All’incontro di Malta Eisenhower si dimostrò disponibile a consentire la partecipazione italiana alla guerra

Il 14 settembre 1943 si ebbero i primi colloqui tra i rappresentanti italiani e quelli Alleati, durante i quali questi ultimi poterono farsi un’idea definitiva delle reali condizioni dell’apparato militare italiano <33.
Il giudizio dei generali alleati venne riassunto da Mac Farlane, capo della Missione militare alleata, in questo telegramma trasmesso il giorno successivo al quartier generale angloamericano: «A parte la presa di possesso della flotta italiana, di certo noi non possiamo trarre nessun vantaggio virtuale dall’esercito, fatta eccezionale forse per i soldati che potremmo impiegare come lavoratori forzati nei porti e lungo le vie di comunicazione […Essi] mancano di scarpe e di munizioni e hanno armi del 1918» <34.
Il 21 dicembre lo stesso Mac Farlane comunicava verbalmente a Badoglio che, « per ordine superiore, le truppe italiane non avrebbero più dovuto partecipare a combattimenti» fino a nuove disposizioni <35.
All’incontro di Malta del 29 settembre, peraltro, Eisenhower si dimostrò disponibile a consentire la partecipazione italiana alla guerra, sia pure limitata ad alcune unità <36. Inoltre, pochi giorni prima dell’incontro, forse per vincere eventuali resistenze da parte delle autorità italiane ad accettare le pesantissime condizioni dell’armistizio lungo <37, gli Alleati avevano permesso la creazione del primo Raggruppamento motorizzato, una piccola unità forte di circa 5.000 uomini, che avrebbe partecipato alle operazioni verso i primi giorni di dicembre <38.
Ma questa fu l’unica concessione fatta dagli angloamericani. La questione venne ancora trattata il 17 ottobre 1943 in un promemoria presentato dal gen. Taylor della Missione militare alleata ad Ambrosio <39. In esso si diceva espressamente che «a causa delle difficoltà di comando, di sostentamento e di rinnovo, non [era] previsto l’impiego su vasta scala di forze armate italiane come truppe combattenti», le quali per il momento restavano limitate al I° Raggruppamento motorizzato in corso di allestimento. La maggior parte delle unità doveva essere impiegata invece «per i servizi di guardia, per la protezione contro i sabotaggi e per la sicurezza interna» (10 divisioni, di cui 3 in Sardegna, 1 in Sicilia e 6 nelle altre regioni via via liberate), nonché per la difesa costiera e antiaerea e come mano d’opera per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte dal nemico <40.
Tra i motivi che spinsero gli Alleati ad adottare questa politica vi fu certamente il costo che il riarmo dell’esercito italiano avrebbe comportato. Inoltre le autorità militari angloamericane non nascondevano la loro sfiducia nell’efficienza bellica delle truppe italiane e soprattutto nelle capacità di comando dei quadri ufficiali <41.
Tuttavia «l’atteggiamento sfavorevole dei comandi militari fu importante solo in un primo tempo» 42. Più che le ragioni tecniche, contarono invece le motivazioni politiche e diplomatiche. A questo proposito, la condotta alleata appare
segnata da una duplice contraddizione. In primo luogo, quella tra gli interessi politici (in particolare inglesi) che consigliavano di limitare al massimo la partecipazione dell’Italia al conflitto, in vista soprattutto delle più dure condizioni che ad essa si sarebbero potute imporre al momento delle trattative post-belliche, e l’esigenza di non punire eccessivamente lo stato italiano e il gruppo monarchico-badogliano perché ciò avrebbe provocato una sicura destabilizzazione del quadro politico e sociale. In secondo luogo, la contraddizione tra l’esigenza di utilizzare comunque l’apparato militare italiano, sia pure e prevalentemente in funzione di supporto logistico e per il mantenimento dell’ordine pubblico (disimpegnando così le forze alleate di compiti gravosi ma secondari) e la politica di epurazione dei quadri e di democratizzazione delle strutture dello stato portata avanti soprattutto dagli americani.
L’atteggiamento alleato nei confronti di questo problema risultò determinato, nei mesi successivi del conflitto, proprio dalla dialettica di questi opposti interessi, oltre che dal contrasto tra le posizioni inglesi e quelle americane <43.
[NOTE]
33 Cfr. Ufficio Storico SME, Il I Raggruppamento motorizzato, all. 4.
34 H. Butcher, My Three years with Eisenhower, New York, 1946, p. 420.
33 II contributo italiano alla lotta contro la Germania, in «Politica estera», agosto 1946, p. 986.
36 Eisenhower riassunse la posizione alleata in questo modo: «Le truppe italiane hanno ormai attraversato tre anni di guerra. Tuttavia è molto importante che le truppe concorrano a liberare il territorio italiano. Perciò io sceglierò le divisioni migliori che dovranno essere armate con l’armamento delle meno buone. Le migliori al momento della battaglia devono essere perfettamente equipaggiate. Perciò prego il generale Badoglio di prendere subito le truppe e cominciare
l’organizzazione per armare le migliori. Noi non possiamo riequipaggiare tutto un esercito perché siamo troppo impegnati. Perciò il maresciallo Badoglio deve riuscire a creare delle divisioni di <elite> (insiste su questa parola) con i propri mezzi. Naturalmente noi aiuteremo con le enormi quantità di preda bellica che abbiamo, ma non dobbiamo darla a tutti e disperderla in giro, ma concentrarla per i migliori. Appena saranno pronte queste divisioni occorre avvertirci e noi le ispezioneremo e poi saranno messe in azione».
37 Cfr. G. conti, Aspetti della riorganizzazione, cit., p. 92.
38 L’autorizzazione all’impiego del 1° Raggruppamento motorizzato fu data il 24 settembre 1943, si veda II contributo italiano alla lotta contro la Germania, op. cit., p. 986.
39 ufficio storico sme, Il I Raggruppamento motorizzato, all. 10.
40 Che il servizio in ordine pubblico e l’impiego come mano d’opera fossero, per gli Alleati, i due compiti principali delle forze armate italiane appare anche da una intervista di Alexander, rilasciata al «Times» del 25 ottobre 1943, nella quale il generale inglese affermava: «Qualsiasi aiuto degli italiani è stato per noi un abbuono. Due forme di tale aiuto sono stati i carabinieri che hanno mantenuto la legge e l’ordine in Italia e in Sicilia, lasciando così liberi i nostri soldati e risparmiando ai nostri generali ogni ansietà, e le truppe italiane che hanno fornito lavoro».
41 «I capi di Stato maggiore britannici sanno benissimo che il valore degli italiani come belligeranti attivisti è trascurabile», scriveva alla fine del settembre 1943 un funzionario del Foreign Office, in D. Ellwood, L’alleato nemico, cit., p. 59. Si veda inoltre Arrigo Boldrini – Aldo D’alessio, Esercito e politica in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 17.
42 E. Aga-Rossi Sitzia, La situazione, cit., pp. 39-40, la quale osserva pure che «le truppe italiane necessitavano di addestramento per poter essere impiegate utilmente, e le autorità militari non desideravano addossarsene il peso anche in considerazione della non lunga durata prevista per la campagna d’Italia».
43 II ruolo degli inglesi, nell’imporre a tutta la questione una soluzione sostanzialmente restrittiva, fu sicuramente determinante. Significative, a questo proposito, sono le impressioni che i rappresentanti italiani riportarono dalla riunione di Borgo Santo Spirito del 21 dicembre 1943, durante la quale fu accettata «come questione di principio, una più ampia partecipazione italiana alle operazioni avvenire». «Animati di maggior comprensione sono apparsi i generali Eisenhower e Smith; quest’ultimo è quello che in sostanza ha trattato i problemi relativi alla parte italiana. Il generale Alexander è sembrato un po’ meno accessibile, per quanto, una volta assicurato che saranno soddisfatte alcune sue particolari richieste, si sia associato alle conclusioni, sia pure con un certo sforzo». Ufficio Storico SME, Il I Raggruppamento motorizzato, all. 16. Per le posizioni degli americani si veda E. Aga-Rossi Sitzia, La situazione, cit., p. 39, n. 93.
Loris Rizzi, L’esercito italiano nella guerra di liberazione: appunti e ipotesi per la ricerca, Italia contemporanea (già Il Movimento di liberazione in Italia dal 1949 al 1973), fascicolo 135, annata 1979, Rete Parri

Il progetto della cobelligeranza proveniva dal campo britannico, dove era andato maturando sin dall’8 settembre allo scopo di sfruttare ogni vantaggio che gli italiani fossero stati in grado di fornire nella campagna militare contro i tedeschi <274. All’indomani della resa, Churchill definiva la politica che avrebbe caratterizzato il suo atteggiamento verso le vicende italiane nei mesi successivi, finalizzata ad una «conversion of Italy into an active agent against Germany». Sebbene un riconoscimento in senso compiuto dell’Italia come alleato non combaciasse con le circostanze contingenti, bisognava lavorare affinché fosse concesso agli italiani di guadagnarsi una posizione rispettabile tramite un utile servizio contro il nemico comune. Ogni aiuto sarebbe stato non solo facilitato, ma ricompensato secondo le due espressioni divenute famose col tempo: l’Italia doveva guadagnarsi il passaggio (“work her passage”) sul principio del “payment by results” <275. Una settimana più tardi Macmillan, di ritorno da Brindisi, proponeva un nuovo corso d’azione che, intenzionato ad evitare i pericoli di sedimentazione di una posizione in cui l’armistizio andasse progressivamente perdendo di rilievo, si fondasse su una formula che fosse di dignità inferiore rispetto all’alleanza, ma superiore rispetto all’armistizio. In quella che è la prima coerente proposta di cobelligeranza per gli italiani, il Resmin subordinava, seguendo la linea impostata da Churchill, il riconoscimento provvisorio del governo al rispetto di determinate condizioni, riprese poi da Eisenhower nello schema inviato a Washington <276.
Le reazioni alla proposta algerina di associare l’Italia alla lotta contro i tedeschi e di concederle una posizione intermedia tra la subordinazione e l’alleanza erano variegate nel tono e nella sostanza. In campo britannico queste erano generalmente positive, a riprova delle origini inglesi dell’intera vicenda. I Chiefs of Staff, adottando una prospettiva puramente militare, accoglievano con favore l’ipotesi di associazione bellica degli italiani, avendo in mente il modo di ottenere da questi il massimo aiuto possibile <277. Churchill, in fondo primo fautore di un’inclusione parziale del governo Badoglio tra le fila alleate, si diceva certo che fosse di vitale importanza per gli interessi alleati «to build up the authority of the King and bring about administration as a government». Le pressioni alleate dovevano concentrarsi sulla trasformazione del governo in una coalizione antifascista quanto più ampia possibile, senza che questo precludesse la convocazione di libere elezioni a guerra conclusa <278. Dubbi da più parti si erano levati sulla cobelligeranza e sull’implicito riconoscimento che questa comportava. Se gli italiani fossero diventati alleati, si leggeva in alcune analisi della situazione, questi sarebbero stati «more difficult to control and would certainly make demands on us which would be difficult to meet» <279. In sostanza, gli inglesi volevano garantire all’Italia una condizione che incoraggiasse da una parte il paese a partecipare attivamente alle attività antitedesche e mantenesse dall’altra l’integrità delle condizioni armistiziali, una condizione che, nonostante la collaborazione, fosse priva di alcun trattamento di favore <280. Stando alle parole del Primo Ministro, accogliere la proposta di Macmillan «would not entail repudiation of Italy’s status as a defeated nation nor would it grant her any privileges», ma avrebbe significato semplicemente la trasformazione dell’Italia in una nazione che combatteva al fianco degli Alleati <281. Diversi membri della Camera dei Comuni avevano espresso la speranza che il governo evitasse di riconoscere l’esecutivo brindisino quale legittimo governo d’Italia, esprimendo le riserve che d’altra parte erano condivise dallo stesso Foreign Office, convinto che Eisenhower si fosse spinto troppo «in the direction of admitting the Badoglio government to quasi-Allied status» <282. La linea tenuta dal governo inglese in Parlamento incarnava il compromesso raggiunto tra l’atteggiamento intransigente tenuto da Eden e dal suo ministero, sempre più schierati su una linea di fermezza verso l’Italia, e quello maggiormente pragmatico di Churchill, convinto quanto il collega della necessità di una resa che fosse realmente incondizionata, ma non disposto a spendere un solo giorno in più del necessario a fronteggiare i tedeschi in Italia. Per quanto non vi fosse alcuna intenzione di riconoscerne formalmente le funzioni, il governo Badoglio rimaneva senza dubbio l’unica legittima autorità in Italia con la quale gli inglesi fossero disposti a trattare <283.
In campo americano, dove il solo Murphy si distingueva per un pieno supporto alla nuova politica dell’AFHQ, l’approdo alla cobelligeranza era stato più sofferto <284. Hopkins, tra i consiglieri fidati del Presidente, metteva in guardia da un prematuro riconoscimento del duo al governo in Italia, siccome nessuno dei due «by any stretch of the imagination, can be considered to represent a democratic government». La sfiducia di Hopkins nei confronti del governo presente si colorava di pragmatismo nel constatare che la cobelligeranza avrebbe posto gli italiani sullo stesso piano degli altri alleati senza che se ne traesse un tangibile beneficio dal punto di vista militare; il riconoscimento di Badoglio rischiava inoltre di assumere un carattere semipermanente, essendo «very easy to recognize these people, but awfully hard to throw them overboard later» <285. Il Dipartimento di Stato non condivideva l’entusiasmo britannico per la conservazione al potere di Badoglio, la cui collaborazione non riteneva essenziale al successo delle operazioni in corso in Italia, e puntava piuttosto a promuovere un pronto inserimento di Sforza nello scenario politico italiano <286. Le raccomandazioni in merito giunte alla Casa Bianca, tuttavia, invitavano ad una momentanea ritenzione del governo Badoglio e della monarchia sabauda accompagnata dal mantenimento dell’amministrazione civile dei territori occupati saldamente in mani anglo-americane <287.
Malgrado l’opposizione di una fetta trasversale di attori politici alleati, la politica della cobelligeranza ideata da Macmillan e fatta propria da Eisenhower veniva messa in pratica alla fine di settembre. Sulla base delle necessità militari, Eisenhower riceveva autorizzazione ad avanzare raccomandazioni sull’alleggerimento delle condizioni armistiziali per favorire la partecipazione degli italiani alla lotta in corso e veniva istruito sulle modalità di rafforzamento dell’autorità di Badoglio e del Re; ben chiaro doveva essere il carattere transitorio dell’accordo concesso al governo italiano, che lasciava la scelta di una forma definitiva di governo alla fase postbellica. La cobelligeranza e un eventuale ammorbidimento del peso alleato sulle strutture della vita politico-amministrativa italiana sarebbero dipese dalla costruzione di un governo di coalizione su solide basi antifasciste e dall’accettazione dell’autorità di una commissione di controllo, in cambio delle quali la restituzione di parte delle aree liberate sarebbe stata concessa <288.
Ma cosa significava la cobelligeranza, quali erano le implicazioni pratiche di uno status scarsamente definito in un contesto istituzionale ancor meno ordinato? Dal punto di vista giuridico la trovata algerina era, come sostiene Gat, priva di significato, in quanto lasciava l’Italia nella bizzarra posizione di combattere contro l’alleato al fianco dei nemici <289, e da un punto di vista più squisitamente politico significava, come acutamente analizzato da Caccia, «trying to treat the Italian as friends and foes at the same time» <290. La politica italiana degli anglo-americani veniva elaborata nelle sue fondamenta concettuali da Eisenhower ad Algeri con i due telegrammi del 18 e del 20 settembre. Adducendo la scusa delle considerazioni di natura militare, il Comandante assumeva un ruolo politico cruciale, dettando la linea ai governi alleati e imponendo loro il riconoscimento del gabinetto italiano e l’abbandono dell’opzione di una versione integrale del governo militare. L’interventismo algerino non era ben visto dagli esponenti politici delle amministrazioni anglo-americane, da Londra in particolare, dove il Foreign Office aveva delle forti perplessità sull’invadenza mostrata da Eisenhower nella gestione delle politiche italiane. In una nota della fine di settembre 1943 si leggeva infatti che Londra e Washington, piuttosto che Algeri, dovevano rimanere «the pivotal centres of our policy towards Italy», mentre fino ad allora queste erano state frequentemente pressate dall’AFHQ «into taking decisions, in the interests of the short-term requirements of the Italian campaign, which have been undesirable from the point of view of our world policy» <291.
Badoglio non era la prima figura scelta dal comando militare alleato per facilitare il compito delle forze d’occupazione e la transizione dal governo militare all’autonomia delle istituzioni locali. Il 22 novembre 1942, a margine della campagna nordafricana, il generale americano Clark aveva raggiunto un accordo con Darlan che impegnava gli Alleati a supportare il governo locale e ad equipaggiare truppe francesi in vista di un loro futuro impiego nella lotta contro i tedeschi in cambio di un pieno supporto allo sforzo alleato durante l’offensiva in Tunisia. Il paragone Badoglio/Darlan era già presente nella stampa anglosassone della fine del 1943 ma, per quanto accostamento facile e intuitivo, non restituiva allora come adesso la complessità delle politiche di occupazione alleate e il modo in cui queste si modellavano sulle popolazioni soggette a seconda delle relazioni con queste intrattenute dalle forze di liberazione. Nella gestione dei territori occupati nel corso di Torch, ad esempio, gli Stati Uniti, responsabili dell’amministrazione civile e militare dell’area occupata, non erano ancora in una posizione di forza tale da permettere loro di dettare politiche a proprio piacimento e mancavano di esperienza anche basilare in quel settore. La differenza, sottile ma sostanziale, evidenziata dal percorso intrapreso dopo Husky stava nella ambigua collocazione dell’Italia nel quadro bellico di quegli anni. Il diverso trattamento riservato agli italiani prima, durante e dopo le operazioni di conquista era dovuto al fatto che mentre i francesi erano stati allontanati dal sodalizio con gli inglesi soltanto dall’invasione e dall’occupazione tedesca, gli italiani avevano scelto opportunisticamente quello che era parso essere il cavallo vincente nelle fasi iniziali della guerra. Se in Nord Africa gli Alleati si rapportavano con un alleato liberato, nonostante la dipendenza, subito convenientemente evaporata, dei territori africani dal regime collaborazionista di Vichy, in Italia si trovavano a relazionarsi con un nemico conquistato, con tutte le conseguenze che ne derivavano in termini di durezza dei comportamenti. Una tra le contraddizioni più importanti ma forse meno evidenti nella prima fase della politica inglese in Italia dopo lo sbarco del luglio 1943 riguardava l’indirizzo delle attenzioni britanniche che, come sarebbe divenuto sempre più evidente con il passare dei mesi, erano rivolte verso la figura di Badoglio e la conservazione del suo governo, perché ritenuti strumentali al recupero dell’egemonia britannica nella regione mediterranea e al perseguimento degli interessi strategici e politici nella penisola, ma non verso l’Italia, l’applicazione di una politica benevola nei confronti della quale avrebbe contraddetto lo spirito che aveva determinato l’entrata in guerra contro la potenza fascista. Certo, benché non ancora antifascista, il governo che firmava la resa e subiva l’occupazione e le dure clausole dell’armistizio non si poteva tecnicamente definire ancora fascista nel carattere e nelle politiche, considerato che la prima ondata dell’epurazione, con la cancellazione degli emblemi più vistosi del regime, aveva avuto luogo prima che gli Alleati mettessero piede sul continente <292. La mancanza di fiducia nei confronti della politica italiana non svaniva con la fine di Mussolini e risultava in tutta la sua chiarezza nella intricata questione della quota di partecipazione italiana alla guerra: secondo De Leonardis, «mentre a parole si invitavano gli italiani a combattere e si faceva dipendere la loro sorte futura dall’entità del contributo bellico fornito, di fatto si cercava di ridurre al minimo tale apporto» <293.
La cobelligeranza, tuttavia, non poteva essere pienamente accordata fino a quando gli italiani non si fossero decisi a dichiarare guerra ai tedeschi e quindi a passare attivamente nel campo alleato. Alla metà di ottobre, in conseguenza di questa necessità bilaterale e delle insistenze anglo-americane in merito, il Re firmava il documento che tramutava l’atteggiamento di malcelata neutralità in aperta ostilità verso i tedeschi. Nel corso delle due settimane precedenti, le principali pedine del potere alleato si erano mobilitate affinché si convincessero gli italiani ad agire quanto prima. Nel resoconto dell’incontro di Malta, Eisenhower indicava nella dichiarazione di guerra la priorità da raggiungere nell’evoluzione della collaborazione con il governo italiano e, pochi giorni più tardi, a seguito delle consultazioni avvenute tra i due leader, veniva a sua volta istruito dai Combined Chiefs ad esercitare pressione su Badoglio per ottenere l’approvazione del Re, l’unico pilastro dell’architettura istituzionale italiana a disporre dell’autorità per compiere un tale gesto <294. La mattina dell’11 ottobre, Caccia e Taylor avevano, dietro indicazioni del Comandante, insistito con il Maresciallo perché facesse a sua volta pressione sul monarca, e ottenevano da questi la promessa di usare la carta delle dimissioni nel caso il Re si rifiutasse ostinatamente di firmare <295. Piegate le resistenze sabaude, all’Italia era riconosciuto lo status di cobelligerante per mezzo di una dichiarazione tripartita che stabiliva di fatto la politica churchilliana del “payment by results”, secondo la quale sarebbero state accordate concessioni in rapporto al contributo offerto nello sforzo bellico alleato contro la Germania e ai progressi compiuti verso la democratizzazione delle istituzioni <296.
[NOTE]
274 Per alcuni approfondimenti sul tema della cobelligeranza nel rapporto tra il governo italiano e gli Alleati si vedano M. DE LEONARDIS, Gli Alleati e la cobelligeranza italiana 1943-1945: necessità militari e valutazioni politiche, Milano, 1988; S. LOI, I rapporti fra Alleati e italiani nella cobelligeranza: MMIA-SMRE, Roma, Ufficio Storico SME, 1986; K. BETTS-WILMOTT, Working Italy’s Passage: the Italian Army and the Allies’ Hopes for It in the Co-belligerency, 1943-44, BA Thesis, Fredericton, University of New Brunswick, 2004.
275 Si veda Churchill a Roosevelt, Review of Strategic Situation in Light of Italian Collapse, del 9 settembre, CAB 84/56. Simili posizioni erano riportate da Harriman a Hull in un resoconto di una conversazione con il Primo Ministro, aggiungendo di averlo visto tanto entusiasta grazie alla performance soddisfacente di Badoglio, il quale «had lived up in letter and spirit to the armistice and that, although we could never allow the Italians to be full allies, we ought to give them opportunity to redress themselves and if they behaved properly they should be rewarded for it», FRUS, Conferences at Washington and Quebec, 1943, p. 1217.
276 Cfr. Macmillan al Foreign Office, Report on Mission to Italy, 17 settembre 1943, PREM 3/242/11A.
277 Ismay a Churchill, 20 settembre 1943, CAB 120/583.
278 Cit. il telegramma di Churchill a Roosevelt del 21 settembre, WAR, OPD, b. 2, che richiamava una lettera da lui inviata a Macmillan lo stesso pomeriggio, CAB 65/35.
279 Cit. il telegramma del COS Committee alla JSM dell’11 settembre, PREM 3/245/7.
280 Gat, op. cit., p. 36.
281 Cit. Churchill a Macmillan, 21 settembre 1943, CAB 65/35.
282 Cit. la nota di Dixon del 29 settembre 1943, Control Commission and Arrangements in Italy, FO 371/37309.
283 Cfr. la nota di Dixon, Badoglio Government, del 22 settembre, FO 371/37309.
284 Cfr. rapporto di Murphy a Roosevelt del 19 settembre, citato in nota 271.
285 Cit. il promemoria di Hopkins a Roosevelt, Italy, del 20 settembre. La prima delle due citazioni qui riportate si trova nella lettera introduttiva al memorandum risalente al 22 settembre, in FDR, HARRY L. HOPKINS PAPERS, b. 160.
286 Cfr. Miller, Carlo Sforza, cit., p. 849.
287 Si veda un promemoria di Chester Hammond (Assistant to the Military Aid to the President) a Marshall e Hull del 19 settembre 1943 che, dopo aver considerato il FAN 409 di Eisenhower, proponeva di non lasciare alcuna autorità amministrativa civile agli italiani salvo in casi di particolari esigenze, puntando su un governo militare che non facesse uso degli italiani in alcune delle aree occupate, WAR, OPD, b. 2.
288 Per la trasmissione della politica da adottare cfr. il messaggio inviato da Roosevelt a Churchill il 21 settembre e girato ad Eisenhower il giorno seguente, OSW, SF, b. 8, a sua volta originato da un appunto di Stimson al Presidente del 20 settembre, in WAR, OPD, b. 54. Cfr. anche Macmillan a Macfarlane del 22 settembre, Coles, op. cit., p. 233, e Bedell Smith a MacFarlane del 24 sui punti all’ordine del giorno da imporre a Badoglio in occasione della conferenza di Malta, Ibid., p. 428.
289 Cfr. Gat, op. cit., p. 36.
290 Cit. Caccia a Macmillan, 26 gennaio 1944, Ellwood, Italy, 1943-45, p. 71.
291 Si veda la nota già citata in precedenza di Dixon del 29 settembre.
292 Emblematica una dichiarazione rilasciata dal governo italiano il 24 maggio 1944, in cui si ripudiava la politica estera fascista, condannando le invasioni in Francia e nei Balcani e annunciando la prosecuzione della guerra fino alla sconfitta finale del nazismo, cfr. M.J. CARROLL – L. GOODRICH (a cura di), Documents on American Foreign Policy, vol. VI, July 1943-June 1944, New York, Millwood, 1976 pp.173-4
293 M. DE LEONARDIS, La Gran Bretagna e la monarchia italiana (1943-1946), in “Storia Contemporanea”, n. 1, 1981, pp. 57-134, cit. p. 81.
294 Cfr. Eisenhower ai CCS, NAF 428, del 30 settembre, WAR, OPD, b. 2; il telegramma di Churchill a Roosevelt del 4 ottobre in cui si definiva di primaria importanza «to compel the King to declare war as soon as possible», FRUS, 1943. Europe, pp. 383-4; Marshall a Eisenhower del 5 ottobre, JCS, GF, b. 103.
Marco Maria Aterrano, “The Garden Path”. Il dibattito interalleato e l’evoluzione della politica anglo-americana per l’Italia dalla strategia militare al controllo istituzionale, 1939-1945, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, Anno Accademico 2012-2013