La più efficiente e la più estesa rete di spionaggio in Italia

Trieste nel 1885 – Fonte: Wikipedia

[…] capitano Luigi Podestà (l’emissario della “missione Nemo” inviato dal Regno del Sud come ufficiale di collegamento con il CLN triestino): il 1° maggio il CLN gli disse che “Tito era un alleato” e che “bisognava evitare scontri con l’esercito jugoslavo” (relazione conservata in archivio IRSMLT 867). Tutti i membri del CLN che rifiutarono di collaborare con l’esercito jugoslavo, quindi, non avevano soltanto disatteso gli ordini degli Alleati, ma avevano anche disobbedito ad un ordine del loro stesso comando di piazza. Tornando alla vicenda di Podestà, che risulta (assieme ai suoi collaboratori Arturo Bergera e Mario Ponzo) tra i membri del CLN arrestati dalle autorità jugoslave, ne ricordiamo la collaborazione con il commissario Gaetano Collotti dell’Ispettorato Speciale di PS, collaborazione che provocò l’arresto di diversi esponenti del CLN triestino, compresi i più stretti collaboratori di Podestà. Ricapitoliamo i fatti così come risultano dalla citata relazione di Podestà, che dal Regno del Sud era stato inviato nel territorio della RSI. Giunto a Trieste nel gennaio 1945 dopo avere preso accordi a Milano con Riccardo De Haag, uno dei dirigenti della “missione Nemo” (una organizzazione di cui non si sa molto, definita dall’agente dell’OSS Peter Tompkins nel suo “L’altra resistenza” “la più efficiente e la più estesa rete di spionaggio in Italia (…) col ruolo di informatore sulle attività politiche e militari del Clnai”), il capitano prese alloggio presso i Gesuiti di via del Ronco 12. Prendiamo nota che la chiesa di via del Ronco era quella in cui il commissario Collotti si recava a messa ogni mattina prima di iniziare il “lavoro” nella sede dell’Ispettorato in via Cologna.
Dopo avere preso contatti con diverse persone (tra i quali membri della Marina, come Arturo Bergera, e della X Mas, come Stelio Montanari, e Luigi Poletta; il colonnello del Genio Navale Mario Ponzo; gli esponenti del CLN Giuliano Girardelli e Mario Maovaz e l’ex tenente dei Carabinieri Armando Lauri), in seguito alle manovre di un delatore, Giorgio Bacolis (responsabile anche dell’arresto di altri antifascisti, tra cui Mario Maovaz, corriere del Partito d’Azione, che fu fucilato il 28/4/45), Podestà fu arrestato da quattro agenti di Collotti il 6/2/45. Nella relazione Podestà scrive di essere stato condotto in auto in via Cologna e mentre si trovava nella “sala degli agenti”, proprio di fronte all’ufficio di Collotti, sarebbe riuscito ad eludere la sorveglianza delle guardie e nascondere “dietro un mobile” un’agenda nella quale “proprio quella mattina” aveva “appuntato il nuovo indirizzo di Nemo” (Nemo era Enrico Elia, il dirigente la rete che da lui prese il nome).
In sintesi Podestà scrive che la sua intenzione era di “trasformare in mio collaboratore il Collotti stesso”, e per giungere a questo risultato si intrattenne a parlare con il commissario di spiritismo e di italianità. Alla fine si accordarono che Collotti non avrebbe infierito sui collaboratori di Podestà, né avrebbe indagato presso altre persone sulla presenza di Podestà a Trieste. Però dato che Collotti non voleva far capire alla SS che collaborava con Podestà, aveva bisogno di una copertura e quindi doveva fingere di trattare il capitano come un qualunque arrestato. Per portare avanti la finzione, spiega Podestà, egli diede a Collotti delle informazioni, cioè che abitava presso la famiglia Rocco, conosciuta tramite Bergera (il che provocherà l’arresto di queste persone, alcune delle quali furono anche torturate); e fece poi anche il nome di Girardelli.
A metà febbraio Podestà chiese un incontro con Collotti nel corso del quale gli propose di “diventare mio collaboratore promettendogli di far valere i suoi meriti all’arrivo degli Alleati”, al che Collotti gli fece capire che “doveva aver fatto assegnamento dentro di sé su qualcosa di simile fin dal nostro primo colloquio”.
Gli accordi cui arrivarono sarebbero stati che Collotti avrebbe chiesto a Podestà di fornire informazioni relative agli slavi, ed a sua volta avrebbe fornito a Podestà “agevolazioni per lo svolgimento del mio compito anche mettendo a disposizione la macchina dell’Ispettorato”. Dopo questo accomodamento Podestà fu inviato alla sede della SS, dove il maresciallo Hibler gli chiese di scrivere una relazione sulla sua attività e la mattina dopo, dopo avere letto lo scritto, accettò la proposta di Collotti di prenderlo come collaboratore nella lotta antislava.
Si potrebbe quindi pensare che nel maggio 1945 Podestà, Bergera e Ponzo siano stati arrestati dalle autorità jugoslave perché Podestà si era accordato con la SS e con Collotti di fornire loro informazioni sulle attività antinazifasciste, ma il motivo probabilmente è un altro, molto meno ideologico, da quanto traspare dalla stessa citata relazione di Podestà.
