Arbeit macht frei

Martin Gilbert
Atlas of the holocaust
Bnei Brak, Pergamon Press-Steimatzky, 1989

Il volume presenta moltissime mappe per visualizzare le deportazioni, i luoghi dei massacri e dei campi, le fughe e le rivolte, le evacuazioni, le marce della morte.
La scheda mostra il tragitto da Varsavia a Treblinka e quello dall’Ungheria ad Auschwitz.

Gustavo Ottolenghi
La Mappa dell’Inferno.
Tutti i luoghi di detenzione nazisti 1933-1945
e
Arbeit macht frei
Sugarco Edizioni, Carnago, 1993 e 1995

Gustavo Ottolenghi ha stilato l’impressionante elenco di tutti i luoghi di detenzione del terrore nazista. Il numero totale ammonta a 7.260.

Una prima suddivisione dei Luoghi di Detenzione (LdD) per civili (Zivilinternierungslager) istituiti dai nazisti durante il periodo dal 1933 (pressoché immediatamente dopo la loro ascesa al potere) al 1945 (termine della seconda guerra mondiale) può essere effettuata secondo un criterio temporale, in riferimento appunto a determinati avvenimenti che ebbero a scandire la storia del Terzo Reich. Questa suddivisione comprende tre periodi:

  1. dal gennaio 1933 (presa del potere da parte del Nazionalsocialismo) al settembre 1939 (inizio delle ostilità verso la Polonia e della seconda guerra mondiale);
  2. dall’ottobre 1939 al marzo 1942 (inizio della campagna per la “soluzione finale” della questione ebraica e dei lavori forzati per tutti i prigionieri civili);
  3. dall’aprile 1942 al maggio 1945 (liberazione dei LdD da parte delle Forze alleate: l’ultimo grande campo, KL Mauthausen, fu liberato il 5 maggio 1945)…

Il primo LdD definito come “campo di concentramento” (Konzentrationlager fuer schutzhaftlinge-KL) venne istituito il 22/3/1933 a Dachau in Baviera (vedi la notizia riportata dal Muencher Neueste Nachrichten e dal Voelkischer Beobachter entrambi del 21/3/1933) e fu posto sotto la giurisdizione – per la prima volta – delle SS (Schultzstaffeln), con il motto Jedem das seine (A ciascuno il suo).
Successivamente, nell’ordine, furono ufficialmente istituiti i KL di Esterwegen (8/3/1934), Sachsenhausen (12/7/1936 con motto Wahrhaftigheit Opfersinn und LiebeSacrificio ed Amore per la Patria), Buchenwald (10/4/1937 con motto Recht oder Unrecht, mein VaterlandA ragione o a torto, è la mia Patria) e Flossenburg (3/5/1938).
Dal 10 novembre 1938 (Kristallnacht, Notte dei cristalli) ebbe inizio formalmente, in tutta la Germania, la campagna contro gli ebrei ed essi cominciarono ad essere sistematicamente deportati nei vari KL. (Deutschland erwache; Jude verrecke!Germania risvegliati; Ebreo crepa!). In questi, contemporaneamente, si iniziò a trasferire, dalle prigioni comuni, i prigionieri civili più turbolenti, gli asociali e gli irregolari cosicché, in breve volgere di tempo, andò costituendosi nei KL una notevole massa di individui ben presto identificati come possibile mano d’opera coatta per le industrie tedesche, e come tale si incominciò a sfruttarla.
Durante il secondo di questi periodi mutò la filosofia di impiego dei KL, che vennero trasformati in campi atti a favorire, come deterrente, il diffondersi dell’ideologia nazista, nei territori occupati dalle Armate del Reich, imponendo sempre più e sempre più duramente il principio dello sfruttamento dei prigionieri come forza lavoro
Nel novembre 1941 ebbe inizio l’Endloesung (Soluzione finale) del problema ebraico, con la sistematica uccisione di ebrei al momento in cui ciascuno di essi non era più in grado, per raggiunta debilitazione fisica, di svolgere lavoro produttivo per il Reich con la conseguente necessità di attrezzare campi elettivamente adatti all’eliminazione materiale di notevole quantità di individui e in breve tempo.
Durante il terzo e ultimo di questi periodi, vennero istituiti in questa ottica otto campi speciali (VL-Vernichtungslager, Campi di sterminio) e precisamente, in ordine di apertura, Maly Trostinec (nov. 1941), Jungfernof (3/12/1941), Chelmno (8/12/1941), Belzec (15/3/1942), Sobibor (7/5/1942), Treblinka T 2 (1/6/1942), Majdanek (1/11/1941) e Birkenau (Auschwitz II, 26/11/1941): essi furono allestiti al solo scopo di ottenere l’eliminazione rapida e immediata di ebrei opportunamente selezionati, di talune tribù di zingari e di prigionieri di guerra russi e slavi parimenti opportunamente selezionati (questi ultimi venivano uccisi senza osservare le Convenzioni di Ginevra in quanto esse non erano state sottoscritte dall’URSS e da taluni Paesi slavi)…
Una seconda suddivisione dei LdD può essere fatta in base ai fini che i nazisti intendevano ottenere dai prigionieri, in funzione elettivamente dei reati per i quali essi erano detenuti. Fu proprio in ossequio a questo principio che l’Oberstgruppenfuehrer SS Heinrich Heydrich, con una ormai famosa ordinanza segreta del 2/1/1941, suddivise tutti i KL in tre categorie:

