Attenzione! Per Alberino: le foglie spuntano

Fonte: Rolando Anni, art. cit. infra
Fonte: Rolando Anni, art. cit. infra
Fonte: Rolando Anni, art. cit. infra

Quando una donazione arriva nel nostro archivio (l’Archivio storico della resistenza bresciana e dell’Età contemporanea) e, come credo, anche in tutti gli archivi, è impossibile resistere alla tentazione di dare una veloce occhiata per vedere in fretta di cosa si tratta, prima di procedere al pesante lavoro di riordino.
Recentemente si è aggiunto agli altri il ricco fondo (libri e documenti) di Aldo Gamba, grazie alla generosa donazione del figlio Alberto.
Aldo Gamba era una figura per molti versi atipica nel panorama della Resistenza bresciana. In contatto con Louis De Pace, che aveva costituito in Francia una organizzazione di spionaggio, il Reseau Rex. Nella prima metà del gennaio 1944 costituì una sottorete del Rex nelle province di Torino, Milano, Padova, Brescia, Verona, Mantova e Como. Il suo impegno fu di raccogliere e recapitare le informnazioni all’addetto militare italiano, il quale poi provvedeva a passarle agli inglesi e ai francesi.
Durante la sua attività partigiana Gamba fu arrestato due volte. La prima il 17 aprile del 1944 a Milano. Portato a San Vittore, si offrì come addetto alle pulizie, perché poteva disporre di maggiore libertà, e il 22 maggio riuscì a fuggire.
Il secondo arresto risale al 12 dicembre 1944 sempre a Milano. Portato nel carcere di San Vittore, vi restò fino alla mattina del 24 aprile.
In mezzo ai numerosi documenti e libri non poteva non colpire una vecchia videocassetta accompagnata da una scheda, che spiegava che in essa erano stati riversati alcuni spezzoni dell’attività del gruppo C 9 delle Fiamme Verdi durante l’estate del 1944 in media Valle Camonica.
[…] . Nei pochi minuti di durata del filmato i partigiani ritratti sembrano e sono dei ragazzini: mostrano il loro volto, sorridono, scherzano fra di loro, recitano anche allegramente una parte: mimano azioni di ricognizione e persino una baruffa giocosa. Soprattutto i resistenti italiani incontrano i partigiani russi Michele e Nicola (forse Pankov?) che indossano divise dell’Armata Rossa e mostrano nel loro volto e nei loro movimenti la maturità di chi ha fatto e sofferto la guerra. Il filmato immortala anche lo smontaggio di un fucile, nonché la lettura di gruppo di un giornale svizzero.
Ma durante le riprese, fatte in un momento di tranquillità con una macchina Paillard 8 mm, la realtà subito si impone. Infatti sono bruscamente interrotte da un rastrellamento che si sta sviluppando e che fa allontanare tutti verso i propri gruppi.
Rolando Anni, Partigiani, il video ritrovato, Corriere della Sera, Cultura & Tempo libero, 25 aprile 2018

Mancini combatté valorosamente e fu promosso Maresciallo ordinario nel febbraio 1942 per meriti di guerra. L’ultima notizia “militare” è del luglio 1942: tornò dall’Ucraina con il suo reparto e da quel momento il foglio matricolare non riporta più nulla. Da accertamenti eseguiti personalmente risulta che fu comandato a Pinerolo dove probabilmente lo colse l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Durante la campagna di Russia, Mancini ebbe occasione di stringere amicizia con alcuni suoi commilitoni e con un tenente bresciano, Aldo Gamba, anch’egli in forza al III gruppo “San Giorgio”: al momento dell’armistizio l’ufficiale da Pinerolo era fuggito in Svizzera ma il 26 dicembre 1943, desideroso di partecipare alla Resistenza, era rientrato nel Bresciano, dove operavano le “Fiamme Verdi”, partigiani di matrice cattolica. Qui costituì un nucleo del “Reseau Rex”, rete informativa che forniva notizie all’addetto militare del Regno del Sud, agli svizzeri, ai francesi di France Libre e agli Inglesi.
Gamba formò, in Lombardia e nel Veneto, gruppi di 3-4 persone tra ex commilitoni o compagni di scuola che non si conoscevano tra loro, per un totale di una ventina di aderenti: l’attività resistenziale era basata soprattutto sull’intelligence, comunicando agli Alleati informazioni e documenti sui movimenti e sulle azioni delle formazioni tedesche e fasciste, in particolare la Guardia Nazionale Repubblicana.
Un gruppo di resistenza monarchico collegato (il V.A.I., Volontari Armati Italiani) aveva però all’interno una spia che, a Milano, fece catturare Gamba il 17 aprile 1944: il partigiano, rinchiuso a San Vittore, subì violenze, maltrattamenti e un duro interrogatorio.
Il 20 aprile anche Mancini fu arrestato a Verona; portato nel carcere milanese subì lo stesso trattamento di Gamba, per mano di un celebre personaggio, Luca Osteria detto “Ugo”, cioè colui che pare abbia poi favorito la liberazione di importanti personaggi come Ferruccio Parri e Indro Montanelli.
Il 22 maggio Gamba riuscì ad evadere, mentre Mancini il 9 giugno fu portato al campo di concentramento e transito di Fossoli, gestito dalle SS: le tremende condizioni della prigionia sono testimoniate dal brutale assassinio, avvenuto il 21 giugno, di Leopoldo Gasparotto, figlio di Luigi Gasparotto, ministro prima e dopo il fascismo.
Il 12 luglio 1944 fu emanato un ordine terribile: 69 prigionieri, divisi in tre gruppi, dovevano essere fucilati senza alcun processo al vicino poligono di tiro di Cibeno, in base ad una lista predisposta. Il secondo gruppo, nel quale era inserito Mancini, giunto sul luogo di esecuzione, si ribellò: due condannati riuscirono a evadere ma il saludecese purtroppo fu freddato dai colpi delle SS che reagirono al tentativo di fuga. I corpi furono straziati, privati dei segni di riconoscimento e seppelliti sotto calce viva in un’anonima e nascosta fossa comune: solo nel maggio del 1945 si seppe del massacro.
Andrea Montemaggi, Renato Mancini, un eroe di Saludecio trucidato a Fossoli, Ariminum (ISSN 2612-6370), n° 25, maggio-giugno 2019

Fonte: Carla Bianchi Iacono, art. cit. infra
Fonte: Carla Bianchi Iacono, art. cit. infra

A causa della delazione di una persona bene informata, fra la metà di marzo e la fine di aprile, si innescò una catena di arresti degli esponenti più in vista del VAI. La componente militare della resistenza fu praticamente azzerata e il progetto, nonostante tutti gli sforzi e il coraggio del comandante Kulczycki e dei suoi, si spense naturalmente. Ferruccio Parri pur stimando gli ufficiali monarchici come militari, li riteneva avversari politici da combattere e da neutralizzare. Qualcuno sospettò che la delazione provenisse proprio dal CLNAI.
I tre sottufficiali che seguono, anch’essi arrivati a Fossoli con lo stesso trasporto, facevano parte della rete Reseaux Rex.
Ernesto Celada ventisettenne sergente maggiore di cavalleria, al suo ingresso a San Vittore dichiarò di fare il meccanico di professione. Non fu il solo che diede una informazione falsa, anche Renato Mancini, trentenne maresciallo dei Lancieri di Novara, dichiarò di essere impiegato e non sottufficiale. Forse era uno stratagemma per non rischiare di tradire i compagni, conoscendo i pesanti interrogatori subiti dai detenuti a San Vittore.
Armando Di Pietro, classe 1901, maresciallo capo Lancieri di Novara si unì al gruppo informativo del Reseaux Rex ma più tardi; al ritorno da una missione fu arrestato e raggiunse a san Vittore i suoi due compagni.
Sempre con lo stesso trasporto arrivò a Fossoli il gruppo direttivo del giornale clandestino “il Ribelle”.
[…] Altro appartenente al gruppo de “il Ribelle” era il 22enne bresciano Rolando Petrini, studente della Regia Scuola di Ingegneria di Milano, dopo l’8 settembre si unisce alla brigata Tito Speri delle Fiamme Verdi in Valcamonica. Mantiene i rapporti tra i partigiani della zona e la città, inviando materiale, informazioni, e anche copie de “il Ribelle”. Don Carlo Comensoli nel suo “Diario” annota i giorni in cui Rolando si presenta per portare informazioni e riceverne.
Quando soggiorna a Milano si mette a disposizione degli amici de “il Ribelle” insieme con il fratello Enzo, uno dei redattore del foglio, che era stato allievo della professoressa Ferrighi di cui abbiamo detto in precedenza.
Franco Rovida, classe 1903 tipografo appartenente ad Avanguardia Cattolica si mise a completa disposizione del gruppo per stampare il giornale; le sue parole nell’accettare l’incarico furono: “E’ una cosa buona, si farà”.
Fu arrestato ai primi di maggio insieme ai suoi collaboratori, Luigi Monti e Osvaldo Rossi, la tipografia devastata e la macchina da stampa requisita e deportata a Fossoli assieme al suo proprietario. Nel campo Rovida continuerà a lavorare come stampatore. Una decina di anni fa le sue due nipoti hanno trovato, fra i documenti della nonna, la minuta di una lista di circa una settantina di nomi; era quella dei politici scelti per la fucilazione.
L’originale dattiloscritto arrivò al Cardinale Schuster attraverso il giovane chierico Giovanni Barbareschi, legato al gruppo de “il Ribelle”, che si trovava a Fossoli il 13 luglio, giorno successivo all’eccidio.
La presenza di Barbareschi è confermata dal “Block Notes” di don Francesco Venturelli, parroco di Fossoli, che si recava giornalmente all’interno del Campo per portare conforto, lettere e denaro agli internati.
[…] Con l’ultimo trasporto del 29 giugno giunsero al Campo: Generale Giuseppe Robolotti, classe 1885, che rifiutò di prestare giuramento all’Esercito Repubblicano e si mise in aspettativa. Il CLNAI gli affidò il comando della Piazza di Milano con l’incarico di costituire un piano per la difesa della città.
A metà maggio fu arrestato nel così detto “complotto contro i generali” insieme al collega Bortolo Zambon ed altri. Per una serie di coincidenze mirate, tutto il gruppo di Zambon venne liberato tranne il generale Robolotti, che come tanti altri fu lasciato al suo destino infausto.
Gino Marini, cinquant’anni, colonnello di artiglieria, lasciata la divisa dopo l’8 settembre svolse una capillare attività organizzativa per i GAP di Milano collaborando con il generale Robolotti e insieme al quale venne arrestato.
Emanuele Carioni, 23enne studente universitario; tenente d’artiglieria e paracadutista. Fece parte dell’organizzazione americana OSS (Office of Strategic Service) e durante una missione fu paracadutato sulle Alpi bergamasche con un
lancio mal riuscito, con la radio trasmittente inutilizzabile, trovò ospitalità in casa delle sorelle Villa, antifasciste che aiutavano i partigiani del lecchese, ma furono tutti traditi da sedicenti prigionieri di guerra.
Non possiamo dimenticare di citare anche Antonio Ingeme, classe 1916 che rientrato dal Cairo d’Egitto dove era nato, si prodigò per far espatriare i perseguitati per lo più prigionieri di guerra in collaborazione con Oscar; Antonio Manzi, tenente degli alpini al momento dell’Armistizio raggiunse i partigiani delle Valli bergamasche; Francesco Caglio, propagandista di A.C., riforniva di armi e vettovagliamenti i partigiani delle montagne brianzole.
In date differenti arrivarono al Campo altri deportati politici di formazione cattolica provenienti dall’Emilia Romagna e che si incontrarono con i milanesi.
Luigi Broglio, 21enne studente universitario, iscritto alla Fuci di Parma, attraversate le linee si unì al Servizio Informazioni Militari dell’armata alleata come ufficiale di collegamento, anche grazie alla sua conoscenza della lingua inglese. In una delle missioni che lo portavano oltre le linee verso il Nord, fu tradito e consegnato ai nazifascisti.
Rino Molari, classe 1911, professore di lettere, educatore fuori dagli schemi: insegnava oltre all’italiano e al latino, a rispettare le idee altrui, a credere nel valore dell’uomo e ad amare il prossimo. Dopo l’8 settembre partecipò alla costituzione del primo nucleo antifascista a Sant’Arcangelo di Romagna, suo paese natale, rappresenterà il CLN per l’Emilia Romagna a Roma.
Dal carcere di Bologna sarà trasferito il 6 giugno a Fossoli, pochi giorni prima dell’arrivo del gruppo più numeroso dei cattolici milanesi e lombardi.
Odoardo Focherini, trentottenne carpigiano, sette figli, proclamato Beato dalla Chiesa Cattolica nel 2011. Amministratore del giornale ‘L’avvenire d’Italia’, presidente dell’Azione Cattolica Diocesana e Giusto fra le Nazioni. Si prodigò per salvare gli ebrei della zona dalla deportazione; tradito, arrestato, giunse a Fossoli il 5 luglio dal carcere di Bologna.
Scrisse ai familiari ed agli amici più di 150 lettere; nella prima racconta “… ò trovato qui vecchi e nuovi amici…” i nuovi amici erano quelli legati a “il Ribelle”; e inviò un biglietto senza data, si presume dopo il 12 luglio, all’amico Confucio Lodi nel quale chiede di: “….sospendere pacchi Vercesi, Molari, Bianchi”. Poiché ai tre amici non servivano più.
Tutte le persone di cui abbiamo parlato furono fucilate al poligono di Cibeno, tranne Rolando Petrini, Franco Rovida, Luigi Monti, Teresio Olivelli, Odoardo Focherini che moriranno di stenti nei lager del Nord Europa. Fra tutti solo Osvaldo Rossi riuscirà a tornare a casa.
Carla Bianchi Iacono, Gli antifascisti cattolici a Fossoli, ANPC

Fonte: Rolando Anni, art. cit.

La sera stessa del grande sciopero generale, che ha impressionato soprattutto i tedeschi, nel programma dedicato da Radio Londra all’Italia occupata c’è questo messaggio che al quartier generale delle Fiamme Verdi viene accolto con giubilo:
«Attenzione! Per Alberino: le foglie spuntano».
È il messaggio combinato con Aldo Gamba, il corriere incaricato di perorare la causa delle Fiamme Verdi presso l’addetto militare italiano a Berna (Svizzera) e quindi presso gli Alleati. E Alberino vuol dire Cividate, dove ha sede il comando di brigata; vuol dire che le richieste di aiuto sono state prese in considerazione dagli anglo-americani.
(a cura di) Giannetto Vanzelli, Brescia Ribelle. 1943-1945, Comune di Brescia, 1966

Il tenente colonnello di cavalleria Luigi Ferrighi faceva parte del VAI (Volontari armati italiani), sorto subito dopo l’8 settembre del 1943 per opera di alcuni alti ufficiali fra cui il Capitano di Vascello Kulczycki sui monti del trevisano.
Il proposito e lo scopo di tale organizzazione era quello di riunire in un solo blocco a carattere esclusivamente militare, e al di fuori di ogni tendenza politica, tutte le forze patriottiche che fino a quel momento avevano agito indipendentemente una dall’altra.
Era necessario far conoscere l’esistenza di tale organizzazione a tutti coloro che avevano come unico scopo la liberazione della patria, rinviando a tempi migliori la competizione politica.
Ai primi di gennaio del 1944, Kulczycki che era giunto per cercare contatti a Milano, trovò la valida collaborazione del colonnello Luigi Ferrighi, che gli fu presentato dal generale Masini Fiori, comandante del raggruppamento partigiano delle Fiamme Verdi.
Nel marzo del 1944 fonti interne del VAI giudicavano di poter contare su una forza armata di 9000 elementi, insieme con una buona quantità di armi, pistole mitragliatrici, mortai. Il lavoro degli ufficiali consisteva nell’assistere ai lanci dei materiali di rifornimento, denaro, viveri, dagli aerei alleati, e di reclutare i giovani e di inviarli ai vari reparti combattenti. Infine non fu tralasciata l’opera di assistenza ai detenuti politici e ai prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento, alcuni dei quali trovarono appoggio e ospitalità nelle abitazioni degli stessi aderenti al VAI.
A causa della delazione di una persona bene informata dei fatti, si innescò una catena di arresti dei vari esponenti del VAI.
Fra la metà di marzo e la metà di aprile 1944 i maggiori esponenti dell’organizzazione che operava a Milano furono arrestati e tradotti a San Vittore.
Il colonnello Ferrighi proveniva da una famiglia di dichiarate idee antifasciste; negli anni Trenta, la sorella Silvia, insegnante al Liceo Classico Parini di Milano, fu allontanata dall’insegnamento perché non presentava “sufficiente adattamento alle direttive politiche del governo”, formula usata come pretesto. Il ministro dell’Educazione nazionale era stato incaricato da Mussolini in persona di “ripulire” i licei di Milano dove prestavano servizio insegnanti dichiaratamente antifascisti. In seguito, Silvia Ferrighi, durante la Resistenza partecipò all’attività antifascista dei gruppi cattolici.
Non si hanno altre notizie; non sono stati trovati parenti ancora in vita, non è stata trovata una sua fotografia. E’ stato solo possibile reperire su alcuni libri delle citazioni e delle testimonianze che lo riguardano.
Don Paolo Liggeri ricorda nel suo libro Il Triangolo rosso il colloquio avuto con Ferrighi la sera dell’11 luglio 1944, dopo l’appello.
Io, anche questa volta non sono fra i chiamati. Sono andato a portare la comunicazione al mio vicino di pagliericcio che non era venuto all’appello perché indisposto. Egli è un ufficiale e si trova nella lista come quasi tutti gli altri ufficiali di carriera. Appena datagli la comunicazione, l’ho visto trasalire: un attimo; subito si è ricomposto, mi ha stretto la mano, e guardandomi con fermezza negli occhi, mi ha detto: “Non ci vedremo più!”. “Che cosa?” ho protestato ridendo. “Ma via, non facciamo tragedie!. E’ da parecchi giorni che si parla di evacuare il campo; evidentemente voi costituite il primo scaglione. Vedrete che noi vi seguiremo a ruota. Ha scosso il capo e ha risposto: “Non ci vedremo più!”. Allora amichevolmente l’ho sgridato: “Smettiamola con questi discorsi da funerale che portano jella. C’è piuttosto da preparare il bagaglio. Vuole che le dia una mano?”. E abbiamo preparato insieme il bagaglio. Io ho detto un sacco di sciocchezze per distrarlo, gli ho dato tutte le sigarette che avevo, un barattolo di marmellata, una scatola di pollo in gelatina, l’ho aiutato a trasportare bagaglio e pagliericcio nella 21 A, dove i prescelti devono pernottare per poter partire all’alba di domani senza disturbare nessuno‘.
Enea Fergnani ricorda Ferrighi sera dell’11 luglio 1944 nel suo libro “Un uomo, tre numeri”.
Dopo mezz’ora entra nella baracca 18 Fritz col suo passo da gigante, si avvicina a me e sottovoce mi informa di averli avvertiti, ma parecchi si sono dimostrati increduli. “Qualcuno ha osservato che se volessero fucilarli non avrebbero ordinato di preparare i bagagli” e soggiunge: “Uno solo mi sembra assolutamente sicuro che li ammazzeranno, il colonnello Ferrighi”.’
Luigi Ferrighi, di anni 55, nato il 13 febbraio 1889 a Novara e residente a Milano, colonnello, coniugato.
Arrestato su delazione per attività antifasciste a Milano il 5 aprile 1944 e portato a San Vittore, numero di matricola 1885, III raggio, cella 8. Inviato a Fossoli il 9 giugno, matricola campo 1642.
Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione con il numero 29, fu riconosciuto dal cugino Ferrighi Antonio.
È sepolto nel Cimitero Maggiore Musocco di Milano, Campo 64 detto “della Gloria”.
Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004

Renato Mancini. Libera, organo del Comitato di liberazione nazionale nell’annunciare il 26 maggio 1945 il prossimo trasporto della salma da Milano in città, assieme a quella del maresciallo Armando Di Pietro, entrambi fucilati a Cibeno, così lo ricorda:
“Un altro veronese d’elezione è compreso fra i purissimi martiri di Fossoli: Renato Mancini, nato a Forlì ma trasferitosi da molti anni a Verona con la moglie Idelma Malvezzi e una bambina, Paola, di quattro anni. Il Mancini era amato e stimato da quanti lo conoscevano per la sua bontà, che rivelava un animo sensibile e altruistico, onesto e franco. Amante della famiglia, che adorava, credeva ed operava per una Patria libera e rispettata. Avverso al nazifascismo, faceva parte attiva di un ardimentoso gruppo che operava nella nostra città, in collegamento con Milano. Arrestato da elementi indegni, appartenenti alla questura di Milano nella sua abitazione di Verona il 20 aprile 1944, veniva trasportato al carcere di San Vittore, per poi finire, dopo sofferenze e crudeltà, a Fossoli, massacrato il 12 luglio 1944, accanto al suo compagno di fede e d’azione, Armando Di Pietro, coronando così una vita spesa al bene della famiglia e della Patria; ideale supremo che innalza questi eroi alla gloria.”
Renato Mancini, con Celada e Di Pietro, apparteneva al “Reseaux Rex”, la rete informativa organizzata da Aldo Gamba, in contatto con i Servizi segreti britannici e in particolare col tenente colonnello Victor G. Farrell (la cui ‘copertura’ era la funzione di console inglese a Ginevra), che operò attivamente in alcune regioni del nord Italia.
Anche Renato Mancini, come Celada, all’ingresso a San Vittore, si dichiarò impiegato, e non sottufficiale.
Nel primo anniversario della strage, la famiglia così lo ricordava, tra l’altro, nel ricordo funebre:
“Ricorre domani 12 luglio 1945 un anno che dal campo di prigionia e di morte di Fossoli Modena fu barbaramente massacrato dalle SS Tedesche Renato Mancini, d’anni 30, Maresciallo dei Lancieri di Novara, 3° Gruppo Carri Leggeri San Giorgio. Fu per la famiglia marito eletto e padre adorabile, fu ucciso perché onorava la sua divisa di soldato operando per la sua amata Patria per renderla libera e rispettata.
Renato Mancini, di anni 30, nato il 26 maggio 1914 a Saludecio (Forlì), residente a Verona, maresciallo dell’esercito, coniugato, una figlia.
Entrato a San Vittore il 22 aprile 1944, matricola 1964, trasferito a Fossoli il 9 giugno, matricola campo 1656.
Il suo corpo, contrassegnato all’esumazione col numero 46, fu riconosciuto dalla matricola del campo.
Il 1° luglio 1945 le salme di Armando Di Pietro e di Renato Mancini furono esposte al commosso saluto del popolo di Verona nella chiesa di Sant’Anastasia, e il giorno successivo furono rese loro solenni onoranze pubbliche.
Riposa nella tomba di famiglia, dove è stato portato dopo essere stato tumulato in un sacrario con Armando Di Pietro.
Anna Maria Ori, Carla Bianchi Iacono, Metella Montanari, Uomini nomi memoria. Fossoli 12 luglio 1944, Comune di Carpi (MO), Fondazione ex Campo Fossoli, Edizioni APM, 2004

“Il collegamento con gli Alleati era stato costituito nell’ottobre del 1943 da André Petitpierre, con un’organizzazione di cui faceva parte anche Aldo Gamba, che aveva rapporti con la Svizzera attraverso un centro costituito a Tirano: i rapporti erano tenuti direttamente con Mac Caffery, referente in Europa dell’Oss (Office of Strategic Services, i servizi segreti americani del tempo): attraverso questo canale passavano le informazioni (non con la radio ma tramite persone, donne in particolare) e la programmazione dei lanci di materiali e armi sulle montagne della Valle Camonica. Il valico verso la Svizzera seguendo Valle Camonica e Valtellina, servì anche al trasferimento fuori dall’Italia dei prigionieri politici che si erano liberati dai campi di concentramento.
Questo testo è una sintesi della redazione di cislbrescia.it sulla base della registrazione e trascrizione della serata fatta da Luigi Mastaglia
Redazione, Convegno di presentazione della ristampa del volume di Dario Morelli LA MONTAGNA NON DORME, Ponte di Legno (BS) – Auditorium Comunale, 11 agosto 2016