Il capitano scrive che era stato incaricato dal CLN triestino di organizzare la Regia Marina in previsione dell’arrivo degli alleati […] Il Pane e le Rose, 10 ottobre 2010

Aumentò anche l’interesse per le regioni del confine orientale italiano, e l’O.S.S. richiese personale alla Marina da impiegare nella zona. Fu messo a disposizione il comandante Podestà, già impiegato a Roma, che conosceva la zona, e questi, nel settembre 1944, fu inviato a Trieste. La zona aveva sempre rivestito interesse per la Marina, che aveva impiegato alcuni suoi uomini sia nelle missioni speciali alleate, sia per proprio conto. L’obiettivo della Marina era quello di conservare il controllo del confine orientale come era prima delle ostilità e a tal fine furono presi contatti con elementi significativi della Marina Repubblicana, poiché alcuni degli ufficiali e dei sottufficiali di essa svolgevano attività pro-italiana ed erano pronti a collaborare se lo scopo era quello di non far cadere l’Istria in mano agli iugoslavi. Così il segretario del comandante di Marina Trieste, capo furiere Arturo Bergera, che aveva aderito alla RSI, lasciò il servizio nel novembre 1943 per dedicare tutta la sua attività al campo informativo clandestino, incarico che svolse fino all’arrivo a Trieste del comandante Podestà. Questi radunò attorno a sé molti degli uomini che fin dal marzo 1944 avevano collaborato con il gruppo Nemo (del comandante Elia), così con Podestà lavorarono i tenenti di
vascello Agostino Straulino (137) e Stelio Bugada, i sottotenenti di vascello Bruno Suttora e Stelio Montanari, il sottotenente di porto Giuseppe La Porta, il sottotenente C.R.E.M. Gaetano De Caro, il capo furiere di 1ª classe Guido Capopresi, il secondo capo furiere Luigi Paoletta e il sergente Giuseppe Malligoi. All’arrivo a Trieste delle truppe iugoslave (2 maggio 1945), il comandante Podestà fu immediatamente arrestato e, in base a un documento datato 30 maggio 1945, che lo accusava di passare informazioni ai nemici della Iugoslavia e della causa partigiana, fu imprigionato a Lubiana, per due anni, e fu rilasciato solo il 9 luglio 1947. Anche il tenente Montanari fu arrestato dagli
iugoslavi, e a metà gennaio 1946 era ancora in un campo di concentramento slavo. Il sottotenente di vascello Elio Wochiecevich fu impiegato in zona dal giugno 1944 per dare impulso al movimento di liberazione; partecipò attivamente alla lotta prendendo parte a vari scontri armati, dimostrando decisione, capacità e coraggio; riuscì a costituire una forte formazione di partigiani con la quale condusse attacchi contro i presidi e le linee di comunicazione nemiche. In uno dei combattimenti rimase gravemente ferito, ma restò sul posto per dirigere la lotta fino a che essa si concluse vittoriosamente. Fu successivamente paracadutato nelle retrovie nemiche, ove organizzò audaci e brillanti operazioni che furono tutte coronate da successo. Rientrò in Italia solo nel febbraio 1946. Altri appartenenti all’organizzazione della Marina furono arrestati dagli iugoslavi e alcuni finirono nelle foibe. Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa
(137) Straulino era stato impegnato in territorio occupato, Iugoslavia e Zara, dal 1° novembre 1943 al 15 luglio 1944

[…] All’inizio di dicembre [1944] arrivarono a Trieste, inviati “dal CLNAI per mandato di Nemo”, Riccardo De Haag e l’ex cappellano militare don Paolino Beltrame Quattrocchi (le due “persone conosciutissime” di cui scrisse Locardi nella relazione precedentemente citata), il quale scrive che “dopo avere accompagnato a destinazione una missione informativa giunta da Roma, composta dal comandante Podestà e da altro ufficiale di marina presiedemmo entrambi, per tre giorni, le sedute del CLN triestino, raggiungendo conclusioni di particolare importanza”[…] Il 10/1/45, durante un’azione di rastrellamento effettuata dall’Ispettorato Speciale nel villaggio di Boršt-S. Antonio in Bosco presso Trieste, il commissario Collotti rinvenne un appunto (datato 4/11/44) con le seguenti annotazioni: “L’attività degli elementi presso “Trieste città libera” si è piuttosto ingrandita; uno dei dirigenti più importanti è l’avvocato Lauri [138]. Assieme a lui il più attivo è Maovac. Come ha detto uno dei nostri informatori, essi vogliono mettersi sotto la protezione degli angloamericani, che li aiuterebbero affinché Trieste diventi porto franco. Ha detto pure che non hanno niente contro l’OF, perché oggi è fondamentale la lotta contro il nazifascismo. L’avvocato Lauri è andato alcuni giorni fa a Milano, per incontrarsi con rappresentanti angloamericani. Ha pure ottenuto 25 milioni di lire per la loro attività. Prima di partire ha detto che avrebbero trovato tutto ciò che loro occorre per il loro lavoro ed a Milano avrebbero fatto i progetti per esso. Maovac si è incontrato con Tončič circa una settimana fa (…)” [139]. Osserviamo che questa “attività” sembra essere in perfetta sintonia con quanto proposto dal CLNAI nell’estate del 1944 e tale appunto fa presupporre inoltre che “Trieste città libera” avesse contatti ufficiali con gli Alleati, a differenza del CLN giuliano. In base a questi appunti Collotti chiese alla SS di agire contro l’organizzazione. L’avvocato Ferruccio Lauri fu arrestato il 15/1/45, dopo aver messo in contatto Maovaz con un giovane sloveno appartenente al movimento separatista, e successivamente rinchiuso in carcere [140]; l’avvocato Tončič fu arrestato e portato nella sede della SS, dove fu interrogato da Collotti, ma fu rilasciato qualche giorno dopo; Maovaz fu arrestato il 17 gennaio in casa della madre di Mario Suppani, il collaboratore dell’Ispettorato che fece da “intermediario” tra Collotti e la spia Bacolis (che abitava lì dato che la sua casa era stata danneggiata da un bombardamento), e lo stesso giorno furono arrestate anche la moglie di Maovaz con i figli e la loro dirimpettaia Maria Ursis; le donne furono tutte ristrette nel carcere dove era detenuta anche la signora Lauri, che disse a Maria Ursis che il marito era stato arrestato perché ritenevano fosse in possesso di una “cassetta d’oro”, cioè i fondi che il CLNAI aveva affidato a Maovaz per l’attività triestina [141] (forse i 25 milioni di cui parlava l’appunto sequestrato da Collotti?). Fu proprio nella casa dell’avvocato Lauri (in via Milano 2), occupata da uomini dell’Ispettorato, che si trovarono a fine gennaio Collotti e Bacolis per organizzare l’arresto di Podestà [142]. Nel frattempo, a metà gennaio [1945], Girardelli aveva presentato a Podestà un possibile collaboratore, Arturo Bergera, “capo furiere di 3^ classe e già segretario del Comandante di Marina di Trieste”, che subito gli offrì ospitalità presso la famiglia dove viveva (i Rocco) e si mise a sua disposizione per il lavoro informativo che già svolgeva da tempo, avendo “addentellati anche presso la X Mas nelle persone del Sottotenente di Vascello complemento Stelvio Montanari e secondo capo furiere rich. Luigi Pauletta” e con “Suttora della Mittelmeerrederei” [143].