Antonio ed il principe partirono quasi subito per Venezia

Da Borghese arrivò una seconda missione dal Sud, alla vigilia della fine, impersonata da uno dei più valorosi affondatori della X, che chiameremo semplicemente Antonio [n.d.r.: in effetti si trattava del capitano del Genio Navale Antonio Marceglia, che fece in proposito una relazione di 29 pagine, documento desecretato della CIA, rinvenibile in Rete, relazione di cui qui si riproducono alcune immagini], poiché la sua identità reale non ha poi una grande importanza. Antonio, mandato dall’ammiraglio De Courten, Capo di S.M. del Ministro della Marina, sbarcò con altri a Marina di Carrara nella notte del 10 marzo 1945, e prese contatto coi partigiani locali. L’albergo nel quale essi lo condussero era però sotto sorveglianza delle SS, per cui venne immediatamente arrestato e portato in prigione a La Spezia. Da qui ottenne di telefonare a Borghese, a Valdagno: poche ore dopo, giungeva da Genova il tenente della X Ongarillo Ongarelli che lo scortava prima a Genova e poi a Milano. Qui il 30 marzo, in Piazza Principessa Clotilde 6, dove Borghese aveva il suo privato quartiere, si ritrovarono a pranzo Antonio, lo stesso principe, l’ammiraglio Giuseppe Spartani, Sottosegretario della Marina repubblicana, il capitano Gennaro Riccio, uno dei fedelissimi di Junio Valerio, e Luigia Bardelli, moglie del defunto capitano di corvetta Umberto Bardelli e capo delle ausiliarie della X. La discussione ebbe anche toni aspri, perché ognuno sentiva il correre veloce del tempo, ma si giunse ad un accordo: poiché De Courten chiedeva che la X facesse uno sforzo particolare in direzione della Venezia Giulia, nonché in quello degli impianti di Genova, Borghese – dopo aver detto che secondo lui non c’era più assolutamente modo – prese l’impegno di recarsi sul posto per vedere cosa si poteva fare. Per Genova, avrebbe dato gli ordini esecutivi immediatamente.
Antonio ed il principe partirono quasi subito per Venezia, dove si separarono. Borghese si recò in ispezione ai battaglioni che aveva sul fronte del Senio, mentre Antonio fece un lungo giro per Trieste e Cormons, dove la X manteneva una serie di piccoli reparti speciali, con molto materiale di notevole importanza. I due si ritrovarono a Venezia il 20 aprile e rientrarono a Milano immediatamente, persuasi che non fosse possibile, in quel momento, dar corso al benché minimo spostamento di unità.
Franco Bandini, Perché Borghese fu consegnato agli alleati in Misteri d’Italia

In soccorso del servizio della Marina e dei suoi due ufficiali più importanti giunse James Angleton, il quale colse il potenziale della missione concepita dal Sis e decise di “salvare” Resio e Calosi in cambio della completa disponibilità del Sis a collaborare con la sua unità. L’agente statunitense pertanto concepì il piano IVY, il quale, come scrisse lo stesso Angleton, si basava sulle fondamentali premesse che i servizi tedeschi avessero l’intenzione di sabotare l’industria italiana nel Nord. Un problema che, riportava Angleton, era stato sottolineato da molti italiani influenti da entrambi le parti del fronte. Il primo tentativo di contrasto alle azioni tedesche fu proprio la missione di Zanardi  […] Ma chi poteva riuscire a portare a termine una simile impresa? Il Sis pensava di avere l’uomo giusto, ovvero l’ingegner Giulio Giorgis. Il servizio segreto della Marina lo descriveva come «libero professionista specializzato nei rami edilizia e costruzioni aeronautiche. Parla inglese, francese e tedesco. Egli è Maggiore di complemento della R. Aeronautica ed è fratello del Capitano di Vascello Giorgio Giorgis morto in combattimento durante l’attuale guerra. Pertanto conosce perfettamente l’ambiente di Marina dove ha moltissimi amici». La sua professione gli avrebbe permesso di godere di conoscenze importanti nel campo industriale del Nord Italia. Pertanto secondo il SIS, Giulio Giorgis non avrebbe avuto problemi a contattare:
Genova: Industriale Piaggio e Società di Navigazione
Torino: Fiat
Milano e dintorni: Pirelli, Bacchini, Bombrini, Parodi.
