Bellomo rappresentava una minaccia per il re e per Badoglio

Bari: Faro di Punta San Cataldo – Fonte: Wikipedia

Infine, un carattere tutto particolare essa ebbe nell’Italia meridionale, un altro settore si può dire ancora inesplorato da questo punto di vista: qui infatti, dove la guerra operava la sua maggiore pressione, fu più urgente e grave la scelta a chiunque vestisse una divisa: ed ebbe modo di manifestarsi in pieno la spaccatura che divideva l’esercito in seguito all’opera nefasta del fascismo. In contrasto con i molti generali fuggiaschi o disposti a ogni compromesso col tedesco, la vecchia casta militare mandò gli ultimi vividi sprazzi; pur essendo ormai incapace d’agire organicamente, bruciò le sue energie residue in episodi individuali di sicuro valore: il generale Ferrante Gonzaga, comandante di una divisione costiera a Salerno, sorpreso con pochi uomini da una pattuglia germanica, si rifiutò sotto la minaccia delle armi su di lui puntate, di impartire l’ordine della resa ai suoi uomini e affrontò senza esitazione la morte cadendo trucidato sul posto; con la stessa serenità e in circostanze simili affrontò la fucilazione il comandante del 48° reggimento fanteria di Nola insieme ai suoi ufficiali. Una notevole resistenza si attuò, contrariamente agli ordini superiori, in alcune caserme di Napoli, e un carattere più esteso ebbe la reazione dell’esercito in Puglia; a Bari il generale Bellomo con pochi ardimentosi, marinai, soldati e operai, assicurò la difesa del porto battendosi come « un civile qualunque » nel corpo a corpo che segui con i reparti tedeschi (lo stesso Bellomo finì poi fucilato dagli alleati sotto l’accusa di avere provocato la morte d’un prigioniero inglese). In Sardegna maggiori che in ogni altra parte d’Italia furono le possibilità offerte al nostro esercito per eliminare le truppe tedesche stanziate nella parte meridionale dell’isola, assai inferiori per numero anche se superiori per armamento. C’era a nostro vantaggio, prima di ogni altro elemento, la compattezza delle Forze Armate, composte in gran parte di reparti sardi, tenute lontane dalla corrosione del periodo badogliano, inserite invece in un ambiente tradizionalmente ostile al fascismo « fenomeno del continente» (né lo stato d’animo della popolazione sarda era soltanto spontaneo: vi agivano gruppi attivi di antifascisti, che da Sassari diramavano il giornale clandestino «Avanti Sardegna!» già dal maggio ’43 incitante alla lotta antitedesca e alla guerriglia). Tale possibilità fu sprecata dal Comando che, dopo essersi accordato con i tedeschi per un’evacuazione pacifica, solo il 13, in seguito ad ordini ricevuti dal Comando supremo, decise di attaccarli, quando già con rapidissima manovra essi avevano raggiunto i porti d’imbarco nella parte settentrionale.
Troppo tardi per tagliare loro la strada, appena in tempo per accelerarne la fuga e impossessarsi d’un notevole bottino dì guerra. Le speranze dei patrioti sardi andarono deluse e solo alla Maddalena s’ebbe un rilevante fatto d’armi, quando l’isola fu riconquistata da marinai e operai in un’aspra battaglia (8- 11 settembre).
Comunque il bilancio non può considerarsi del tutto negativo: poiché furono quei corpi d’armata rimasti in Sardegna, in mezzo al generale sbandamento, la leva su cui cercò d’insistere il governo Badoglio in Italia meridionale per rivendicare un maggior contributo bellico a fianco degli alleati.
Nel Mezzogiorno infine, più che in ogni altra parte d’Italia, la resistenza dell’esercito rifluì quasi subito nella resistenza della popolazione civile e vedremo nell’ultima parte di questo capitolo come e perché questo accadde.
da: Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana. 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945, Torino, 1964 (L’8 settembre. La Resistenza delle forze armate nel territorio nazionale) pp. 88-89
Redazione, La Resistenza delle forze armate nel territorio nazionale (un carattere tutto particolare essa ebbe nell’Italia meridionale), ANPI Brindisi

Fonte: Segreti della Storia, art. cit. infra

Particolarmente significativa la lotta di resistenza antitedesca che vide il generale barese Nicola Bellomo (1881-1945), comandante della Milizia (MVSN) per le Puglie, opporsi ai nazisti nel porto di Bari nelle ore immediatamente successive all’8 settembre.
La mattina del 9 settembre 1943 i tedeschi, con il pretesto di voler recuperare materiale bellico, inviarono un nucleo motorizzato ad assumere il controllo dell’importante porto.
Subito affondarono due piroscafi e si impossessarono di due batterie della contraerea. Ma a questo punto, con grande prontezza, il Bellomo, con l’aiuto di alcuni portuali e di un gruppo di uomini di diverse armi, riuscì a ottenere la resa dei tedeschi dopo un combattimento durato tutto il pomeriggio. I tedeschi fatti prigionieri furono lasciati liberi dal Comando di presidio. Quest’ultimo, diretto dal generale Caruso, si era rifiutato di dare ascolto agli antifascisti baresi, i quali lo avevano esortato a opporre resistenza ai nazisti.
Quando gli Alleati giunsero in città, grazie anche a questo episodio, che aveva avuto come protagonista il generale Bellomo, trovarono l’importante centro già libero.
Ma il generale Bellomo, nonostante quest’azione bellica, certamente coraggiosa, che vide uniti civili e militari, l’11 settembre 1945 sarà fucilato dagli inglesi che lo accusavano di aver consentito l’uccisione di un ufficiale britannico e il ferimento di un altro, durante una fuga dei due, prigionieri a Torre Tresca (Bari), verificatasi nel novembre 1941.
Il processo contro Bellomo non ha mai convinto la stessa stampa inglese, la quale ha sempre sostenuto che a Bellomo fu negato il diritto di reperire documenti utili alla sua difesa. In ogni caso gli inglesi, a quanto pare, si dimostrarono molto più indulgenti nei confronti dei generali nazisti come Albert Kesselring. Questo, almeno, è il parere anche dello storico Richard Lamb, autore del libro La guerra in Italia.
Bellomo non accettò la richiesta della grazia, e affrontò con serenità la morte. Lasciò un testamento nel quale auspicava il riesame della sua vicenda, tenendo conto del fatto che egli non aveva preso parte ai fatti che gli venivano contestati […]
Vincenzo Castaldi, La fine del Generale Bellomo, Patria Indipendente, 29 settembre 2002

Fonte: Segreti della Storia, art. cit. infra

[…] In una nota del suo libro “Italy Betrayed”, uscito a New York nel 1966, Peter Tompkins (all’epoca dell’occupazione, capo del servizio di spionaggio OSS a Roma), ha scritto: “Dopo una lunga e accurata ricerca sulle circostanze relative all’arresto di Bellomo, Zangrandi è stato in grado di documentare come la corte britannica fosse stata tratta in inganno da Badoglio e da agenti monarchici che, in tutta segretezza, fecero ricorso al falso per favorire la fucilazione di Bellomo. Essendo l’unico generale italiano che di propria iniziativa combatté i tedeschi e mantenne la città di Bari fino all’arrivo degli Alleati, rappresentava una minaccia per il re e per Badoglio, perché rivelava al mondo lo squallore del loro tradimento”.
Redazione, Nicola Bellomo, ANPI, 25 Luglio 2010

Il generale Bellomo al momento dell’arresto. Fonte: Segreti della Storia, art. cit. infra

Venne fucilato perché mise in luce il caos creato dall’armistizio. Di sua iniziativa, prese le armi contro i Tedeschi all’indomani del proclama del Maresciallo Pietro Badoglio, raccolse attorno a sé un manipolo di soldati, infuse loro coraggio e li condusse ad uno scontro che si rivelerà vittorioso. Nicola Bellomo, barese di origine, durante la Prima Guerra Mondiale con il grado di Capitano dimostrò tutta la sua attitudine al comando e il suo valore, venendo decorato al Valor Militare. Durante il primo anno di guerra, schierato con il suo reparto sul Monte Podgora, nelle fasi di preparazione di un assalto alle trincee nemiche, si recò personalmente, al comando di una pattuglia, sotto i reticolati nemici per farli saltare con diversi tubi di gelatina, aprendo così numerosi varchi che permisero alle forze italiane di sopravanzare e occupare le trincee austriache. Si guadagnò la Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Ufficiale in servizio di Stato Maggiore, incaricato di recarsi alle trincee di prima linea per rendersi conto del modo col quale si provvedeva alla preparazione e all’impiego dei tubi di gelatina per la rottura dei reticolati, allo scopo di dimostrare come tali operazioni si dovessero eseguire spontaneamente, si assumeva il compito di caricare e di innescare i tubi e di condurre personalmente la pattuglia a collocarli sotto i cavalli di Frisia nemici facendoli ivi esplodere con buon esito. Podgora, 21 ottobre 1915”. Terminato il conflitto, sebbene ricoprì incarichi presidiali sul territorio nazionale, Nicola Bellomo era diventato un Ufficiale apprezzato da colleghi e superiori, soprattutto per lo spirito di iniziativa che lo contraddistingueva.
Sebbene messo a riposo nella seconda metà degli Anni Trenta, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo vide costretto a vestire nuovamente il panno grigio-verde. Dal 15 gennaio 1941 ricoprì, con il grado di Generale di Brigata, il comando del Presidio Militare di Bari: si distinse particolarmente quando, avvisato dal controspionaggio del SIM, il Servizio Informazioni italiano guidato dal Generale Cesare Amé, riuscì a catturare un gruppo di commandos inglesi che si erano paracadutati nella penisola con il compito di sabotare linee ferroviarie e stradali, nonché l’Acquedotto pugliese, con tutti i disagi di approvvigionamento idrico per il Sud Italia che la riuscita dell’operazione avrebbe causato. Catturati, i prigionieri furono tutti condotti presso il campo di prigionia di Torre Tresca, oggi parte della città metropolitana di Bari. Pochi mesi dopo, il 30 novembre 1941, due prigionieri inglesi, il Capitano George Playne e il Tenente Roy Roston Cooke, riuscirono ad evadere dal campo ma vennero catturati nuovamente poche ore dopo. Allarmato dall’accaduto, soprattutto perché vi erano i sospetti che alcune reti spionistiche inglesi li avessero aiutati, il Generale Bellomo si recò al campo e, presi in custodia i due prigionieri, si fece accompagnare da questi, assieme ad una scorta, sul luogo dell’evasione. Fu a questo momento che i due Inglesi tentarono nuovamente la fuga: le sentinelle italiane aprirono il fuoco con i loro moschetti, uccidendo il Capitano Playne e ferendo in maniera non grave il Tenente Cooke. Due diverse commissioni, una condotta dal Regio Esercito ed una dalla Delegazione Svizzera della Croce Rossa su mandato britannico, appurarono l’estraneità di Bellomo al fatto di sangue e che questi diede ordine di sparare solo quando si era palesata la tentata fuga: il fatto, pertanto, venne archiviato.
E quando giunsero i giorni nefasti dell’armistizio dell’8 settembre 1943 non esitò a prendere le armi contro chi stava per distruggere il porto di Bari. Come ricorda lo storico e giornalista Ivan Palermo “incitati da Bellomo che stringeva nella destra una pistola, i soldati avanzarono di corsa gettando bombe a mano, sparando con i fucili e in molti casi caricando all’arma bianca. I Tedeschi risposero con il fuoco delle mitragliatrici e un fitto lancio di granate, che aprì molti vuoti tra le fila italiane. Lo stesso Bellomo venne ferito in più punti alle mani e al braccio destro da una granata esplosa a pochi metri da lui”. La battaglia sembrava volgere al peggio per le forze italiane: in numero inferiore, molti caddero sotto i colpi della Wermacht e dei genieri tedeschi, ora più che mai intenzionati a far saltare i moli, le banchine, le infrastrutture portuali principali della città. Anche se fu uno scontro ininfluente sul piano tattico e strategico, non mancarono gli atti di coraggio. Il Sottotenente Michele Chicchi, in forza al 9° Reggimento Genio Artieri, guidò un gruppo di uomini all’assalto, venendo colpito in pieno petto da una raffica di mitragliatrice. Si guadagnò, per il suo sacrificio e il suo coraggio, la Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Durante un’azione contro Tedeschi che avevano occupato, con un colpo di mano, una zona portuale di notevole importanza, concorreva all’attacco di un caseggiato nel quale si erano asserragliati, distinguendosi per slancio e sprezzo del pericolo, finché, colpito mortalmente, cadeva alla testa dei suoi valorosi Genieri. Bari, zona portuale, 9 settembre 1943”.
Anche al Generale Bellomo fu conferita una Medaglia d’Argento al Valor Militare per aver evitato la distruzione del porto: “Avuto sentore che nuclei nemici avevano con azione fulminea attaccato gli impianti portuali per tentarne la distruzione, alla testa di pochi ardimentosi si lanciava all’attacco dell’avversario riuscendo a sconcertarne i piani. Ferito, organizzava un nuovo attacco. Lasciava poi il terreno ella lotta, a seguito di nuova ferita e dopo il sopraggiungere dei rinforzi. Bari, 9 settembre 1943″. Ma fu una decorazione alla Memoria. Si, perché appena due anni dopo gli eroici combattimenti del porto di Bari, Nicola Bellomo, l’11 settembre 1945, compariva dinnanzi ad un plotone di esecuzione inglese nel carcere di Nisida venendo fucilato quale criminale di guerra. Era successo che qualcuno, rimasto ancora oggi ignoto, denunciò il Generale per i fatti del novembre 1941 quando a Torre Tresca rimase ucciso il prigioniero inglese. Arrestato il 28 gennaio 1944, il Tribunale Militare ascoltò i testimoni di allora, sia il Tenente Cooke che i militari italiani presenti: tutti accusavano Bellomo di aver aperto il fuoco di sua iniziativa sui due prigionieri con la propria pistola, sebbene i colpi esplosi e le ferite fossero riconducibili a fucili in dotazione al Regio Esercito. Inoltre, le testimonianze furono spesso contraddittorie e incomplete; furono anche ignorate le conclusioni delle commissioni che analizzarono i fatti all’indomani dell’accaduto, compresa quella della Croce Rossa: insomma, furono prese per buone solo le testimonianze di accusa nei confronti del Generale, non esaminando invece quelle che lo avrebbero discolpato. Anni dopo, Peter Tomkins, spia dell’OSS americano in territorio italiano ricorda come “la corte britannica fosse stata tratta in inganno da Badoglio e da agenti monarchici che, in tutta segretezza, fecero ricorso al falso per favorire la fucilazione di Bellomo. Essendo l’unico Generale italiano che di propria iniziativa combatté i Tedeschi e mantenne la città di Bari fino all’arrivo degli Alleati, rappresentava una minaccia per il Re e per Badoglio, perché rivelava al mondo lo squallore del loro tradimento”.
Redazione, Nicola Bellomo, da Eroe a criminale di guerra, Segreti della Storia, 30 agosto 2019