[…] Come si giunse all’arresto del capitano Podestà? Lo scopriamo leggendo una lettera scritta proprio dal suo delatore, il sedicente pastore metodista di Trieste Giorgio Bacolis: “ho avuto la visita del dott. Collotti (preannunciatami per suo incarico dal dott. Suppani, che mi ha anche edotto sulla ragione del colloquio). Durante questo colloquio il dott. Collotti mi ha detto del grandissimo interesse che aveva di trovare una certa persona arrivata da Milano e se io ero disposto a collaborare (…) avevo riflettuto e deciso fermamente di collaborare impegnandomi a mia volta ho fornito tutti i dati relativi al Podestà (alias Poletto) e in più ho indicato come sicuramente membri del locale CLN il signor Ercole Miani e don Marzari (cassiere) questi due nomi li sapevo con sicurezza di altri membri eventuali del predetto Comitato non conosco i nomi” [149]. […] In altri appunti troviamo nomi di membri sia del CLN triestino che del CLNAI di Milano, ed anche informazioni sui loro connotati fisici e suggerimenti per rintracciarli; Bacolis aggiunge che don Marzari riceveva mensilmente da Milano forti somme, in quanto Milano riceveva da Roma ogni mese la somma di 50 milioni che poi venivano divisi tra i vari Comitati locali tra i quali quello di Trieste. Troviamo anche i nomi del superiore dei Gesuiti padre Porta (che aveva dato delle coperture a Podestà), di Girardelli, di don Beari (direttore di “Vita Nuova”), che poteva essere al corrente dei nomi dei sacerdoti in contatto con don Marzari; ed altri ancora. Maovaz sarebbe stato l’ideatore del “Comitato Trieste Libera” e ne avrebbe parlato a Bacolis, però poi non ne fecero nulla, inoltre sarebbe stato in contatto con Longhi Alfredo del CLN che per comunicare con lui si sarebbe servito del recapito di Pippo Longa che fungeva da “mezzo di congiunzione” tra Longhi ed i suoi informatori. I vari Comitati di Liberazione si riunivano a Padova, in quanto città che si trovava “al centro dell’Italia non invasa”, ed una riunione si era svolta nel settembre del ’44, presenti da Trieste Maovaz ed un altro di cui non conosceva il nome. […] Nel suo memoriale Rocco afferma di riferire quanto appreso da Podestà e scrive: “Il 6 febbraio 1945 alle ore 10.30 Podestà venne arrestato (…) dalla banda Collotti. Verso l’una dello stesso giorno gli agenti di Collotti vennero a casa nostra, domandando informazioni di un certo signor Poletti o Nicoletti o Podestà (…) noi negammo di conoscere tale persona (…) gli agenti perquisirono la casa, ma senza risultato. Arrestarono quindi Bergera e me portandoci all’Ispettorato. (…) Collotti, capo della polizia politica di Trieste, al soldo della SS, era un siciliano di 28 anni. Era un giovane piuttosto strano; ogni mattina faceva la comunione, quindi con gioia malvagia torturava la gente. Abitava all’Ispettorato stesso (…) insieme a sua moglie, una signora più anziana di lui ch’egli teneva in alta considerazione [158]. Ella spesse volte consultava il tavolino, evocando lo spirito di qualche morto di sua fiducia. Collotti aveva grande fiducia nei suoi poteri di medium, molto spesso la consultava sul daffarsi, specialmente in momenti difficili, come alla cattura di buona parte del CLN (…) Podestà è un uomo che se vuole sa rendersi molto simpatico, ha grande facilità di parola, si è molto interessato di religione, teosofia, scienze occulte ecc., ed i suoi occhi hanno un potere magnetico [159]. Avvenne che la signora Collotti vide Podestà che passeggiava in una stanza dell’Ispettorato, la mattina del suo arresto. Ella rimase colpita dal suo portamento elegante e distinto. Collotti lo interrogò, legato alla sedia di tortura e Podestà seppe cogliere il momento giusto per intavolare con Collotti una discussione teosofica-religiosa. (…) Quella sera contribuì anche il tavolino fatto saltare dalla signora Collotti in favore di Podestà. Il fatto è che dopo qualche giorno, Collotti aveva una crisi spirituale, ritirò con somma arte le denunce che aveva fatto alla SS e dopo 2 mesi e mezzo di prigionia quasi tutti coloro che erano stati arrestati con Podestà erano nuovamente in libertà. Egli sperava così di salvarsi la vita! La SS questa volta fu un po’ tonta e Collotti gliela fece in barba! Podestà era riuscito a nascondere i documenti che aveva seco al momento dell’arresto, dietro ad un armadio nella stanza della squadra collottina; ed era sicuro che noi a casa avremmo bruciato i documenti (come infatti avvenne)” [160]. Il racconto di Podestà è però diverso: in via Cologna venne ricevuto da Collotti dopo “una lunga attesa”, ma il commissario si dimostrò “gentilissimo” e prima di chiedergli quali fossero i suoi compiti gli fece ascoltare la telefonata con un certo “dottor Pasquali” (nel quale Podestà riconobbe dalla voce Bacolis [161]) in modo da fargli capire chi fosse stato il suo delatore, ma non parla di un incontro con la medium, né di essere stato interrogato “alla sedia della tortura”. Successivamente Collotti si mise a parlare di spiritismo, domandò al capitano se anche lui fosse interessato a questa pratica e gli spiegò che la usava “come normale metodo di consiglio in tutte le operazioni di polizia di sua pertinenza”, facendosi aiutare dalla moglie in funzione di medium, aggiungendo che egli si sentiva “soggetto come a un destino” al suo “pesante compito”; Podestà si propose quindi “decisamente di guadagnarmi il favore del Collotti”, avendo compreso che Collotti aveva bisogno “non solo di scagionarsi di fronte a se stesso del male di cui si sapeva imputato dalla pubblica opinione, ma di sentirsi capito ed approvato da un estraneo quale ero io”. Pertanto decise di dargli corda sulle questioni spiritiche, arrivando al punto da dirgli che lo approvava “per la sua dedizione quasi mistica al compito del quale si sentiva investito non tanto dai suoi superiori del Ministero degli Interni Repubblicano quanto dal Superiore Potere al quale egli riteneva appellarsi attraverso le sedute spiritiche”. Dopo un’ora di preliminari ebbe inizio l’interrogatorio vero e proprio, in presenza di agenti della SS; Collotti invitò Podestà ad essere sincero con lui, promettendogli in cambio altrettanta sincerità e lo assicurò che non avrebbe infierito nei confronti di Podestà e dei suoi collaboratori “se solo avesse potuto convincersi della nostra onesta italianità”, ossia che il gruppo non lavorasse “per porre l’Italia alla servitù degli alleati”; aggiunse che poteva ammettere che la collaborazione di Podestà con gli alleati “poteva essere utile all’Italia se la guerra si fosse svolta in deciso favore degli alleati stessi, ma che anche lui intendeva lavorare per l’Italia, attraverso la sua collaborazione coi tedeschi, ritenendo certa la finale vittoria tedesca” e che “tale certezza