Data la sua specialità di costruttore aeronautico conosce i dirigenti delle seguenti fabbriche di costruzioni aeronautiche:
Sesto Calende: SIAI [Società Idrovolanti Alta Italia, n.d.a.]
Varese: Macchi
Milano: Cantieri Breda
Trieste: Cantieri Navali Monfalcone
Verona: Ufficiali della R.Marina <303.
Secondo l’OSS, Giorgis, per riuscire a penetrare nei servizi tedeschi, avrebbe avuto la chance di ottenere la collaborazione di Borghese e soprattutto del capo degli NP Nino Buttazzoni <304.
I documenti del servizio segreto statunitense ci indicano che la missione IVY fu solo parzialmente completata, a causa anche della repentina fine della guerra che non permise ai tedeschi di mettere in atto i piani di sabotaggio nel Nord Italia, rendendo pertanto inutile l’operazione congegnata da Angleton. Giorgis ebbe solamente il tempo di contattare l’ingegnere Cesare Bacchini della ditta Allocchio Bacchini, il quale avrebbe fornito all’agente gli apparecchi radio di cui necessitava <305. Come riporta la relazione che lo stesso Giorgis stese per il Sis al suo ritorno, la missione che gli fu affidata dall’OSS non fu l’unica. All’ingegnere venne infatti consegnato un messaggio personale di De Courten per Sparzani nel quale si «chiedeva esplicitamente la collaborazione della Marina Repubblicana per assicurare l’integrità del suolo nazionale e impedire con la forza l’occupazione di Trieste e provincia da parte delle bande titine» <306. Nel caso in cui le truppe angloamericane fossero arrivate per prime in città, inoltre, i reparti della RSI avrebbero dovuto portare una fascia bianca al braccio sinistro ed avrebbero evitato qualsiasi contrasto <307. Giorgis inoltre avrebbe incontrato Borghese a Milano, il 23 aprile 1945, trasmettendogli il medesimo messaggio. Anche in questo caso tuttavia Giorgis non ottenne risultati, visto che Borghese riteneva che ormai la situazione impedisse alcuna azione concreta <308.
L’obiettivo primario per il Sis, che aveva anche l’avvallo dello stesso Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, era quindi quello di tentare di salvare Trieste dalle truppe titine e di controllare la città fino all’arrivo degli Alleati <309. La questione orientale era sicuramente un tema rilevante per il Regno del Sud che sin dal 1944 aveva cercato rassicurazioni presso gli Alleati per garantire l’“italianità” dei territori giuliani minacciata dalle rivendicazioni di Tito. Le promesse dei comandi angloamericani però non erano abbastanza. All’interno del Ministero degli Esteri del Sud si fece pertanto strada l’idea di «suggerire al nostro Comando Supremo, per l’eventualità che esso abbia segreti contatti con Comandi ed unità della pseudo Repubblica sociale, di interessare tali comandi a presidiare i paesi della Venezia Giulia appena si verificassero i primi segni del collasso germanico» <310. In questo quadro si inserirono, dunque, i sopracitati contatti con il Comandante Borghese ma anche il cosiddetto Piano De Courten. L’ammiraglio Raffaele De Courten, Ministro e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, come scrive nelle sue memorie, incaricò Calosi di verificare cosa gli Alleati pensassero in merito ad una eventuale azione militare italiana che, al momento del crollo tedesco, avesse preceduto quella jugoslava nell’occupazione della Venezia Giulia. Il Sis avrebbe inoltre elaborato un progetto che prevedeva lo sbarco di reparti della Marina e dell’Aeronautica, il Reggimento San Marco e il Battaglione Azzurro, nelle vicinanze di Trieste. «Queste truppe sarebbero state trasportate da mezzi navali italiani, dato che l’intera operazione avrebbe dovuto essere di esclusiva esecuzione italiana, e gli Alleati, per non compromettersi con gli jugoslavi, avrebbero finto di non saperne nulla» <311. Era dunque necessario predisporre un’organizzazione militare clandestina composta di uomini affidabili e di sicura fede italiana e anticomunista <312. L’ambizioso piano del Sis tuttavia non riscontrò favori presso gli Alleati e la Marina fu costretta ad abbandonarlo nel settembre 1944 <313.
Fu in questo momento che, pertanto, entrarono in gioco i contatti con la Marina Repubblicana e con la Decima Mas in primis. Se le prime due missioni inviate al Nord non avevano come unico (o ufficiale) obiettivo la difesa di Trieste, quella affidata al Capitano del Genio Navale Antonio Marceglia era stata dichiaratamente ideata per quell’obiettivo e godeva inoltre dell’appoggio ufficiale dell’OSS. La missione infatti consisteva nel «prendere contatto con il Com.te J.V. Borghese della Xª MAS al fine di concretare un piano combinato di difesa della Venezia Giulia» <314. Marceglia, accompagnato fino al fronte da Angleton e Resio, attraversò le linee presso Viareggio ma venne arrestato il giorno dopo dai tedeschi. Riuscì tuttavia a far giungere un messaggio a Borghese il quale fece pressioni sul comando delle SS che aveva arrestato l’ufficiale italiano e lo fece scarcerare. Nel primo colloquio che Marceglia ebbe con Borghese, il 28 marzo, l’agente del Sis riferì lo scopo della sua missione e insistette «sulla necessità che ai confini orientali ci [fosse] una resistenza armata e organizzata della durata di due o tre giorni al fine di permettere l’occupazione esclusiva della regione da parte degli Alleati e non delle truppe di Tito» <315. Borghese si dimostrò scettico sulla fattibilità del piano, dato che anche il suo personale tentativo di inviare sul fronte 5000 marò della Decima era stato stoppato dalle autorità tedesche. Anche il suo accordo con gli industriali era fallito perché, secondo Borghese «l’interessamento degli industriali era solo a vantaggio personale e non nazionale» <316. Marceglia fu colpito in modo negativo da Borghese: «Trovo in genere -scrive nella relazione- che nel Comandante Borghese è avvenuta una profonda trasformazione. C’è in lui un senso di leggerezza e fatuità che non gli riconoscevo, si sono inoltre sviluppate delle tendenze megalomani veramente strane. Ho l’impressione che tutta la creazione di questa organizzazione non sia che frutto dell’ambizione personale» <317. Marceglia decise tuttavia di non demordere e in un secondo incontro provò a «invogliare il Comandante ad un’azione attiva ed efficace», dichiarando di poter equipaggiare i suoi reparti destinati alla Venezia-Giulia tramite un «falso lancio ai partigiani in territorio controllato invece dalle sue forze». Tuttavia, nemmeno il fatto che la Marina fosse decisa a sostenerlo «qualora egli [desse] l’appoggio a questi progetti e [fosse] decisa a sottrarlo alle ire popolari o partigiani», riuscì a «portare il Comandante ad una decisione definitiva o ad un impegno formale» <318.
“Egli si dilunga a parlarmi dell’opera di propaganda da lui svolta della Venezia-Giulia mediante un apposito ufficio installato a Venezia sotto la direzione del Dottore Italo SAURO e di un certo DRAGHICCHIO. Parla dell’ingente materiale tipografico propagandistico distribuito nella regione da un sedicente comitato di azione italica da lui creato. Dichiara di aver creato pure una rete di informazioni sia nella regione che in Croazia ma che in quest’opera è fortemente ostacolato sia dal Ministero degli Interni tramite la questura che arresta i suoi informatori sia dal Partito Fascista. Dichiara inoltre di aver tentato prendere contatto con la Divisione Partigiana Osoppo e con le brigate Piave ma che ha trovato in questa opera notevoli ostacoli” <319.
Sembra in effetti che Borghese, tramite il capitano Manlio Morelli del battaglione Valanga, avesse avuto dei contatti con il comandante Candido Grassi, alias Verdi, delle Brigate Osoppo. Secondo quanto riferirà nell’agosto 1945 lo stesso Morelli ad Angleton, una bozza di accordo sarebbe stata siglata con l’obiettivo comune di «combattere gli slavi» ma che incontrò resistenze all’interno della stessa Decima. Probabilmente, infatti, l’iniziativa fu stoppata dall’opposizione di Giuseppe Corrado e Rodolfo Scarelli, numero uno e numero due della Divisione Xª, impegnata direttamente sul fronte orientale prima di essere fermata dai tedeschi <320.
Marceglia provò a contattare personalmente anche altri ufficiali della Decima Mas prospettando loro la necessità di risolvere il problema giuliano. Anche in questo caso l’opinione sulla situazione e sul personale della Decima è molto netta e non lascia speranze sull’esito favorevole dell’operazione: «Ho l’impressione che nessuno di loro abbia sufficientemente chiaro a quale punto si sia della guerra e sulla situazione politica. Riscontro piuttosto diffuso un certo fanatismo parolaio che non ha certo intenzione di estrinsecarsi nell’azione» <321. Nonostante ciò, Marceglia decise di recarsi personalmente a Trieste i primi di aprile per vedere da vicino la situazione della città giuliana. Anche qui lo spettacolo era desolante, poiché notò, Marceglia, non esisteva «alcun serio tentativo per fronteggiare la minaccia Slava». Il CLN, escluso il partito comunista, era costretto a lavorare «quasi nel vuoto, fortemente ostacolato dalla miope politica fascista. Le forze armate italiane sono esigue, sparpagliate e non esiste alcun piano difensivo» <322. Il 17 aprile Marceglia ritornò a Venezia dove incontrò per la terza e ultima volta con il Comandante Borghese. Ancora una volta l’ufficiale della Marina tentò di convincere disperatamente Borghese ad intervenire. L’unica soluzione proposta dal Comandante fu quella di conferire pieni poteri al Comandante del Distretto militare di Trieste, il Generale Giovanni Esposito, «allo scopo di riunire tutti gli elementi italiani facenti parte delle forze armate italiane e dei gruppi ausiliari tedeschi sotto un’unica direzione e preparare con essi una difesa o rallentamento avanzata slava per due o tre giorni» <323. La debolezza del piano era evidente per Marceglia ma decise di comunicarlo comunque alle autorità del Sud.
La situazione nel Nord Italia era tuttavia in continua evoluzione.
[NOTE]
303 CIA, FOIA, Ingegnere Giulio Giorgis, s.d.
304 CIA, FOIA, s.o., 20 gennaio 1945, p. 2.
305 CIA, FOIA, Plan IVY, 3 marzo 1945.
306 AUSSMM, Archivio De Courten, b. 3, f. 85, Relazione dell’ingegner Giulio Giorgis, 23 aprile 1945. Cit. in S. De Felice, La Decima Flottiglia MAS e la Venezia Giulia, p. 118.
307 Ibidem.
308 Ivi, pp. 118-119.
309 Sulle lettere scambiate in merito tra De Courten e Bonomi e per un quadro generale sulle origini della questione di Trieste vedi R. Pupo, Trieste ’45, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 113-114.
310 Documenti diplomatici italiani, Serie X, Vol. I, D. 312, Zoppi a Visconti Venosta, 1 agosto 1944.
311 S. De Felice, La Decima Flottiglia MAS e la Venezia Giulia, p. 111; R. De Courten, Le memorie dell’Ammiraglio De Courten (1943-1946), Roma, U.S.M.M., 1993, p. 546.
312 Ibidem.
313 R. De Courten, Le memorie dell’Ammiraglio De Courten, p. 112.
314 CIA, FOIA, Relazione sulla missione eseguita nell’Italia occupata dal capitano G.N. Antonio Marceglia, 20 giugno 1945, p. 1.
315 Ivi, p. 14.
316 Ivi, p. 15.
317 Ivi, pp. 15-16.
318 Ivi, p. 18.
319 Ivi, pp. 18-19.
320 NARA, rg. 226, e. 108A, b. 258, f. jzx-2080, Accordi intercorsi tra il comando della Decima e la divisione patriottica Osoppo, cit. in N. Tranfaglia, Come nasce la Repubblica, pp. 54-58. Sulla questione vedi anche G. Pacini, Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991, Torino, Einaudi, 2014, pp. 43-45.
321 CIA, FOIA, Relazione sulla missione eseguita nell’Italia occupata dal capitano G.N. Antonio Marceglia, 20 giugno 1945, p. 20.
322 Ivi, p. 22.
323 Ivi, p. 25.
Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana. 1943-1953, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 2016-2017

[   n.d.r.: Antonio Marceglia, prima dell’8 settembre 1943 aveva compiuto importanti missioni della Regia Marina, come da motivazioni del suo medagliere e delle sue promozioni; corre l’obbligo di sottolineare che i suoi incontri, di cui qui sopra, con Borghese, militare di spicco della RSI (e Marceglia inviato dal Regno del Sud), si tennero sotto l’egida della Missione OSS più complessiva, denominata Ivy, come si può vedere inoltre a questo collegamento; si aggiungono altre informazioni…   ]

“Le Osoppo erano innocenti. Lo attesta, chiaramente, un documento già circolante al termine della guerra ma troppo a lungo dimenticato” afferma Marco Petrelli, giornalista e autore de “I partigiani di Tito nella Resistenza Italiana” (ed. Mursia, 2020).
“Si tratta del rapporto stilato dal Capitano del Genio Navale (Marina cobelligerante, nda) Antonio Marceglia che, nella primavera del 1945, è infiltrato nell’Italia occupata con lo scopo di cercare una convergenza, fra italiani, per frenare l’avanzata titina in Friuli. Nel corso del suo viaggio Marceglia incontra Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas, fra i militari più autorevoli della RSI, a sua volta attivo nel cercare di costruire un fronte anti-titino” continua Petrelli.
Nel documento (di cui alcune pagine sono riprodotte nell’appendice fotografica del volume), Marceglia evidenzia due cose: che la forza effettiva della Decima, negli ultimi mesi di guerra, è al di sotto delle aspettative della Regia Marina e che le Brigate partigiane “Osoppo” hanno categoricamente rifiutato ogni contatto e collaborazione con Junio Valerio Borghese e con i suoi marò. E’ lo stesso Borghese a riferirlo ad Antonio Marceglia nel corso di un incontro fra i due.
[…] Il documento stilato da Marceglia è importante perché conferma quanto sempre sostenuto dalle Osoppo: anche a fronte del pericolo rappresentato dagli sloveni, ogni collaborazione con la Decima è stata sempre rifiutata dai Fazzoletti Verdi. E ben prima che si consumasse l’eccidio di Porzus.
“Malgrado i processi del dopoguerra avessero ristabilito la verità, punendo anche alcuni responsabili della strage, fino agli anni Duemila le Osoppo furono avvolte da una sorta di oblio, parzialmente rotto dal coraggioso lavoro del regista Renzo Martinelli. Una piena riabilitazione non c’è mai stata né, forse, un vero interesse a farlo. La costante, infondata paura di un attacco alla Resistenza, di porla sotto giudizio ha influito sulla capacità di analisi del tragico evento, ponendo in secondo piano anche la testimonianza del Capitano Antonio Marceglia, documento ufficiale che avrebbe potuto ristabilire la verità già alla fine del conflitto” conclude Petrelli.
Redazione, ‘I partigiani di Tito nella Resistenza Italiana’, un documento scagiona le Osoppo, ilFriuli.it, 4 maggio 2021

Tra le forze armate della R.S.I., la Decima Mas risulta particolarmente attiva in una serie di operazioni volte ad assicurare la presenza di truppe italiane in Venezia Giulia ed in Istria al momento della fuga dei tedeschi: avrebbe tale significato la visita compiuta in queste terre dal comandante della Decima, Junio Valerio Borghese, nel dicembre del 1944, visita tra l’altro ostacolata dal Supremo Commissario, così come la presenza della Divisione Decima, impegnata a combattere in Carnia e nel Goriziano. Nel capoluogo giuliano si trova il Comando dei Mezzi d’Assalto dell’Alto Adriatico, agli ordini del triestino Aldo Lenzi, che, secondo le direttive di Borghese, è impegnato nel raccogliere informazioni riguardanti la Zona di operazioni Litorale Adriatico e la possibilità di organizzare un intervento italiano.
Questo servizio segreto della Decima Mas, che si occupa di stilare documenti sull’attività nella Venezia Giulia di tedeschi, austriaci, sloveni, croati, serbi e russi <42, si serve della collaborazione di un’organizzazione chiamata “Movimento Giuliano”, diretta, secondo una fonte, da Italo Sauro <43, secondo altre invece da Nino Sauro <44. Il “Movimento Giuliano” si occupa della diffusione nella Venezia Giulia di giornali clandestini aventi carattere nazionale e fonda a Venezia un Istituto per gli Studi sulla Venezia Giulia, che ha il compito di tener sveglio l’interesse dell’opinione pubblica italiana sulla situazione della Venezia Giulia, pubblicando articoli informativi e di propaganda su questo tema sui giornali della R.S.I. <45.
Il comandante Lenzi è in contatto anche con il prefetto Coceani ed il federale Sambo, ma niente di concreto potrà essere realizzato, a causa dell’intransigente opposizione da parte dell’autorità tedesca alla presenza di reparti militari italiani nel Litorale Adriatico, opposizione che verrà mitigata quando ormai sarà troppo tardi. L’illusione di far rimanere la Divisione Decima sul territorio della Venezia Giulia è destinata ad infrangersi presto: alla fine della battaglia di Selva di Tarnova, nel gennaio 1945, il Supremo Commissario Rainer chiede ed ottiene dal generale Wolff, comandante delle forze armate tedesche in Italia, l’allontanamento della Divisione dal confine orientale. In Istria rimangono alcuni presidii della Decima Mas, che difenderanno le loro postazioni fino alla fine della guerra, mentre la Divisione Decima si attesta in Veneto, fra Thiene e Bassano, da dove Borghese spera di farla arrivare nella Venezia Giulia non appena se ne presenti l’occasione. Verso la fine del marzo del 1945 avvengono gli ultimi due, inconcludenti, incontri tra Borghese e gli emissari del ministro della Marina del governo italiano del Sud, l’ammiraglio de Courten; il capitano Marceglia si reca anche a Trieste e viene messo in contatto con Itala Sauro, solo per venire a sapere che non esiste nulla di organizzato.
[NOTE]
42 G. BONVICINI, Decima marinai! Decima comandante!, p. 227. S. NESI, Decima Flottiglia nostra, p. 133. M. BORDOGNA, Junio Valerio Borghese, cit., p. 189.
43 R. LAZZERO, La Decima Mas. La compagnia di ventura del “principe nero”, Rizzoli, Milano 1984, p. 147, riporta il fatto che Italo Sauro collabora, assieme a Maria Pasquinelli, con il servizio informazioni della Decima, ma l’organizzazione “Movimento giuliano” non viene però nominata. G. BONVICINI, Decima marinai! cit., p. 227, parla invece esplicitamente di Italo Sauro quale promotore e direttore del “Movimento giuliano”.
44 S. NESI, Decima Flottiglia nostra cit., p. 133. L. GRASSI, Trieste cit., p. 127, dove si parla però di un “Movimento Istriano Clandestino”. M. BORDOGNA, Junio Valerio Borghese, cit., p. 143 e p. 189.
45 G. BONVICINI, Decima marinai! cit., p. 227. M. BORDOGNA, Junio Valerio Borghese, cit., p. 189. E’ possibile che di iniziative del “Movimento Giuliano” parli l’organo del P.F.R. di Trieste, l’”Italia Repubblicana”, nel suo ultimo numero, che porta la data del 25 aprile 1945, riferendosi all’indirizzo di cittadini della Venezia Giulia e della Dalmazia residenti a Venezia e Milano e riguardante l’inviolabilità dei confini della regione. I due testi citati riferiscono anche che una parte del materiale raccolto dal “Movimento Giuliano”, in particolare sul massacro degli italiani avvenuto in Istria dopo l’ 8 settembre 1943, si trovava nell’Ufficio stampa del Comando della Decima, situato proprio a Milano.
Raffaella Scocchi, Il Partito Fascista Repubblicano a Trieste, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 1995-1996

La corsa a Trieste venne tuttavia vinta dalle truppe di Tito che giunsero in città il 1º maggio 1945. Le truppe di Alexander solamente due giorni più tardi.
I contatti tra il Regno del Sud e le forze della RSI per la salvezza della Venezia Giulia si rivelarono pertanto un totale fallimento. Anche in questo caso Marceglia analizzò lucidamente i motivi per cui le trattative non portarono ad alcun risultato concreto:
“Ritengo che il piano d’impiego della X MAS come forza di arresto all’avanzata slava sia stato nell’insieme ben congegnato. Non si è tenuto però conto come come questa operazione in nessuno modo poteva servire come affermazione di italianità della regione, sia perché queste forze erano in ultima analisi nemiche degli alleati sia perché esse erano quanto mai odiate non solo dai Giuliani ma anche dagli italiani in genere. Nella fase finale della guerra la X MAS ha mostrato inoltre una consistenza militare e uno spirito molto minore di quanto non si prevedesse a Roma ed è dubbio se i suoi reparti portati nella Venezia-Giulia non si sarebbero sbandati anche prima di quelli tedeschi. È mia opinione che doveva essere invece curata a fondo una organizzazione partigiana italiana nella regione, con l’invio di esperti e di materiale, con un forte aiuto al C.L.N. locale e […] [si doveva] mantenere uno stretto collegamento tra C.L.N. di Trieste e quello regionale Veneto, collegamento che è invece mancato. L’impiego di forze partigiane in un’occupazione anche mista della città avrebbe in seguito impedito la loro immediata soppressione. Se oggi i destini della regione e della città sono ancora molto dubbi, molta responsabilità appartiene al governo e ai dicasteri militari di Roma” <326.
L’opinione di Marceglia coincide pienamente con quanto scritto da Raoul Pupo nel suo libro Trieste ’45: «la leggerezza mostrate dal Bonomi e dal suo ministro della Marina [De Courten] nel trattare l’esplosiva vicenda giuliana lasciano alquanto allibiti e risultano comprensibili solo all’interno del clima di disperazione cui sembra essere precipitato il governo italiano» <327. Non è infatti la dimensione ideologica, scrive Pupo, a guidare le mosse degli esponenti di governo italiani. Non è un anticipo di guerra fredda, così come non lo è, come vedremo, la mossa di salvataggio di Borghese da parte dell’OSS. Essa è piuttosto una logica del passato, degli apparati tradizionali dello Stato e della classe politica prefascista i quali «condividono la concezione del “sacro egoismo” nazionale, e vi uniscono una marcata difficoltà nell’avvertire che gli assetti internazionali e il ruolo dell’Italia sta cambiando» <328.
Nonostante il fallimento della missione Marceglia, l’accoglienza che Borghese riservò agli inviati dell’OSS/Sis fu di fondamentale importanza per la sua salvezza. In un’intervista rilasciata da Angleton negli anni Settanta, l’ex agente dell’OSS ribadì l’importante aiuto che il Comandante, in cambio della sua salvezza, accettò di offrire agli Alleati impedendo che i tedeschi sabotassero i porti e in particolare fornendo mappe dettagliate dei campi minati che ostruivano i porti liguri (Genova e La Spezia). Borghese era considerato da Angleton una risorsa strategica per lo spionaggio statunitense per le sue conoscenze e contatti con le più alte personalità tedesche e fasciste nonché per le sue abilità nel campo dello spionaggio e del sabotaggio. Pertanto lo stesso Angleton, assieme al già citato Resio, si recò personalmente a Milano per prelevare Borghese e portarlo in salvo, sotto falso nome, a Roma. L’agente del’OSS riteneva necessario che Borghese rimanesse sotto custodia alleata, per un tempo prolungato «in order to enable him to have a fair trial until partisan excitement has calmed down, and in order to extract from him valuable political and counter-intelligence information which he has acquired since the armistice of September 8» <329. In una relazione del 6 novembre 1945, Angleton ribadiva la bontà della sua operazione di salvataggio del Comandante dato che, nel corso dell’interrogatorio presso il CSDIC, lo stesso Borghese aveva sconfessato «le sue attività di sabotaggio e spionaggio, guidate da ambizioni politiche nella fase del dopo armistizio».
[NOTE]
326 CIA, FOIA, Relazione sulla missione eseguita nell’Italia occupata dal capitano G.N. Antonio Marceglia, 20 giugno 1945, p. 29.
327 R. Pupo, Trieste ’45, p. 118.
328 Oltre a sollecitare Borghese a far fronte comune contro gli iugoslavi il Governo italiano si era anche appellato a Stalin per «sfuggire dalla gabbia dei controlli anglo-americani» Ivi, pp. 118-119.
329 CIA, FOIA, SAIL, 12 maggio 1945, p. 2.
Nicola Tonietto, Op. cit.

