Anche la Guardia Nazionale Repubblicana è in crisi

La natura stessa del fascismo non consente di distinguere l’elemento politico da quello militare. Il culto del Capo, il mito della forza, l’esaltazione del coraggio e delle armi costituiscono l’essenza unitaria di un’ideologia che non ammette cedimenti, neppure quando, a cedere, sono le stesse strutture sulle quali dovrebbe poggiare lo Stato. Gli insuccessi militari non possono non avere una rilevanza politica. E le fughe continue, non solo delle reclute, sono molto di più di un insuccesso militare. Nel “Diario storico” del CCVII Comando Militare regionale dell’Umbria si legge: 7 giugno [1944], “Le assenze arbitrarie negli enti e comandi dipendenti aumentano”; 8 giugno, “Da tutti i comandi ed enti dipendenti vengono segnalate assenze arbitrarie dovute al precipitare degli eventi bellici”; 10 giugno, “Defezione di quasi tutti i militari di truppa dei comandi, depositi e distretti” e l’11 giugno si segnala la fuga di quasi tutti gli ufficiali <618. Un rapporto dello Stato Maggiore dell’Esercito, della prima metà del giugno 1944, illustra la situazione della Toscana: Provincia di Arezzo: “Comando provinciale: quasi tutto il personale dipendente è fuggito alcuni giorni fa”; Provincia di Firenze, XLIV Deposito misto provinciale e XLIV Raggruppamento. “Da alcuni giorni scappano continuamente i soldati e fino ad oggi il numero dei disertori è di 400”; VII Reggimento autieri: “quasi tutti i militari ivi in forza hanno abbandonato la caserma di Poggio Imperiale”. Situazione analoga nelle province di Pistoia, Lucca, Massa, Livorno. Dalla provincia di Grosseto si segnala: “La GNR di Grosseto, da vari giorni, ha abbandonato la città”. Conclusione: “Regna il caos più perfetto nei comandi militari di tutta la Toscana” <619. La situazione è critica anche in altre regioni, nonostante sia stata emanata una severa legislazione <620. L’affluenza delle classi di leva 1920-1921 e primo semestre 1926 è “pressoché nulla”: a Genova “la maggioranza dei richiamati (circa 10.000) non si è presentata”; a Cremona “persistono le renitenze”; a Ferrara, “dei 9.743 uomini che dovevano rispondere alla chiamata, ben 7.557 non si sono fatti vedere nei distretti; nella circoscrizione di Pinerolo si sono presentati in 10 su 700; a Verona e a Vicenza su un totale di circa 8000 si sono presentati in 267; in provincia di Bergamo 146 su 6848; in provincia di Como 146 su 4055; in provincia di Varese 842 su 5232; in provincia di Sondrio 56 su 2004.
Il Maresciallo Graziani conferma la gravità della situazione <621. Certo, molti non si presentano per non correre il rischio di andare in Germania e non tutti si uniscono alle bande partigiane; tuttavia, questi numeri dovrebbero far riflettere, ora come allora, sulle adesioni e sul consenso dato alla RSI.
La crisi investe, allo stesso modo, la Polizia posta al servizio del Ministero dell’Interno. Gli allontanamenti arbitrari e le destituzioni sono ormai all’ordine del giorno. La GNR segnala da Roma, il 15 aprile 1944, che “Le forze di polizia non appaiono all’altezza della situazione sia per la scarsità delle forze stesse, sia per l’atteggiamento infido dei componenti”; da Piacenza, il 22 luglio: “In genere gli agenti di questura deviano da quello che è il loro preciso dovere, si limitano a dare la caccia a piccoli ladruncoli lasciando impuniti i reati commessi dai facoltosi e da quanti vantano aderenze protezionistiche. Molti di essi fanno il doppio giuoco”; da Genova, il 24 luglio: “I casi di allontanamento arbitrario da parte dei componenti le forze di polizia sono in aumento. Più grave ancora il fenomeno di coloro che, nell’ambiente politico – ritenendosi compromessi e, quindi, destinati ad essere oggetto di rappresaglie – hanno cercato di allacciare contatti con gli avversari diventando veri e propri traditori”; a La Spezia, “negli ultimi giorni di luglio sono dimessi d’autorità 106 dei 157 agenti ausiliari ancora in servizio, “perché inetti, indisciplinati et subdoli” dice un telegramma del capo di quella provincia. Altri verranno “prelevati” dalla polizia tedesca, come capita in agosto a 140 elementi del Battaglione ausiliario della PS di Novara che non danno “sicuro
affidamento”. Ma i più se ne andranno spontaneamente proprio nella fase di maggior tensione, scappando spesso in gruppo” <622.
Anche la Guardia Nazionale Repubblicana è in crisi, tra fughe, arresti degli elementi ritenuti infedeli, processi, condanne a morte, deportazioni di carabinieri in Germania. “Il sogno di Ricci finisce così, mentre i tedeschi – come segnala il comando provinciale della GNR di Forlì – scherniscono per strada i militi della Guardia, gli rubano le armi e li coprono di sputi” <623.
Lo stato di crisi generale è rilevato anche dalla censura postale: “sfiducia, nella maggioranza, sull’esito favorevole della guerra; sfiducia sulla potenza militare della Repubblica e sulla sua forza e prestigio all’interno in confronto alla consistenza raggiunta dal banditismo; sfiducia nelle gerarchie della Repubblica i cui uomini – scrivono molti – sarebbero i medesimi di una volta, o, di quelli, avrebbero gli stessi difetti […] Dai territori del fronte e delle immediate retrovie si levano echi di terrore, provocato dalla violenza sfrenata delle bande, dalle reciproche rappresaglie, dai sequestri di qualsiasi soggetto operati dai militari tedeschi in ripiegamento; le popolazioni, travolte dalla bufera e spogliate letteralmente di tutto, sono in preda alla disperazione” <624.
Il 24 giugno 1944, Barna Occhini, direttore di “Italia e Civiltà”, descrive con toni particolarmente forti la situazione di profonda crisi in cui si trova la RSI. Nella lettera indirizzata a Mussolini, si legge: “E finalmente seguita il vostro pertinace mutismo. Seguita il vostro stare rinchiuso e invisibile, contentandovi di emanare ordini, decreti e leggi a cui nessuno obbedisce, di cui quasi nessuno si cura […] Accadono fatti inauditi, si fonda una repubblica, gli italiani si avventano gli uni contro gli altri come cani, il nemico avanza e occupa intere regioni, il cosiddetto “alleato” ritirandosi ci saccheggia e spoglia a guisa del peggiore nemico, la guerra imperversa su questa terra e su questo popolo nella forma più atroce e Voi, Voi non avete nulla da dire. Voi restate nascosto e inaccessibile in un misterioso angolino d’Italia […] La nazione va alla deriva e voi lasciate a qualche vostro collaboratore gaglioffo e alla più
gaglioffa delle propagande il compito di dare alla nazione orientamenti e direttive, di incuorarla. E’ questo il concetto che Voi avete della funzione di un capo in una crisi tragica? Voi, duce d’una rivoluzione? […] Ma stando così le cose, chi può sperare più in Voi? Non soltanto non suscitate più alcun entusiasmo, ma avete a poco a poco soffocati, vostro malgrado, quegli entusiasmi iniziali che tanto facevano sperare per un risorgimento d’Italia. E il fatto è che oggi da una parte l’Italia repubblicana vi sente estraneo alla propria vita, dall’altro vi sente come un pesante impaccio, come un’enorme ombra che aduggia il rigoglioso fiorire delle speranze, dei propositi, delle fattive volontà di rigenerazione […] Chi vi scrive è uno, credetelo, che ha avuto in Voi fino a ieri molta fede. Era quasi orgoglioso di Voi, in nome dell’Italia, e ancora non si rassegna a non sperare più in Voi. Ancora spera in Voi, nonostante tutto, spera in una vostra improvvisa e luminosa resurrezione. Ma Voi non dovete più trascurare la voce di chiunque amando svisceratamente l’Italia in nome dell’Italia Vi parli. Perché l’Italia è, come vi ho detto in principio, anche al di sopra di Voi” <625.
La descrizione della crisi, peraltro vista dall’interno, che Barna Occhini affida alla sua lettera assume anche i toni di un vero e proprio necrologio. Non c’è, tuttavia, la visione mistica della morte che gli squadristi della prima e dell’ultima ora esprimono attraverso la “violenza rigeneratrice”. E neppure l’esaltazione del sangue che deve lavare l’onta del disonore. La RSI, pur continuando a muoversi e a sprigionare violenza, è ormai morta spiritualmente. E’ un corpo esanime e senz’anima. Vive, come i vampiri, del sangue altrui e, come i vampiri, morirà trafitto dai raggi del sole.
Lo stesso Mussolini, un “defunto” che torna sulla scena politica <626, dovrebbe compiere il prodigio di una improvvisa e luminosa, quanto improbabile, resurrezione. Ma questo è impossibile. Lo spirito del Duce si confonde con le nebbie del lago, in un paesaggio che sembra evocare scenari d’oltretomba.
Concetto Pettinato, direttore della Stampa di Torino, chiede un segno della presenza del Governo. Da mesi, infatti, la Stampa si batte “anima e corpo per aiutare il Governo della Repubblica a estrarre un esercito dal seno di un popolo sfiduciato e recalcitrante e per ricostituire il clima morale necessario affinché questo esercito abbia a sentirsi ancora una volta depositario dei destini della nazione”. Ma, questo esercito sembra non dare pieno affidamento poiché agirebbero, al suo interno, soprattutto fra gli ufficiali, elementi “infidi”, perlopiù provenienti dai campi di concentramento tedeschi e interessati solo al trattamento economico e a “tagliare la corda non appena giunti in Italia”. Accanto ai problemi militari esistono, poi, i problemi interni e “si sente sempre più acuto il bisogno di soluzioni rapide, pratiche e incisive”, a partire dalla socializzazione delle imprese (“e anche qui – come negarlo? – l’incertezza regna sovrana”) per finire al “ribellismo” ( “Lo qualifichiamo “ribellismo” in omaggio all’abitudine, ma per chiamare le cose col loro nome dovremmo dire trattarsi, piuttosto, di una forma epidemica di renitenza agli obblighi militari”). Esistono, infine, “fatti anche più allarmanti quali ad esempio lo sbandamento e la latitanza sempre più frequenti dei Carabinieri”. Il Piemonte, ma il discorso riguarda più in generale la RSI, è ormai diventato “un vivaio di delinquenza, di diserzione e di disordine”. Pettinato chiede di formare, con i Piemontesi migliori, “a fianco e a sostegno dell’autorità vacillante”, un comitato di salute pubblica. “Con le ordinanze scritte sulla carta non si va avanti. Si ha ormai il bisogno di vedere, di sentire, di toccar con mano il Governo della Repubblica, perché in certe situazioni l’uomo crede solo alla presenza reale. Come nelle sedute spiritiche, dal buio dove annaspiamo dolorosamente da mesi, gridiamo all’ente evocato: “Se ci sei, batti un colpo!” <627.
[NOTE]
618 Vedi: Giampaolo Pansa, Il gladio e l’alloro, cit., p.93.
619 Ivi, pp.93-94.
620 “Disciplina del reato di diserzione in tempo di guerra”. “Art.1 – Il militare che, in tempo di guerra, essendo in servizio alle armi, si allontana senza autorizzazione e senza giustificato motivo dal reparto nel quale è incorporato, risultando mancante ai due appelli giornalieri di controllo, è punito con la pena di morte mediante fucilazione al petto. La stessa pena è inflitta al militare mancante anche ad uno solo degli appelli giornalieri quando il comandante del corpo da cui dipende il militare assente, ricordando particolari circostanze, lo dichiari disertore immediato. Art.2 – E’ considerato immediatamente disertore ed è punito con la pena di morte mediante fucilazione al petto, il militare che, in tempo di guerra, destinato ad un corpo di spedizione o di operazione, oppure appartenente all’equipaggio di una nave o di un aeromobile militare, si trovi assente al momento della partenza del corpo, della nave o dell’aeromobile, senza giustificazione e senza giustificato motivo. Art.3 – La pena prevista dall’art.1 può essere diminuita se il colpevole si costituisce prima che siano trascorsi tre giorni di assenza […]”. Vedi anche il Decreto legislativo del duce 21 giugno 1944-XXII, n.352. “Norme penali sulla disciplina dei cittadini in tempo di guerra”. “Art. 1.Chiunque tiene intelligenza con prigionieri di guerra o con internati civili, onde facilitarne la fuga dai luoghi ove sono sottoposti alla vigilanza delle autorità, è punito con la morte. Se tiene intelligenza con i detti prigionieri o internati, allo scopo di averne o dar notizie, senza il permesso dell’autorità, è punito con l’ergastolo. Art. 2. È punito con l’ergastolo chi, essendo sottoposto alla vigilanza dell’autorità quale internato civile in campi di concentramento o altrove, si sottrae alla detta vigilanza. Alla stessa pena soggiace chi volontariamente si sottrae all’esecuzione dell’ordine di internamento. Art. 3. Chi concede ospitalità o presta comunque aiuto a prigionieri di guerra evasi dai campi di concentramento o dai luoghi di pena, ovvero ad appartenenti alle forze armate nemiche, allo scopo di facilitarne la fuga o di occultarne la presenza, è punito con la morte. Art. 4. Chi concede ospitalità alle persone indicate nell’articolo 2 o in qualsiasi altro modo le aiuta ad eludere le investigazioni delle autorità e sottrarsi alle ricerche di questa è punito con l’ergastolo. Art. 5. Chiunque, fuori dei casi previsti dai due articoli precedenti, avendo notizia della presenza di prigionieri di guerra o di internati civili evasi, ovvero di internati civili sottrattisi all’esecuzione dell’ordine di internamento o di appartenenti alle forze armate nemiche, non ne fa immediatamente denuncia alla più vicina autorità è punito con la reclusione fino a venti anni. Art. 6. La devastazione ed il saccheggio previsti dall’articolo 419 del codice penale sono puniti con la morte. Art. 7. Costituisce disfattismo politico, punito con la morte, giusta l’articolo 2 lettera b del decreto legislativo 3 dicembre 1943 n. 794 in relazione all’articolo 265 del codice penale, il fatto di chi a mezzo della stampa pubblichi articoli o illustrazioni che mirino a provocare disordini o ad ostacolare l’opera dell’autorità, nonché il fatto di chi al medesimo scopo stampa o diffonda manifesti senza autorizzazione. Art. 8. Per i delitti previsti dagli articoli 502, 503, 504, 505, 506, 507 e 508 del codice penale è stabilita la pena detentiva fino a venti anni, in aggiunta alla eventuale pena pecuniaria già prevista. Per i capi, promotori ed organizzatori, la pena per i suddetti delitti è quella della morte. Art. 9. È punito con la reclusione fino a venti anni chi, fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, danneggi gli interessi della Nazione in guerra, abbandonando il lavoro senza esserne autorizzato, violando le disposizioni impartite dall’autorità per il servizio del lavoro, non adempiendo ai sevizi, obblighi e prestazioni impostigli dall’autorità o adempiendovi in modo da renderne nulla o diminuirne l’efficacia. È punito con la morte chi impedisce ad altri di assumere il lavoro, o istiga ad abbandonare il lavoro, a non adempiere ai servizi, obblighi o prestazioni imposte dall’autorità ovvero ad adempiervi in modo da renderne nulla o diminuirne l’efficacia. Art. 10. Chi viola il decreto impartito dall’autorità politica o militare di detenere armi o munizioni o di portarle fuori della propria abitazione e delle appartenenze di essa è punito con la morte. Art. 11. È vietato detenere senza autorizzazione apparecchi radiotrasmittenti, nonché impianti di produzione di corrente elettrica, batterie ed accumulatori necessari per il funzionamento dei detti apparecchi; chi viola tale divieto è punito con la morte. È punito con l’ergastolo chi, fuori delle scuole legalmente organizzate, dà o riceve istruzione di radiotelegrafista o di tecnico della radio. Art. 12. È vietato prendere fotografie all’aperto senza autorizzazione ed è altresì vietata, durante le ore di oscuramento, l’accensione di fuochi all’aperto. Il trasgressore è punito con la reclusione fino a venti anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Art. 13. Chiunque si fa promotore o fa parte di assembramenti o riunione pubbliche o private di carattere politico, non previamente consentite dall’autorità, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione fino a dieci anni. […]”, Decreto legislativo del Duce 14 giugno 1944-XXII, n. 393.
621 Vedi Giampaolo Pansa, Il gladio e l’alloro, cit., pp.132-133. E’ interessante leggere anche il “Promemoria inviato al Duce ed al Capo di SM della GNR – Ufficio I (situazione) – 1° ottobre 1944-XXII” relativo al mese di agosto, in ivi, pp.141-144.
622 Ivi, pp.125-126.
623 Ivi, p.121. Il 14 agosto 1944 la GNR sarà inserita nell’Esercito (Decreto legislativo n. 469, “Passaggio della GNR nell’esercito nazionale repubblicano”). Il 19 agosto Ricci sarà licenziato. Con la formula di rito: “Per ragioni di carattere strettamente personale il generale Renato Ricci ha chiesto, e ha ottenuto, di essere esonerato dall’incarico di comandante della GNR”, p.123
624 Ivi, p.136. Vedi anche Renzo De Felice, Mussolini l’alleato II. La guerra civile (1943-1945), Documento n. 5 Stralci di lettere riprodotti nei “notiziari”. Esame corrispondenza censurata, cit. pp.595-603.
625 In Renzo De Felice, Mussolini l’alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., pp.489-490.
626 Così lo definisce Renzo De Felice in Mussolini l’alleato II. La guerra civile (1943-1945), cit., [Cap. I. “Forse sarebbe stato preferibile che il mio destino si compisse il 25 luglio”: un “defunto” torna sulla scena politica].
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011