì un contatto radio con il servizio informazioni clandestino della Otto, appena organizzato a Genova da Ottorino Balduzzi, sostenitore a quell’epoca del PDA. […] Parri fu in grado di servirsi frequentemente dei servizi della Otto e di comunicare grazie a essa con gli Alleati. Sia l’ORI che le SF si servirono in seguito regolarmente del servizio informazioni della Franchi che le succedette, istituito da Edgardo Sogno e da altri autonomi. ANPI Brindisi

Inediti documenti, provenienti dai National Archives di Londra 1 che riguardano l’arruolamento di agenti italiani per il Soe (Special Operations Executive) danno nuova luce alle fonti orali, raccolte in questi anni, rivelando una realtà variegata e complessa, in cui il coraggio e la diplomazia cementarono la lotta al nazifascismo, ma lasciarono emergere alcune ambiguità.
Intorno alla “Franchi” si formò un intreccio di collegamenti che ebbe come esito l’invio di esperti sabotatori paracadutati e promosse lanci di sten parabellum, divise, radio sia per le bande partigiane di pianura sia per quelle delle colline 2.
Nel primo periodo, dall’aprile all’agosto del 1944, si predisposero campi per i lanci che avrebbero dovuto essere effettuati secondo la tecnica dell’aviorifornimento, si organizzarono squadre per atti di sabotaggio e per operazioni speciali, si strinsero legami con le formazioni autonome locali, il Comando militare regionale piemontese (Cmrp) e la Svizzera.
Sogno, di propria iniziativa, con un ristretto gruppo di resistenti, procurò sedi protette e mise a disposizione veicoli, rifornimenti e documenti per sfuggire al controllo nemico.
«Certamente l’Of fu una rete, diramata, quasi come l’odierna internet, allo scopo di liberare l’Italia dal nazifascismo», mi spiegò il professor Filippo Barbano 3 nell’agosto 2004.
Anche il Soe inviò propri agenti in Piemonte con strumentazioni per le trasmissioni clandestine e per i sabotaggi; lo stesso fecero il Servizio informazioni militari (Sim) e l’American Office of Strategic Service (Oss).
1 The National Archives di Kew Gardens, Londra (d’ora in poi TNA). La documentazione del Soe, in lingua inglese, riguarda Luigi Pozzi, alias “Neve”, in ref. HS 9/1206/7 – C515781. L’agente, nato a Milano nel 1912, morì a Segrate nel 1990. Dall’analisi del fascicolo emergono una complicata trama dei collaboratori della Resistenza e pure una difficile lettura del periodo; le carte sorvolano sui fatti di sangue avvenuti nell’area di Crescentino, in quanto non
influenti sulla strategia generale degli Alleati. L’Esecutivo Operazioni speciali era un’organizzazione segreta inglese, nata nel 1940; in Italia operò dall’8 settembre 1943 con sabotaggi e incursioni dietro le linee tedesche. La rete di agenti sparsi in Europa era stata incaricata di sfruttare il ruolo dei gruppi di resistenza, presenti in ogni paese occupato, per favorire e coadiuvare le operazioni militari decise dall’Alto Comando interalleato. In Italia è nota con
il nome di Number 1 Special Force e seguì le varie formazioni partigiane. Il Sim, citato in seguito nell’articolo, fu l’intelligence militare italiana dal 1925 al 1945, mentre l’Oss fu il servizio segreto statunitense operativo dal 1942 alla fine della guerra.
2 Sogno definì l’Organizzazione Franchi «un’organizzazione militare autonoma, in collegamento diretto con gli Alleati e col comando italiano del Sud […]. Possono far parte appartenenti a qualsiasi partito antifascista o anche militari non iscritti a partiti purché sentano il dovere di battersi contro i tedeschi e la Repubblica Sociale, ma occorre in ogni caso che se questa volontà di battersi esista e si basi su un motivo morale o politico essendo la nostra una guerra di volontari». EDGARDO SOGNO, La Franchi, storia di un’organizzazione partigiana, Bologna, Il Mulino, p. 102. Ribadì, che la “Franchi” era una sua concezione e non del servizio britannico, anzi, collegando fra loro le varie unità operative, si staccò dai principi di sicurezza delle missioni alleate. Le attività svolte (a partire da aprile ’44) furono: addestrare gruppi di sabotatori, accogliere le richieste provenienti dalle formazioni e organizzare campi per ricevere i lanci.
3 Filippo Barbano (Vignale Monferrato, Al, 1922 – Torino, 2011), pioniere degli studi sociologici in Italia, insegnò per oltre un quarantennio all’Università di Torino, contribuendo alla fondazione della Facoltà di Scienze politiche. Di formazione cattolica, vicino agli ideali di “Giustizia e Libertà”, fu sottotenente di cavalleria; negli anni della guerra, ancora studente, era sfollato a Crescentino. Si unì ai partigiani autonomi della divisione “Monferrato” dal 17
luglio al 30 dicembre ’44; arrestato e poi rilasciato, entrò dal marzo 1945 nella XI divisione autonoma “Patria” e collaborò con la Special Force. Intervista: agosto 2004.

Marilena Vittone, “Neve” e gli altri. Missioni inglesi e Organizzazione Franchi a Crescentino, “l’impegno”, n. 2, dicembre 2016, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia