Posso cominciare la storia del Campo di Fossoli proprio da quel primo fatto

Nel 1942 il Regio Esercito predispone un campo per la detenzione dei prigionieri alleati nel territorio di Fossoli. Dopo l’8 settembre 1943 diversi soldati inglesi, statunitensi e delle altre nazionalità legate al Commonwealth riescono a fuggire dalla struttura, che rimane inutilizzata per qualche mese. Nel dicembre del 1943 la RSI lo trasforma in un campo di concentramento per gli ebrei, ma nel marzo del 1944 i tedeschi si prendono buona parte delle responsabilità di gestione dell’area: nasce il Campo poliziesco e di transito (Polizei und Durchgangslager), che viene utilizzato dalle SS come punto di raccolta degli ebrei in vista della deportazione nei lager e nei luoghi di sterminio della Polonia. Dalla primavera del 1944 diversi prigionieri politici vengono rinchiusi in un’area del campo di Fossoli; anche se le forze della Resistenza si adoperano per assistere i detenuti, il controllo della struttura assicura una relativa tranquillità ai tedeschi e ai fascisti. Dopo la Liberazione di Roma l’occupazione nazista si inasprisce anche nei territori lontani dal fronte. Nel giugno del 1944 i detenuti del Campo di Fossoli percepiscono il peggioramento del loro scenario bellico: il 21 giugno 1944 sono deportati in Germania due gruppi di prigionieri politici […] Il 12 luglio 1944 questa strategia assume le sembianze della strage: 67 prigionieri vengono condotti in tre gruppi a Cibeno e sono fucilati sull’orlo di una fossa comune.
Daniel Degli Esposti, Episodio di Fossoli, Carpi, 21.06.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Il Baletti, dopo drammatiche esperienze presso le varie polizie nazifasciste, fu inviato nel campo di concentramento di Fossoli. Tommaso Frontero (presidente del CLN cospirativo di Bordighera) compagno di prigionia del Baletti, racconta di lui con malcelata commozione che i nazifascisti lo sottoposero, per la sua fede antifascista e l’ostinato rifiuto a fare i nomi dei compagni di lotta, a dure sevizie ed a minacce severe; ma egli non venne mai meno ai suoi nobili sentimenti di altruismo. Il 12 luglio 1944 Emilio Baletti fu trucidato assieme ad altri patrioti e la Resistenza lo onorerà dando il suo nome ad una gloriosa brigata Matteotti che opererà nel Canavesano.
Di lì passò anche l’esuberanza giovanile di Bruno Gazzano di Porto Maurizio, che mi è stato caro amico di scuola. Giovane sportivo e leale, venne arrestato dalla GNR l’11 febbraio 1944. Dalle carceri di Oneglia e di Marassi passò a Fossoli. Fu liberato. Ma Bruno era troppo generoso per desistere dalla lotta antifascista. A fine giugno raggiunse le formazioni partigiane GL sulle montagne di La Spezia. Fu ancora ripreso e subì l’altra trafila: il 3 agosto rientrò nelle carceri di Marassi, poi fu internato in quelle di San Vittore: quindi nel campo di concentramento di Bolzano. Atto finale: a Flossenburg, dipendenza di Hersbruck, Bruno Gazzano terminò il suo martirio e morì il 22 febbraio 1945. Tre giorni prima della morte aveva raggiunto 21 anni di età!
Altro dolore imperiese era racchiuso a Fossoli: stavolta sono due sposi, Mario Vespa e Teresa Vespa Siffredi. Nel campo giunsero, per la solita trafila, dalle carceri di Marassi dopo inimmaginabili torture fisiche e morali. La povera donna, incinta, fu dimessa dopo quasi sei mesi di prigionia, mentre il marito proseguiva il suo calvario fino a Mauthausen! […]
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) – Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Imperia, Dominici Editore, 1992, pp. 568-574

Emilio Baletti: nato a Castelnuovo Don Bosco (Asti) il 31 luglio 1888, lattoniere, residente ad Albenga (SV) e coniugato con Luigina Capra, antifascista, socialista. Nell’immediato [primo] dopoguerra diventa assessore comunale per il PSI a Chieri, ma nell’aprile 1921 è arrestato per cospirazione politica. Trasferitosi ad Albenga (SV), prosegue la militanza clandestina e intensifica le attività cospirative dopo l’8 settembre 1943. Viene arrestato su delazione il 24 maggio 1944. È detenuto a Oneglia e poi a Genova. Dall’inizio di giugno è prigioniero al Campo di Fossoli con matricola 1475. Viene fucilato al Poligono di Tiro di Cibeno il 12 luglio 1944. Riconosciuto dalla vedova, è sepolto nel Sacrario degli Eroi della Resistenza del Cimitero Comunale di Chieri.
Daniel Degli Esposti, Episodio del Poligono del Cibeno, Fossoli, Carpi, 12.07.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

Nella campagna di Fossoli, a circa sei chilometri da Carpi (Modena), sono ancora riconoscibili i ruderi di quello che è noto per essere stato il principale campo italiano di polizia e transito per deportati politici e razziali, da qui – da gennaio a fine luglio 1944 – sono transitati circa tremila ebrei, italiani e stranieri, e quasi altrettanti oppositori politici.
[…] Il campo di Fossoli, nato nell’estate del 1942 come campo per prigionieri militari dell’esercito nemico, nel quadro delle convenzioni internazionali, e articolato in due complessi, campo vecchio e campo nuovo, consisteva in oltre un centinaio di fabbricati, compresi uffici, locali per i sorveglianti, magazzini e depositi di materiali, che a regime accoglieranno circa 5.000 prigionieri. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’esercito tedesco invade il campo, disarma il presidio italiano e trasferisce i prigionieri in Germania. Ma presto Fossoli è riattivato come campo speciale di internamento per ebrei catturati in Italia (come da ordinanza di polizia n. 5 del 30 novembre 1943 della Repubblica sociale italiana che dichiara gli israeliti appartenenti a nazionalità nemica). Già il 5 dicembre 1943 vi sono internati i primi ebrei, il cui numero aumenta rapidamente, e dal gennaio 1944 anche sospetti oppositori politici, che, a causa della guerra, non è possibile inviare al confino.
Il periodo più noto – e anch’esso solo parzialmente, vista la complessità e l’intreccio di poteri che entrano in gioco – è quello che va da marzo a luglio 1944, quando il campo nuovo diventa Pol-Durchgangslager, campo di polizia e di transito per ebrei e oppositori politici gestito dal comando delle SS di Verona, che già il 26 gennaio ha prelevato da Fossoli una settantina di ebrei con passaporto inglese destinati a Bergen Belsen e il 22 febbraio ha organizzato il primo convoglio verso Auschwitz di oltre 650 ebrei, come ricorda Primo Levi, che ne fece parte, in Se questo è un uomo.
Contemporaneamente, e ciò è meno noto, nel campo vecchio funziona un campo parallelo sotto la questura di Modena, ma non immune da pesanti ingerenze delle SS, dove sono concentrati internati civili di nazionalità nemiche, ma anche sospetti antifascisti, partigiani e genitori di renitenti alla leva. A fine luglio entrambi i campi sono liquidati: quello tedesco viene trasferito – comando, attrezzature e internati non deportati – e fuso col lager di Gries, presso Bolzano; quello italiano semplicemente soppresso: gli internati sono in parte liberati, in parte requisiti per il lavoro coatto nel territorio del Reich, in parte obbligati a risiedere in zona come internati civili (tra questi, quasi un migliaio di libici con passaporto inglese, famiglie con bambini, giunti a Fossoli da Fraschette di Alatri, che restano in zona fino all’agosto del 1945, assistiti dal comune di Carpi, come risulta dalle carte conservate presso l’Archivio storico comunale). Da agosto a novembre il campo resta ancora sotto autorità tedesca, non più le SS di Himmler, ma come centro di raccolta per lavoratori coatti – uomini e donne, partigiani, oppositori – da trasferire nel Reich; si tratta di parecchie migliaia di persone provenienti dai rastrellamenti nei territori via via minacciati dall’avanzata del fronte.
Tra le ombre più cupe si deve annoverare la strage di 67 internati politici effettuata il 12 luglio 1944, un episodio oscuro, i cui responsabili non sono mai stati puniti, e le cui carte furono nascoste per decenni nell’armadio della vergogna (Cfr. Franco Giustolisi, L’armadio della vergogna, Nutrimenti, 2004). Gli assassinati rappresentano un campione delle diverse tipologie di internati politici, per età, cultura, condizione sociale e provenienza; accanto a figure della Resistenza, qualche delinquente civile e una spia non più utile alle SS. A riprova del disegno politico della strage, il precedente (21 giugno) assassinio a sangue freddo dell’avvocato Leopoldo Gasparotto, anima del Partito d’azione milanese (Cfr. Anna Maria Ori, Carla Bianchi, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Fondazione Ex campo Fossoli, 2004).
Anna Maria Ori, Oltre il lager. Il campo di Fossoli (1942-1970), Storie in movimento

Il campo di Fossoli, attendato, nel 1942 – Fonte: Andrea Luccaroni, Op. cit. infra

Posso cominciare la storia del Campo proprio da quel primo fatto: l’aeroplano che una mattina, nella primavera del ’42, vedemmo volare basso basso dall’altra parte della via Remesina, sulla terra dove poi verrà costruito il Campo. Un aeroplano è stato il principio […]”. <11
Il primo segnale dell’imminente cambiamento che avrebbe coinvolto gli abitanti della zona è indirettamente legato alla vista: si tratta di una serie di voli esplorativi diretti all’individuazione di un’area strategicamente conveniente per organizzarvi una struttura detentiva. Nel 1942 Carpi era una piccola città, che tuttavia era posizionata lungo il tracciato della ferrovia del Brennero: la scelta di un luogo situato appena fuori dell’abitato, ai margini delle terre di bonifica e al riparo da sguardi indiscreti, doveva apparire pressoché naturale.
Secondo il preciso resoconto storico compilato da Enea Biondi, Caterina Liotti e Paola Romagnoli il primo a essere costruito, nell’estate 1942, fu il campo vecchio, indicato ufficialmente come «Campo di concentramento baraccato per prigionieri di guerra». <12
Il 30 maggio 1942 era stato recapitato al Comune di Carpi il decreto di occupazione d’urgenza di «terreni siti […] in località il Borgo, compresi tra la strada dei Grilli e il canale della Francesa, da adibirsi a servizi militari». <13 Si trattava, come sappiamo, di un appezzamento agricolo a forma di cuneo, lungo quasi mille metri e largo circa duecento nel suo punto di massima ampiezza, che si trovava sul margine dell’area altimetricamente depressa della “valle” di Carpi, laddove le colture specializzate della vite erano sostituite da seminativi e risaie. <13
Questa condizione “liminare” è evidenziata nelle riprese aeree realizzate dalla RAF nel settembre 1944, in cui è ben visibile a sud la trama longitudinale del sistema arboreo della piantata modenese, con filari di viti maritate a olmi diradati. Le geometrie allungate della piantata sfumavano verso nord e si perdevano proprio in corrispondenza dell’area individuata come futura sede del campo d’internamento, lasciando spazio ad appezzamenti di terreno dalle proporzioni più compatte, leggermente incassati rispetto alla rete dei canali d’irrigazione che emergeva in rilievo. <15 Le fotografie dell’aviazione britannica consentono di desumere inoltre la disposizione di filari di alberature più alte lungo le sponde dei canali di bonifica. Si tratta probabilmente delle lunghe teorie di pioppi canadesi che popolano l’orizzonte delle immagini di archivio.
L’urgenza dettata dall’imminente arrivo dei prigionieri è resa evidente dalla serie di attività preliminari che dovettero essere intraprese mentre si procedeva alla costruzione. Infatti già a partire dal 17 giugno venne occupato il terreno che si trova oltre il canale, corrispondente all’area su cui poi avrebbero insistito i settori di prigionia del campo nuovo, e vi fu organizzato un accampamento provvisorio in attesa del completamento delle baracche.
La costruzione di queste ultime avrebbe preso avvio solo la settimana successiva, per essere terminata a metà di novembre. <16
L’accampamento fu adattato alla morfologia del terreno e al corso dei canali di bonifica, occupando un’area di forma trapezoidale.
Era suddiviso in due settori autonomi separati da un percorso di attraversamento, al quale si poteva accedere da un cancello situato a sud, oppure attraverso un ponte che superava il canale della Francesa a nord, conducendo dall’altra parte ai corpi di guardia e al cantiere del campo baraccato. Ciascun settore era composto di un’area libera per l’appello, di una struttura coperta per la preparazione dei pasti e di due gruppi di tende fra i quali erano disposte le tettoie dei servizi e dei lavatoi. <17 Alcune baracche in legno destinate a infermeria erano invece allestite nel percorso di attraversamento che separava i settori.
Le pochissime immagini disponibili mostrano il perimetro costituito da tre corsi di rete e filo spinato sorretti da pali di legno.
Due reticolati paralleli distanti fra loro alcuni metri circondavano l’intero accampamento e proteggevano il percorso di ronda: sul bordo esterno si trovavano i pali d’illuminazione e appena più in fuori erano allineate le garitte di guardia, mentre ai vertici furono realizzate delle postazioni rialzate e coperte (altane) che offrivano una visuale più ampia. Ciascun settore era poi isolato da un’ulteriore recinzione che correva internamente alle altre due.
Nelle immagini appaiono anche delle strutture in muratura più alte, non riportate sui disegni, che servivano probabilmente per l’accumulo e la potabilizzazione dell’acqua. <18
Nel mese di luglio 1942 il primo dei due settori di tende entrò in attività con l’arrivo di alcuni gruppi di prigionieri anglosassoni.
L’altro sarebbe stato allestito in seguito e messo in funzione alla fine di settembre. <19
11. D. Sacchi, op. cit., p. 18.
12. E. Biondi, C. Liotti, P. Romagnoli, Il campo di Fossoli: evoluzione d’uso e trasformazioni, in G. Leoni (a c. di), Trentacinque progetti per Fossoli, Electa, Milano 1990, p. 35.
13. ASCC, Campo di Concentramento di Fossoli, busta 1, fasc. 1, Ufficio lavori Genio VI Corpo d’Armata di Bologna, comunicazione al Comune di Carpi, 28 maggio 1942.
15. Royal Air Force, ripresa aerea n. 1944 74 16 4018 179838, GeoER – Geoportale Regione Emilia Romagna, servizimoka.regione.emilia-romagna.it/mokaWeb92/index.html
16. E. Biondi, C. Liotti, P. Romagnoli, op. cit., p. 35.
17. ANG, Campo di Fossoli, 015B-02, schema del campo attendato, 31 dicembre 1942.
18. ASCC, Campo di Concentramento di Fossoli, busta 3, “Foto e Pubblicazioni”.
19. E. Biondi, C. Liotti, P. Romagnoli, op. cit., p. 35.
Andrea Luccaroni, Inimmaginabile e progetto. Architettura e memoria nei luoghi della Deportazione, Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2015

Fossoli luglio 1944.
Da sette mesi migliaia di persone – ebrei e oppositori politici – vengono radunati in questo Campo e smistati verso i grandi Campi di concentramento e sterminio in Europa.
Fra di essi ebrei italiani e stranieri che, dopo cinque anni di leggi razziali, vengono arrestati in conseguenza all’emanazione dell’ordine di Polizia n. 5 da parte della Repubblica di Salò. E oppositori politici, quegli oppositori che da molti anni vengono internati, inviati al confino, fisicamente eliminati.
Dopo l’8 settembre 1943 e nei mesi successivi molti luoghi di internamento e isolamento si trovano sotto il controllo alleato; nasce quindi l’esigenza di un nuovo modo per detenere gli oppositori.
Fossoli risulta una soluzione reale ed immediata. Fra i circa tremila deportati politici transitati per Fossoli vi sono resistenti, sabotatori, membri di partiti clandestini, uomini e donne che hanno manifestato la loro opposizione, il loro rifiuto ad un dittatura, ad una tirannia.
Molti di loro – sia ebrei che politici – vengono dalla Lombardia, dalle sue province, dalle sue città, i suoi paesi, dalle vostre famiglie.
Hanno segnato la storia del campo di Fossoli con la loro presenza, la loro dignità, la capacità di essere solidali, di scambiarsi cibo, libri, pensieri.
Tra i tanti, troppi nomi emergono gli architetti Gian Luigi Banfi e Ludovico Belgiojoso, Enea Fergnani, Leopoldo Gasparotto, don Paolo Liggeri, Mino Steiner, Romeo Rogers…
Non si vuole e non si può dimenticare nessuno di loro: chi non è tornato e chi è tornato dedicando la propria vita alla memoria, al futuro.
Il giugno 1944 è denso di eventi al campo di Fossoli.
La partenza di circa mille deportati politici tra il 20 e il 21 giugno.
Il brutale e meschino assassinio dell’avvocato Gasparotto il 22.
L’azione di rappresaglia contro partigiani rastrellati il 24…
Tutto tende a mostrare un clima che si fa sempre più teso.
E i deportati lo sentono, lo percepiscono: aumentano i trasporti, aumenta l’incertezza, il filo a cui sono appesi si fa sempre più sottile.
Chi ha la possibilità di scrivere a casa cerca di non far trasparire i proprio timori, ma si fanno frequenti le richieste di zaini, abbigliamento pesante, qualche scatoletta di scorta.
L’ipotesi della partenza si fa sempre più reale, più vicina: toccherà a tutti lasciare le ultime e poche certezze che in quello strano campo di transito in qualche modo ci sia spazio per la salvezza, e andare verso l’ignoto. Eppure, per alcuni di loro è stato deciso un altro destino.
Per alcuni di loro non sembra sufficiente e sicura nemmeno la deportazione.
Per alcuni di loro di preferisce una soluzione netta e irreversibile: la fucilazione.
Sono uomini arrivati a Fossoli come oppositori politici, alcuni di loro, lo sappiamo, spiccano per il loro ruolo nell’esercito badogliano, nella Resistenza; si stagliano per la loro levatura umana e politica, per il ruolo che hanno ricoperto sino all’arresto, per la dignità e la forza con cui hanno vissuto e sopportato il carcere e la vita nel Campo.
Ognuno di loro ha una storia, una famiglia, un destino…
Romolo Tintorri – scomparso lo scorso febbraio – era a Fossoli col padre in quei giorni. Di fronte a questo strano appello il padre gli dice “se fanno il tuo nome vado io”. Come se avesse capito che c’era qualcosa di strano e l’unica cosa che rimaneva da fare era tentare salvare il figlio.
Fra le settantuno persone chiamate in appello la sera dell’11 luglio 1944 vi sono diverse provenienze, dalla Sicilia al Piemonte, ma più della metà ha origini lombarde: vengono dalle province di Milano, Varese, Bergamo e Monza.
Perché proprio loro? Con quali criteri? Cosa si intendeva colpire?
Chi si voleva danneggiare? Non bastava la deportazione per questi?
Non bastava inviarli nei terribili campi di concentramenti da cui comunque difficilmente avrebbero fatto ritorno?
Credo che molti fra noi oggi se lo siano chiesti.
E con quale animo quegli uomini hanno vissuto quei frangenti. Con quale mescolanza di speranza e di accettazione del destino.
È stato detto loro di prepararsi per la partenza come avviene di frequente in quei giorni, ma sicuramente hanno notato l’esiguità del numero coinvolto.
Ormai lo hanno capito: gli spostamenti vanno ottimizzati al massimo, si fanno quando c’è un congruo numero di persone. Allora perché settantuno persone dovrebbero comporre un trasporto, quando di solito compongono un vagone?
Fossoli – che ti lascia conservare anima e speranza per meglio illuderti ed attirarti nelle devastanti grinfie del sistema concentrazionario – gioca come un gatto col topo. Perché non credere che si andrà in Germania a lavorare come hanno fatto tanti altri proprio in questi giorni? Perché pensare al peggio? Come pensare che non si tornerà mai più a casa dai propri cari?
Alcuni di loro hanno la percezione di cosa davvero li aspetta, possono anche ipotizzare una fuga, ma le conseguenze sulla popolazione del Campo sarebbero pesantissime. E allora che fare?
Molti non vogliono credere, sembra impossibile una strage di quelle dimensioni al campo di Fossoli. Le lettere, i biglietti spediti o lasciati per le famiglie parlano – ovviamente – di un allontanamento che tutti percepiscono come peggioramento della situazione.
Ma come non sperare? La guerra sembra volgere al termine, Roma è libera da tre settimane, il fronte in Normandia è una breccia straordinaria, in Russia continua la retrocessione tedesca.
Quanti pensieri si affollano, quanta voglia di casa, quanta paura del domani, quanta impotenza…
Napoleone Tirale spera vivamente che la partenza sia reale, ma dice che se altro dovesse essere il destino morirà gridando “Viva l’Italia!”
Gli ultimi abbracci, i saluti affettuosi poi i settantuno vengono messi in una mezza baracca a parte, con la scusa di non disturbare i compagni dovendosi svegliare all’alba.
E poi? Quello che è successo lo sappiamo.
Carenini tolto dalla lista. I tre gruppi portati separatamente verso la stazione fino ad una curva dove i mezzi cambiano direzione e vanno verso il Poligono di tiro di Carpi. La fossa pronta, scavata il giorno prima da un gruppo di ebrei. La lettura dell’ordinanza di condanna a morte. La giustificazione con una rappresaglia dalle caratteristiche quantomeno anomale. La fucilazione in ordine alfabetico del primo gruppo. La ribellione del secondo gruppo e la fuga di Jemina e Fasoli. Il terzo gruppo a cui vengono legate le mani per evitare altri rischi. Il tentativo di intervento del vescovo di Carpi. Olivelli nascosto al Campo dove rimarrà fino alla chiusura del campo, in agosto, quando viene scoperto e deportato […]
Maria Peri, Convegno “Fossoli 12 luglio 1944. Una strage dimenticata”, ANPI, FIAP, ANED, Milano, Circolo De Amicis, 9 luglio 2009 (nel 65.mo Anniversario dell’eccidio di Fossoli, le Associazioni dei Partigiani e degli Ex-Deportati nei Campi di Concentramento ricordano i Sessantasette Martiri del 12 luglio 1944)

Soffermiamoci un momento su Carlo Bianchi, uno dei Sessantasette Martiri che vengono ricordati qui oggi e figura importante della Resistenza milanese, anzi per meglio dire italiana. Per conoscere la vicenda resistenziale di Carlo Bianchi, nella cui tipografia veniva stampato “il ribelle” c’è voluto – pensate un po’! – lo sforzo tenace della figlia (che non lo ha neanche conosciuto perché sua mamma era incinta di lei quando le hanno ucciso il marito) che ne ha curato l’epistolario e la storia. Di fronte a questo caso (e ce ne sono altri) come storico mi sono sentito un po’ umiliato: è possibile che debba essere la figlia, debba cioè essere la dimensione parentale, a dare a noi lezioni, ad arrivare prima? È veramente una cosa che rende onore a Carla Bianchi, perché posso solo immaginare quanto le sia costato in termini di fatica e di dolore ed è un libro che ha fatto conoscere una persona praticamente dimenticata. E questo accade perché a volte si accendono i riflettori solo su alcune figure e si lascia il resto in una sorta di esteso cono d’ombra. Nello specifico della vicenda di Carlo Bianchi, ad esempio, si è enfatizzata in una dimensione retorica solo la figura (certo bella e meritevole) di Teresio Olivelli, per il quale è anche in corso una causa di beatificazione.
Olivelli, che nell’azione clandestina era associato a Bianchi (sono stati addirittura arrestati insieme per una delazione) era noto e celebrato, mentre Carlo Bianchi, cui è egualmente toccata una tragica sorte, non lo conosceva nessuno. Questo per dire come ci sia davvero molto da fare in termini di scavo della memoria e come questi documenti usciti di recente possano contribuire ad estendere l’area delle acquisizioni e della conoscenza.
[…] Cosa è avvenuto alla fine della guerra? A Milano, il 22 maggio del 1945, si sono svolti i funerali delle sessantasette vittime della Strage di Fossoli del 12 luglio 1944, dopo la riesumazione dei loro corpi.
Nel libro “Le stragi nascoste” ho ritenuto di inserire quale unico inserto fotografico assolutamente emblematico proprio le immagini delle fasi della riesumazione, condotta con estrema serietà scientifica (la dirigeva un primario anatomo-patologo di Milano) ma anche con umanità e spirito religioso, come dimostrano le fotografie della messa celebrata nel campo all’atto della riesumazione.
La seconda cerimonia funebre viene tenuta poi a Milano perché molti dei sessantasette fucilati erano milanesi e lombardi. Successivamente la giustizia purtroppo non ha compiuto il suo corso; come ricostruisco in questo libro, le vicende sono davvero vergognose.
[…] Perché quando nel 1994 verrà trovato (diciamo così) quell’”Armadio della vergogna”, molti di quei fascicoli erano corredati dalle istruttorie avviate dai tribunali militari alleati e non c’era neanche la traduzione in italiano. Questo per dire che era mancata la volontà di proseguire l’attività istruttoria.
Mimmo Franzinelli, Convegno “Fossoli 12 luglio 1944. Una strage dimenticata” cit.

Nel 2008 la Fondazione ha dato vita a un’importante indagine per ricostruire l’anagrafe dei transitati dal Campo di Fossoli nel periodo bellico, con particolare attenzione al periodo (dicembre 1943 – novembre 1944) in cui esso è stato un anello funzionale della deportazione dall’Italia, costituendo il campo di transito nazionale verso i lager d’oltralpe di politici, ebrei e lavoratori coatti. Gli scopi della ricerca, guidata del Comitato scientifico della Fondazione, si presentavano sulla carta complessi e lunghi per le difformità e le dispersioni delle fonti e per la particolarità del campo di Fossoli. Il luogo, pur nel breve arco degli anni 1942-44, svolse funzioni differenti, spesso non ben distinguibili nella loro periodizzazione perché coesistenti le une con le altre, e racchiuse categorie di internati diversi – (prigionieri di guerra, ebrei, politici, internati civili e rastrellati, lavoratori coatti), coinvolgendo autorità diverse.
[…] Una delle principali urgenze espresse dall’Ente Fondazione Fossoli era quella di programmare e giungere ad una presentazione pubblica degli esisti della ricerca sull’anagrafica dei transitati dal Campo di Fossoli durante il periodico bellico, in modo da darne pieno e ufficiale riconoscimento. Si è scelto di tenere la presentazione I nomi di Fossoli 1942-44. Presentazione della banca dati degli internati il 25 aprile 2016, presso la Baracca recuperata del Campo di Fossoli. La scelta di collocare l’attività nella ricorrenza dell’anniversario della festa della Liberazione e all’interno del ricco programma di attività proposto dalla Fondazione Fossoli ha avuto diverse valenze. La sede scelta per l’iniziativa, il campo di Fossoli, non solo è stata coerente per l’evidente radice storica, ma vi ha attribuito quella connotazione di “suggestione e immersione nella storia” che la dimensione ambientale del paesaggio – e ancor più, come in questo caso, di un luogo di memoria portatore di una sua autenticità – è in grado di suggerire.
[…] Per quanto attiene alla complessa, e ancora dibattuta, questione della autorevolezza scientifica e affidabilità dei siti di storia, si è cercato di intervenire su diversi piani: restituendo in maniera evidente il nome del produttore istituzionale, la Fondazione Fossoli; indicando la datazione del sito e i suoi ultimi aggiornamenti; fornendo la possibilità, in qualunque punto di navigazione, di contattare i curatori del progetto; dichiarando la provenienza delle acquisizioni storiche e includendo sempre una presentazione dei crediti e della datazione; garantendo una costante aggiornamento del sito e dei link esterni.
Marika Losi, «I nomi di Fossoli, 1942-1944», Diacronie, N° 35, 2018