Aspetto provinciale, in una provincia, Siena, che fu fascistissima

Siena – Fonte: Wikipedia

Orientamento politico del capoluogo.
Le correnti antifasciste hanno forza notevole che non corrisponde però all’apparenza. Il fascismo dissimulato, silenzioso e magari nascosto è ancora assai rilevante, anche se la sua importanza politica è praticamente nulla e avanzatissimo è il processo di dissolvimento sotto il peso degli avvenimenti.
Occorre però non dimenticare che i fascisti repubblicani iscritti furono oltre 600 e di gran lunga più numerosi erano i simpatizzanti che non si iscrissero per timore o per calcolo.
La gran massa della popolazione del capoluogo fu fascista e il fascismo fu essenzialmente agrario. Oggi è in gran parte disorientata, proclive all’antifascismo, ma piena di nostalgie inconfessate verso le apparenze di decoro, d’ordine e di potenza del passato regime. Questo è vero specialmente per la media ed alta borghesia e per l’aristocrazia, ma non mancano elementi simili nella minuta borghesia e nel popolo, specialmente artigiano, per motivi parassitari o sentimentali.
Nella borghesia agraria cresce altresì ogni giorno la preoccupazione per l’attività del Partito comunista.
È scarsa la coscienza politica e prevale il pensiero dei “benpensanti” che l’ideale sia l’apoliticità perché l’attività politica è fonte soltanto di dispiaceri.
Grosso modo si può identificare una corrente borghese conservatrice, poco compatta e a tendenza cattolica <193, una corrente democratica, che con varie sfumature giunge fino ai socialisti e che raccoglie anche gruppi intellettuali, e una vivace tendenza // comunista, forse meno forte di quanto sembri anche se, per molteplici ragioni, sia oggi in rapido sviluppo.
Anche nel capoluogo non vi è abbondanza di elementi adatti per funzioni pubbliche, ma un’esperienza democratica dovrebbe rivelarli in misura superiore ad altri capoluoghi di simile importanza senza bisogno di fare ricorso a tante vecchie brave persone per molti ragioni ormai giustamente screditate.
5. La guerra in provincia di Siena.
La guerra ha devastato la provincia per circa un mese e mezzo: abbastanza rapida appena è apparsa dal sud, ha poi rallentato il suo ritmo procedendo verso nord. Perciò i danni sono assai più gravi sulla parte settentrionale della provincia. Immobilizzate le ferrovie da quasi quattro mesi e seriamente danneggiati gli impianti e il materiale rotabile; tutti i ponti stradali saltati; interrotti i telefoni e i telegrafi tuttora inattivi; requisiti totalmente, o quasi, tutti i mezzi di trasporto meccanici pubblici e privati; demoliti o resi inutilizzabili i silos della provincia; tre o quattro centri abitati praticamente distrutti fra i quali, assai importante, Poggibonsi <194; una decina di paesi danneggiati in modo molto grave. Numerosissime case rese inabitabili o seriamente danneggiate. Molto bestiame asportato o ucciso quantunque non in misura tale da pregiudicare l’agricoltura della provincia: strage di porci.
Infinite case più o meno saccheggiate, praticamente tutte al nord di Siena.
Il capoluogo ha veduto saccheggiare sistematicamente per ordine superiore tutti i negozî, i magazzini e molti uffici pubblici, subendo poi la beffa di un manifesto del maresciallo Kesserling, affisso alla vigilia dell’occupazione alleata, che deplorava gli abusi e annunziava di avere deferito i responsabili alla corte marziale! Saltate la centrale elettrica, il serbatoio dell’acquedotto, la centrale telefonica e gli impianti telegrafici, l’impianto del gas e buona parte dei pochi stabilimenti industriali cittadini. Salva e praticamente intatta la città che è rimasta immune in mezzo alla battaglia per esclusivo merito delle autorità militari alleate e che ha vissuto giornate estremamente critiche, anche se non apparse tali alla maggior parte dei cittadini. Salvi alcuni importanti depositi di viveri, opportunamente dissimulati, ed un prezioso stabilimento molitorio. //
Gravi le sofferenze della popolazione rurale e dei paesi nella parte meridionale della provincia, gravissime e raccapriccianti in molti luoghi della parte settentrionale. Numerosi i morti, anche ad opera di mine, numerosissimi i feriti.
Il contegno delle truppe tedesche.
Il contegno delle truppe tedesche, che era stato sostanzialmente corretto anche se duro finché la guerra non si avvicinò alla provincia, divenne progressivamente ostile, feroce, selvaggio. Rapine, saccheggi, devastazioni, prelevamento di lavoratori e di ostaggi, fucilazioni isolate e di pacifici cittadini in massa, case incendiate insieme agli abitanti, bombe lanciate nei ricoveri, massacri di donne e di bambini, mine disseminate con criminale astuzia per colpire mietitori o boscaioli. Ad ognuno di questi fatti possono essere riferiti un’indicazione topografica e una lunga serie di nomi di vittime <195.
È impressione del relatore che ciò sia dipeso soprattutto da formali ordini superiori di diffondere il terrore – nell’esecuzione dei quali il tedesco è sempre zelante – e in parte dalla ferocia di gruppi isolati, ridotti allo stato di belve inseguite, stante la costante minaccia dell’azione partigiana e dell’arma aerea.
Il contegno delle truppe francesi.
Il contegno delle truppe francesi, sotto il cui controllo passò in un primo tempo la provincia, fu corretto <196 e l’accoglienza dei cittadini calorosa <197: il ricordo che ne è rimasto nella cittadinanza è sostanzialmente buono, nonostante i pochi casi di furto o di rapina e i numerosi stupri quasi tutti nelle campagne ad opera di truppe marocchine <198. La popolazione, anche in seguito alle severissime punizioni inflitte, si persuase che si trattava di pericolosi strumenti di guerra e si regolò in conseguenza <199.
Corretto il contegno degli ufficiali francesi, visibilmente sorpresi e disorientati <200 per la rivelazione di una realtà di simpatie del tutto opposta a quella per anni vociferata dalla propaganda fascista. //
Il contegno delle truppe inglesi.
Con il passaggio della provincia sotto il controllo militare inglese e col ritiro del corpo di spedizione francese il tono delle relazioni fra popolazione e truppe alleate si è notevolmente abbassato. Vi hanno contribuito la maggiore diversità di temperamento, la maggiore difficoltà di intendersi, la maggiore rigidità amministrativa inglese e la minore generosità, l’allontanarsi del pericolo e il permanere quotidiano di problemi della vita privata e pubblica sempre più pesanti. Sopratutto vi ha influito la realtà in confronto alle illusioni che salutarono l’arrivo degli zii d’America.
Il contegno delle truppe dell’8a Armata è corretto <201, quantunque la permanenza di grandi masse di armati nella provincia, che costituisce immediata retrovia, non sia scevro di inconvenienti anche non trascurabili: grande è ad esempio la preoccupazione per la sorte dell’uva, fra poco matura, e gravi saranno, fra breve, le conseguenze della massa considerevole di valuta messa in circolazione dai soldati alleati
[…] Ma queste coscienze, che subiscono la crisi del nostro tempo, possono avviarsi per due grandi correnti politiche che passano per Siena come per tutta l’Italia. Una è quella autoritaria, misticamente credente in alcune formule economiche semplicistiche, assunte a valore di dogma come verità trascendentali, intollerante, spregiatrice della critica e delle altrui opinioni, fiduciosa nella forza, anzi nella violenza come metodo politico d’azione e di convinzione e, in attesa di potere adoperare la forza, entusiasta dell’astuzia come metodo tattico, secondo la regola che ogni mezzo giustifica il fine del successo. È una corrente tipicamente fascista che ha scaturigini remote più assai del fascismo e che, sotto certi aspetti, è conforme all’esperienza cattolica del Paese.
In questa corrente si è inserito, senza esitazione, il comunismo <203, // la segue e la incita con identità di metodi e anche di forme e trova un impulso naturale nello spirito del passato. Così, sotto i nostri occhi, il comunismo non si afferma rispetto al fascismo in una posizione <204 dialettica, ma ne è puramente e semplicemente la continuazione come se una frazione estremista e rivoluzionaria del Partito fascista avesse travolto e stesse perseguitando gli uomini della diversa tendenza dominante e riprendesse la marcia con gli stessi gagliardetti. Può sembrare perciò inevitabile la sua successione nei larghi consensi che il fascismo ebbe nel passato <205. Naturalmente questo è aspetto
provinciale, in una provincia che fu fascistissima, e sarebbe secondo me erroneo trarne illazioni di più vasta portata ché, d’altra parte, le determinazioni storiche del nostro avvenire politico sono complesse e in buona parte hanno la loro causa fuori dell’ambito nazionale <206.
193 Segue depennato: «una minoranza intellettuale a tendenze democratiche molto avanzata intorno alla quale gravita soprattutto per simpatie una parte della piccola borghesia». La definizione di tale componente fu probabilmente cassata per essere compresa nella «corrente» politica descritta nel testo che segue.
194 Nell’ampia bibliografia v. Del Zanna, Achtung! Bombengefahr! e Biscarini, Strassenkreuz Poggibonsi, pp. 83-132.
195 Segue depennato: «Il contegno del fascismo repubblicano è stato infame».
196 «corretto» su «ottimo» depennato.
197 «calorosa» su «entusiastica» depennato.
198 La frase, prima di alcune correzioni, così inizialmente recitava: «il ricordo che ne è rimasto nella cittadinanza è eccellente e non sono serviti a turbarlo i pochi casi di furto o di rapina ed i non pochi stupri tutti ad opera di truppe marrocchine [sic]».
199 Segue depennato: «Non per questo i marrocchini ebbero accoglienza meno calorosa nelle famiglie dei contadini dove conquistarono addirittura molte simpatie per la loro semplicità e generosità».
200 Segue depennato: «e qualche volta commossi».
201 «corretto» su «correttissimo» depennato.
203 Il testo di questo paragrafo aveva avuto fino a questo punto una prima stesura, che nel manoscritto appare barrata con due linee diagonali: «La situazione politica. Considero la situazione politica del capoluogo limitandomi per la provincia alle considerazioni generali già esposte, salvo qualche accenno particolare. La città non ha, naturalmente, né maturità, né esperienza democratiche o liberali: ciò può ritrovarsi in qualche spirito isolato, ma non è purtroppo realtà né di massa, né di minoranza. Quello che c’è è questo: passa per Siena, come per tutta l’Italia, la grande corrente fascista autoritaria, gerarchica, misticamente credente in semplicistiche formule dogmatiche come in verità
assolute trascendentali, intollerante, sfregiatrice della critica e delle opinioni contrarie, attratta dalla forza anzi dalla violenza come metodo politico di imposizione delle proprie idee, entusiasta della furbizia come metodo tattico per impadronirsi della forza o in attesa di poterla adoperare, con la fede cieca che ogni mezzo è giustificato dal fine del successo. È una corrente che ha scaturigini assai più remote che nel fascismo ed è conforme all’esperienza cattolica del Paese. In questa corrente si è inserito un nuovo movimento».
204 «posizione» su «situazione etica e politica» depennato.
205 Segue depennato: «con le cattive e con le buone».
206 «nazionale» su «provinciale» depennato.
(Introduzione, edizione e note a cura di) Stefano Moscadelli, Mario Bracci, Carte sparse. Riflessioni, pagine di diario, relazioni, discorsi (1934-1945). «La provincia di Siena ed i suoi problemi». Relazione al Servizio Informazioni Militare (Siena, 22 agosto 1944), Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2020, con il patrocinio dell’Università degli Studi di Siena e del Dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali, pp. 151-156

Mario Bracci, figlio dell’avvocato Rodolfo e di Luisa Bartalini, nacque a Siena il 12 febbraio 1900, nella centralissima via Montanini. Conseguita la licenza liceale nel 1916, si laureò poco più che ventenne in Giurisprudenza il 24 aprile 1921, avendo avuto come docenti, tra gli altri, Piero Calamandrei (che a Siena insegnò Diritto processuale civile dal 1920 al 1924), il penalista Eugenio Florian (deputato socialista nella XXVI legislatura, 1922-1924, e firmatario del ‘manifesto Croce’), il giuscommercialista Antonio Scialoja (deputato e senatore liberale, dal 1929 senatore fascista) e soprattutto l’amministrativista Guido Zanobini e il filosofo del diritto Alessandro Bonucci <1.
Incaricato di Diritto amministrativo nel 1924 presso l’Università di Sassari, dopo un periodo di perfezionamento ad Heidelberg Bracci conseguì la libera docenza nel 1925, prima di vincere nel 1927 il concorso per la cattedra sassarese ed essere chiamato nel 1928 a Siena, dove – oltre a svolgere la professione di avvocato nello studio paterno – fu professore ordinario di Diritto amministrativo dal 1930 e dove tenne temporaneamente anche le cattedre di Diritto ecclesiastico (1929-1930, 1932-1936), Diritto internazionale (1947-1948), Istituzioni di diritto pubblico (1948-1949), Scienza delle finanze e diritto finanziario (1949-1951) e Diritto agrario (1951-1955).
Eletto rettore dell’Università di Siena il 18 novembre 1944, pochi mesi dopo la liberazione della città, mantenne la carica fino al 1955 <2. Il rettorato di Bracci coincise con il rilancio del piccolo Ateneo senese, a lungo limitato alle antiche Facoltà di Medicina e di Giurisprudenza, alle quali solo nel 1933 si era aggiunta quella di Farmacia. Si deve infatti a Bracci l’istituzione della prima Scuola universitaria in Italia per l’assistenza sociale e di una Scuola di perfezionamento in discipline bancarie per i laureati in giurisprudenza, prodromo della Facoltà di Economia che sarebbe stata istituita alla metà degli anni Sessanta. E soprattutto a lui si deve la prima progettazione del nuovo policlinico universitario, che avrebbe consentito di trasferire progressivamente i reparti dal vetusto ospedale cittadino di Santa Maria della Scala, posto nel cuore del centro storico, a una moderna e funzionale struttura ospedaliera fuori città.
Per quanto concerne il suo percorso politico, è noto che Bracci fece le sue prime esperienze nelle file del Partito repubblicano, al quale aderì anche sulla spinta di Piero Calamandrei. Ed è altrettanto noto che dopo aver firmato, nel 1925, il ‘manifesto Croce’ degli intellettuali antifascisti <3, si ritirò dalla politica attiva concentrandosi negli studi giuridici <4 e nell’attività didattica, per quanto gli argomenti di alcuni suoi contributi – ad esempio quelli sulle pensioni di guerra (1925) <5 e sulla qualificazione della S. Sede come soggetto di diritto internazionale (1931) <6 all’indomani dei patti lateranensi – prendessero spunto da questioni di stretta contemporaneità.
Nel novembre 1944, vincendo ostilità politiche e contrastando voci calunniose <7, Bracci ottenne l’ingresso nel Partito d’azione e come suo esponente entrò nella Consulta nazionale (1945) e nel primo governo De Gasperi (in carica dal dicembre 1945 al luglio 1946) come ministro del Commercio con l’estero, in quest’ultimo caso subentrando a Ugo La Malfa, uscito dalla compagine governativa e dal Partito d’azione dopo il congresso del febbraio 1946. In questa fase, la sua attività si caratterizzò soprattutto nel segno della collaborazione sul piano tecnico-giuridico col presidente De Gasperi, in particolare su due punti delicati dell’agenda di governo: il provvedimento di amnistia presentato da Palmiro Togliatti <8 e – dopo l’esito del referendum istituzionale del 2-3 giugno 1946 – la definizione delle procedure per il passaggio dei poteri dalla monarchia agli organi del nascente Stato repubblicano <9. Già vicino, fin dalla primavera 1946, alle posizioni socialiste <10, nel 1947, sciolto il Partito d’azione, Bracci aderì in modo convinto al Partito socialista italiano stringendo un legame forte di amicizia con Pietro Nenni <11, e in quello stesso anno fu nominato membro dell’Alta Corte per la Regione siciliana e ambasciatore straordinario a capo di una missione economica in Argentina e Uruguay. Nel 1955, al momento della composizione della prima Corte costituzionale <12, la cui formazione fu a lungo osteggiata dalla Democrazia cristiana e dai partiti d’area monarchica, Mario Bracci ne venne a far parte come «l’uomo della Sinistra» <13, eletto dal Parlamento dopo un complesso accordo politico.
Bracci partecipò anche alla vita pubblica senese come consigliere comunale socialista dal 1951 al 1955 <14, impegnandosi soprattutto, assieme a Ranuccio Bianchi Bandinelli, nella delicata definizione del nuovo piano regolatore cittadino che avrebbe tutelato il centro storico della città e impedito la costruzione di nuovi edifici nelle ‘valli verdi’ all’interno dell’antica cerchia muraria <15.
A soli 59 anni, Mario Bracci morì a Siena il 15 maggio 1959 e venne sepolto nel piccolo cimitero di Pontignano, nei pressi di quell’imponente omonima Certosa che egli aveva acquistato alla fine degli anni Trenta e che in seguito sarebbe venuta in proprietà dell’Università di Siena […]
1 In questo paragrafo mi permetto di riprendere, in parte, quanto in proposito ho scritto recentemente in Moscadelli, Mario Bracci allo specchio delle sue carte, § 1, cui rimando per indicazioni specifiche e approfondimenti. Gli elementi essenziali della biografia di Mario Bracci sono stati in varie occasioni ricostruiti e riproposti nelle pubblicazioni a lui relative o in repertori biografici di vasta diffusione (ad esempio v. Craveri, Bracci, Mario, Vivarelli, Introduzione e Cianferotti, Bracci, Mario). Fra i tanti interventi che hanno avuto come oggetto di studio soprattutto la portata del contributo di Bracci nell’ambito delle scienze giuridiche, e non solo, mi preme di sottolineare quelli, fondamentali, di Giulio Cianferotti (Dottrine generali del diritto e lotta politica; Gli scritti di Mario Bracci sulla proposta e l’atto complesso; L’opera giuridica di Mario Bracci; Ufficio del giurista nello Stato autoritario).
2 Barni, Mario Bracci rettore; Raselli, Mario Bracci e l’Università di Siena.
3 «Una vasta e violenta reazione si era manifestata nel Paese, in ogni strato sociale, dopo il delitto Matteotti, e Benedetto Croce ci aveva raccolti attorno ad una civile protesta che rimane la più nobile testimonianza di quello spirito italiano di libertà sul quale scendeva l’ombra» (Bracci, I fattori storici del fascismo italiano, p. 38).
4 Si tratta di un atteggiamento che ha molto in comune con quanto è stato osservato anche per Piero Calamandrei; v. Cianferotti, Ufficio del giurista nello Stato autoritario, pp. 269, nota 46, 271 e soprattutto 312-313 e 321-323 per i riferimenti «alla pratica della reticenza, alla pluralità dei piani di comunicazione, allo “scrivere tra le righe”, alla dissimulazione honesta». Sul percorso personale che portò Bracci a rifiutare il fascismo v. Bracci, Quelli che non marciarono, sul quale v. Vivarelli, La generazione di Mario Bracci, p. 16 ss.
5 Bracci, Le pensioni di guerra, su cui v. Cianferotti, Dottrine generali del diritto e lotta politica.
6 Bracci, Italia, Santa Sede e Città del Vaticano.
7 La vicenda è ricostruita in Moscadelli, Mario Bracci allo specchio delle sue carte, § 3.2.
8 Bracci, Come nacque l’amnistia.
9 Bracci, Storia di una settimana; v. anche Bracci, Nota per Alcide De Gasperi e Bracci, Come è nata la repubblica italiana, pp. 414-416.
10 Moscadelli, Mario Bracci allo specchio delle sue carte, doc. I/1, minuta della lettera inviata a Ferdinando Schiavetti, non datata ma riconducibile all’inizio d’aprile 1946; v. anche Bracci, Per l’azione comune nel socialismo tra P.S.I e P.d’a., p. 255.
11 Tra i tanti richiami al riguardo v. Bindi, Partito d’azione e processo costituente, p. 274: «Bracci si adoperò per preparare la confluenza di ciò che restava del Partito d’azione nel Partito socialista italiano, offrendo poi un contributo personale all’elaborazione delle linee politiche e della strategia di fondo dello stesso Partito socialista negli anni Cinquanta, grazie anche al suo fecondo rapporto di consulenza e di amicizia con Pietro Nenni». Sui legami d’amicizia e di vicinanza politica fra Nenni e Bracci v. i numerosi riferimenti al giurista senese contenuti in Nenni, Diari, ad indices, nonché in Bracci, Lettera a Pietro Nenni sulla politica estera dell’Italia. Gli incontri romani di Bracci e Nenni, presso l’abitazione di quest’ultimo in Via Cristoforo Colombo o alla Camera, sono rievocati in Grottanelli de’ Santi, Ricordo di Mario Bracci, pp. 140-141.
12 Per le modalità tecniche e politiche che portarono alla formazione della prima Corte costituzionale v. Bindi, Partito d’azione e processo costituente, pp. 292-295; per la portata e il significato politico della nomina di Bracci v. anche le considerazioni espresse in Nuti, Mario Bracci e le origini del centro-sinistra, pp. 325-326.
13 Grottanelli de’ Santi, Mario Bracci e gli inizi dell’attività della Corte costituzionale, p.
334. Sull’attività di Bracci in seno alla Corte v. anche Guizzi, Profilo di un giurista: Mario Bracci, Grottanelli de’ Santi, Mario Bracci nel ventesimo anniversario della morte, pp. 28-29 e Bagnoli, La testimonianza civile di Mario Bracci, pp. 17-20.
14 Balocchi, Bracci e Siena, pp. 111-115.
15 Bracci, Per lo sviluppo urbanistico di Siena.
Stefano Moscadelli, Introduzione, Op. cit., pp. 7-10