gli derivava dalle comunicazioni spiritiche”. Podestà suppose che Collotti volesse parlargli senza il controllo delle guardie che poi avrebbero riferito alle SS, e poi afferma di avere avuto “fin dal primo momento la nozione precisa di una situazione psicologica del Collotti” che gli avrebbe permesso “se usata a regola d’arte” di “trasformare in mio collaboratore il Collotti stesso”. A metà febbraio Podestà chiese un incontro con Collotti: “gli proposi di diventare mio collaboratore promettendogli di far valere i suoi meriti all’arrivo degli Alleati”, al che Collotti gli fece capire che “egli doveva aver fatto assegnamento dentro di sé su qualcosa di simile fin dal nostro primo colloquio”. Alla fine i due si accordarono che Collotti non avrebbe infierito sui collaboratori di Podestà, né avrebbe indagato presso altre persone sulla presenza di Podestà a Trieste, ma per non far capire alla SS che collaboravano avrebbe finto di trattare Podestà come un normale prigioniero (facendolo però alloggiare in una stanza del proprio appartamento ed addirittura portandolo una sera con sé a giocare al Casinò!). In ogni caso, per dare a Collotti una “copertura” di fronte alla SS, Podestà gli fece i nomi dei suoi contatti: la famiglia Rocco, Bergera e, il terzo giorno della prigionia, anche il nome di Girardelli. E nella sua relazione scrive serenamente che “Bergera, portato all’Ispettorato in stato di arresto e subito sottoposto ad interrogatorio, venne torturato con la corrente elettrica fino a che non ammise di conoscermi. Non avevo potuto in alcun modo evitare tali cose perché m’ero trovato nella pratica impossibilità di far sapere al Bergera il mio piano del quale potei parlargli soltanto diversi giorni più tardi, quando ormai Collotti era stato completamente guadagnato a me”. Quanto a Girardelli, Podestà scrive di avere dovuto fare il suo nome per indicare a Collotti il recapito presso cui gli era stato inviato un comunicato di Nemo. Inoltre, tra gli appunti di Collotti c’è anche un foglio riferito all’interrogatorio di Podestà (nel fascicolo non c’è il verbale ufficiale) relativamente al recapito di Nemo: Podestà avrebbe detto di averlo scritto su un pezzo di carta che aveva gettato via al momento dell’arresto, ed anche che il “capo del movimento Trieste libera” era Bacolis, che Fausto era Riccardo De Haag, che a Milano aveva contatti con la massoneria tramite il “venerabile Leali” ed infine un accenno alla riunione in casa Ponzo con Miani, Fausto, ed il “rappresentante militare” Guido. Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

Non a caso un rapporto OSS dell’agosto 1945 classificava la Nemo Mission come la più estesa ed efficace rete spionistica che abbia agito in Nord Italia nel periodo 1944-’45. Di tutto ciò ben poco tratta il libro di memorie recentemente edito col titolo “Missione Nemo” (sottotitolo: “Un’operazione segreta della Resistenza militare italiana 1944-45”) a firma di Francesco Gnecchi Ruscone, i cui scarni contenuti sono tuttavia compensati dall’esauriente introduzione a cura di Marino Viganò al quale si deve inoltre la corposa appendice documentaria prevalentemente inedita, che rappresenta la parte di maggior interesse. I limiti delle memorie di Gnecchi Ruscone derivano dal fatto che egli entrò giovanissimo e per breve periodo di tempo (nov.’44-gennaio ’45) nell’organizzazione “Nemo”, dove venne utilizzato in ruoli ausiliari d’informatore sulla dislocazione di fortificazioni e reparti militari dell’Asse nell’area del Triveneto. Arrestato dalla gendarmeria tedesca in circostanze fortuite, ma non identificato come spia, venne a suo dire riscattato dal carcere dov’era finito, grazie alla corruzione esercitata dalla madre su di un ufficiale germanico che gli rese la libertà. Libero, ma non più collegato alla “Nemo”, Gnecchi ‘resistette’ autonomamente a Milano fino al giorno dell’insurrezione a cui prese parte in maniera piuttosto goliardica, considerato come egli stesso riporta le eroicomiche gesta partigiane di quei tragici giorni. L’episodio più eclatante al quale partecipò Gnecchi, dopo il suo rientro nella Nemo a guerra ormai finita, riguarda il fortuito recupero della collezione numismatica appartenente a Vittorio Emanuele III°, la cui riconsegna procurò al baldo giovane, la patacca a scadenza ravvicinata di cavaliere della Corona da parte di Umberto II° [1]. Con questo episodio si esauriscono di fatto le memorie dell’agente segreto Gnecchi. Un memoriale, come premesso, di scarso valore storico se non fosse che a sfondo di quella vicenda personale facesse capolino l’intrigante rete “Nemo”la cui reale importanza restò ignota, pur avendone fatto parte, allo stesso Gnecchi. Con questi presupposti, Gnecchi ha dato privatamente alle stampe la sua personale esperienza bellica in edizione inglese[2], indirizzata ad una limitata cerchia amicale per lo più straniera. Seppure fuori commercio, il libro non è comunque sfuggito all’attenzione dello storico Viganò[3] che, non del tutto a digiuno circa l’affaire “Nemo”, ne ha propiziato la ristampa in edizione italiana presso l’editore Mursia, non mancando di allargarne gli orizzonti con vari documenti da lui reperiti presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito (AUSSME). Oltre a ciò, Viganò è riuscito a rintracciare la figlia dell’ex capo missione ‘Nemo’, cap. di corvetta Emilio Elia (nome in codice di missione: ing. Bruno o “l’Ingegnere”), Lia Elia Reinach, che a sua volta gli ha fornito copia di vari documenti paterni, anch’essi riportati in appendice al testo di Gnecchi. Appendice che arriva così a contare 23 documenti e allegati di varia fonte, spazianti dall’agosto 1944 fino al dicembre 2010. Di questi vari documenti, quelli di esclusiva fonte Elia sono: tre relazioni datate 26-27 febbraio 1945 più due distinti allegati; una relazione generale datata 30 agosto 1945, oltre a una copia in lingua inglese indirizzata alla sede OSS di Washington. Genericamente datato agosto 1945 è l’elenco, palesemente incompleto, di membri e collaboratori a volte occasionali della missione “Nemo”[4]. Risale presumibilmente sempre all’agosto 1945 una dichiarazione di Elia a favore del ten. col. della GNR, Vincenzo Cersosimo, ex giudice istruttore presso il Tribunale Speciale della Rsi. Semplicemente datata ‘ottobre 1945’ è una ripetitiva relazione sull’attività svolta da Elia in veste di capo missione e, da ultima, una sua dichiarazione del 15 dicembre 1945, rilasciata a favore dell’ex prefetto della Rsi a Roma, Temistocle Testa. Curiosamente o meno per i più navigati , sia le varie relazioni che i relativi allegati di fonte Elia, trattano d’ infiltrazioni, condizionamenti e controlli operati dalla “Nemo” in seno a CVL, Clnai e Cln vari con specifico riferimento a Milano, Parma e Trieste, relazioni costantemente critiche nei confronti delle diverse componenti resistenziali di sinistra. Per quanto concerne invece la RSI, pochi e scarni riferimenti del tutto incidentali emergono dalle dichiarazioni a favore di Cersosimo e Testa. Dei notori rapporti avviati prima con Dollmann e poi con Wolff e del relativo ruolo della “Nemo” nei primi abboccamenti, solo vaghi accenni nella dichiarazione a favore di Testa in parte censurati. In altri tempi abbiamo già avuto occasione di documentare[5] i contatti con Wolff tramite Dollmann, instaurati dal duo Testa e Cancarini-Ghisetti ( d’ora in poi Ghisetti) approcci inizialmente volti a trattative separate tra il Clnai e il Comando delle truppe tedesche in Italia[6]. Nel caso in questione, la dichiarazione di Elia a favore di Testa – la cui copia originale è depositata negli archivi USSME –è, come accennato, limitata da alcuni omissis per fatti classificati riservati. A margine del documento il curatore riporta questa postilla giustificativa: I passi segnati da puntini [omissis] sono stati compilati dall’Ufficio [AUSSME ] in sostituzione di documenti originali inclusi nel corpo della relazione stessa e che non possono essere divulgati. Comunque essi riportano integralmente dati relativi alla collaborazione data dal Dr. Testa alla missione “Nemo”. In ogni caso altri tasselli recuperati qua e là sono già sufficienti a chiarire i contorni di quel, non più tanto, segreto arcano. Ciò che ha censurato l’AUSSME , si trova infatti frazionato in vari archivi come il fondo Gianfranco Bianchi presso la Cattolica di Milano, in cui è depositato uno dei documenti reperiti da Viganò. Trattasi di una nota inviata in data 18 giugno 1981 al prof. Bianchi da parte del Ghisetti e concernente il profilo personale di Temistocle Testa con il quale durante la Rsi Ghisetti era in stretti rapporti. In questa sua, Ghisetti rivela che: “Nell’agosto 1944 il Comando interalleato di Caserta ebbe istruzioni da Allen Dulles di ‘agganciare’ il colonnello delle SS Eugen Dollmann che, secondo lui, rappresentava l’anello debole della catena nemica (…) L’incarico di organizzare l’operazione si svolse sotto l’etichetta ‘Nemo’ (…) Agganciare prima Testa eppoi Dollmann, fu un gioco da ragazzi perché i due non domandavano di meglio (…) Si omette il resto. Il prof G.B. ( Gianfranco Bianchi ) al quale sono destinate queste note, sommarie, a memoria senza il sussidio di documentazione, lo conosce bene, forse anche meglio di chi scrive”. Questa nota confidenziale trova conferma nell’articolo di storia locale concernente il duo Testa-Ghisetti a firma del ricercatore dell’Istoreco di Reggio Emilia, Ugo Pellini, il quale da parte sua aggiunge che sul far dell’autunno del 1944, Ghisetti si recò più volte a trovare Dollmann nel suo comando di Villa Rancina a Reggio Emilia e…non si trattava di visite di cortesia: il 14 ottobre, tramite Testa, consegna a Dollmann una lettera del segretario del card. Schuster, mons. Bicchierai. In questa lettera Sua Eminenza prega il tedesco d’intercedere [ testuale nella lettera: “.. volerVi fare mediatore” n.d.r. ][7] presso il feldmaresciallo Kesserling. (…) Da parte sua il cardinale si mette a disposizione come eventuale mediatore di un accordo fra il comando germanico e il Cln[8]. Stabilito che a partire dall’ottobre ‘44, il prefetto con funzioni di sottosegretario Testa, era stato definitivamente “agganciato”dal nemico, apprendiamo da fonte autografa Ghisetti della sua organicità al C.I.C. ( Counter Intelligence Corps) statunitense fin dal 6 ottobre 1943. Puntualizzazione non oziosa considerando che, a dar retta ai documenti ufficiali compilati dal cap. Elia, il Ghisetti fu inserito negli effettivi della “Nemo” solo l’11 gennaio 1945, mentre è addirittura del febbraio successivo il primo incontro a Milano fra Elia e Testa per la formale adesione di quest’ultimo alla stessa rete. Si tenga anche presente, che il periodo gennaio-febbraio 1945 coincide con il passaggio dal negoziato Cln-Wolff alle trattative di resa Wolff-Dulles[9] (operazione” Sunrise”); accordi effettuati sempre e comunque alle spalle della Rsi e sotto l’occhiuta supervisione, per non dire regia, del card. Schuster[10]. Da quanto precede dovrebbe ritenersi che per quanto concerne i primi abboccamenti dell’autunno ‘44, il cap. Elia sia rimasto in disparte se non del tutto assente, forse in quanto operativamente relegato a Milano. Ma anche Testa e Ghisetti avevano i loro uffici a Milano, uffici dai quali il primo dirigeva l’Organizzazione Italiana del lavoro (O.I.L.) ed il secondo esercitava la carica di Commissario ai trasporti della Lombardia, ed è pertanto inverosimile che, nonostante l’intensa attività da essi svolta in precedenza, non avessero ancora stabilito formali rapporti con quel capo struttura in nome della quale avevano “agganciato” e trattato col comandante in capo delle SS in Italia. Plausibile o meno che fino al 1945 fossero rimasti ambedue ignoti ad Elia, ciò è sicuramente escluso per quanto concerne il capo maglia ‘Nemo’ di Parma, responsabile territoriale per la contigua Reggio Emilia, don Paolino Beltrame Quattrocchi, braccio sinistro del card. Schuster essendo il destro notoriamente appannaggio del fido messo diplomatico fra l’Arcivescovado di Milano e l’OSS di Berna, don Bicchierai. Notoriamente d. Paolino preferiva esplicarsi in ruoli operativi dove poteva cimentarsi in spregiudicate iniziative. Circa gli stretti rapporti intercorsi fra d. Paolino e Schuster, ne abbiamo già ampiamente trattato [11] per cui non ci ripeteremo. Anche perché grazie a nuovi documenti reperiti all’AUSSME da Viganò, il quadro già multiforme delle attività svolte all’epoca da d. Paolino si arricchisce- senza tuttavia esaurirsi – di una sua relazione datata 24 luglio 1945, concernente l’opera da lui svolta dall’8 settembre 1943 al 9 maggio 1945[12] ( sarebbe interessante apprendere anche del periodo successivo, così come dei suoi eventuali rapporti con il confratello, di Fede e di Servizi, don Giuseppe Cornelio Biondi ). Ad ogni modo, l’8 settembre troviamo d. Paolino in licenza da cappellano militare del V° Raggr. G.A.F. (Guardia alla Frontiera a Fiume) nella sua casa paterna a Roma. Alla data del 16 settembre, d. Paolino rivela d’essere già in relazione con i vertici del SIM-Marina, agevolato in ciò dal fatto che esponenti del SIM erano soliti incontrarsi nella sua abitazione romana che in quel periodo serviva da rifugio perfino ai familiari dell’ammiraglio De Courten. Nel corso di tali riunioni, presente anche il fratello, don Tarcisio Beltrame – lui pure cappellano militare addetto allo S.M. della Marina – d. Paolino venne ufficialmente inserito nei ranghi del SIM- Marina. Scrive infatti d. Paolino che, instaurati alcuni accordi preparatori prima a Trieste e poi a Milano ( tappe da tener presente nei successivi sviluppi)…decisi di rientrare alla mia sede normale di Parma, investito di precise istruzioni a carattere particolarmente informativo militare, dai suddetti ufficiali superiori e dall’allora comandante militare di Roma. Giunto a Parma il 6 gennaio 1944, d. Paolino prese immediato contatto col Comandante militare della provincia di Parma, generale Umberto Fabri al quale, come egli scrive: … aprii subito l’ animo [ ottenendo] oltre alla sua incondizionata approvazione, vario appoggio nell’occultare e favorire l’attività mia e dei miei primi collaboratori. Collaboratori che d. Paolino fece chiamare alle armi dal gen. Fabri, al fine d’inserirli in posti chiave del Comando provinciale ( 43° C.M.P ) . Oltre ai militari, per lo più ufficiali e graduati, d. Paolino riuscì a far ingaggiare altri suoi sodali nel personale civile del Comando militare e fra questi l’italo olandese e suo fido collaboratore, Riccardo De Haag, assunto con falsa identità in un ufficio del C.M.P. da dove poteva consentire a d. Paolino…di venire regolarmente in possesso di tesserini da ufficiale e da sottufficiale dell’esercito repubblicano, di carta intestata [e] timbri del Comando provinciale. La massiccia infiltrazione operata nel C.M.P. permise a d. Paolino di manovrare a sua discrezione all’interno della struttura facendo per es. allontanare dal Comando gli elementi che potevano intralciare l’azione sovversiva in atto. Una delle più note quinte colonne inserite da d. Paolino nel C.M.P. il tenente del genio alpino Giovanni Nadotti, vanterà in una sua relazione post bellica d’aver spinto alla sedizione centinaia di militari del Comando, duecento dei quali sarebbero stati indotti a disertare e a congiungersi alle formazioni partigiane già ben istruiti ed equipaggiati[13]. Questa struttura creata a livello locale da d. Paolino, andò a saldarsi nell’ aprile 1944, alla nascente rete ‘Nemo’ dopo un incontro a Parma fra Elia e d. Paolino, il quale continuò a dirigere comunque la maglia di Parma e dintorni al contrario di De Haag che, invece, preferì seguire Elia a Milano in veste di suo vice. Tornando alla relazione di d. Paolino, emerge fra l’altro che:..in maggio pur conservando stretto collegamento con ‘Nemo’ istallatosi a Milano, potei penetrare nell’ambiente del Tribunale speciale [allora operante a Parma ] dove, in breve tempo rivelai la mia posizione al sostituto P.G., ten. colonnello della Gnr Vincenzo Cersosimo, dal quale ottenni la piena collaborazione per la liberazione e il proscioglimento di numerosi detenuti politici, collaborazione che durò costante sino all’ultimo, portando, tra l’altro, alla consegna in mie mani, della serie completa dei timbri del Tribunale speciale ed alla sottrazione dell’incartamento processuale a carico di Ferruccio Parri (pag. 162)…oltre ad un certo numero di fogli di scarcerazione firmati in bianco ( pag. 226). Infatti capita perfino che a sua volta Cersosimo attiri in area ‘Nemo”, lo stesso presidente del Tribunale Speciale, gen. Mario Griffini ( cfr.pag. 225).Questo – e quant’altro abbiamo già trattato in precedenti articoli – per quanto concerne l’ambito Rsi, giacché d. Paolino non trascurò d’infiltrare con gli stessi metodi anche i centri resistenziali locali e non, partendo col far nominare l’agente ‘Nemo’, cap. carrista Max Casaburi, Capo di S.M. del Comando piazza del Cln di Parma; Casaburi si sdebitò chiamandolo a sua volta a dirigere il delicato ufficio del servizio informativo partigiano della provincia (Sip). Poco tempo dopo, allorché il comunista Menconi, Capo del Comando piazza di Parma, rimase vittima di un agguato tedesco contro l’intero vertice partigiano riunitosi a Bosco di Corniglio, fu lo stesso Casaburi a surrogarlo nella carica, cedendo il suo posto di Capo di S.M. Piazza ad altro affiliato SIM-Nemo, Tommaso Mori Checcucci[14]. E siccome insieme al Comandante Piazza del Cln di Parma, era deceduto nell’imboscata anche il Comandante Unico operativo, Giacomo di Crollalanza, da poco eletto C.U. dalle varie formazioni partigiane operanti in provincia, d. Paolino si cimentò nel sostituirlo con altro elemento che gli era stato direttamente segnalato da Elia, ignorando disinvoltamente l’intralcio rappresentato dalla pretesa delle bande partigiane di eleggersi il loro nuovo comandante unico. Senza apparenti ostacoli, d. Paolino ottenne la delega di comando da parte del Comando Unico Militare Emilia Romagna (CUMER) a favore del suo pupillo, l’ ex ufficiale di S.M. nella campagna d’Africa, col. Paolo Ceschi, in quel momento limitato dal fatto di trovarsi detenuto nelle carceri di Parma. Organizzarne l’evasione per d. Paolino, che delle carceri si era fatto nominare cappellano, corrispose al semplice onere d’intestargli uno dei vari fogli di scarcerazione firmati in bianco di cui disponeva. In attesa della nomina ufficiale, il col. Ceschi fu accolto da d. Paolino all’interno di quella che era la sua base operativa, ossia l’abbazia di S. Giovanni a Parma. Disgraziatamente la procurata evasione del Ceschi unita ad altri gravi fatti nel carcere di Parma, comportò la fucilazione di tre agenti di custodia proprio nel mentre d. Paolino si era fatto inaspettatamente ospedalizzare in modo, forse, da poter così ostacolare una sua eventuale chiamata in causa che di consuetudine non ebbe a verificarsi.[15]. Sebbene più nella forma che nella sostanza, il col. Ceschi divenne infine comandante unico. assumendo per l’occasione l’incauto nome di battaglia di “Gloria”, una gloria presto infranta da certi suoi ignominiosi comportamenti.[16]. A parte la massiccia infiltrazione locale testè illustrata, la ‘Nemo’ cercò d’insinuarsi anche nei Cln di Milano e Trieste, tramite, rispettivamente, De Haag e quel tal cap. Podestà di cui ci siamo già largamente interessati in altri tempi [17]. Per quanto riguarda De Hagg, che avevamo lasciato sulle orme di Elia in direzione di Milano, fruendo delle note benedizioni dall’alto, scalò regolarmente i vertici del Cln milanese[18]. Restava ancora da infiltrare il Clnai e anche per questo compito si distinse d. Paolino segnalando a Schuster l’ elemento giusto nella persona del salesiano don Francesco Beniamino Della Torre, trasferito nel settembre ’44 su disposizioni di Schuster da Parma a Milano con l’incarico d’introdursi nel Clnai milanese come cappellano o prete partigiano; l’importante era di porsi nella condizione di fare da trait d’union fra l’Arcivescovado e i massimi esponenti del Clnai. Per avere uno stabile controllo su avvenimenti e persone, d. Della Torre, con l’ autorizzazione di Schuster, spalancò le porte dell’Istituto salesiano S. Ambrogio ai vari rappresentanti del Clnai , i quali non mancarono di apprezzare l’offerta facendone subito la loro principale sede operativa fino al 25 aprile quando nella ‘sala verde’ dell’Istituto salesiano costituirono quel sedicente Comitato insurrezionale del Clnai che darà il via alla pretesa insurrezione .[19]. Non meno ambigua la missione affidato all’emissario ‘Nemo’, Luigi Podestà, ennesimo capitano di corvetta ceduto al SIM[20] dalla Marina, il quale già faceva parte del nutrito gruppo di ufficiali che dal settembre del 1943 si riunivano regolarmente nell’abitazione romana di d. Paolino. Munito di regolari credenziali del Clnai procurate da De Haag, che insieme a d. Paolino lo accompagnò a Trieste, Podestà entrò nel Cln locale come incaricato speciale del Clnai col compito di appianare i noti dissidi che erano sorti all’interno del Cln triestino fra le due anime nazionaliste, italiana e slava, essendo però suo vero scopo quello di organizzazione un fronte unito antislavo, senza preclusioni fra partigiani anticomunisti dell’’Osoppo’ e marò della Decima. Fronte unitario che doveva essere supportato perfino da reparti della S. Marco del Regno del sud che al momento opportuno dovevano sbarcare a Trieste dal mare. Che questo progetto fosse in fase avanzata, lo si rileva da quanto Borghese ha scritto nelle sue memorie affermando di aver ricevuto il 22 aprile 1945 un messaggio, tramite l’ing. Giulio Giorgi:…nel quale la Marina del Sud chiedeva il mio estremo intervento affinché ogni residua energia dei reparti della X° fosse impiegata su tre direttrici: salvataggio delle industrie del Nord, del porto di Genova e la difesa della Venezia Giulia, di Trieste e dell’Istria contro il pericolo di una occupazione titina. Il messaggio entrava poi nei dettagli di una collaborazione tattica tra le forze della Decima che avrebbero dovuto difendere Pola e Trieste e le forze del Sud che, secondo il documento, si stavano ammassando ad Ancona, pronte per essere traghettate al di là dell’Adriatico. Giorgi mi aveva detto testualmente: ‘Tenete ancora per poche ore in Venezia Giulia, perché arriveranno subito gli italiani da Ancona. Portate un bracciale tricolore per farvi riconoscere[21]. Il giorno dopo Borghese si mise a rapporto da Mussolini per metterlo al corrente della proposta che gli era pervenuta dalla Marina del Sud, proposta che il Duce tanto apprezzò da nominare su due piedi comandante di tutte le FF.AA. della RSI dislocate in Venezia Giulia lo stesso Borghese con lo scopo di dare corso immediato all’iniziativa. Preso evidentemente alla sprovvista, Borghese si riservò di decidere entro sei ore e alla fine rinunciò adducendo che in quanto ufficiale di marina non si considerava idoneo a dirigere operazioni belliche terrestri.[22]Mentre il cap. Podestà, quale ufficiale di collegamento fra‘Osoppo’ e marò del Nord e del Sud attendeva dal Comando della X° di Trieste l’arrivo dei “nostri”, si vide improvvisamente circondare da tutt’altri belligeranti dell’ultima ora i quali lo bloccarono per consegnarlo ai titini i quali dopo averlo strizzato per bene con pesanti interrogatori, lo internarono per diversi anni in campo di prigionia[23]. Dal verbale redatto all’epoca dagli slavi emerge che…Podestà, alias Poletto, sarebbe un genovese inviato ufficiale del Clnai con incarichi speciali e cioè di organizzare il CEIAS [Comitato Esecutivo Antifascista Italo Sloveno ]. E’ risultato però che egli era inviato direttamente da Bonomi con ampi poteri per raggiungere una coalizione di tutti gli elementi italiani, di qualsiasi colore politico, coalizione che avrebbe avuto il compito di arginare l’avanzata dei partigiani fino all’arrivo delle truppe alleate[24]. Intreccio questo che rimanda all’analoga struttura “Gladio”, struttura che non a caso si costituì proprio sulle ceneri dell’organizzazione “O”, cioè la vecchia “Osoppo”, che era stata inizialmente pilotata , ideologicamente e strategicamente, dagli affiliati “Nemo”[25] Se dovessimo tuttavia personalizzare la “Nemo”, il volto principale non sarebbe tanto quello del cap. Elia, per quanto ne avesse formalmente il comando, ma quello più sfuggente e volpino di d. Paolino. Se guardiamo, infatti, alle principali direttrici sulle quali si è concentrata l’azione della “Nemo”, si vede che i tre poli fondamentali, geograficamente identificabili in Parma, Milano e Trieste, sono gli stessi in cui d. Paolino a partire dal settembre 1943 e fino al gennaio 1944 aveva iniziato a deporre le “uova di drago” clerico-monarchiche destinate a dischiudersi con i primi tepori primaverili. A Milano c’era, infatti, il card. Schuster in veste – ci si lasci esagerare – di “motore immobile” di tutte le varie trame dirette e indirette, ma il Deus ex machina, il sottostante demiurgo cui aspettava il compito di materializzare le vibrazioni generate dal motore immobile cardinalizio, era appunto d. Paolino che, infatti, a Schuster rispondeva molto più che non al capo missione Elia. La “missione Nemo” si è man mano andata estendendosi d’importanza fino a raggiungere i livelli solo oggi in parte conosciuti, in quanto ispirata ma soprattutto tutelata e protetta dal cardinale milanese. Quando poi la trama si sviluppò fino a coinvolgere il centro OSS di Berna, autonomamente pilotato da un pari reazionario come Allen Dulles, le sinergiche potenzialità della “Nemo” si elevarono esponenzialmente potendo contemporaneamente contare sulla collaborazione di SIM, OSS, Vaticano, monarchia e, non ultimo, il capitalismo del Nord che puntava tutte le sue carte sull’accordo Wolff – Cln mediato da Dulles – Schuster per salvare gli impianti industriali sia dal sabotaggio dei Tedeschi prima, che dalle pretese sociali della sinistra rivoluzionaria poi. Gran parte dei maggiori capitalisti e finanzieri elargirono ingenti somme a fondo perduto a sostegno della “Nemo” tant’ è che a fine guerra il bilancio economico della “Nemo” risultò in attivo di oltre 12 milioni di lire d’epoca avendo ricevuto il cap. Elia al momento del suo sbarco al Nord, una dotazione iniziale di sole 100 mila lire.[26]. Al pari di Parma, Trieste era stata fin dai primi anni di guerra una base d’azione dell’allora cappellano militare d. Paolino Beltrame il quale da Trieste, in stretta collaborazione con il commissario capo di Fiume, Giovanni Paolucci – nipote del vescovo salernitano di Montagna, Giuseppe Maria Paolucci – smistava il traffico di ebrei slavi in cerca di rifugio in Italia e ciò con il pieno seppur tacito assenso – almeno fino al settembre del ’43 – delle varie autorità locali.[27]. A questo punto sorge una domanda pertinente: chi erano le autorità triestine del tempo? Risposta: dal 1938 fino all’inizio del 1943 prefetto di Trieste era quel tal Temistocle Testa del quale abbiamo trattato in precedenza. A sostituire Testa alla prefettura di Trieste venne in seguito chiamato Agostino Podestà, plausibilmente legato da vincoli di parentela con l’agente “Nemo”, Luigi Podestà[28]. In effetti, il prefetto Podestà venne rimosso nel febbraio 1944 e collocato d’ufficio a riposo nonostante la sua giovane età (classe 1905), in quanto egli pure invischiato nella fuga e relativo occultamento in Italia di ebrei croati. Deferito poi alla Commissione per l’epurazione circa il suo passato di ex Console della Milizia, marcia su Roma e funzionario della Rsi, nel gennaio 1946 il prefetto Podestà fu giudicato non passibile della perdita del diritto alla pensione concessa dalla Rsi, per le altre acquisite benemerenze. [1] Di tutt’altro rilievo, la diversa missione “Nemo” incaricata nel maggio 1945 di recuperare segretamente i documenti più scottanti presso ill ministero degli Esteri della Rsi a Salò ( Cfr. Agenzia ADNKRONOS 26.3.1997 “Mussolini-Churchill fatto sparire dal R.E.?”). [2] F. Gnecchi Ruscone “When being Italian was difficult” Milano, 1999 [3] Annota Viganò nella sua introduzione di aver incontrato casualmente il Gnecchi Ruscone nell’abitazione dell’archivista e ricercatrice, Susanna Sala Massari, con la quale ha poi curato l’appendice documentale al testo. [4] La lista dei collaboratori’ Nemo compilata da Elia nell’agosto 1945 comprende una pluralità di soggetti che spaziano da suor Giovanna dell’ospedale Niguarda alla Crespi Giuseppina, dal sen. Borletti al duca Marcello Visconti di Modrone i quali si erano limitati a finanziare, ospitare o agevolare membri della rete o lo stesso Elia. Per contro vengono ignorati membri sicuramente effettivi della ‘Nemo come nel caso del ten. Nadotti o del cap. Podestà più volte citati dal presente articolo. [5] “Nome Gladio, paternità Nemo” – Rinascita n. 24 del 10 febbraio 2009, pp.14-15. [6] I primi contatti riguardavano l’ipotesi di accordo fra Comando supremo tedesco in Italia e Clnai concernenti la garanzia di un pacifico ripiegamento delle truppe tedesche verso il Brennero senza sabotaggi delle industrie e principali infrastrutture del Nord qualora si fosse verificato il previsto sfondamento alleato sul fronte italiano entro l’autunno 1944. Accordo fatto alle spalle della RSI che, infatti, si sarebbe trovata da sola a contrastare l’avanzata alleata da una parte e la mobilitazione partigiana dall’altra. In seguito della mancata avanzata del 1944, le trattative si orientarono poi sulla resa separata delle forze germaniche in Italia. [7] Lettera riprodotta nel libro di I. Schuster “Gli ultimi tempi di un regime” 1946, pag. 35. [8] U. Pellini Giuseppe Cancarini Ghisetti. Il partigiano combattente dei servizi segreti “ Ricerche Storiche” n. .105 – aprile 2008, R.E. [9] All’inizio del marzo ’45, il Clnai venne di fatto escluso dalle trattative ormai avviate e che stavano proseguendo verso una resa vera e propria dei Tedeschi in Italia. Così almeno la nota segretissima in data 2 marzo ’45 del Comando Superiore Alleato (C.S.A.) indirizzata allo stesso Clnai del seguente tenore: “ In base all’accordo fra il Clnai col C.S. [Comando Superiore ? ], dire che il Clnai obbedirà a tutti gli ordini del C.S.A.” Documento riportato da P. Savani In “Antifascismo e guerra di liberazione a Parma”, 1972, pag. 224. [10] Negli archivi NARA risulta depositato un memorandum informativo dell’OSS in data 27 dicembre 1944 concernente un piano di pace segreto fra Tedeschi e diplomazia vaticana (NARA –registr OSS 1940-46 – Record group 226, box 1 . [11] In particolare Cfr.MSI c’è poco da salvare. Chiesa e capitale per la svolta a destra in “Rinascita” n. 264 del 14 dicembre 2004, pp. 12-14. ( reperibile in rete ). [12] Doc. n.11 pp 159-165. [13] Cfr.” Relazione sull’attività svolta dal ten. Nadotti Giovanni nel periodo marzo 1944-maggio 1945” Documento originale depositato dallo scrivente presso l’Istoreco di Parma – Fondo donazione Morini. [14] Per quanto già inseriti anche ad alti livelli nei vari gangli partigiani, gli affiliati “Nemo” non si consideravano affatto “partigiani” bensì militari a tutti gli effetti, tanto è vero che a guerra finita il cap. Elia propose per loro il riconoscimento da parte del Comando generale CVL , la concessione del brevetto di partigiani a posteriori. [15] E’ fuor di dubbio che d. Paolino all’epoca fosse caldamente protetto se non proprio dalla Provvidenza divina, certamente da una qualche Autorità locale. Descrivendo la perquisizione eseguita dalla polizia repubblicana nel convento della chiesa di S. Giovanni, P. Gregorio Maggi narra che:…dalla scrupolosa perquisizione, l’unica stanza che passò inosservata fu quella di P.Paolino, allora cappellano delle carceri, che conservava nella sua cella diversi volantini di propaganda partigiana e vari documenti relativi allo scambio di prigionieri partigiani detenuti in carcere. ( Testimonianza raccolta nel 1986 da P. Bonardi e dallo stesso riportata in “La Chiesa di Parma e la guerra 1940-45”. 1987, pp. 93-94) [16] “Gloria” veramente effimera, visto che nel successivo luglio 1945 il col. Ceschi-“Gloria” fu arrestato in flagrante reato di pedofilia. [17] Nome Gladio, paternità Nemo cit. [18] Dalla scheda redatta da Elia sul De Hagg:…Dotato di particolare senso politico, ha compiuto efficacissima opera di penetrazione nell’ambito politico-militare clandestino [ Cln ] sino ad essere nominato vice comandante della Piazza di Milano (pag. 192). [19] L’ordine di insurrezione fu impartito dopo che era già dilagato il disordine in una città [ormai ] priva di autorità note e < una vera insurrezione > non ci fu ( F. Motto “Storia di un proclama” 1995 n. 37 pag. 1111.) [20] Su ordine degli alleati, Umberto di Savoia in data 16 novembre 1944 è costretto a sciogliere il vecchio SIM che contemporaneamente viene fatto confluire in un nuovo servizio di controspionaggio nominalmente italiano anche se integralmente gestito dall’OSS attraverso agenti specialisti di affari italiani quali Angleton, Offie, Tasco e Brenner. [21] J.V. Borghese e la X° Flottiglia Mas ( a cura di M. Bordogna) 1995, pag. 192. [22] Id pag. 193. [23] Evidentemente gli alleati, probabilmente Inglesi, bocciarono in extremis il progettato sbarco, [24] In AS 1584, zks, ae 451 – Archiv Slovenije di Lubiana – riportato da C. Cerignol in “Luci e ombre del Cln di Trieste”. [25] L’organizzazione O venne costituita ufficialmente dal gen Raffaele Cadorna nel 1946 sulla precedente struttura della brig. Partigiana “Osoppo”. Nel 1956 l’organizzazione O fu sciolta per far posto alla “Gladio” atlantista. [26] La “Nemo” ricevette fra l’atro 3 milioni da Banca Unione, 10 milioni da Pirelli,, 4 milioni da gruppi industriali vari mentre fra le uscite risultano versamenti a tali sigg. x, y, z di un milione netto di lire cadauno oltre a tale “Dick” a cui fu conferito un importo di 3 milioni di lire, pagamenti eseguiti fra il marzo e l’aprile 1945 ad evidenti fini corruttivi (Cfr. “Missione <Nemo>” cit. pag. 180-181. [27] Sul caso particolare del commissario Paolucci ci riserviamo di approfondire la sua figura con apposito articolo. [28] Il nesso famigliare fra Agostino e Luigi Podestà risalirebbe all’ex prefetto del Regno Emilio Podestà, genovese come Luigi mentre Agostino risulta, invece, essere nato nel 1905 a Novi Ligure Franco Morini, Missione “Nemo”, Il Corriere d’Italia, 25.02.2012