Aldo Tortorella riconosce in Vittorini il portavoce di un’intera generazione

In “Conversazione in Sicilia”, Vittorini raccontava di furori «ch’erano astratti, non eroici, non vivi». La percezione dell’offesa del mondo si limitava, in Silvestro, in semplice registrazione del presente e l’unica soluzione possibile si commutava in un solipsistico bisogno di conversazione, alla ricerca delle radici di quell’umanità violentata dalla storia. L’inazione di Silvestro, o di Ezechiele, diventano esempi dell’impotenza di una cultura avvertita come avulsa dall’esistenza. In “Uomini e no” si fa invece avanti la speranza della possibilità di riscatto attraverso quell’azione reale prima solo agognata. La militanza di Enne 2 è partecipazione diretta al corso della storia. Vittorini, nonostante tutto, si continua però ad interrogare sulla reale efficacia della lotta. Nel romanzo si confrontano ed interfacciano due ruoli che sono esemplari dei due possibili atteggiamenti nei confronti dei dissidi sociali: Enne 2, il partigiano che partecipa attivamente ai cambiamenti storici e l’io scrittore, coscienza critica della contemporaneità. Questo dualismo che scinde l’animo del protagonista combattente e che è acquisizione introspettiva del conflitto che anima la realtà trova però come sola risoluzione la morte: nell’atto concreto e violento c’è l’unico possibile superamento del dissidio che lacera l’uomo.
Nella nota finale del libro, eliminata nelle edizioni successive al 1949, Vittorini, interrogandosi sul senso dell’azione politica di Enne 2 e sulla propria, conclude: “Non perché sono, come tutti sanno, un militante comunista si deve credere che questo sia un libro comunista. Cercare in arte il progresso dell’umanità è tutt’altro che lottare per tale progresso sul terreno politico e sociale. In arte non conta la volontà, non conta la coscienza astratta, non contano le persuasioni razionali; tutto è legato al mondo psicologico dell’uomo, e nulla vi si può affermare di nuovo che non sia pura e semplice scoperta umana. La mia appartenenza al Partito Comunista indica dunque quello che io voglio essere, mentre il mio libro può indicare soltanto quello che in effetti io sono”. <333
Qui Vittorini, cercando di difendere il romanzo da un’etichetta politica che ne limitava l’aspirazione universalizzante, rimanda nuovamente il discorso alla dicotomia, che aveva reso letterariamente nel confronto tra Enne 2 e l’io scrittore, tra coscienza e azione. Nella risoluta volontà di proteggere l’autonomia del proprio romanzo, Vittorini ritorna a riflettere sulla letteratura come strumento di azione diretta e partecipata sulla realtà.
“Conversazione in Sicilia”, “Uomini e no” e il «Politecnico» sono le tappe esemplari della riflessione di Vittorini sull’atteggiamento degli uomini nei confronti dell’umanità offesa: se Silvestro testimoniava la necessità di comunicazione e allo stesso tempo l’incapacità di agire attivamente, Enne 2 apre la speranza ad un possibile cambiamento. Nel «Politecnico», infine, darà spazio ad una riflessione più pacata, riconfermando la necessità della cultura come strumento di cambiamento e chiarendo il ruolo che la politica deve assumere in questo processo. Pur ribadendo l’importante veste di referente e di interlocutore che assume al politica, Vittorini rivendica l’assoluta autonomia e indipendenza della cultura da interferenze altre.
Nel romanzo è, infatti, possibile intravedere il lento delineamento di quella presa di posizione dello scrittore rispetto alla letteratura engagée che esternerà chiaramente sulle pagine del «Politecnico». Vittorini dichiara la necessità di mantenere ben distinte la sfera artistica da quella politica, sconfessando così quella tendenza neorealista che vuole il ruolo dello scrittore ridotto a semplice trascrittore e la convinzione che «la lettura storico-sociale potesse bastare a mantenere nei libri una problematica storico-sociale». <334
La scelta dunque di eliminare la nota sopracitata e di non reinserirla nelle edizioni successive, si mostrò opportuna, rendendo così il romanzo autonomo e libero rispetto alle difficili e controverse polemiche apertesi nell’immediato dopoguerra. Nonostante il tentativo di mettere al riparo l’opera da possibili polemiche, l’uscita del romanzo scatenò opposti giudizi nell’ambiente letterario italiano e le reazioni al romanzo si rivelano assolutamente discordanti. Ad osservazioni entusiaste di giornalisti come Aldo Tortorella, <335 che riconosce in Vittorini il portavoce di un’intera generazione, rispondono giudizi feroci. Uno dei primi commenti viene pubblicato a cavallo tra l’uscita della prima e della seconda edizione. Il 12 settembre 1945 esce sull’«Unità» una recensione di Fabrizio Onofri, altro protagonista della polemica che si accenderà di lì a poco sulle pagine del «Politecnico». La posizione del critico è indubbiamente polemica. Questi enuclea uno dei punti principali sul quale i detrattori del romanzo fonderanno le loro polemiche. Infatti, Onofri si troverà a biasimare e stigmatizzare un atteggiamento di distacco intellettualistico avvertibile tanto nel protagonista Enne 2 quanto nello scrittore. Il critico definisce il romanzo di Vittorini come «il libro di un intellettuale che porta con sé tutti i difetti e le incongruenze della società in cui è vissuto, una società di privilegiati in cui la stessa cultura è stata oggetto e strumento di privilegio». <336 Onofri, nella sua richiesta di un crescente e maggiore scambio tra partito e intellettuali, ribadisce la necessità della costruzione di un saldo rapporto tra politica e attività culturale nel quale gli intellettuali finalmente iniziassero a «mettersi al servizio della classe operaia». <337
Il ruolo di Enne 2 e con esso dell’io scrittore, portavoce della risposta dell’intellettuale di fronte all’offesa del mondo, genera dunque i principali problemi interpretativi. Calvino, in un articolo del 1949, rimprovera a Vittorini «il non aver fatto d’Enne 2 autobiografia sincera, ossia distaccata e partecipe insieme, ma esaltazione romantica, con tutta la sua disperata (e libresca e decadente) corsa alla morte». <338 L’attesa rassegnata e quasi rasserenata di Enne 2 della morte viene letta come apoteosi di un atto di rinuncia, gesto estremo dell’eroe romantico che sacrifica se stesso per un’ideale.
Ancora, Paoluzi, pur ritenendo il romanzo «sbagliato per due ragioni: per risentire ancora, prima di tutto, l’urto della polemica immediata, poiché la Resistenza era finita pochi mesi prima, e per riecheggiare, in secondo luogo, modi stilistici propri di un Dos Passos o del primo Faulkner» non può non riconoscere che «la sua validità è tutta nel fervore umano che lo anima, nella sostanza della narrazione densa di pathos e di accorata partecipazione». <339
Sicuramente, sui giudizi critici, pesa come un macigno la compromissione del romanzo con un periodo storico alquanto controverso e indubbiamente rilevante per la storia italiana. Molte delle polemiche, infatti, ruotano sulla duplice anima della storia narrata dove i motivi sentimentali e quelli della lotta per un’ideale si sovrappongono. Il romanzo è stato dunque letto, di volta in volta, come opera in cui la Resistenza vive in funzione di un problema personale, dove la Storia prende forza da un sentimento del singolo o infine come emblema del sacrificio di sé per il bene comune. Questi filoni tematici vengono alternativamente interpretati secondo un peso diverso: laddove si riscontri una certa preponderanza del motivo amoroso, le critiche si soffermano sulla scarsa importanza data alla lotta resistenziale e viceversa.
Il principale interprete di “Uomini e no” come un romanzo sì di valore storico-politico ma nel quale la vicenda sentimentale diventa il perno dell’azione narrativa è Giacomo Noventa. Noventa, poeta e saggista, cattolico e conservatore, è uno dei primi a rifiutare l’interpretazione del romanzo esclusivamente incentrata sulle vicende della Resistenza, affermando che quella raccontata in “Uomini e no” è nient’altro che una storia d’amore, anzi è proprio dalle vicende sentimentali che trae la sua forza politica: “Il libro […] è proprio dal romanzo d’amore, e non dalle meccaniche e astratte scene della resistenza, che riceve tutto il suo valore politico. Vi è riflessa la tragedia della nostra gioventù e della nostra cultura, di quella gioventù che ha partecipato alle ultime lotte, e che ha creduto di reagire al proprio culto fanatico di una poesia di impotenti, con un fanatismo più crudele e più impotente ancora: quello dell’uomo di azione che resta al di qua della poesia. E vi è riflessa anche la tragedia di quei giovani che, avendo partecipato, e forse più coraggiosamente di altri, alle medesime lotte, riconoscono che esse non hanno rappresentato per loro che un nobile gioco o una grande avventura e che il loro dovere è di ritornare ormai, senza farsene un inutile segreto, alla letteratura e alla poesia; ma hanno intanto acquistato in quelle lotte, e nel contatto con gli eroi, l’esigenza di una poesia meno impotente, e soprattutto meno superba della propria impotenza”. <340
Noventa si trova dunque a sposare quella tesi, in seguito sostenuta da Asor Rosa, della presenza nel romanzo di un certo atteggiamento intellettualistico che limita l’esperienza resistenziale entro i confini di nobile gioco e non di una vicenda vissuta intensamente in prima persona. Se Noventa si ritrova a considerare come l’amore sia strumento di valorizzazione politica del testo, Fortini riscopre in “Uomini e no” il sentimento amoroso come «elemento essenziale della prospettiva politica». <341 L’amore, insieme alla lotta partecipata, si fanno entrambi strumenti necessari nell’indagine sul presente. Nella riflessione di un fenomeno politico come quello del fascismo, non si può prescindere dalle implicazioni sociali che determina. L’analisi dunque delle relazioni umane è essenziale in un processo storico che ha attecchito in maniera profonda nelle maglie della società.
Vittorini ben chiariva quest’aspetto in un brano poi soppresso nella riedizione del ’49, nel quale, evidenziando come il fascismo fosse penetrato nelle relazioni sociali, avvertiva: “[…] nei più delicati rapporti tra gli uomini, una pratica continua di fascismo dove chi impone crede soltanto di voler bene e chi subisce pensa di fare appena il minimo, subendo, per non offendere […] In questo è la più sottile, ma anche la più crudele dele tirannie, e la più inestricabile tra le schiavitù; le quali entrambe, fino a che si ammettono, porteranno ad ammettere ogni altra tirannia e ogni altra schiavitù degli uomini singoli, delle classi e dei popoli tra loro”. <342
Molte delle critiche, forse ingannate dalla presenza della tematica amorosa vista come avulsa dal concetto di lotta sul presente, furono sollevate proprio perché la Resistenza veniva presentata, utilizzando le parole di Asor Rosa, come «la semplice occasione di un discorso che ancora una volta trova le sue motivazioni al livello della cultura e della ricerca intellettuale. I motivi storici, politici e sociali del fenomeno restano in seconda linea». <343 Non è tanto il problema, osserva Asor Rosa, di porre esigenze comuni a varie avanguardie del Novecento di difesa di un “rivoluzionarismo autonomo” della letteratura e della cultura; il vero nodo cruciale è l’incapacità di instaurare un rapporto con l’impegno politico non viziato da un certo atteggiamento borghese e intellettualizzante: «Quello che non si può accettare in “Uomini e no” è esattamente la pretesa di imporre al mondo come soluzione dei suoi problemi un atteggiamento intellettuale, che sa di tradizione e di casta». <344 Le azioni resistenziali diventano, secondo l’interpretazione di Asor Rosa, meri pretesti, «occasione di un discorso» <345 che è personale ma ha la presunzione di essere universale solo perché richiama un periodo storico-politico intenso.
Asor Rosa dunque non si mostra persuaso dalle tesi più volte ribadite da Vittorini sul ruolo di autonomia riconosciuto all’intellettuale. Quest’ultimo sosteneva che rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre attraverso la sua opera esigenze rivoluzionarie diverse da quelle che la politica pone: l’azione rivoluzionaria sarà tale solo se in grado di esprimere «il mondo, la società, le tendenze a conservarsi o a mutare della società, e d’esserne il “prodotto valutativo”, d’essere la loro “realizzazione fantastica” o valutazione loro, la quale agisce e modifica in quanto semplicemente si aggiunge al mondo, alla società, alla realtà obbiettiva e le arricchisce». <346 Così il vero intellettuale rivoluzionario sarà colui in grado di dar voce a quelle esigenze dell’uomo che egli soltanto sa scorgere nell’uomo e che è proprio di lui scrittore scorgere, e, come scrittore rivoluzionario, porre accanto alle esigenze che pone la politica. Ma per Asor Rosa l’antinomia in Vittorini sta tutta qui: pur rivendicando un’azione autonoma e indipendente dal contesto socio-politico, si mostra, invece, indissolubilmente legato alle contingenze storiche e resistenziali.
[NOTE]
333 E. Vittorini, Uomini e No, in Le opere narrative, cit., pp. 1210-1211. La citazione è tratta dalla Nota firmata dall’autore; presente nelle prime due edizioni Bompiani del 1945, la Nota viene eliminata dalla terza edizione del romanzo del 1949 e mai più reintegrata.
334 E. Vittorini, Le due tensioni, Milano, Il Saggiatore, 1967, p. 67.
335 Per approfondimenti si rimanda a: A. Tortorella, In Vittorini è la nostra storia, «L’Unità», 29 luglio 1945, p. 83.
336 F. Onofri, “Uomini e no” di Elio Vittorini, in «L’Unità», 12 settembre 1945. L’articolo viene riportato da F. De Nicola, Introduzione a Vittorini, Laterza, Bari, 1993, p. 97.
337 F. Onofri, Lettera a un intellettuale del Nord, in «Risorgimento», a. I, n. 4, 25 luglio 1945, p. 330.
338 I. Calvino, La letteratura italiana sulla Resistenza, in «Il movimento di liberazione in Italia», n.1, 1949, p. 43.
339 A. Paoluzi, La letteratura della Resistenza, Firenze, Edizioni 5 Lune, 1956, p. 62.
340 G. Noventa, Il grande amore in “Uomini e no” di Vittorini e in altri uomini e libri, Milano, All’insegna del pesce d’oro di Vanni Scheiwiller, 1960, p. 95. Il saggio è stato precedentemente pubblicato in tre puntate, nel luglio e nell’agosto del 1946, su «La Gazzetta del Nord».
341 F. Fortini, Rileggendo «Uomini e no». Berta, Enne 2 e Giacomo Noventa, in «Il Ponte», 31 luglio – 31 agosto 1973, p. 984.
342 E. Vittorini, Uomini e no, Milano, Bompiani, 1945, pp. 167-168. Il brano venne eliminato a partire dall’edizione, sempre per Bompiani, del 1949.
343 A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Torino, Einaudi, 1965, pp. 164-165.
344 ivi, p. 165.
345 ivi, p. 164.
346 E. Vittorini, Diario in pubblico, Milano, Bompiani, 1999, p. 270.
Caterina Francesca Giordano, Elio Vittorini: letteratura, critica e società, Tesi di dottorato, Università degli Studi “Roma Tre”, 2014