La Marina fu anche protagonista nella liberazione di Venezia. Il 28 aprile il Gruppo Marina, che faceva capo al contrammiraglio Franco Zannoni, appartenente al Comitato Centrale Militare, alle dipendenze del C.L.N., entrò in azione sin dall’alba in concorso con le squadre dei gruppi dei partiti inquadrate per sestiere, riunite sotto il comando del capitano di corvetta Carlo Zanchi. Furono occupate le caserme San Daniele e Sanguinetti, l’ex comando della Marina Repubblicana, vari uffici distaccati, il circolo ufficiali, i Cantieri A.C.N.I.L. e Celli, il Magazzino viveri di San Biagio. Il Gruppo attaccò a mano armata l’Arsenale, disperdendo con il fuoco delle armi gli ultimi residui centri
di resistenza del forte reparto della Marina tedesca che aveva protetto la fuga del comando tedesco dell’Arsenale. Fu lanciato un ultimatum che prevedeva che i tedeschi lasciassero l’Arsenale entro le 16, senza attuare il piano distruttivo previsto e senza far saltare la polveriera della Certosa. Poco prima dell’ora di scadenza fu alzata la bandiera nazionale sui pennoni delle torri e il capitano di vascello Rosario Viola, per delega del C.L.N., assunse il comando temporaneo dell’Arsenale, nominando il colonnello delle Armi Navali Alberto Gerundo direttore di Marinarmi e il tenente colonnello del Genio Navale Alfio Denaro, direttore di Maricost. La tempestiva azione del Gruppo Marina consentì di salvaguardare molte delle opere della Marina; l’Arsenale, in particolare i macchinari e i bacini, aveva già subito notevoli danni a opera dei tedeschi.
Gli oltre trecento uomini della X MAS, con i loro ufficiali e l’armamento al completo, si asserragliarono nella caserma Sant’Elena; dovettero essere condotte lunghe trattative poiché essi richiedevano salvacondotti che li mettessero al sicuro dall’azione dei partigiani; cosa che il C.L.N. non voleva dare. Fu necessario un ultimatum dato il 29 per arrivare alla resa, che si svolse il 30, in concomitanza con l’arrivo dei reparti dell’Esercito regolare, dei commando alleati e degli NP della Marina. Grazie all’arrivo dei commando il Gruppo Marina di Lido poté procedere all’occupazione delle principali batterie, che fino ad allora avevano minacciato di aprire il fuoco sulla città, al disarmo del personale della Difesa e alla cattura dei numerosi mezzi della Marina Repubblicana, compresa una motosilurante. (148)
(148) Il Gruppo Marina era così formato:
– contrammiraglio Franco Zannoni; capitano di vascello Rosario Viola, colonnelli delle Armi Navali Alberto Gerundo e Alessandro Arcangeli; capitani di fregata Giuseppe Altoviti e Augusto Della Posta, tenenti colonnelli del Genio Navale Alfio Denaro ed Ernesto Trenchi; delle Armi Navali Guido Bertolazzi, commissario Alberto Zolli; capitani di corvetta Carlo Zanchi e Pasquale Terra, maggiori del Genio Navale Alessandro e Aurelio Molesini Tucciarone, d.m. Pietro Bonacini; tenenti di vascello Angelo Pazzana, Antonio March, Mario Tromba, Ulisse Mustaccioli; capitani del Genio Navale Vito Antonio Gleijeses e Antonio Marceglia; capitani commissari Demetrio Corsi e Luigi Di Virgilio; capitano medico Flavio Panfili; capitani del C.R.E.M. Gioacchino Imperato e Giuseppe Pignatti; sottotenenti di vascello Lino Montesanto, Carlo Egizio Griffon, Luigi Amari; tenente del Genio Navale d.m. Ermenegildo Poli; tenente del C.R.E.M. Salvatore Grienti; guardiamarina Ferdinando Colussi e Carlo Donatelli; sottotenente delle Armi Navali Giovanni Denaro; sottotenenti commissari Filadelfo Caracciolo, Franco Messina e Natalino Di Napoli; aspiranti sottotenenti del Genio Navale Remo Baldantoni e Antonio Maiocchi.
– Sottufficiali: capi di 1ª classe: motorista navale Aramis Perini e Cloro Cuneo; radiotelegrafista Umberto Norrito, nocchieri Emanuele Militello e Gabriele Barghini; capi di 2ª classe: nocchiere Ugo Manzarini; motorista navale Gabriele Manca; infermiere Sante Sibilla; capi di 3ª classe: nocchieri Torquato Falchini, Dante Pizzirani, Vito De Giorgi, Angelo Vaglini, Gaetano Salzano, Alessandro Rinaldi, Virgilio Rigiroli; meccanici Renato Vio e Antonio Monti; secondi capi armarolo Carmelo Chillari, I.E.F. Fernando Calabrese; meccanico Di Virgilio; sergenti: aiutante Luigi Pedrali, elettricista Besanez Gorup, nocchiere Egizio Candido.
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa