Angelo Gin Bevilacqua, combattente della Lotta Partigiana

Angelo Gin Bevilacqua

A Santa Giulia, sulla “langa” che divide la Bormida di Spigno dal torrente Uzzone, si riunirono Angelo Bevilacqua, Pietro Toscano, Mario Sambolino, G. Recagno, Nino Bori, Aldo Tambuscio e pochi altri cui, entro il 25 settembre 1943, si unirono dei soldati sbandati del Regio Esercito. Il gruppo difettava gravemente di armi e munizioni e vi erano molte discussioni circa la linea d’azione da seguire.
[…] Fu così che il 26 febbraio 1944 fu formato ufficialmente il “Gruppo Calcagno” (il termine “distaccamento” non era ancora in uso tra i partigiani) di cui fu designato comandante G. B. Parodi “Noce”. L’atto di nascita del gruppo è riportato in una relazione scritta dal vicecommissario “Vela”
[…] Commissario politico del reparto fu Angelo “Leone” Bevilacqua, antifascista di vecchia data destinato a diventare una figura mitizzata e leggendaria. Il nome di Calcagno venne estratto a sorte tra quelli delle vittime della repressione fascista
[…] Con tali appoggi e stabili collegamenti con le formazioni vicine e con la delegazione ligure delle Brigate Garibaldi, istituita a Genova in maggio (e il cui commissario politico, non va dimenticato, era quel Giovanni Gilardi “Andrea” che nei difficili mesi da dicembre a maggio aveva ricoperto la carica di segretario federale del PCI a Savona), i partigiani del “Calcagno” poterono affrontare il loro primo vero scontro armato con il nemico. A mezzogiorno del 18 giugno un contadino armato salì con alcuni compaesani all’accampamento del distaccamento “Calcagno” riferendo al comando partigiano che alcune ore prima una dozzina di tedeschi avevano catturato cinque volontari insieme a due suoi figli, fermandosi quindi nel paese di Vezzi San Giorgio. Una ventina di partigiani scesero verso l’abitato
[…] Sei giorni dopo nacque ufficialmente la XXa Brigata Garibaldi, con “Enrico” (Hermann Wygoda) quale comandante con il grado di tenente ed “Emilio” (Libero Bianchi) come commissario politico. I rispettivi vice erano “Jim” (Pasquale Figuccio) e “Leone” (Angelo Bevilacqua); capo di stato maggiore era “Noce” (G. B. Parodi). La neonata brigata poteva contare su 240 uomini, anche se “Simon”, in un suo rapporto alla delegazione ligure delle Brigate Garibaldi, aveva ottimisticamente riferito di oltre trecento elementi.
[…] La Quinta Brigata “Baltera” fu creata raggruppando i distaccamenti “Nino Bori”, “Revetria”, “Bruzzone”, “Minetto” e “Moroni”. Eugenio Cagnasso “Bill”, ex ufficiale del Regio Esercito proveniente dalle fila degli autonomi di “Mauri”, fu scelto come comandante; “Leone” (Gin Bevilacqua) sarebbe stato commissario politico della brigata. L’azione dei distaccamenti coordinati da “Bill” doveva svolgersi a raggiera intorno alla base di Osiglia, spingendosi dalla zona di Bardineto fino alla strada statale Savona-Torino.
[…] Come si può agevolmente notare con una rapida occhiata alla cartina della provincia, la Quinta Brigata aveva creato un’ampia zona libera a dominio dell’Alta Bormida che rimase la più vasta e duratura mai esistita in Seconda zona. I comuni temporaneamente liberati furono oggetto (anzi, soggetto) dei primi esperimenti di democrazia, come a suo tempo aveva raccomandato il PCI savonese. In verità nelle cinque settimane di vita dell’effimero territorio libero fu eletto un solo sindaco, ad Osiglia, da un lato per l’obiettiva difficoltà di organizzare regolari consultazioni elettorali, dall’altra perché molti, ben sapendo che la festa non sarebbe durata in eterno, non ci tenevano proprio ad esporsi prematuramente (anche se su questo punto le fonti partigiane tacciono). In compenso il commissario di brigata “Leone” (Gin Bevilacqua, ormai una sorta di padre putativo per molti garibaldini) poté dare pubblico sfogo alla sua vena oratoria fra la generale approvazione nonché costituire un CLN di vallata (sulla cui rappresentatività multipartitica non mi sento di giurare), oltre ad intessere cordiali rapporti con il parroco di Calizzano, don Suffia, elemento preziosissimo nelle trattative con il nemico. L’amministrazione garibaldina della zona liberata poneva tutta una serie di problemi spiccioli da affrontare e risolvere volta per volta.
[…] Mentre preponderanti forze nemiche invadevano l’intera vallata della Bormida di Millesimo procedendo tanto sul fondovalle quanto sui costoni e cacciavano i garibaldini da Calizzano, il commissario di brigata “Leone” (Gin Bevilacqua), impegnato a rappezzare i reparti sconvolti, cadde prigioniero con altri sei compagni sul Bric Camulera. “Sapete cosa vi spetta?” chiese il tenente Ferraris ai quattro uomini catturati con le armi in pugno. “Leone” rispose pronto “Quello che succede a noi oggi potrà succedere a te domani. C’è solo una differenza: noi sappiamo perché moriamo, tu non lo saprai nemmeno”. Per ordine del tenente, i militi fascisti uccisero “Leone” e gli altri tre (Vincenzo Sirello, Giacomo Pesce e Stelio Actis Grande) massacrandoli a colpi di calcio di fucile, poi ne crivellarono di pallottole i corpi. I tre partigiani risparmiati perché privi di armi furono poi inspiegabilmente lasciati andare.
La drammatica ritirata della Quinta Brigata ebbe inizio quella sera stessa, su due colonne.
Stefano d’Adamo, “Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45)”, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999/2000

Osiglia (SV) – Fonte: Mapio.net

“…Durante l’interrogatorio, al tenente che gli fa notare che la sua fine è vicina risponde: «Quello che sta per succedere a me, può succedere a te domani, con una differenza: io so perché muoio, tu non lo saprai nemmeno”.
Angelo Gin Bevilacqua, nome di battaglia “Leone” (Albisola Superiore, 2 agosto 1895 – Monte Camulera, 29 novembre 1944), è stato un operaio e partigiano italiano, figura di spicco dell’antifascismo e della Resistenza nel Savonese, medaglia d’argento al valor militare.Secondogenito di otto figli, frequenta le scuole elementari fino alla classe terza, poi, nel 1903, si trasferisce con la famiglia a Campochiesa, vicino ad Albenga, dove aiuta il padre nei lavori agricoli.
Nel 1908 torna a Savona e con il fratello maggiore Gian Battista inizia a lavorare come operaio presso la Manovra Astengo nella zona portuale: con i cavalli spostano sotto le navi i vagoni per le operazioni di carico e scarico delle merci. Comincia allora a interessarsi dei problemi dei lavoratori.
Al fronte durante la Prima guerra mondiale, nel corso della quale muore il fratello Gian Battista, dopo il conflitto viene assunto all’Ilva di Savona. Secondo una lettera del Prefetto di Savona scritta durante la detenzione di Bevilacqua (16 aprile 1935), al momento dell’arresto (3 aprile 1934) Bevilacqua «era da circa 15 anni occupato nel locale Stabilimento “Ilva” quale maestro ai forni, con retribuzione, da ultimo, di circa L. 20 giornaliere». Il 6 ottobre 1923 si sposa con Ines Dal Re. Iscrittosi al Partito Socialista Italiano dopo il ritorno a Savona dal fronte, nel 1924 passa al Partito Comunista d’Italia, con il quale fu assessore al comune di Savona.
Durante il fascismo non interrompe l’impegno politico, svolgendo anzi un’intensa propaganda clandestina antifascista come responsabile di Sezione dell’Ilva. Il 3 aprile 1934 viene arrestato durante operazioni che preludono al primo processo all’organizzazione comunista di Savona individuata in seguito a una serie di manifestazioni e di diffusioni di stampa nei cantieri: OM, Ilva, Film, Carboni fossili.
Con la Sentenza numero 15 del 20 marzo 1935 il Tribunale Speciale fascista, lo condanna per Associazione comunista e Propaganda sovversiva a 10 anni di reclusione da scontare nel carcere di Fossano, dove entra in contatto con altri membri del partito, tra i quali Umberto Terracini.
Già il 5 aprile 1937, però, viene liberato grazie all’amnistia concessa per la nascita del principe Vittorio Emanuele e torna a Savona dove lo ospita un fratello.
In questi anni Angelo è costretto a vivere di lavori occasionali, perché nessuno intende assumere in pianta stabile un uomo condannato per propaganda antifascista, e non può allontanarsi da Savona, perché due volte alla settimana deve firmare un apposito registro nella caserma dei Carabinieri.
Tra le altre restrizioni vi è quella di non poter intrattenere rapporti con altri condannati; gli ex detenuti vengono poi arrestati preventivamente e trattenuti in carcere per alcuni giorni quando è prevista a Savona qualche manifestazione o l’arrivo di qualche personalità di spicco del Partito fascista, per impedire eventuali azioni di dissenso.
Nonostante tutto Bevilacqua continua ad occuparsi clandestinamente di informazione e propaganda antifascista, con grande pericolo perché le abitazioni degli ex detenuti politici sono le prime ad essere perquisite ogni volta che le autorità hanno notizia o sospetto di attività antifasciste.
Nel 1939 riesce comunque a farsi riassumere dall’Ilva, dove continua a lavorare di nascosto per il partito, organizzando l’ospitalità di giovani comunisti che, tornati da periodi di studio in Russia e rimpatriati clandestinamente, vanno in giro per istruire i nuovi quadri del Partito Comunista.
Dal 1941 è membro del Comitato federale di Savona del Partito Comunista.
Il 26 luglio 1943, di prima mattina, il Comitato federale si riunisce nella Chiesa di San Lorenzo, per decidere come agire dopo che la radio, la sera prima, aveva annunciato la caduta di Benito Mussolini.
Vengono decretati uno sciopero e una grande manifestazione da tenersi il giorno stesso nella centrale Piazza Mameli; Angelo è tra gli oratori che si succedono sul palco, fra cui Cristoforo Astengo.
Dopo il comizio si forma un corteo che muove verso la caserma della Milizia Portuale di corso Vittorio Veneto per chiedere la fine della guerra; i militi aprono il fuoco uccidendo due donne: Lina Castelli e Maria Pescio.
Il 27 luglio 1943, una nuova manifestazione unisce alla protesta l’omaggio alle due vittime: Angelo è di nuovo sul palco. La celebrazione si conclude con un corteo che raggiunge corso Colombo, da dove una delegazione raggiunge il cimitero di Zinola per deporre una corona di fiori nella camera mortuaria che ospita le salme delle due donne.
Tornando indietro, molti manifestanti si trattengono in piazza Sisto IV, dove Bevilacqua, dal balcone del Municipio, improvvisa un discorso in cui chiede la fine immediata della guerra e lo scioglimento di tutte le forze armate fasciste.
Nei giorni successivi le pressioni degli operai non diminuiscono, tanto che alcuni di essi, come Andrea Aglietto e lo stesso Bevilacqua, vengono arrestati, ma rilasciati dopo appena un giorno. Padri e Madri della Libertà

Alla notizia della morte delle due donne, si riunisce d’emergenza il Comitato d’Azione Antifascista che in un comunicato depreca l’eccidio e indice una manifestazione di protesta per il 27 luglio. Nella giornata si svolgono due importanti eventi. Il primo si tiene in Piazza Mameli, ai piedi del Monumento ai Caduti, dove si succedono gli interventi dell’avvocato Achille Campanile (PSI), dell’operaio Pierino Molinari (PCI) e dell’avvocato Cristoforo Astengo (Pd’A). Nel secondo, in piazza Sisto IV, è l’operaio comunista Angelo (“Gin”) Bevilacqua che, dal balcone del Palazzo comunale, davanti a una folla entusiasta, chiede la cacciata dei tedeschi dall’Italia, la cessazione immediata della guerra, lo scioglimento delle forze armate fasciste e la ricostituzione di tutte le libere associazioni politiche e sindacali. Il 28 luglio le attività lavorative riprendono ma il clima interno alle fabbriche è già mutato per l’azione congiunta di nuovi fattori. Le giornate di fine mese hanno permesso a molti giovani di entrare in contatto con alcuni degli esponenti del “vecchio antifascismo”. Nei luoghi di lavoro si sono stretti nuovi rapporti di conoscenza soprattutto con gli esponenti del Partito comunista. Per questi giovani, futuri partigiani di città, la fabbrica è il primo ambiente in cui ricevono il battesimo politico. Alle 19.45 dell’8 settembre 1943 il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio legge alla radio il proclama dell’armistizio firmato dal governo italiano con gli Angloamericani. La notizia infiamma gli animi di speranza. I savonesi, nuovamente illusi che la guerra sia finita, scendono in strada esultando. Ma la gioia ben presto si spegne e non tardano a manifestarsi segnali inquietanti. Primi tra tutti l’assenza di ordini ai comandi dell’esercito nazionale e il blocco, a poche ora dall’armistizio, dei principali punti di accesso alla provincia da parte delle formazioni tedesche. Queste, infatti, fin dai primi di settembre si sono schierate in Liguria con quattro grandi unità di fanteria. Per questa ragione dall’alba del 9 settembre la città è già occupata dai reparti tedeschi. Il Comandante interinale del presidio, data l’esiguità delle forze armate disponibili, rinuncia a ordinare la difesa delle caserme e lascia i soldati allo sbando. Il momento è tra i più bui. Tuttavia la popolazione regisce. Molti offrono assistenza ai militari sbandati per impedire che cadano nelle mani dei tedeschi, altri raccolgono armi abbandonate per servirsene come autodifesa. Giovani lavoratori delle fabbriche ostili al fascismo recuperano presso caserme e depositi abbandonati fucili e munizioni, presumendo di doversene presto servire nella lotta armata contro i tedeschi trascurata dall’inettitudine degli alti comandi. Quasi ovunque la ribellione ha i caratteri dello spontaneismo e dell’improvvisazione. Diverso è il caso dei “vecchi antifascisti” che, preoccupati per gli eventi che si prospettano, fin da subito lasciano la città per trovare rifugio nei quartieri periferici o nei boschi. Tra costoro si distinguono i comunisti Angelo Bevilacqua, Antonio Carai, Piero Molinari, Quinto Pompili e Pierino Ugo (militanti antifascisti della prima ora, tutti arrestati per appartenenza al PCI nel 1934), Gino De Marco (il partigiano “Ernesto”) e Giuseppe “Pippo” Rebagliati (arrestato già nel 1926 per propaganda comunista tra i lavoratori del porto). Ma ci sono anche l’anarchico Isidoro Parodi e il cattolico Renato Vuillermin. Ad ottobre si allontanano da Savona i comunisti Andrea Aglietto (futuro sindaco “della Liberazione e della Ricostruzione”) e Giovanni Rosso. Nel corso del mese, i nuclei di ribelli si accrescono per l’adesione di soldati delle forze armate nazionali allo sbando, ragazzi che non sopportano il fascismo di ritorno della neo-nata Repubblica Sociale Italiana, giovani che temono la chiamata alle armi e uomini in fuga dalle precettazioni del lavoro coatto in Germania. E’ intorno a questi gruppi che si formano i primi distaccamenti e poi le brigate partigiane del savonese, affiancate da un crescente numero di donne che ricoprono ruoli di staffette nei collegamenti tra la montagna e la città o di combattenti nelle SAP urbane. Giosiana Carrara, Direttore scientifico e didattico ISREC “U. Scardaoni” di Savona, Ilsrec

Il 9 settembre, all’indomani dell’armistizio, mentre comincia l’occupazione tedesca di Albisola, Angelo è tra coloro che coordinano il recupero delle armi dalle caserme abbandonate dai militari allo sbando.
I tedeschi e i fascisti, i quali, scomparsi dopo il 25 luglio, ora tornano attivamente al fianco dei nazisti, intendono arrestare gli uomini di notoria fede antifascista; tra questi c’è Bevilacqua, che a fine settembre o ai primi di ottobre raggiunge il Distaccamento Stella Rossa accampato a Santa Giulia e poi trasferitosi a Gottasecca verso il 15 ottobre. Bevilacqua però non fa parte stabilmente di questo Distaccamento: il suo compito è soprattutto quello di tenere i collegamenti tra il Distaccamento e la Sezione savonese del Partito Comunista, che allo Stella Rossa fornisce sostegno materiale. Nel corso di una di queste visite a Santa Giulia, Bevilacqua sfugge a un rastrellamento a Dego; un’altra volta, arrestato dai carabinieri, viene subito rilasciato grazie a un lasciapassare rilasciatogli dal Comando Tedesco quando lavorava all’Ilva. Il Distaccamento “Stella Rossa”, tra i primi della Resistenza, ha vita breve, sia per la scarsa organizzazione di uomini ancora inesperti di lotta armata clandestina, sia per alcune delazioni che consentono l’arresto di molti suoi membri. Il colpo di grazia è dato dal comportamento proditorio del partigiano badogliano Paolo Ceschi (colonnello Rossi), che il 24 dicembre 1943 fa arrestare i partigiani comunisti dello “Stella Rossa” mentre dormono nella locanda di Secondo Salvatico a San Giacomo di Roburent (CN), consegnandone molti ai carabinieri di Mondovì, che ne deportano alcuni in Germania e ne mandano altri a Cairo Montenotte: i primi moriranno nei campi di concentramento, i secondi fucilati per rappresaglia.
“Gin” Bevilacqua compie un assiduo lavoro per riallacciare i contatti con i partigiani sbandati, infondendo loro coraggio e determinazione, riuscendo infine a riunirli nella prima formazione partigiana vera e propria: il Distaccamento “Calcagno”. A capo di questa formazione viene posto G.B. Parodi (Noce), che vuole fermamente Bevilacqua come commissario politico, pur non conoscendolo personalmente, ma essendone stato impressionato nelle manifestazioni savonesi di fine luglio. È proprio Noce, dopo aver visto Bevilacqua in azione, ad assegnargli il nome di battaglia di Leone. Il suo compito è soprattutto quello di muoversi continuamente tra gruppi partigiani, paesi e case di contadini per assicurare collaborazione, aiuti e collegamenti efficaci: il suo carisma e la sua profonda convinzione in ciò che fa lo rendono capace di persuadere e incoraggiare molti compagni e contadini. I testimoni lo ricordano sempre in ordine, ben rasato e vestito di una giacca di velluto verdognola, rispettato da tutti. Era solito girare disarmato. Continua a svolgere le sue funzioni anche quando, in seguito alla formazione di nuovi e numerosi distaccamenti, diventa Ispettore della IV e V Brigata. A fine novembre 1944 Leone è presso il comando della V Brigata, quando giunge la notizia di un grosso rastrellamento. Invece di seguire i compagni per sfuggire all’accerchiamento, Leone prova a raggiungere il Distaccamento “Nino Bori”, che, formato da molti giovani alle prime armi, potrebbe trovarsi in difficoltà; durante il cammino incontra alcuni sbandati e li aiuta a mettersi in salvo, ma poco dopo viene catturato, insieme ad alcuni compagni, sul monte Camulera dalle Brigate Nere al comando del tenente Ferrari. Durante l’interrogatorio, al tenente che gli fa notare che la sua fine è vicina risponde: «Quello che sta per succedere a me, può succedere a te domani, con una differenza: io so perché muoio, tu non lo saprai nemmeno». Picchiato e colpito più volte col calcio dei fucili, Leone viene finito con numerosi colpi di arma da fuoco il 29 novembre 1944 insieme ad altri tre partigiani. I corpi, subito gettati in una fossa comune vicina al luogo dell’eccidio, sono stati poi riesumati dall’amico Pietro Toscano (Sele) che le ha portate in bare di legno nel vicino paese di Riofreddo, aiutato da alcuni paesani. I resti si trovano ora nel cimitero di Zinola, nel Sacrario dei Partigiani che ospita anche gli altri martiri savonesi.
Medaglia d’argento al valor militare
«Combattente della Lotta Partigiana, fedele alla Patria ed animato da vivo amore per la Libertà, dimostrava sino dai primi giorni tempra impareggiabile di organizzatore. Animava la Resistenza della zona di Savona e, nel corso di numerose azioni dava belle e sicure prove di decisione e valore. Durante un duro rastrellamento condotto da soverchianti forze, cadeva in mani nemiche sul monte Camulera mentre, incurante del pericolo, si portava da una posizione all’altra per animare la lotta. Nelle poche ore della sua prigionia manteneva contegno fiero ed esemplare e, sul luogo stesso della cattura, affrontava la morte con il coraggio dei valorosi».» – Murialdo, 29 novembre 1945
Padri e Madri della Libertà