Aldo viene eletto comandante e prende il nome di Bisagno

Monumento di Rovegno (GE) dedicato ad Aldo Gastaldi “Bisagno” – Fonte: Wikipedia

Nella seconda quindicina di settembre 1943, tre giovani siciliani si arrampicavano a Favale: Severino, Rizzo e Giuseppe. Il Comitato di Chiavari li aveva indirizzati lassù perché vi si stava costituendo nientedimeno che “un esercito per liberare l’Italia”». Così inizia, tratto da un manoscritto che riporta diverse puntate di una trasmissione radiofonica del dopoguerra, il racconto della costituzione delle prime formazioni partigiane dell’Appennino Ligure <1.
[…] Rammenta Gandolfo: «Quando sono arrivato su, le testuali parole sono state queste: “Guarda, qui devi decidere, perché qui niente può renderti gradevole la vita: c’è da rischiare, da fare della fame, prendere del freddo, tutti
insieme per combattere questo nemico. Se vuoi rimanere, se no sei libero di andare dove vuoi”. Così sono rimasto su con gli altri» <3.
Il gruppo al quale Gandolfo si unì era guidato da Aldo Gastaldi, il comandante Bisagno <4, il primo Partigiano d’Italia come lo definì con enfasi Giovanni Serbandini, nome di battaglia Bini <5, e dal commissario Giovanni Battista Canepa,
detto «Marzo» <6.
[NOTE]
1 Claudio Floris (Bill) e Carla Casagrande Maschio, Testimonianze partigiane: Divisione Cichero, Bruzzese Arti Grafiche, Genova 2005, pag. 169. Si ringrazia l’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza, Biblioteca Giorgio Gimelli, per averci fornito in copia materiale documentale sul movimento partigiano ligure.
3 Testimonianza di Luigi Gandolfo «Garibaldi» in Daniele Borioli e Roberto Botta, I giorni della montagna: otto saggi sui partigiani della Pinan-Cichero, WR- Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria, Alessandria 1990, pag. 68.
4 Aldo Gastaldi, nome di battaglia «Bisagno», fu uno dei maggiori esponenti della Resistenza ligure che a 22 anni, già sottotenente del Genio, addetto a funzioni di marconista a Chiavari, forma sulle alture di Cichero la più famosa e più temuta divisione operante nella zona, conosciuta appunto come Divisione Cichero. Cfr. anche: Elena Bono, Per Aldo Gastaldi Bisagno. Documenti, testimonianze, lettere e altro materiale utile ad una sistemazione storica del personaggio, Le Mani-Microart’s, Recco 2003; Veneruso, Danilo, Il partigiano genovese Aldo Gastaldi (Bisagno). Una lezione di democrazia, Roma, Studium, 1997; e ancora Giorgio Gimelli, La Resistenza in Liguria: Cronache militari e documenti, a cura di Franco Gimelli, Roma, Carocci, 2005, 2 vol., pag. 164.
5 Angelo Daneri (a cura di), Bini, in collaborazione con l’Ilsrec, Tipografia della Provincia di Genova, Genova 2004. Il nome di battaglia Bini «fu aggiunto al cognome originario con Decreto del Presidente della Repubblica nel 1970». Giovanni Serbandini, dal mese di luglio del ’44 divenne responsabile del «Partigiano», organo della III Divisione Garibaldina Cichero del Comando della VI zona, il cui numero 1 uscì il primo di agosto. Il periodico ebbe all’inizio una diffusione di 4 mila copie, che aumentarono a 5-6 mila. Bini, poeta, in seguito diresse l’edizione genovese dell’Unità, il cui primo numero fu pubblicato proprio la mattina del 25 aprile 45 e, infine, fu anche deputato del PCI.
6 «Verso la metà dell’ottobre venne indetto un primo convegno di quadri sul monte Antola. E fu appunto lassù che ci ribattezzarono: ognuno di noi a seconda della zona cui era preposto, assume un nome di mese: gennaio, febbraio, marzo, aprile… otto eravamo e tutte vecchie conoscenze della guerra di Spagna, del lavoro clandestino in Francia», in C. Floris e C. Casagrande, Testimonianze partigiane cit., pag. 172.
Bruno Pino, Luigi Gandolfo, il partigiano «Garibaldi», dall’Appennino ligure alla Calabria in Rivista Calabrese di Storia del ‘900 – 1, 2011

Se prendiamo in esame l’immagine di Aldo Gastaldi attraverso le fonti, queste ultime ci restituiscono un uomo vivo, non una icona da utilizzare nel contingente, ma ci dicono anche che il lavoro di ricerca è stato svolto solo in parte e che i risultati non sono soddisfacenti. Questo è dovuto al fatto che nell’avvicinarsi a quella figura storica si incontrano prima degli eventi concreti i contorni della leggenda, tanto che Elena Bono per definire un simile processo di conoscenza utilizza proprio l’espressione la “leggenda di Bisagno” <2.
Per non cadere nel mito e non smarrire le coordinate è necessario richiamare qualche cenno biografico e inquadrare nella esatta dimensione la figura del sottotenente del 15° reggimento del genio di stanza a Chiavari e, in seguito, comandante della divisione Cichero nella VI Zona (alta val Trebbia, Liguria, Piacentino e Parmense).
Egli nacque 17 settembre 1921 a Genova sulle alture di Granarolo, quinto di cinque fratelli da Paolo e da Maria Lunetti e dalla famiglia ricevette una educazione cattolica a indirizzo tradizionale. Frequenta con medio profitto l’istituto tecnico Galileo Galilei di Genova, ma maturando migliora decisamente il proprio impegno per lo studio, specialmente delle materie tecniche. Dopo il diploma trova impiego presso la società S. Giorgio a Sestri Ponente e decide di iscriversi alla facoltà di Economia e commercio di Genova, cercando anche di prepararsi per il passaggio al corso di laurea in Ingegneria.
Relativamente a quel periodo Lio Rubini, che fu suo insegnante all’istituto tecnico, ricorda, che, anche dopo l’abilitazione, il giovane “continuò con me, in amichevole società, gli studi, per, conquistata la maturità scientifica, iscriversi nella facoltà d’ingegneria” <3.
Alla formazione familiare unì una educazione militare, iniziata a Casale Monferrato come soldato semplice dell’arma del genio, allorché nel 1941 un decreto governativo ordinò ai giovani universitari della classe 1921 di partire “volontari” per la guerra.
Su quegli anni abbiamo una testimonianza di Aurelio Ferrando (Scrivia) <4, il quale sottolinea: “Il 2 febbraio 1941, a poco più di 19 anni, Aldo Gastaldi si trovò così al 2° reggimento genio di Casale Monferrato prima soldato e poi sergente in un battaglione di anziani soldati richiamati, uomini di ogni estrazione sociale, che per la guerra avevano lasciato a casa moglie e figli, con i loro problemi, sofferenze, speranze, paure, spesso disperazione che certo lasciarono il segno nell’animo sensibile di Bisagno educato alle cose sane, nell’onestà, nella lealtà, ma soprattutto nel senso di giustizia, di rispetto e sentito profondo amore per il prossimo. Il che lo portava spesso, senza ostentazione, ad aiutare, ad alleviare, a prodigarsi molto, anche per un piccolo risultato. Da Casale Monferrato passò alla severissima scuola allievi ufficiali di Pavia dove tutto quello che per altri era fatica, per Aldo Gastaldi era un gioco ed infatti si classificò terzo su 700 allievi”. <5.
Per Danilo Veneruso, che prese in esame le lettere ai familiari di quegli anni, “Aldo assomma in sé le qualità migliori che possono auspicarsi in un giovane, anche perché alle doti intellettive e morali associa prestanza fisica e salute” <6.
Il giovane passa poi a Chiavari come ufficiale di prima nomina del 15° reggimento del genio, 3ª compagnia radiotelegrafisti, dove lo sorprese prima il 25 luglio e poi l’8 settembre 1943. In quest’ultima circostanza non ebbe alcun dubbio su quello che bisognava fare: prima di tutto non consegnare le armi.
“Egli è l’unico ufficiale del Chiavarese a non consegnare le armi ai tedeschi. Anzi, con l’aiuto della popolazione, le nasconde a fasci in una canonica. Ritorna poi in caserma con un coraggio che sfiora l’incoscienza, allo scopo di recuperare quella stazione radiotelegrafica che gli è carissima, ma questa volta i tedeschi sono padroni della situazione e per poco non lo freddano con una sventagliata di mitra. Fin che può, conserva i gradi nella sua divisa, per non abdicare di fronte alle responsabilità che gli sono state affidate” <7.
Questo fu soltanto il primo passo perché già nell’autunno del 1943 sui monti del Levante ligure nacque il nucleo che doveva dar vita al grosso della VI Zona, le cui formazioni opereranno nella catena montuosa della provincia di
Genova, sopra Chiavari, distinguendosi fra le migliori della Resistenza italiana.
A queste formazioni è legato il nome del leggendario Bisagno: “il primo partigiano d’Italia”.
“Bisagno – il sottotenente Aldo Gastaldi, del 15° reggimento Genio di stanza a Chiavari – vista inutile ogni resistenza alle truppe germaniche – dopo l’8 settembre aveva lasciato per ultimo la sua caserma, non senza aver distrutto gli impianti e le radio ed aver nascosto le armi dei suoi soldati, ai quali aveva prestato ogni cura affinché potessero tornare senza pericolo alle proprie case. Poi, non potendo restare indifferente al travaglio della Patria, all’offesa subita come ufficiale e come italiano, intollerante del sopruso e della prepotenza, dopo maturata riflessione aveva deciso di scegliere la via della montagna ed aveva preso contatto con chi, come lui, tentava in quei giorni di organizzare le prime bande armate” <8.
Come riferisce Aurelio Ferrando, determinante fu il contatto del giovane Gastaldi con Giovanni Serbandini (Bini) <9, futura medaglia d’argento al valor militare. “Bisagno aveva incontrato Bini. Un cattolico professante, atletico, forte, di poche parole e un militare comunista, ascetico, magro, tutt’occhi ed entusiasmo, che viveva per il suo partito” <10. Insieme “raggiunsero Cichero dove, nelle capanne del Ramaceto, raccolsero i primi giovani che salivano sui monti.
Dieci, venti, quaranta: aumentando gli uomini crebbero le esigenze e si impose un rigido inquadramento della disciplina e dell’organizzazione. E la disciplina militare di Bisagno, i regolamenti di questo gruppo divennero poi, immutate, la legge di tutti gli altri gruppi che via via si vennero formando in Liguria: il cosiddetto ‘codice morale di Cichero’” <11. […]
[NOTE]
2 E. Bono, Per Aldo Gastaldi “Bisagno”. Documenti, testimonianze, lettere e altro materiale utile ad una sistemazione storica del personaggio, Le Mani, Recco, 1995, p. 26.
3 L. Rubini, Un nome per tutti: “Bisagno”, in “Il Secolo XIX”, 24 aprile 1955 (in copia in Archivio Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, d’ora in poi AILSREC, fondo Dv, busta 7, fasc. 8).
4 Ferrando Aurelio (Scrivia), in F. Gimelli, P. Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria. Protagonisti, luoghi, eventi, organismi, formazioni, De Ferrari, Genova, 2008, p. 144.
5 AILSREC, fondo Dv, busta 7, fasc. 8, A. Ferrando (Scrivia), Ricordo di “Bisagno” Aldo Gastaldi nella scuola media a lui dedicata in Oregina-Genova, s.l., s.d.
6 D. Veneruso, La personalità di Aldo Gastaldi (“Bisagno”) dalla formazione familiare alla concezione della vita morale e politica maturata nella sua esperienza di capo partigiano nel Genovesato (manoscritto), p. 3.
7 AILSREC, fondo Dv, busta 7, fasc. 8., lettera di W. Morandini a P. Gastaldi, San Giorgio di Nogaro (Udine), 12 aprile 1946, con allegato memoriale manoscritto e G. Gastaldi, Relazione Morandini Walter sui fatti accaduti a Chiavari l’8 settembre 1943 – Protagonista il S.T. Aldo Gastaldi “ Bisagno”, Chiavari, 11 settembre 1993 (Archivio Famiglia Gastaldi). Inoltre G. B. Varnier, Da militare a partigiano nell’esperienza di Aldo Gastaldi (Bisagno), in 8 settembre 1943, atti della giornata di studio, La Spezia 19 novembre 1993, Istituto storico della Resistenza in Liguria, Genova, 1994, pp. 133-143.
8 C. Brizzolari, Un archivio della Resistenza in Liguria, Di Stefano, Genova, 1974², pp. 78-79.
9 Serbandini, Giovanni (Bini), in Gimelli, Battifora, Dizionario della Resistenza in Liguria, op. cit., p. 324.
10 A. Ferrando Scrivia, Appunti sulla VI zona operativa del comando regionale ligure. Corpo volontari della libertà, cit. in Varnier, Da militare a partigiano, op. cit., p. 140, n. 18.
11 Brizzolari, Un archivio della Resistenza in Liguria, op. cit, p. 79. Si veda inoltre G. Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, Genova, 1985, vol. I, pp. 86-89.
Giovanni Battista Varnier, Aldo Gastaldi “Bisagno”: un eroe cristiano nella Resistenza. Lo stato della ricerca in STORIA E MEMORIA, anno XXVI, N. 1/2017, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea

Risale a questo periodo la fondazione di uno dei primi nuclei resistenziali dell’Italia occupata: nel mese di ottobre 1943 Umberto Lazagna, insieme a Giovanni Serbandini <107, Franco Antolini <108 e Aldo Gastaldi <109, diedero vita alla banda Cichero, dal nome di un piccolo centro alle spalle di Chiavari. Il marchese Lazagna cominciò dedicarsi alle attività di collegamento con i primi nuclei partigiani che si stavano formando nelle province di Genova e di La Spezia, mentre la banda di Cichero si sarebbe via via trasformata nell’omonima e celebre divisione: si trattava di un momento fondamentale nello sviluppo del movimento partigiano genovese <110. Nello stesso mese, e non senza contrasti, il Comitato militare venne ampliato con l’inserimento dei rappresentanti dei partiti, per meglio rispondere alle crescenti attività della Resistenza; tra questi si trovava anche Umberto Lazagna, in veste di portavoce del Partito liberale <111.
[NOTE]
107 Nato a Chiavari nel 1912, Giovanni Serbandini aderì a un gruppo antifascista sin dagli anni Trenta. Arrestato e condannato nel 1939 a quattro anni di reclusione dal tribunale speciale, fu imprigionato prima a Regina Coeli e poi a Castelfranco Emilia. Dopo l’8 settembre fu tra i promotori del primo Cln di Chiavari, in qualità di rappresentante del Partito comunista. Costituì nell’ottobre il nucleo originario della banda di Cichero, divenendone in seguito il commissario politico. Nel marzo del 1944 fu commissario del II distaccamento comandato da Michele Campanella. A luglio Serbandini divenne responsabile della neocostituita sezione stampa della III divisione garibaldina Cichero, occupandosi in particolare del giornale “Il Partigiano”; ancor prima della Liberazione venne chiamato a Genova per dirigere, in collaborazione con Aldo Tortorella, l’edizione genovese dell’“Unità”, il cui primo numero sarebbe uscito la mattina del 25 aprile. Nel dopoguerra venne eletto alla Camera dei deputati, e fu vicepresidente dell’Anpi. Medaglia d’argento al Valore militare. Cfr. Gimelli, Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria, op. cit., p. 324.
108 Per quanto riguarda la figura di Antolini, si rimanda alla parte relativa alla frequentazione degli ambienti antifascisti da parte dei marchesi Lazagna, negli anni precedenti al conflitto.
109 Nato a Genova nel 1921, Gastaldi fu una delle figure più rappresentative della Resistenza italiana. Ufficiale del 15° Reggimento del genio a Chiavari, scelse la clandestinità all’indomani dell’8 settembre, raggiungendo Cichero. Esempio quotidiano di autodisciplina, altruismo e spirito di sacrificio, divenne ben presto capo carismatico. Comandante della divisione Cichero, fu coraggioso protagonista di diverse azioni belliche. Estremamente critico nei confronti di un partitismo che avrebbe, a suo parere, compromesso l’unità del fronte antifascista, negli ultimi mesi della lotta di liberazione entrò in contrasto con la componente comunista del Comando della VI Zona su questioni organizzative e strategiche. Morì per un banale incidente stradale il 21 maggio 1945. Medaglia d’oro al Valor militare. Cfr. Gimelli, Battifora (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria, op. cit., pp. 164-165; e inoltre E. Bono, Per Aldo Gastaldi Bisagno: documenti, testimonianze, lettere e altro materiale utile ad una sistemazione storica del personaggio, Le Mani, Recco, 2003; E. Massai, Bisagno: la vita, la morte, il mistero, Le Mani, Recco, 2004. Alla figura di Aldo Gastaldi è stato recentemente dedicato il documentario Bisagno di Marco Gandolfo (2015).
110 Cfr. Gimelli, La Resistenza in Liguria, op. cit., pp. 52-54.
111 Documenti del Cln per la Liguria, op. cit., p. 29. Gli altri rappresentanti erano Eros Lanfranco per il Pd’a, Adriano Agostini per il Pci, Enrico Raimondo per la Dc, e Dante Bruzzone per il Psiup.
Paola Pesci, La famiglia Lazagna tra antifascismo e Resistenza, Storia e Memoria, n. 2, 2015, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea

Fonte del documento qui sopra riprodotto: Giovanni Battista Varnier, art. cit.

Il saggio dedicato alla battaglia di Pertuso, scritto da “Scrivia”, il comandante della Divisione “Pinan
Cichero” negli anni Ottanta è completato da una memoria inedita, sempre scritta da “Scrivia“, che
ripercorre il percorso di formazione di Aldo Gastaldi Bisagno che di Aurelio Ferrando fu non solo
compagno di scelta partigiana ma anche compagno di studi e di ferma militare. Di questa parte è
riportato uno stralcio:
“Ho conosciuto Bisagno all’istituto tecnico industriale Galileo Galilei, in Genova, Corso Venezia, a 15
anni. Ho frequentato con lui il terzo e quarto anno di specializzazione e insieme nel giugno del ’40 ci
siamo diplomati periti elettrotecnici. Non ricordo nulla di particolare che lo facesse eccellere su gli altri; era un alunno normale, disciplinato. E’ sempre andato bene senza mai distinguersi fra i primi. Un tipo serio, regolare, più incline a preferire le materie tecniche. Sempre promosso, comunque, senza difficoltà. Più che per i successi nello studio lo ricordo per le sue qualità atletiche, la precisione, la disciplina. Mi aveva colpito sapere che si alzava presto il mattino per raggiungere la scuola con una lunga camminata sulle alture di Genova. E lo ammiravo perché faceva canottaggio e riusciva bene.
Non ricordo fosse legato con qualcuno dei compagni di scuola più che con altri. Era benvoluto da
tutti perché considerato un buono anche se non dava confidenza ad alcuno. Già allora era taciturno e solo raramente partecipava agli scherzi ed all’allegria di una scolaresca sotto i venti anni quale eravamo. Che fosse benvoluto e stimato lo ricorda il seguente episodio: già diplomati, nell’estate del ’40, ci trovavamo in quattro: io, lui, De Sio ed un altro compagno di scuola, al primo giorno di lavoro,
assunti nella San Giorgio di Genova Sestri. Su quattro posti uno era di perito elettrotecnico, gli altri
tre di disegnatori meccanici; fummo invitati a scegliere ed ognuno di noi avrebbe desiderato il posto
di perito; bastò un’occhiata per lasciarlo a Gastaldi il quale nell’avviarsi al suo reparto ci salutò senza
ringraziare. Ma nell’intervallo, riuniti per i primi commenti, ci mise un braccio sulle spalle e disse,
naturalmente in genovese, «Andiamo a bere, ragazzi». I nostri incontri alla San Giorgio furono rari. In uno di questi ci comunicammo la decisione di proseguire negli studi, iscrivendoci ad Economia e Commercio, l’unica facoltà, allora, per noi accessibile. Ma lui, con mia sorpresa, decise subito dopo per Ingegneria. Era un’impresa disperata perché in un anno avrebbe dovuto preparare la maturità scientifica. Questa per me è stata la prima dimostrazione del suo coraggio e della sua tenacia, di una forza di volontà caparbia. Non ricordo bene ma ritengo che per prepararsi con possibilità di riuscita dovette lasciare la San Giorgio. Ci ritrovammo ai primi di febbraio del ’41 nei grandi, freddi, squallidi stanzoni del distretto militare di Genova. Gli universitari del ’21, “la classe della vittoria” erano stati tutti chiamati “volontari”. Meno Medicina. Desiderava molto diventare alpino. Ci assegnarono al genio. Non ebbe alcuna reazione. E pochi giorni dopo sul treno per le nebbie di Casale, nella sporca, affollata, maleodorante caserma Carlo Alberto. Fummo sistemati nella stessa camerata, frammisti ai richiamati, in una gran confusione. Soggetti ad ogni genere di lazzi che gli anziani non risparmiavano agli “studenti”, figli di papà, e noi due non lo eravamo davvero. Egli era indifferente a tutto. Aveva uno struggente ricordo della famiglia e lo trovavo spesso a scrivere lunghe, fitte lettere a casa. Dopo qualche settimana fummo spostati in una piccola vecchia casermetta, nella compagnia “aspiranti allievi ufficiali”. Radiotelegrafisti. Lunghe inutili ore di istruzione nel cortile della caserma e molte ore chinati sul tasto del telegrafo per conseguire il brevetto di radiotelegrafista specializzato: 120 segnali morse al minuto. Era l’unico divertimento. Alla sera sempre insieme a calmare la fame in latteria, con la pagnotta del rancio e una grossa tazza di latte e cioccolata e quanto arrivava da casa da dividere fraternamente. Dopo tre mesi caporali, dopo sei mesi sergenti in attesa del nostro turno per la scuola Allievi Ufficiali. Sempre insieme, in una camerata un po’ più confortevole, in compagnia di una decina di altri allievi quasi tutti torinesi. Lunghi mesi di attesa, qualche frequente licenza a casa, un po’ di istruzione alle reclute, la posta e ogni tanto gran festa per un vasetto di “pesto alla genovese” che ci mandava mamma Gastaldi per condire una strana pasta nera che chissà come ci riusciva di trovare. Molta noia e qualche canzone, per lo più ritornelli genovesi. La guerra sembrava un avvenimento lontano, irreale. E finalmente ai primi di febbraio del ’42 alla Scuola Allievi Ufficiali del genio di Pavia. Caserma Menabrea. Un corso serio. Molto studio. Molta istruzione. Disciplina di ferro. Ci siamo ambientati subito, perfettamente. Naturalmente stessa compagnia, camerata, squadra. Bisagno era il più alto di statura, venne nominato capo della squadra e subito dopo confermato per merito. Eravamo alla frusta, ma soddisfatti, era una cosa seria e la facevamo bene. E’ a Pavia che Bisagno rivelò qualità superiori alla media, nello studio dove primeggiava applicandosi con volontà, negli esercizi fisici per la sua costituzione. Ricordo il suo spirito di sacrificio in una lunga marcia di almeno 20 chilometri sotto il sole cocente di fine giugno, con un elemento radio di 20 chilogrammi sulle spalle e un grosso foruncolo sotto un’ascella a farlo soffrire ad ogni passo, senza un lamento. Nessuno di noi riuscì a fargli marcare visita e a sobbarcarsi il suo fardello. Bisagno terminò fra i primissimi. Credo il terzo di tutto il corso, circa 400 allievi. La classifica ci consenti il diritto di scegliere la sede. il 180 reggimento genio di Chiavari, vicino a casa. Sottotenenti di prima nomina, assegnati alla 2 a Compagnia, comandata dal tenente Lamia, un richiamato di Genova. Anche per risparmiare scegliemmo insieme una camera a due letti, a Chiavari, in via Garibaldi al numero due o quattro. E andavamo in caserma in bicicletta, l’unico mezzo possibile di locomozione. Ed i pasti consumati all’osteria del Santo, vicino alla caserma, per poche lire, per far quadrare il bilancio e non chiedere aiuti a casa. Il tenente Lamia e tre giovani sottotenenti, io, lui e Frangipane, l’unico ufficiale effettivo. Fu presto una famiglia nella quale le reclute si trovavano a loro agio. E l’anima era lui, Bísagno, che a poco a poco, superato il periodo di ambientamento, prese in mano le redini del lavoro. Si trattava di istruire reclute da mandare poi a rinforzare i reparti al fronte ai quali il nostro reggimento doveva assicurare gli effettivi. Non avevamo molto da insegnare. Il materiale era scarso e vecchio. Era un successo far prendere contatto fra loro due radio lontane pochi chilometri. I nostri ragazzi li preparavamo più marciando che insegnando loro le tecniche dei collegamenti fra i vari reparti, radio grosse e piccole, telefoni, fili, cuffie. C’era più tempo per parlare, per seguire i problemi di ognuno dei nostri soldati che istintivamente si legavano di più a Gastaldi che non a me o a Frangipane anche se di lui eravamo meno severi. Forse perché anche se più severo, se richiedeva più rispetto e disciplina, dopo poche settimane si sapeva che quando Gastaldi era di servizio, ufficiale ‘di picchetto”, i cucinieri non potevano farsi la pentola a parte di caffè, con più ingredienti e molto zucchero. Lui più di noi si
preoccupava che in cucina tutto funzionasse meglio, più controllo nella spesa, più cura nel sapere chi
aveva più fame o più bisogno di fare un salto a casa. Il suo plotone correva di più, aveva meno
soste, ma era certamente anche quello che contava di più. A ben pensarci tutti ci adoperavamo per
far star bene i nostri soldati, io e Frangipane eravamo meno severi, prendevamo le cose meno sul
serio, ma il più benvoluto era lui, Gastaldi. Certo era perché lui era più vicino ai ragazzi, entrava
dentro nelle cose, non si limitava a favorirne il rientro anche quando la porta della caserma era già
chiusa. E si sapeva che il nostro attendente Traverso, genovese anche lui, non sapeva come diavolo
fare per lustragli una sola volta gli stivali, ed io di rimando per non essere da meno. E anche voleva
loro bene più intimamente di noi perché era il solo, se ben ricordo, che li andava a salutare alla
stazione quando a scaglioni, giovani ed impreparati, partivano per i reparti al fronte. E al suo
ritorno, immusonito, gli sentivo una tristezza infinita e stavamo insieme per ore senza parlare se non a monosillabi. E in quella profonda malinconia maturava il suo odio alla guerra, la sua avversione
all’inutile sacrificio, la sua intolleranza alla violenza. E noi in caserma alla… [incomprensibile, n.d.r.]. Eravamo i più giovani ufficiali del reggimento ma di mandarci al fronte non se ne parlava. Eravamo efficienti, facevamo bene il nostro lavoro, eravamo utili alla caserma e ai nostri superiori. Non badavamo alle ore, noi. E così per il fronte partivano con i ragazzi, gli ufficiali anziani, i richiamati, i Iavativi”, con famiglia e tanti problemi per la testa, altroché istruzione e disciplina. Così andavano le cose allora, tutto a rovescio. Di questo si parlava con Bisagno. Della guerra lontana che si sapeva andar male. E come altro poteva andare? Con quella mentalità, con quei fuciloni, con quelle radio scassate che avrebbero dovuto andar bene sia nel ghiaccio che nel deserto. Ma per noi di questioni tecniche si trattava e si parlava. Non di politica legata alla guerra e alle alleanze. Anche queste erano cose lontane. Tutto sommato non si sapeva bene perché si facesse la guerra e anche lui, Bisagno, non sapeva perché l’Inghilterra fosse maledetta, cos’erano le plutocrazie, il giudaismo, eccetera. E per quali vie e interessi eravamo coi tedeschi contro gli alleati. Ci erano antipatici quei tedeschi. Non solo per le arie di superiorità che si davano e perché spesso dicevano che contava di più un loro maresciallo che un nostro ufficiale superiore. E sotto sotto anche perché invidiavamo la loro efficienza. Ma tutto finiva in una generica ostilità, una sensazione sgradevole: non sapevamo bene cosa in realtà volessero oltre che vincere la guerra, non sapevamo di dittature e di campi di sterminio in piena efficienza. E anche quando un giorno assolato, con il cortile della caserma fatto deserto entrò una carrozza nera, con tanto di cavallo a portar via il giovane sottotenente Buranello di un altro battaglione, che conoscevamo appena, sentimmo parlare per la prima volta di comunismo, di antifascismo. Comunismo? rivoluzione, sovvertimento, nemico della religione, sanguinario, null’altro.
Antifascismo? Beh, tutto sommato anche noi sentivamo di esserlo, sotto sotto. Tutte quelle aquile
davano fastidio, quella superbia, quello snobbare l’esercito, non ci rendevamo conto del perché di
questi… [incomprensibile, n.d.r.]. Questa milizia, tutti eroi, e fra noi dell’esercito correvano voci di
fugoni al fronte, di parzialità, di primogenitura. Ma non ci chiedevamo cos’era in realtà questo
fascismo, cosa poteva esserci al suo posto, cosa sarebbe potuto andare meglio.”
Redazione, La battaglia di Pertuso di Aurelio Ferrando Scrivia, Isral

Intervista di Gibì Lazagna, “Carlo”, al padre Umberto “Canevari”.
Fasc. 50 – Doc. 4 – By Manlio Calegari, Lorenzo Torre ed Elio V. Bartolozzi: “GiBì Lazagna (Carlo), Vicecom.te della divisione Cichero, intervista il padre Umberto (Canevari), CSM della VI Zona operativa”
[…]
Nota di Manlio Calegari: L’intervista a Umberto Lazagna, “Canevari”, (1886-1977) è stata realizzata a casa sua, a Genova in via Chiodo, attorno alla fine di febbraio 1974.
[82] Dubito che tali colloqui risalgano ai tempi di Gorreto e non piuttosto ad un periodo successivo. Ricordo anche come Gibì contestasse con forza a Minetto le sue relazioni con Taviani e la Curia anche durante la loro collaborazione per la stesura della “Intervista a Minetto” (Giambattista Lazagna, “Intervista a Minetto”, Colibrì 2001).
Redazione, Intervista di Gibì Lazagna “Carlo” al padre Umberto “Canevari”, NetPoetry, 9 giugno 2018

Manlio Calegari, per anni ricercatore ed insegnante all’università di Genova, ha al suo attivo Comunisti e partigiani. Genova 1942-1945 (Milano, ed. Selene, 2001), in cui ricostruiva il riformarsi del Partito comunista nel 1942, i 45 giorni di Badoglio, l’inizio della resistenza armata, gli scacchi della primavera 1944, sino alla deportazione di 1.600 operai inviati nelle fabbriche tedesche (giugno 1944), sino all’insurrezione del 24 aprile 1944. Molto spazio era dedicato alla divisione Cichero (borgo nell’entroterra di Chiavari), alla singolare figura dell’ufficiale cattolico Bisagno, al non facile rapporto fra questi e i comunisti, culminato nei contrasti tra i vertici militari comunisti e non comunisti che conducono il movimento partigiano sull’orlo della spaccatura.
Il tema torna nell’ultimo breve scritto di Calegari, in cui l’autore, usando, in particolar modo, gli strumenti della storia orale, tenta di ricostruire i fatti, senza pretesa di verità, ma portando alla luce le diverse letture ed interpretazioni dei protagonisti.
Il testo nasce da un incontro che ricorda, nel 1987, la battaglia di Pertuso, dell’agosto 1944. Anima dell’iniziativa è Giovan Battista Lazagna, “Carlo”, comandante partigiano, autore di Ponte rotto, uno dei maggiori testi di memorialistica partigiana. Dopo anni di attività politica nel dopoguerra
[…] Diverse, opposte sono le valutazioni di Lazagna e di Erasmo Marrè (Minetto), cattolico, formatosi nella FUCI. Lo scontro che si apre nelle formazioni partigiane deriva dal tentativo comunista di ridimensionare il ruolo del comandante Bisagno e garantire una propria egemonia sul movimento o, al contrario dall’offensiva cattolica e democristiana che tende a modificare i rapporti di forza?
Minetto è netto e polemico. Se, a livello di base, i contrasti si ricompongono, i vertici politici di città, di zona tendono ad esasperarli, impongono una logica spartitoria, soprattutto per responsabilità del PCI. Diversa è la lettura di Lazagna e di Giorgio Gimelli, per anni presidente dell’ANPI genovese e storico “ufficiale” delle vicende politico- militare della Sesta zona (quella in cui opera la divisione partigiana). Minetto non è solamente il cattolico di base, contrario alle manovre politiche comuniste, ma è autore di trame, coperte dalla DC e soprattutto da Taviani, sul cui ruolo nella resistenza ligure, permangono giudizi diversi, se non opposti.
L’autore offre molte altre testimonianze e tratteggia altre figure. Gino, polemico contro l’Istituto storico genovese e sostenitore del carattere popolare e spontaneo dell’insurrezione del 24 aprile 1945 (non dovuta, quindi, alle capacità direttive del CLN), Miro, il partigiano slavo che ha combattuto nella banda, e che, nel 1948, tornerà brevemente in Liguria, nel tentativo di sostenere le posizioni titine, dopo la scomunica staliniana […]
Manlio CALEGARI, L’equilibrio mobile: Storie a confronto. Carlo, Minetto e la sesta zona partigiana, Acqui Terme, Impressioni grafiche, 2020
Sergio Dalmasso, L’equilibrio mobile, Citystrike, 18 giugno 2020

[50] Michele Campanella (n.1922), luogotenente di Bisagno, poi comandante della brigata volante Severino.
[64] Enrico Martinengo (Durante, n.1896), generale di brigata, comandante del Cmrl designato dal Cln dopo l’arresto del generale Rossi.
[66] Aurelio Ferrando (Scrivia, n.1921), compagno di studi e commilitone di Bisagno al Genio marconisti, comandante della brigata Oreste e poi della divisione Pinan-Cichero.
[74] Anton Ukmar (Miro, n. 1900), comunista, sloveno, comandante della Sesta zona operativa.
[96] La riunione in cui Bisagno attacca Miro avviene nell’ultima decade di febbraio del 1945; una seconda riunione presenti Martinengo e Trombetta avviene pochi giorni dopo, sempre a febbraio e sempre a Fascia, mentre l’episodio cui si riferisce Gibì (l’ammutinamento di Santo) andò in scena il 7 marzo 1945, quando la decisione di mandare via Bisagno rientrò e si decise soltanto per la costituzione della nuova divisione Pinan-Cichero; infine, l’episodio di Ras sembra che sia avvenuto più tardi, durante un’altra riunione a Fascia il 2 aprile 1945
[98] La riunione che sancì la nascita della Pinan-Cichero si svolse a Fascia il 7 e l’8 marzo 1945.
Redazione, Intervista cit., NetPoetry

[  a questo collegamento sul sito Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea “Raimondo Ricci” altre testimonianze ed altri documenti sulla morte di Bisagno  ]

Aldo Gastaldi nasce a Granarolo (Genova) il 17 settembre 1921 da Paolo Gastaldi e Maria Lunetti. Dai genitori impara la fede cristiana e quel senso di severa responsabilità che lo accompagnerà sempre. Conseguito il diploma di perito elettrotecnico nel 1939, inizia a lavorare alla Società San Giorgio di Sestri Ponente e si iscrive nel frattempo alla facoltà di Economia e Commercio, quando nel 1941 riceve la chiamata alle armi. Le lettere inviate alla famiglia durante il periodo di addestramento a Casale e Pavia svelano un giovane tanto severo con se stesso quanto capace di delicatezza e affetto verso gli altri.
Il 15 agosto 1942 entra in servizio come sottotenente nel 15° Reggimento Genio presso la caserma di Chiavari, dove si distingue per il rapporto fuori dal comune che riesce a stabilire con i suoi soldati.
L’8 settembre 1943 Aldo è di pattuglia in città quando arriva la notizia dell’armistizio; non appena viene a sapere che i tedeschi hanno occupato la caserma fa nascondere le armi agli uomini che ha con sé, poi li lascia liberi di andarsene. Nelle settimane successive viene contattato da Giovanni Serbandini “Bini”, comunista, che rimane colpito dalla ferma decisione maturata dal giovane ufficiale: “Era l’antitesi dell’attendismo”, dirà. Con un ristretto gruppo di uomini si stabiliscono a Cichero, alle pendici del monte Ramaceto. Aldo viene eletto comandante e prende il nome di “Bisagno”, dal torrente che taglia in due Genova.
I mesi che seguono servono a impostare la vita partigiana secondo delle precise regole militari e morali, dando vita a quella che diverrà poi celebre come la “scuola di Cichero”. I giovani si rifugiano in montagna e trovano nel loro comandante un esempio da imitare; Bisagno infatti interpreta il comando non come potere, ma come servizio; è il primo ad esporsi ai pericoli e l’ultimo a mangiare, riserva a se stesso i turni di guardia più pesanti.
Si conquista così l’amore e la stima degli uomini e delle popolazioni contadine, senza il cui sostegno la lotta partigiana sarebbe stata impossibile.
Temuto e rispettato anche dai nemici, riesce a far disertare un intero battaglione della Divisione “Monterosa”, il “Vestone”, che passerà poi tra le file partigiane da lui comandate.
Cattolico, apartitico, con un carisma straordinario, Bisagno si oppone con decisione ai continui tentativi di politicizzazione delle formazioni partigiane messi in atto dal partito comunista. “Noi non abbiamo un partito, noi non lottiamo per avere un domani un ‘careghin’, vogliamo bene alle nostre case, vogliamo bene al nostro suolo e non vogliamo che questo sia calpestato dallo straniero.”
Con l’avvicinarsi della fine della guerra Bisagno, amatissimo dalla gente e irriducibile ai compromessi della politica, diventa un ostacolo ai piani dei partiti membri del CLN.
Nella riunione di Fascia (Marzo 1945) il Comando Militare Unico della Liguria chiede a Bisagno di farsi da parte e questo provoca la reazione dei partigiani che irrompono sul luogo della riunione con le armi spianate contro i rappresentanti del Comando. Solo l’intervento di Bisagno stesso, che richiama alla calma gli uomini, evita una carneficina. Il Comando si deve accontentare di ridurre l’influenza di Bisagno dividendo in due la Divisione Cichero.
Nei giorni successivi alla liberazione Bisagno si scaglia più volte contro i regolamenti di conti che insanguinano le strade di Genova. Per garantire l’incolumità di alcuni suoi partigiani, ex alpini originari del Veneto e della Lombardia, li accompagna personalmente a casa. Muore il 21 maggio 1945 a Desenzano del Garda, dopo aver riconsegnato alle famiglie tutti i suoi uomini. La relazione ufficiale, redatta dal commissario politico della Divisione, parla di una caduta accidentale dal tetto del camion utilizzato per il viaggio; in realtà la dinamica dell’incidente non è mai stata chiarita in modo convincente e molti hanno subito sollevato dubbi sul reale andamento dei fatti.
Al funerale a Genova partecipa una folla impressionante.
A “Bisagno” è stato attribuito il titolo di “Primo Partigiano d’Italia”.
Marco Gandolfo, Aldo Gastaldi, Bisagno Film, 2015

[…] Il film “Bisagno” è un ritratto a tutto campo, basato su testimonianze e documenti inediti. “Nel 2009 il nipote di Bisagno mi ha proposto di esaminare il grande archivio realizzato da suo padre Giacomo in decenni di ricerche”, racconta Marco Gandolfo, autore del documentario. “Insieme abbiamo incontrato gli ultimi partigiani ancora in vita e siamo entrati nelle case dei contadini, dove la foto di Bisagno si affianca a quelle dei parenti più cari. Un ascolto paziente di chi la resistenza se l’è cucita addosso con le sofferenze, per poi vedersela sottrarre dalla storia ufficiale. E così, dopo 70 anni, anche noi abbiamo incrociato quello stesso sguardo ‘dritto, sicuro’. E ancora una volta è andato a segno.”
[…]
RASSEGNA STAMPA:
Leggi:”Non per il potere, ma per Dio. La resistenza di Aldo Gastaldi Bisagno” di Federico Ferra (Il Sussidiario, 25 aprile 2015)
Leggi “Il cristiano Bisagno, primo partigiano d’Italia” di Daniele Bardelli (Vatican Insider, 25 aprile 2015)
Leggi “Cristiano, italiano e quindi partigiano” di – Alessandro Banfi (Tracce, 5 maggio 2015)
Leggi “La verità vi farà liberi – la resistenza di Aldo Gastaldi Bisagno” di Matteo Fanelli (Tempi, 17 agosto 2015)
Leggi “Il partigiano che amava anche i nemici” di Simone Lombardo (Quotidiano Meeting, 24 agosto 2015)
Guarda TGcom24 – 26-4-2015 – puntata di “Dentro i fatti” dedicata a Bisagno
[…]
Redazione, La storia di Aldo Gastaldi, AIC Associazione Italiana Centri Culturali

Ho scoperto la figura di Aldo Gastaldi attraverso un incontro con il suo nipote omonimo, Aldo con cui ho avuto piacere di collaborare per lavoro. Avevo appena iniziato il dottorato, ero un giovane Akela con tanti sogni in tasca e la prima cosa che ho pensato incontrando Bisagno per la prima volta fu: “Caspita, sono già più vecchio di lui!”.
Leggendo le storie di Aldo, le sue testimonianze emergeva infatti la storia di un ragazzo di 22-23 anni, fervente cattolico, medaglia d’Oro al valor militare per le sue gesta durante la Resistenza e anche Bronze Star Medal, il più alto riconoscimento al valor militare che gli Stati Uniti concedevano agli stranieri.
Leggendo e rileggendo la sua storia e diventato poi capo clan ho sempre di più visto Bisagno come un esempio di “uomo della Partenza”, quanto mai semplice, incisivo, concreto e attuale per i nostri ragazzi.
Aldo: un ragazzo semplice e di poche parole, come tutti noi liguri, così distante dai nostri ragazzi eppure così vicino a loro, seppur la sua fede cattolica non germogliasse da alcun movimento, associazione o oratorio ma era essenzialmente il frutto dell’educazione religiosa ricevuta in famiglia. Da questa fede nasceva il suo spiccato senso di responsabilità, nel senso della capacità di rispondere a quello che Dio gli chiedeva, attraverso i fatti che gli capitavano: di mettere la firma sua e di Dio sulla propria vita come dice Lèzard (SCELTA DI FEDE). Al di là di qualsiasi ideologia, ma profondamente calato nelle emergenze del mondo in cui viveva (SCELTA POLITICA), Bisagno combatté per amore della sua Patria e dei suoi concittadini, pronto a servire la sua patria come recitiamo nella nostra promessa. Come si evince dal bellissimo documentario di Marco Gandolfo (disponibile anche in streaming su RAI Click), visse il dramma di dover utilizzare le armi, delle quali seppe fare l’uso più adeguato possibile, senza mai farsene dominare, né diventando un sanguinario; pur avendo un mitra in mano, continuò a guardare l’uomo anche nel nemico. Tutti sapevano che chiunque fosse stato fatto prigioniero di Bisagno, non sarebbe stato fucilato. La sua linea fu sempre la stessa: “ Chi sono io per decidere della vita dell’uomo che ho davanti?”. Anche quando avrebbe potuto sbarazzarsi di un gran numero di nemici, il suo pensiero era: “Anche loro hanno una madre che li aspetta a casa”. L’altro suo principio era quello di combattere l’avversario, con l’intenzione di portarlo dalla propria parte, come spesso fece con grande accuratezza (una volta si travestì da Alpino, introducendosi in un accampamento di Alpini avversari), ma mettendo sempre a repentaglio la propria vita. E mai quella dei suoi uomini (SCELTA DI SERVIZIO) che guidava come il miglior Capo Squadriglia da “ultimo della fila”: ultimo tra i suoi (quando c’era da prendere il pasto o da chiudere una fila in una missione pericolosa) insegnava a tutti i ragazzi della Brigata Cichero a non bestemmiare, non importunare donne e abitanti dei paesi locali, a chiedere sempre “Per Favore” , a non prendere tessere di partito, non per apostasia politica, ma per dare loro l’opportunità a quei giovani cresciuti senza riferimento di creare il proprio pensiero. Per loro Bisagno fu qualcosa di più di un comandante: fu un Fratello Maggiore, diventando così anche esempio per noi capi oltre che di Uomo della Partenza per i nostri ragazzi.
Bisagno aveva visto infatti la Resistenza come una storica occasione per far nascere degli uomini liberi, laddove quelli che “aveva sotto di sé”, erano tutti ragazzi nati nel ventennio. Il suo carisma si esprimeva più che con le parole, con l’esempio concreto: spesso dormiva di notte “tappando” con la schiena le porte dei fienili dove i suoi partigiani si nascondevano nelle fredde notti intorno a Fascia e al Ramaceto. Come accadde il giorno della sua morte. Bisagno, infatti morì un mese dopo la liberazione, il 21 maggio 1945, riaccompagnando a casa gli Alpini del battaglione Vestone che lui stesso aveva convinto a passare alle file partigiane. Erano partiti dalle loro case in Lombardia e Veneto con l’etichetta di fascisti e repubblichini: se fossero tornati a casa da soli, avrebbero conservato l’etichetta di fascisti e sarebbero stati perseguitati. Bisagno si prese l’incarico di riaccompagnarli personalmente a casa e garantire a tutti che era gente che aveva fatto la Resistenza con lui. Si disse che rientrando dopo aver accompagnato l’ultimo partigiano, vi fu un incidente stradale e lui cadde dal tetto della camionetta in cui viaggiava e morì.
Aldo Gastaldi parla di una Resistenza fatta di coraggio e di fiducia in Dio, di gesti semplici e di amor di Patria. Ce ne parla dai sentieri delle nostre montagne, della nostra Liguria, dalle strade della nostra Genova dove anche qui si è fatta Resistenza: quei sentieri e strade che a volte i nostri ragazzi non sanno essere così vicini, sia geograficamente che umanamente alle loro vite. Aldo ci insegna a essere concreti, a prendere in mano a 20 anni la nostra vita come ha fatto lui, a non avere paura di gridare contro ciò che è ingiusto ricordandoci soprattutto che “Per combattere il falso, lo sgradevole, il disonesto, l’ingiusto, è necessario essere leali, onesti e giusti”.
Parliamo di Aldo ai nostri ragazzi, raccontiamo la sua storia e raccontiamo la storia di tanti “partenti” della loro età che decisero di andare in montagna per noi. Ricordarci che siamo un’associazione anti-fascista è quanto mai importante in questo momento ed Aldo Gastaldi ha preso la partenza come noi.
Stefano Barberis, Aldo Gastaldi: primo partigiano d’Italia, uomo della Partenza, Agesci Liguria, 29 aprile 2019

E’ stata ufficialmente avviata oggi la causa di beatificazione di Aldo Gastaldi, il partigiano “Bisagno”, nella sede dell’Azione Cattolica Diocesana di Vico Falamonica. Ne dà annuncio “Il Cittadino”, settimanale della Curia genovese che spiega come sia stata innescata la procedura che già da tempo lo stesso cardinale Angelo Bagnasco aveva annunciato come imminente.
Il “postulatore della causa” Emilio Artiglieri, avvocato, ha inviato un “supplex libellus” al cardinale Angelo Bagnasco, nel quale viene raccolta la biografia di Aldo Gastaldi e in cui si evidenzia, come si apprende dal Cittadino, “la sua grande fede, semplice e profonda, unita ad un abbandono e a una illimitata fiducia nella Provvidenza Divina”. Dopo l’8 settembre 1943, diventò partigiano, nell’entroterra di Chiavari, in Val Cichero: cominciò l’attività del Comandante Bisagno. “Nonostante le inevitabili asprezze della guerra – ha scritto Emilio Artiglieri nella documentazione – Aldo rimase profondamente coerente con i valori della sua fede cristiana, prodigandosi per il bene, materiale e morale, degli uomini che dipendevano da lui, nel rispetto delle popolazioni civili e anche dei nemici”.
[…]
Michela Bompani, Partigiani, al via processo di beatificazione di Aldo Gastaldi “Bisagno”, la Repubblica Genova, 9 dicembre 2019

Aldo Gastaldi fu il protagonista della resistenza genovese, e certamente fu uno degli esempi più significativi della resistenza “autonoma” priva cioè di connotazioni politiche. Ciò che caratterizzava uomini come “Bisagno” era il rispetto e la cura degli uomini a lui affidati e un grande amore per la libertà.
Egli era di una castità capace di essere tremenda. Era un Vergine (…) La sua energia era di un uomo fatto, virile e grave, ma lo sguardo, specchio del suo temperamento, conservava sempre uno scintillamento di giovinetto. Viveva raccolto in sé stesso, in un ardore intrepido e tenace. Possedeva in sommo grado una virtù rara in Italia, l’onestà. Era onesto come un abete è dritto sulla vetta. Anche le sue ore di malinconia contenevano potenza: La potenza del credente.”
Con queste parole il Prof. Lio Rubini, docente di materie umanistiche, che fu insegnante di Aldo Gastaldi all’Istituto Tecnico “Galileo Galilei”, delinea la personalità di un allievo nel quale, sin dall’adolescenza, aveva riscontrato un’interiorità figlia di una già matura Fede in Cristo. In lui convivevano uno spirito di fanciullo e la maturità formata e consapevole di un uomo. La spiritualità di Aldo è semplice, genuina e sapiente; infiltra silenziosamente ogni recondito angolo dell’agire umano e lo mette a confronto con tutte le sue miserie; Abbraccia tutto il suo esistere ed è difficile da sopportare, a meno di non rispondere incondizionatamente alla Grazia che educa ed eleva alla costante diffidenza di sé stessi e alla rinuncia alle passioni. È questa risposta che genera inconsapevolmente un esempio che trascina e che, sebbene ponga dinanzi la croce, contagia di un entusiasmo esente da ogni forma di esaltazione. Una spiritualità che sa soffocare la tentazione dell’orgoglio, dell’abuso di potere e che mai ha bisogno della rinuncia alla propria individualità e alle proprie convinzioni, per ottenere un facile consenso. È una spiritualità maturata nel nascondimento del vissuto quotidiano e nella pratica, sin dalla più tenera età, di tutte le virtù, una continua scoperta della sconfinata Maestà e Bellezza di Cristo che abbraccia ogni cosa.Un costante riferimento a Dio, una preghiera incessante, come emerge dai suoi scritti, che rivoluziona l’idea di uomo, di amico e soprattutto di nemico. Non esiste un nemico umano per Bisagno. Suoi nemici sono l’immoralità, la menzogna e tutto ciò che è contrario ai dettami del Santo Vangelo: l’impurità, ed il peccato. All’età di vent’anni, durante il periodo del servizio militare scriveva da Casale Monferrato una lettera al Padre, per rassicurarlo su quale fosse il suo animo ed il suo agire:
“…io detesto e dispregio nel modo più assoluto tutto ciò che è mondano ed impuro. Credo e penso che tutti coloro che vedono ogni bellezza della vita nel solo piacere materiale siano dei deboli, degli uomini senza volontà e costretti dalla loro debolezza a seguire la via errata che porta alla tristezza ed alla disperazione di aver trascorso così male la loro gioventù, lontano da Dio ed immersi nel mondo del vizio, dell’immorale e della rovina della salute del corpo. Ringraziando la Volontà divina e ringraziando Te per la ferrea educazione che mi hai infusa, posso oggi giurare di essere stato forte finora e mi prometto di usare tutto il potere della mia volontà per mantenermi inflessibile anche in avvenire”.
E’ una spiritualità che mira al costante rafforzamento della volontà, condizione indispensabile per seguire l’irta e meravigliosa via della Virtù e adempiere così la Volontà Divina, ma che si fa tutto ad un tratto severa, intransigente sino all’inverosimile nel giudicare il proprio pensare e agire, alla luce della Parola di Dio, unico riferimento assoluto per il corretto discernimento tra bene e male. Questo giudizio si manterrà inflessibile nei confronti di ogni tipo di ingiustizia e ambiguità, sino alla sua morte. Bisagno contrasterà in modo fermo e deciso l’infiltrazione partitica tra le file partigiane, e ogni cosa che potesse in modo subdolo ingannare i suoi uomini, ed inquinare gli intenti che li avevano spinti a seguirlo. Verso chi è caduto per debolezza, si rivela invece il Comandante vicino, comprensivo, sempre pronto al perdono e all’evangelica correzione fraterna. Sono orgoglioso di portare il nome di un uomo che ieri come oggi è stato ed è segno di profonda contraddizione. Un Uomo che, per tenere fede alla Verità tutta intera, si è trovato spesso solo a contrastare, in modo tenace e consapevole di quelle che sarebbero state le conseguenze del suo agire, ciò che il Beato Giovanni Paolo II definisce nel Suo ultimo libro “Memoria e Identità” le due grandi ideologie del male: il nazismo e il comunismo.
Aldo Gastaldi (nipote omonimo), Il ricordo di Aldo Gastaldi, il partigiano “Bisagno, nel 75° anniversario della morte, Associazione Partigiani Osoppo-Friuli, 2020

È difficile sottrarre Aldo Gastaldi “Bisagno” al mito. Le cui radici sono nei giorni stessi della lotta partigiana, in una popolarità e persino una venerazione che ha tratti di unicità tra le fila della Resistenza ligure. Così il riuscire ad evitare che la morte ne oscuri la vita. Una morte tanto tragicamente banale, come la caduta dal tetto di un camion, da contribuire ad alimentare una leggenda oscura, sempre smentita dai testimoni e dalle indagini, ma capace di riemergere costantemente nel tempo, di trasformare le illazioni e le falsificazioni in certezze ideologiche. Eppure è ciò che si dovrebbe fare oggi, in questo centenario della nascita. Perché la lezione di “ Bisagno” è straordinariamente attuale. Dovremmo parlare di “Bisagno” e noi. A partire da come in “Bisagno” si concentri quasi fisicamente il primato etico della Resistenza su quello politico e militare. Qualcosa che in lui rimanda a un cattolicesimo vissuto in termini tanto radicali da configurarsi come premessa e sostanza del suo stesso essere antifascista. Ma che riassume, in senso più generale e laico, cioè per tutti, il profondo valore morale di una riscossa civile. Quanto il fascismo era la perdita dell’umano e il degrado delle coscienze così il ribellarsi al fascismo era un riscoprirsi umani, riconoscersi come tali. L’antifascismo diventa innanzitutto recupero dell‘umanità perduta, la necessaria rigenerazione civile degli italiani dopo venti anni di abbruttimento morale. Convinzioni che rimandano in “ Bisagno” a una concretezza dell’agire più che ad adesioni ideologiche.
Da qui il legame con G.B. Canepa “ Marzo” e Giovanni Serbandini “ Bini”. Uomini diversissimi da lui per età e idee e con anni da fuoriusciti o di confino e galera alle spalle. Con loro, nell’ottobre 1943, costituisce, nel casone dello Stecca, a Cichero, alle falde del Ramaceto, uno delle prime bande del futuro partigianato.
Non è tanto e solo l’incontro tra cattolici e comunisti. Contano i caratteri. È il trovarsi in una condizione del tutto nuova e dove non valevano né le lezioni del vecchio antifascismo clandestino né bastavano le competenze militari del sottotenente Gastaldi. Soprattutto, la lotta al nazifascismo per “Marzo”, per “Bini” come per “Bisagno” non è riducibile all’imbracciare un fucile e darsi alla macchia ma è piuttosto un “ ricominciare”, un “ reiventarsi” rispetto alla propria stessa storia.
Un acquisire consapevolezza della necessità di un salto di qualità della ribellione, del suo ruolo storico per il paese. Non accadrà dappertutto. Ma in questo si ritrovano sia i vecchi comunisti sia il ventiduenne “Bisagno”. Che mette il fazzoletto rosso […]
Il centenario di “Bisagno” cade in una stagione di prolungata delegittimazione della Resistenza di cui oggi possiamo valutare molti dei desolanti effetti. Non è improbabile che la sua figura verrà ancora una volta usata per distinguere tra Resistenza buona e cattiva. Sarebbe bene restarne lontani. Perché “ Bisagno” è davvero di tutti. Così come è importante sottolineare il valore laico, pur nella centralità religiosa, nell’avviato processo di beatificazione. Al di là dei possibili utilizzi un po’ strumentali, è il riconoscimento della Resistenza non solo come parte della storia dei cattolici italiani ma della stessa Chiesa. Qualcosa che riguarda l’essere “ cristiano, partigiano e italiano” di “ Bisagno” ma che presuppone il fascismo come male insieme civile e morale, la legittimità del combatterlo. Ed è, insieme, il valorizzare quella parte della Chiesa che scelse di svincolarsi dal lungo abbraccio con il regime.
Quello che ci porta questo centenario è, in fondo, la profonda moralità della Resistenza. Incentrata sulla responsabilità individuale, il “ partire da se stessi”. Il nesso inscindibile tra libertà e responsabilità. “ Bisagno” non solo ha ancora tanto da dire ma ci interroga.
Luca Borzani, Una Resistenza etica, la lezione di “Bisagno” a cent’anni dalla nascita, la Repubblica Genova, 17 settembre 2021

Se la Resistenza appare come una icona fondante dell’Italia libera e democratica e i Partigiani furono i protagonisti eroi di questa difficile parte della nostra storia, tra costoro spicca la grande figura di Aldo Gastaldi, comandante partigiano meglio conosciuto come ‘Bisagno’.
Per ricordarlo e farlo ricordare a tutti, sabato 18 e domenica 19 settembre sarà celebrato il centenario della sua nascita, che è avvenuta il 17 settembre 1921. Due giorni di rimembranza organizzati dal Comune di Genova per un suo illustre concittadino, ma anche dall’Arcidiocesi della città perché Gastaldi fu uomo di grande e autentica Fede, molto sentita.
“Servo di Dio”, lo definisce un comunicato dell’omonimo Comitato dedicato a lui e che informa della celebrazione, ma lo indica pure come “leader carismatico per i suoi uomini, rispettato e temuto dai nemici, nella sua azione di combattente per la libertà appariva un puro e disinteressato amore di patria, al di là e al di sopra delle ideologie”.
Gastaldi morì a Desenzano sul Garda il 21 maggio 1945, venendo definito “il primo Partigiano d’Italia”. A lui, nel tempo, sono state intitolate strade (a Genova il famoso corso), una piazza, una scuola. Ed in segno di quanto l’Italia gli debba, gli è stata data sepoltura presso il Pantheon degli uomini illustri genovesi.
Gli annali narrano come l’uomo ebbe grande e profonda fede che ne ispirò la vita e il suo agire. La sua dirittura morale e il suo alto senso dell’onestà gli sono valsi una fama quasi di santità, che non è rimasta sulla carta ma per la quale è stata avviata, presso l’Arcidiocesi di Genova, una Causa di Canonizzazione.
La sua figura sarà ricordata e illustrata, insieme alla sua vita, sabato 18 settembre alle 20,45 con la proiezione presso il Cineclub Nickelodeon e a cura del Serra Club di Genova, del film documentario ‘Bisagno’ di Marco Gandolfo.
Domenica alle ore 10,30 sarà invece scoperta una targa commemorativa sulla casa natale in salita Granarolo, presente il sindaco Bucci e altre autorità della zona. Ma il momento principale sarà però una messa in sua commemorazione e ricordo, che sarà officiata dallo stesso arcivescovo di Genova, monsignor Marco Tasca, presso la cattedrale di San Lorenzo alle 18,30.
Tutto questo per ricordare Aldo Gastaldi, definito ancora dal Comitato che porta il suo nome, “esempio di fede, pienamente vissuta e testimoniata come un raggio di sole in mezzo alle tenebre dell’odio e della guerra”. Tutti gli eventi del Centenario sono promossi dalla Postulazione della Causa di Canonizzazione e dal Comitato Aldo Gastaldi ‘Bisagno’.
Dino Frambati, Genova celebra Aldo Gastaldi, il partigiano ‘Bisagno’, uomo di grande fede e carisma nel centenario della sua nascita, la voce di Genova.it, 17 settembre 2021

Fiero dei suoi trascorsi, estremamente orgoglioso e leale, vocato istintivamente per l’organizzazione, Antonio Zolesio era sì un antifascista della prima ora ma ciò non gli impediva di manifestare un aperto anticomunismo ‘a prescindere’, talvolta persino irrazionale e ingeneroso quando non addirittura contraddittorio, considerato che la natura dei suoi intenti e dei suoi propositi lo avrebbero portato presto e suo malgrado a conformarsi, seppure virtualmente e non senza dichiarate riserve, ai disegni strategici del maggior partito dell’esarchia antifascista, quello comunista appunto, che nel contesto resistenziale, e sotto le insegne garibaldine, contava un più consistente numero di adesioni e con il quale egli, dopo reiterati chiarimenti e qualche scaramuccia non esattamente dialettica, si sarebbe risolto a convivere sino al termine della lotta di Liberazione.
È pur vero che tale anticomunismo viscerale era divenuto nell’estate del 1944 addirittura rancoroso in conseguenza dei ripetuti episodi di disarmo a suo danno la cui responsabilità oggettiva egli attribuì inizialmente ai commissari politici e ai collaboratori ‘comunisti’ dello stesso Aldo Gastaldi (Bisagno) al quale, pur riconoscendo una certa longanime equidistanza e un’indubbia capacità di comando, egli non perdonava del tutto di non essersi opposto ai loro diktat.
Ora, tralasciando il fatto che a latere di tali discutibili episodi i rapporti tra Zolesio e Bisagno si saldarono poi in una forma di straordinaria amicizia e stima reciproca che non ebbe termine se non con la morte accidentale di quest’ultimo, non pare fuori luogo osservare che, al di là delle presunte o fondate ragioni che Zolesio potesse vantare, sarebbe stato molto più opportuno, tanto da parte sua quanto da quella dei suoi contestatori, adottare un atteggiamento meno tetragono e settario, privilegiando da subito e in tacito accordo l’unitarietà nella contesa contro il comune nemico e rimandando a tempi diversi la soluzione dei contenziosi ineludibili ma meno impellenti. Non a caso di ciò si sarebbe occupata ad abundantiam la politica nazionale repubblicana e democratica del secondo dopoguerra con la definizione dei blocchi contrapposti e la dialettica politica insorta tra di essi.
Vittorio Civitella *, Zolesio e l’opera di intelligence di Fellner e Unger di Löwenberg in Storia e Memoria, Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, anno XXV, n. 2/2016 – * Testo dell’intervento tenuto al convegno “Momenti e figure della Resistenza nel Tigullio. Una storia che non può essere travisata”, organizzato dall’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (Chiavari, Civico auditorium San Francesco, 23 aprile 2016)