  1. KL per prigionieri colpevoli di reati minori, suscettibili quindi di recupero alla società; o per prigionieri in precedenza condannati al confino (es. i KL di Dachau, Sachsenhausen, Auschwitz I);
  2. KL per prigionieri colpevoli di reati maggiori, ma ancora ricuperabili alla società, previ periodi variabili di rieducazione, con regolamenti di graduata severità (es. i KL di Flossenburg, Buchenwald, Neuengamme, Auschwitz II);
  3. KL per prigionieri irriducibili e irrecuperabili, destinati quindi alla eliminazione, dopo opportuno sfruttamento delle loro capacità come “forza lavoro” (es. i KL di Mauthausen, Stutthof).

Nel volume Arbeit macht frei, Ottolenghi elenca tutte le industrie grandi e piccole, che hanno adoperato come forza lavoro coatta i prigionieri dei Lager.

Raul Hilberg
La distruzione degli Ebrei d’Europa

Torino, Einaudi, 1995


Hilberg è il massimo studioso dell’Olocausto. Così, nell’intervista a Claude Lanzmann, in Shoah, sintetizza la specificità dell’antisemitismo nazista:

Claude Lanzmann:
Dunque le tre tappe furono: prima, la conversione, seguita dalla ghettizzazione…

Raul Hilberg:
L’espulsione. E la terza fu la soluzione territoriale, quella che fu messa in opera nei territori sotto controllo tedesco, che esclude l’emigrazione: la morte, la soluzione finale.
E la soluzione finale, vede, è davvero finale, poiché i convertiti possono sempre restare ebrei in segreto, gli espulsi possono ritornare un giorno, ma i morti non ricompariranno mai.

C.L.:
E trattandosi dell’ultima fase furono veramente dei pionieri?

R.H.:
Sì, la cosa era senza precedenti e totalmente nuova.

C.L.:
E come si può dare un’idea di quella novità assoluta, poiché penso che anche per loro era una cosa nuova?

R.H.:
Sì, era nuova ed è la ragione per la quale non si può trovare un solo documento, un piano specifico, un memorandum che dica nero su bianco: ”D’ora in poi gli ebrei saranno uccisi”.
Tutto si deduce da formule generali.

C.L.:
Formule generali?

R.H.:
Sì, il termine stesso di soluzione finale, totale o territoriale, permette al burocrate di “arguire” partendo di qua.
Non si può leggere certi documenti, perfino la lettera di Goering a Heydrich (estate 1941), che in due paragrafi lo incarica di procedere alla soluzione finale, ed esaminando quei testi pensare che tutto è chiarito, tutt’altro.

C.L.:
Tutt’altro?

R.H.:
Sì. Era un’autorizzazione a inventare, a iniziare qualcosa che fin qui non poteva essere espresso a parole.

C.L.:
Ed era vero in tutti i campi?

R.H.:
Assolutamente. A ogni fase dell’operazione si doveva inventare… in quanto ogni problema era senza precedenti: non soltanto come uccidere gli ebrei, ma che fare dei loro beni e come impedire al mondo di sapere.

Raul Hilberg
Carnefici. Vittime. Spettatori
Mondadori, Milano, 1994

Nel suo minuzioso lavoro storico, Raul Hilberg non descrive solo gli aguzzini diretti, ma anche il contorno di persone che contribuirono allo sterminio. Così, a Claude Lanzmann, in Shoah, racconta la storia di uno dei treni che conduceva alla morte:

Questa è la “tabella di marcia” n.587, tipica dei treni speciali.
Il numero le dà un’idea di quanto fossero numerosi.
Sotto, Nur fur den dienstgebrauch (riservato all’uso interno), il che è molto in basso nella scala del segreto.
E che su questo documento riguardante i treni della morte non ci sia – non solo su questo ma su nessuno – la parola Geheim (segreto) mi sorprende.
Ma riflettendoci, il termine segreto avrebbe stimolato i destinatari a interrogarsi, a porre forse altre domande, avrebbe fermato la loro attenzione.
Ora, la chiave di tutta un’operazione sul piano psicologico era non nominare mai ciò che era in corso di attuazione. Non dire niente. Fare le cose. Non descriverle. Per cui: riservato all’uso interno.
E noti anche quanti sono a conoscenza di quel documento!
Bfe: stazioni. Su questa linea ne abbiamo… otto, e qui siamo a Malkinia che è naturalmente l’ultima stazione prima di Treblinka. Si hanno dunque otto destinatari per quella distanza relativamente breve, via Radom, fino al distretto di Varsavia, otto perché il treno passa per quelle otto stazioni e ciascuna di esse deve essere avvertita.
Ma perché due foglietti se ne basta uno solo?
Troviamo dunque PKR, sigla che indica un treno della morte che corre verso la sua meta, ma anche il treno vuoto dopo l’arrivo a Treblinka che ora ne riparte.
E lei sa che è vuoto grazie alla lettera L, Leer, che figura qui.
E ora, il treno lascia un ghetto in corso di liquidazione diretto a Treblinka. Parte il 30 Settembre 1942 alle 4.18 – almeno secondo l’orario – e arriva a Treblinka il mattino seguente, alle 11.24.
E’ un treno molto lungo, questo spiega la sua lentezza.
Si legge: 50 G, 50 vagoni merci stipati di gente, un trasporto eccezionalmente pesante.
Ora di arrivo: 11.24, è mattino, 15.59 ora di partenza. In quel lasso di tempo il treno deve essere scaricato, ripulito, e pronto a ripartire.
E la numerazione prosegue con il treno vuoto. Parte alle 4 del pomeriggio e si dirige verso un’altra cittadina, dove raccoglie delle vittime.
E vede, sono le 3 del mattino quando riparte per Treblinka, che raggiunge l’indomani. Ma si direbbe che si tratti dello stesso treno. E’ lo stesso, ma sì lo stesso, soltanto il numero cambia ogni volta. Dunque ritorna a Treblinka. Un altro lungo percorso. Arriva poi riparte per altra destinazione.
Stessa situazione, stesso viaggio.
Nuova partenza per Treblinka e infine arrivo a Czestochowa il 29 settembre.
E il cerchio si chiude.
E’ ciò che si chiama una tabella di marcia.
E se fa il conto dei treni pieni…
Parliamo forse di 10.000 ebrei morti in quell’unica tabella di marcia.

Ma il trasporto degli ebrei ai campi dello sterminio comportava delle spese.

La Reichsbahn era pronta a trasportare qualsiasi carico contro pagamento. E quindi a spedire gli ebrei a Treblinka, Auschwitz, Sobibor, o altrove, purché la si pagasse un tanto a chilometro secondo i prezzi in vigore, tanti pfenning al chilometro.
Il sistema fu lo stesso per tutta la durata della guerra: metà tariffa per i minori di 10 anni, gratis per i minori di 4 anni. Si pagava solo l’andata. Solo per i guardiani era incluso il ritorno.

Claude Lanzmann:
Scusi, i bambini minori di 4 anni mandati nei campi di sterminio erano gassati gratuitamente?

Raul Hilberg:
Sì il trasporto era gratuito.
Inoltre l’ente pagante era quello che emetteva l’ordine dei treni – la Gestapo, i servizi di Eichmann – e poiché quell’ente aveva problemi di tesoreria, la Reichsbahn concesse delle tariffe di gruppo. Gli ebrei furono così trasportati a tariffa turistica. Questa si applicava a partire da un minimo di 400 persone: tariffa charter. Ma gli ebrei ne beneficiarono anche se erano meno di 400, di conseguenza a metà prezzo anche per gli adulti. Però se i vagoni erano insudiciati o danneggiati – il che non era raro – a causa dei lunghi percorsi e perché tra il 5 e il 10% dei prigionieri moriva in viaggio, veniva fatturato un supplemento per i danni.
Ma in pratica, finché c’era pagamento c’era trasporto. A volte le SS ottenevano credito e i trasporti precedevano il pagamento.
Poiché deve sapere, tutta l’operazione – per qualsiasi viaggio, di gruppo o individuale – era svolta da un’agenzia di viaggi.
Era l’agenzia dei viaggi dell’Europa centrale che si occupava della fatturazione, della fornitura dei biglietti…

C.L.:
Davvero, era la stessa agenzia?
R.H.:
Ma certamente l’agenzia di viaggi ufficiale! Spediva la gente alle camere a gas o i turisti alla loro villeggiatura preferita. Era lo stesso ufficio, lo stesso procedimento, la stessa fatturazione.

E da dove provenivano i fondi per il trasporto degli ebrei?

Questi provenivano dai patrimoni ebraici confiscati, utilizzati precisamente a questo scopo: si trattava di autofinanziamento.
Le SS, o l’esercito, confiscavano i patrimoni ebraici e con i depositi bancari finanziavano i trasporti.

C.L.:
Erano dunque gli stessi ebrei a pagare la propria morte!

R.H.:
Esattamente. Non lo dimentichi mai: non c’era uno stanziamento di bilancio per la distruzione.

  1. dal gennaio 1933 (presa del potere da parte del Nazionalsocialismo) al settembre 1939 (inizio delle ostilità verso la Polonia e della seconda guerra mondiale);
  2. dall’ottobre 1939 al marzo 1942 (inizio della campagna per la “soluzione finale” della questione ebraica e dei lavori forzati per tutti i prigionieri civili);
  3. dall’aprile 1942 al maggio 1945 (liberazione dei LdD da parte delle Forze alleate: l’ultimo grande campo, KL Mauthausen, fu liberato il 5 maggio 1945)…

Vittorio Emanuele Giuntella
Il nazismo e i lager

Studium, Roma, 1980

Il sistema dei Lager nasce nella Germania nazista come conseguenza logica e prevedibile di un’ideologia intollerante, che porta alle estreme conseguenze la rozza prassi fascista della violenza contro gli oppositori. Ma il nazionalsocialismo non è uno dei tanti fenomeni di violenza totalitaria. Si distingue per una sua particolare visione dell’uomo, del suo destino, della società, alla base della quale vi è un’interpretazione della storia come lotta di una razza contro la minaccia di imbastardimento e di distruzione rappresentata dalle razze inferiori, e in particolare da quella ebraica. La mistica hitleriana della purezza del sangue tedesco e del pericolo mortale che l’insidia ispira l’angoscia del sentirsi assediati e di doversi difendere con ogni mezzo fino alla distruzione fisica dell’avversario.
La storia dei Lager deve essere considerata non come un’esplosione di violenza bestiale, ma come la traduzione pragmatica di una concezione del mondo. I Lager, con i loro orrori, non rappresentano dunque una deviazione a livello di esecutori, ma il frutto maturo di un’ideologia, che si attua in una politica reale. La guerra non è l’occasione, ma il momento ottimale per perfezionare una macchina, che aveva già fatto la sua prova, e farla funzionare a pieno rendimento.
La crudeltà episodica, dovuta all’iniziativa di comandanti minori e di guardiani dei campi è di scarsa rilevanza di fronte alla spietata regolamentazione “a tavolino” della sorte di milioni di uomini. Questo carattere di fredda burocratizzazione distingue la vicenda dei Lager nazisti da ogni similare esperienza storica.

Questa la tesi conclusiva del prof. Giuntella, professore di Storia Moderna e reduce dalla deportazione.

Ernst Klee/Willi Dresen/Volker Ries
Bei tempi. Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l’ha eseguito e da chi stava a guardare
Giuntina, Firenze, 1990

Così scrivono gli autori, introducendo la loro ricerca:

“Bei tempi” (“Schoene Zeiten”): questa la dicitura sotto la quale, nell’album dell’ultimo comandante di Treblinka, compaiono alcune foto provenienti da quel campo di sterminio, un campo dove almeno 700.000 persone sono state mandate in “gas”.
Durante le ferie universitarie un professore di medicina ricevette l’ordine di recarsi ad Auschwitz. Ciò che vide lo fece inorridire. Tuttavia nel suo diario magnifica l’ottimo cibo (“Stupendo gelato di vaniglia”). E gli si legge a più riprese: “Prelevato e fissato materiale freschissimo di fegato, milza e pancreas”. Il medico che ad Auschwitz non aveva perso l’appetito effettuava ricerche sugli effetti della fame sull’organismo umano.
“Diciamoci la verità”, afferma un poliziotto a proposito di colleghi che avevano partecipato a massacri di ebrei, “per loro era una festa, c’era da prendere oro e denaro… Nel corso di azioni contro gli ebrei c’era sempre da ricavarne qualcosa”.
Compassione, gli esecutori la provavano per se stessi. Quando a Babi-Yar furono fucilati 33771 ebrei in due giorni, uno dei fucilatori si espresse così: “Non ci si può immaginare quale forza nervosa ciò abbia richiesto…”.
Che sorta di uomini erano coloro che trovavano normale uccidere come lavoro quotidiano? Erano uomini del tutto normali. Però essi potevano comportarsi come “Herrenmenschen” (“Dominatori”), decidevano della vita e della morte, avevano il potere. Per loro si schiudevano impensate possibilità di avanzamento. Potevano avere più paga, permessi, vantaggi (per esempio alcool e sigarette). E, nonostante il loro sentimento di potenza, lo Stato toglieva loro premurosamente ogni responsabilità personale.
Certo, c’erano isolate proteste da parte della Wehrmacht. Così il comandante in capo dell’Est deplorava lo scatenarsi di istinti bestiali e patologici. Alcuni autori delle fucilazioni crollavano, altri si suicidavano (per risparmiare i fucilatori, in alcuni commando si uccideva con “camion a gas”, cosa che aumentava ancora la sofferenza delle vittime). Ci furono persino uomini delle SS e poliziotti che si rifiutarono di eseguire ordini di uccisioni. Nonostante tutta la propaganda, continuavano a vedere negli ebrei uomini come loro, non degli insetti immondi, non riuscivano a sparare su persone inermi ed innocenti. Vennero per questo bollati come vigliacchi e deboli, per ordine di Himmler vennero trasferiti ad altre unità o sostituiti, ma, contrariamente a tutte le leggende nessuno fu fucilato o rinchiuso in campo di concentramento per essersi rifiutato di uccidere degli ebrei.
Più volte le pubbliche esecuzioni di massa diventavano delle feste popolari. A Kovno, in Lituania, gli abitanti del paese, fra cui madri con i loro bambini, applaudivano ogni volta che un ebreo veniva ucciso. Si udivano ripetute grida di approvazione e risate. Soldati tedeschi assistevano e fotografavano. Il comando d’armata sapeva e non intervenne. Tal volta soldati tedeschi si sobbarcarono a lunghi percorsi per accaparrarsi i posti migliori alla cruenta “festa della fucilazione”. In alcuni casi si può già parlare di turismo da esecuzione capitale. Il libro documenta che le uccisioni in massa vennero praticate per lungo tempo con la massima pubblicità.
Il 20 gennaio 1942 rappresentanti di uffici ministeriali, delle SS e della polizia si incontrarono in una villa del Groser Wannsee, a Berlino. Tema della riunione: la soluzione finale della questione ebraica. La conferenza del Wansee aveva il compito di informare i singoli uffici circa le decisioni già prese e di organizzare il proseguimento dello sterminio in misura ancora maggiore. Infatti lo sterminio veniva attuato già da tempo: le Einsatzgruppen e gli Einsatzkommandos della polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza facevano strage fra la popolazione ebraica nei territori occupati.
Dalla metà di ottobre del 1941 parecchie decine di migliaia di ebrei del territorio del Reich erano stati deportati nei ghetti polacchi. Molti ebrei che, provenendo dal territorio del Reich giunsero nelle città di Kovno, Riga e Minsk, furono uccisi subito dopo il loro arrivo. A Chelmno funzionavano già i Gaswagen in cui le persone morivano atrocemente soffocate. Nel lager di Auschwitz si era da tempo iniziato a usare il Zyclon B, mentre si stava costruendo il campo di sterminio di Belzec.
Himmler aveva incaricato della “soluzione finale” nel governatorato generale della Polonia il comandante delle SS e della polizia per il distretto di Lublino, l’SS-Brigadefuhrer Odilo Globocnik. Come denominazione di copertura fu scelto in seguito il nome “Aktion Reinhard”, evidentemente in memoria di Reinhard Heydrich, morto in seguito a un attentato nel giugno del 1942 (Heydrich era il capo del Reichssicherheitshauptamt). Tuttavia, un ininterrotto sterminio degli ebrei era impossibile se effettuato con i metodi usuali – fucilazioni di massa o Gaswagen. Perciò Himmler si servì di un procedimento di assassinio un pò diverso, che era stato applicato negli anni 1940 e 1941 nel progetto eutanasia, cioè l’assassinio in massa di malati psichici, handicappati e altri “pesi morti”. Se i malati, nei “centri per l’eutanasia” di Grafeneck, Brandenburg, Bernburg; Hadamar, Sonnenstein e Hartheim erano stati uccisi con l’ossido di carbonio proveniente dalle bombole della IG-Farben, ora venivano usati i gas di scarico dei motori diesel.
Furono creati tre campi di sterminio: Belzec (nei pressi Leopoli), Sobibor (vicino alla città di Wlodawa) e Treblinka (vicino a Malkinia). Belzec iniziò le gassazioni di massa nel marzo del 1942, Sobibor in maggio e Treblinka in luglio. I posti chiave vennero coperti con personale che aveva precedentemente collaborato all’eutanasia. L’impianto di sterminio a Belzec termina nel dicembre del 1942, a Treblinka e a Sobibor nell’autunno del 1943, dopo che in agosto nel primo campo e in ottobre nel secondo si erano verificate insurrezioni dei “lavoratori ebrei”. Quanti collaboravano alla “Aktion Reinhard” vennero in seguito a ciò trasferiti nel settore costiero adriatico, dove contribuirono a deportare ad Auschwitz gli ebrei locali. A quel tempo Auschwitz era un gigantesco centro di assassinio.

Claude Lanzmann
Shoah
Rizzoli, Milano, 1987

Trascrizione di tutte le testimonianze del film Shoah di Claude Lanzmann (diviso in due parti). Nel film Lanzmann intervista sopravvissuti, testimoni ed aguzzini e, mentre fa ascoltare la loro voce, mostra lo stato odierno dei luoghi di cui si parla.
Fra le altre testimonianze, nel primo dei due film, il racconto di Simon Srebnik e di Michael Podchlebnik, gli unici due sopravvissuti del campo di Chelmno, la testimonianza di Richard Glazar e di Abraham Bomba, due del piccolo gruppo che riuscì, durante la rivolta di Treblinka, a danneggiare il campo fino a renderlo inutilizzabile e a fuggire, l’intervista a Franz Suchomel, Unterscharfuhrer SS di Treblinka, la storia di Rudolf Vrba, evaso da Auschwitz, per salvarsi e per portare notizie in Occidente sui campi, la vita di Filip Muller, uno dei pochissimi sopravvissuti alle cinque liquidazioni del Sonderkommando del crematorio V di Auschwitz, l’ultimo che abbia continuato a funzionare, dopo la liquidazione degli altri quattro, con la distruzione dei rispettivi crematori.
Nel secondo film stralci di racconto sulla storia del ghetto di Varsavia, fra cui la testimonianza di Jan Karski, che, per la prima volta della sua vita, accetta di tornare a raccontare delle sue due visite al ghetto, di cui riferì agli Alleati, la allucinante versione dei fatti del dott. Franz Grassler, assistente del dott. Auerswald, commissario nazista del ghetto di Varsavia, ed, infine, il racconto di Yitzhak Zuckermann , comandante in seconda dell’Organizzazione Ebraica di combattimento, sopravvissuto grazie alla rivolta nel ghetto.
Rudolf Vrba, evaso da Auschwitz, può ancora raccontare l’agonia degli ebrei del ghetto di Theresienstadt, forse tenuti in vita dai tedeschi in vista di una ispezione della Croce Rossa.


Rudolf Vrba:
Quegli ebrei di Theresienstadt, il ghetto vicino a Praga, furono sistemati in una parte riservata del campo chiamata Bauabschnitt IIB (BIIB). Allora ero incaricato del registro dei detenuti del campo (BIIA).
BIIA e BIIB erano separati soltanto da un recinto elettrificato, insuperabile, ma attraverso il quale si poteva parlare. Al mattino esaminai la situazione. C’erano delle particolarità sorprendenti: le famiglie – uomini, donne e bambini – erano rimaste insieme, e nessuno era stato gassato. Avevano tenuto con sè i loro bagagli, non erano rapati, avevano lasciato loro i capelli.
La loro situazione era dunque diversa da tutto ciò che avevo visti fino ad allora.
Non capivo, nessuno capiva. Ma nell’ufficio centrale di registrazione si sapeva che tutta quella gente aveva una tessera speciale con la scritta seguente: SB con quarantena di sei mesi.
Conoscevano il significato di SB, Sonderbehandlung, “trattamento speciale” cioè morte per gas. E conoscevamo anche la quarantena!
Ma nella nostra mente trovavamo assurdo tenere qualcuno nel campo per sei mesi per poi gassarlo.
Di conseguenza ci chiedevamo se SB, “trattamento speciale”, significasse sempre la morte per gas oppure se non avesse un doppio significato.
I sei mesi scadevano il 7 marzo.

Claude Lanzmann
:
Li nutrivano meglio?

Rudolf Vrba
:
Certamente, erano meglio nutriti, meglio trattati. Le condizioni, sa, erano così buone che in sei mesi ne morì solo un quarto, vecchi e bambini compresi.
Per Auschwitz era eccezionale! E alle SS piaceva andare a teatro dei bambini, piaceva giocare con loro: erano nate delle amicizie…
Si rivelò una personalità eccezionale, un uomo di nome Freddy Hirsch. Era un ebreo tedesco, che era emigrato a Praga. Dimostrava un notevole interesse per l’educazione dei ragazzi che si trovavano là.
Conosceva il nome di ognuno, e per la sua rettitudine e la sua dignità esemplare divenne in certo modo il capo spirituale del campo delle famiglie…
L’indomani la Resistenza mi confermò che l’esecuzione era certa: il Sonderkommando aveva ricevuto il carbone per bruciarli, sapevano esattamente quanti sarebbero stati gassati, chi doveva esserlo…
Era tutto pianificato! Ripresi contatto con Freddy e gli spiegai che non c’era più dubbio: il suo trasporto, lui compreso, sarebbe stato gassato entro quarantott’ore.
Allora cominciò a tormentarsi. Disse: che ne sarà dei bambini se noi ci rivoltiamo? Era molto attaccato a loro.

Claude Lanzmann:
Quanti bambini?

Rudolf Vrba:
Un centinaio…
Mi disse dunque: “ se noi ci rivoltiamo che ne sarà dei bambini? Chi si prenderà cura di loro?”.
Risposi: ”Una cosa è sicura, per loro non c’è via d’uscita in ogni caso moriranno. E’ certo. Non possiamo farci niente ma questo invece dipende da noi: chi perirà con loro? Quante SS moriranno? Fino a che punto riusciremo a bloccare il meccanismo? Senza parlare della possibilità per qualcuno di evadere nel corso del combattimento, di tentare la fuga perché, una volta scatenata la sommossa certe armi possono cambiare di mano”.
E spiegai a Freddy che non c’era una possibilità, per lui o per chiunque altro dei suoi, per quanto ne sapevamo, di sopravvivere oltre le quarantott’ore.

Claude Lanzmann:
Dove avveniva questo colloquio?

Rudolf Vrba:
Nella mia stanza, nel blocco centrale. Gli dissi pure che era indispensabile un capo e che era stato scelto lui.
Mi rispose che capiva la situazione, che gli era impossibile decidere per via dei bambini: non vedeva come avrebbe potuto abbandonarli alla loro sorte. Era il loro “padre”. Non aveva che trent’anni. Ma il suo rapporto con i bambini era molto profondo.
Un’ora dopo, al mio ritorno, lo trovai disteso sul mio letto, agonizzante. Il suo viso era cianotico, la bocca bianca di schiuma. Capii che si era avvelenato.
Dopo il suicidio di Freddy Hirsch tutto andò molto velocemente. Per prima cosa avvertii gli altri, come avevo avvertito Hirsch. La sera stessa finirono nella camera a gas. Furono caricati sul camion.
Tutti sapevano. Tutti si comportarono molto bene. Tuttavia un dubbio… fino alla fine… Infatti ancora una volta le SS avevano assicurato: ”Heydebreck!”. Se lasciavano il campo i camion dovevano andare a destra, se svoltavano a sinistra, c’era un solo traguardo, a cinquecento metri: il crematorio.

da Gli Scritti