Boccardi fece di La Seyne un punto di ritrovo dell’anarchismo spezzino

La Seyne-sur-Mer – Fonte: Wikipedia

Nello Spezzino gli espatri oltralpe avvennero fin dai primi tempi dell’affermazione dello squadrismo. Nella primavera del 1921 il movimento anarchico locale ne fu investito con particolare veemenza: il fascismo recuperava Sarzana “la perduta”, percepita nell’immaginario dell’epoca come avamposto irriducibile di un anarchismo ribelle e sanguinario. Le violenze di massa culminarono nei noti fatti del 21 luglio, di cui si è parlato più approfonditamente nel capitolo precedente, momento di spartiacque che segnò l’inizio di un esodo spontaneo con l’avvio dei processi agli antifascisti <71. I primi spezzini a lasciare la regione espatriarono tra il 1922 e il 1923, un’emigrazione antifascista precoce in Liguria che presentò caratteristiche piuttosto omogenee fin dai suoi esordi: si tratta di un gruppo di militanti locali di spicco legati all’anarchismo dell’anteguerra <72.
2.1 La rete di Boccardi
Il personaggio di maggiore levatura politica, capo carismatico, fu Ugo Boccardi, il “Ramella” che già alla fine del 1922 prese clandestinamente la via delle Alpi.
Dopo una tappa provvisoria in Costa Azzurra, dettata probabilmente dalla prossimità, Boccardi si spostò a Marsiglia per cercare lavoro, e di lì fu indirizzato dal cugino Mansueto Lucherino, compaesano già emigrato lungo le stesse rotte, ad Algeri, meta minoritaria ma caratteristica delle filiere spezzine, dove questi aveva aperto un’attività autonoma come impresario edile, riuscendo ad assumerlo come manovale. Dopo qualche mese, grazie a conoscenze comunitarie, Boccardi trovò un impiego a Marsiglia in una fabbrica di alluminio, così riattraversò il Mediterraneo e si fece raggiungere dalla famiglia nel capoluogo delle Bouches-du-Rhône nel 1924. Nel ‘26 si trasferì per lavoro nella cittadina di La Seyne-sur-Mer, nel vicino dipartimento del Var, nelle calette che giungono al porto, dove sarebbe rimasto con i familiari sino al ‘35, quando fu espulso; non era forse un caso che si installasse proprio nel Midi, che aveva accolto le personalità più celebri dell’esilio anarchico italiano nella Belle époque <73.
A La Seyne divenne terrazziere, un mestiere tipicamente ligure, e condusse una vita familiare convivendo more uxorio con Emma Bassano, cugina del noto socialista sarzanese Bruno Bassano, anch’egli fuoriuscito, ed il figlio Mario che ebbero insieme. Emma aveva già avuto precedenti esperienze migranti, in Italia e poi in Francia, a Lione, al seguito del primo marito, comunista, con il quale aveva gestito un albergo e collaborato per il Soccorso Rosso. Tornata a Sarzana dopo la separazione, conobbe Boccardi negli anni turbolenti dello squadrismo e si ricongiunse a lui nell’esilio <74.
Nel frattempo grazie al suo ascendente e alle capacità organizzative, “Boccardi fece di La Seyne un punto di ritrovo dell’anarchismo spezzino, attraendo nuovi esuli dal paese natale e stabilendo una rete transnazionale in grado di mobilitare uomini, risorse, aspettative” <75.
La costruzione di tale rete era passata attraverso migrazioni interne, spostamenti e riadattamenti continui a nuovi contesti sociali e lavorativi, supportati dalle solidarietà dei legami di conoscenze e familiarità dei migranti.
Alla fine degli anni Venti il Marsigliese e il Var erano considerati dalla polizia fascista come il territorio francese che ospitava il più pericoloso movimento anarchico italiano, per consistenza e capacità d’organizzazione, tra cui spiccavano i nomi di Gino Bagni a Marsiglia, Boccardi appunto nel Var assieme al carrarese Romualdo Del Papa e all’arcolano Alessandro Stretti, suoi collaboratori di fiducia maturati nell’ambiente libertario lunigianense. Vi era poi un nutrito gruppo di anarchici individualisti, noti per i fini terroristici, e un attivo gruppo comunista.
Nel Midi non spiccava solamente, tra i liguri, la presenza anarchica. Il Psi e il Pri godevano dell’appoggio delle autorità francesi, grazie anche alla mediazione della Lidu marsigliese di Fernando Schiavetti e della Concentrazione Antifascista, di cui era segretario politico a Marsiglia un altro anarchico spezzino, originario di Vernazza, Filiberto Magliano, emigrato nel 1924, il quale sarebbe poi passato nelle file del Psi unitario. Potevano inoltre contare su personalità di spicco come Filippo Amedeo, segretario federale del Psi, l’ex deputato socialista che svolse un’instancabile propaganda tra i due dipartimenti, ma anche sulla rete savonese facente capo a Giuseppe Boyancé e al gruppo formatosi in madrepatria attorno alla figura di Sandro Pertini <76.
Filiberto Magliano si era stabilito a Marsiglia con la moglie Elia Pennacchi e le figlie, tutti installatisi con propositi definitivi. Filiberto, in quanto segretario della Concentrazione di Marsiglia, collaborò con i grandi nomi del fuoriuscitismo anarchico e socialista, come Luigi Campolonghi, mentre si sistemava economicamente lavorando presso un oleificio. Le intenzioni di radicamento della famiglia sarebbero state vanificate dall’improvvisa morte di Magliano avvenuta a Marsiglia nel 1941; la moglie Elia decise allora di rientrare in Italia con una delle due figlie, la nubile, ponendo parzialmente fine all’avventura migratoria familiare <77.
Nella rete specifica di Boccardi, a La Seyne, Orlando Luciani e Ugo Musetti erano noti nella cittadina come il “terzetto” assieme a “Ramella”, compagni inseparabili nella lotta antifascista e nella fede anarchica, ma anche compaesani e amici fidati. Musetti era fuggito dall’Italia assieme a Boccardi ed era considerato dall’entourage libertario sarzanese il suo figlio spirituale, noto a La Seyne come “Agostino Bertacchi”, pseudonimo sotto cui si nascondeva ma ciononostante era noto alla polizia fascista. Orlando Luciani raggiunse invece il gruppo più tardi, attraversando la frontiera clandestinamente nel ’27.
La Seyne attirava gli spezzini per i suoi cantieri navali, che permettevano a molti operai del Levante ligure di impiegarsi nell’arsenale e nelle fabbriche ad esso connesse, dove infatti Luciani trovò lavoro come manovale demolitore di navi. Lasciava a Sarzana la fidanzata Ines, che avrebbe abbandonato definitivamente nonostante i ripetuti tentativi di riconciliazione di lei, compresi numerosi viaggi a La Seyne, per rifarsi una nuova vita all’estero. Per molti spezzini, effettivamente, fu agevole inserirsi nella colonia immigrata, sostenuti da reti così solide. Anche il fratello Amore Massimo Luciani, anarchico come Orlando, si stabilì a La Seyne ma più tardi, nel 1930, alle soglie della crisi, riuscendo ancora a trovare lavoro presso i cantieri navali locali, come molti altri compaesani del resto, attratti dalla possibilità di trovare un impiego simile a quello svolto nell’arsenale spezzino <78.
Non mancava poi chi seguiva vari percorsi per poi ricongiungersi con i conoscenti più prossimi a La Seyne, secondo mobilità interne dipendenti da scelte personali. Il già citato Mansueto Lucherino, cugino di Boccardi, era un altro anarchico sarzanese in stretto contatto con il gruppo di Ramella, che emigrò anch’egli già nei primi anni Venti, ma scelse come prima meta Algeri, per trasferirsi a Marsiglia nel ‘23, seguendo i percorsi dei compaesani. Due anni dopo si spostò in Costa Azzurra, per poi giungere nel ‘27 a La Seyne, ospite proprio di Ugo Boccardi. Per alcuni anni avrebbe mantenuto i contatti stabiliti con i paesi della Costa Azzurra, facendo sempre affidamento sulla rete di Ramella per tornare La Seyne, dove trovò anche un impiego sicuro ai cantieri navali.
Nella seconda metà degli anni Trenta avrebbe seguito poi un’altra direttrice della migrazione antifascista spezzina, oltremare, nuovamente nell’Africa francese <79.
Tanti altri personaggi minori dell’antifascismo spezzino, non per questo della migrazione economica levantina, approdarono a La Seyne seguendo le filiere del paese: uno di questi fu il socialista Massimo Macciò, che dopo una prima tappa in Belgio, nel 1923, dunque molto presto, espatriò clandestinamente per installarsi a La Seyne assieme alla moglie, trovando lavoro come fabbro ferraio <80. Nello stesso anno si trasferì a Port-de-Bouc, nelle Bouches-du-Rhône, in prossimità di La Seyne, Ambrogio Pesce, dove gli fu assicurato un lavoro ai Chantiers et Ateliers de Provence. Dopo breve tempo, però, si allontanò dal paese per condurre una vita errabonda: non risultano infatti rapporti intrattenuti con la rete spezzina di La Seyne o marsigliese, un isolamento che forse non gli permise di inserirsi nella comunità immigrata e di avvalersi anch’egli delle solidarietà di paese, di classe, politiche che questa colonia aveva intessuto negli anni <81.
La Seyne divenne un luogo di riferimento anche per un gruppo di fuoriusciti legati a una famiglia del paese di Arcola, sulle colline spezzine ai confini con la Toscana, i coniugi Umberto Cresci e Silfide Carro. Entrambi anarchici, si erano resi noti durante l’occupazione delle fabbriche per la loro propaganda contestatrice, prendendo parte alle manifestazioni e dimostrandosi l’uno tra i compagni di fabbrica, alla Fiat San Giorgio di La Spezia, l’altra tra le sarte, sottopagate, capaci sobillatori e istigatori alla partecipazione attiva alle proteste e alla sovversione.
Umberto scriveva sul giornale “Il Libertario”, che la moglie leggeva scrupolosamente, e teneva corrispondenza con anarchici in Italia e all’estero. Nel dicembre 1922 Cresci fu sorpreso nell’organizzare un attentato terroristico antiborghese contro un treno di lusso che doveva attraversare il tratto ferroviario tra Arcola e La Spezia, un tentato delitto cui si è accennato precedentemente. L’attentato fu sventato e il Tribunale di La Spezia comminò a Cresci, nell’agosto ‘24, diciotto anni di carcere. Frattanto la moglie Silfide si era ritrovata disoccupata, licenziata dal fornitore presso cui lavorava come cucitrice perché affetta da tisi, costretta a svolgere qualche lavoro a domicilio per cercare di mantenere i tre figli. La rete anarchica si attivò immediatamente per inviarle soccorsi in denaro in quanto vittima politica e nell’agosto del 1926, grazie alle sottoscrizioni in suo favore, la donna riuscì ad emigrare in Francia con i figli, stabilendosi a La Seyne-sur-Mer, nei pressi del porto, zona abitata da immigrati spezzini. Almeno per i primi anni, la preoccupazione di Silfide fu quella di assicurare il mantenimento della famiglia e così l’attività politica venne sacrificata per salvaguardare i propri figli. Sarebbero passati molti anni perché la Carro potesse ricongiungersi al marito in Francia <82. Ma la donna fu in grado, con le proprie risorse, di mettersi in contatto con la rete anarchica spezzina e di inserirsi in un milieu di solidarietà politica e compaesana, collegandosi alle conoscenze di Ugo Boccardi “Ramella”:
“Compagno carissimo Montivaldi,
A Lei e al Comitato Pro Vittime Politiche, sempre vigile sulla miseria proletaria, estendo i miei più profondi ringraziamenti per l’aiuto morale e materiale che mi venne inviato. Non dimenticherò gli ammonimenti che mi vengono dati nella critica situazione dal Comitato nei soccorsi possibili presso tutti i colpiti: solo attenderò la solidarietà dei compagni di cui ho tanto e solo bisogno, nel modo e nei termini che questi potranno concedermi, restando a loro ben riconoscente per tutto quello che ancora si potrà fare per la mia salute disagiata per i miei innocenti piccoli per il mio caro detenuto innocente.
Certa di non essere dimenticata nel temo che gli eventi disporranno a favore delle vittime proletarie che attendono soccorso, di cui faccio parte tanto dolorosa, si abbia ottimo compagno i miei rinnovati ringraziamenti anche a nome del mio, Umberto, nonché sentiti saluti, con le benedizioni dei miei piccoli.
Devotissima
SILFIDE CRESCI – COMUNE di ARCOLA – SPEZIA” <83
Furono proprio i compagni di fede a fornirle il sostegno economico e morale più importante, libertari spezzini legati alla grande comunità anarchica radicata in Francia e rafforzata dalle reti dell’antifascismo, anche se nei momenti di maggiore crisi potevano rompersi le maglie della catena del soccorso politico:
“[…] il male è che io sono rimasta senza soldi ed è proprio quì la mia preoccupazione, anzi parlando di questo ti dirò che va bene così per il vaglia di L.700 perché io avevo mille franchi e per pagare le spese del telegramma e del vaglia avevo paura di non averne sufficienti così ho pagato tutto con mille franchi. Da Parigi non ho ancora avuto neanche risposta, di qui puoi prendere esempio come sono educati non mi degnano neanche d’una risposta. Ramela non l’ho più visto e penso che se avesse ricevuto qualche cosa sarebbe venuto. […]” <84
In Francia, come ricordato da Manfredonia, si era ricostituita l’“Unione Anarchica Italiana” già nei primi anni Venti, ed era a questa rete che i responsabili dei gruppi locali, come Boccardi, o i fruitori del soccorso alle vittime del fascismo, come Silfide Cresci, facevano riferimento. L’“Unione” si era composta attraverso l’arrivo dei primi fuoriusciti e con l’afflusso di chi si era ingaggiato nelle legioni garibaldine e di chi se ne era staccato, come Tintino Rasi e Paolo Schicchi, mentre maturavano al suo interno altre divisioni tra individualisti e sindacalisti. Fu Gigi Damiani <85, leader storico dell’anarchismo italiano accanto a Malatesta, uno dei più giovani esuli di età crispina assieme a Binazzi, installatosi a Marsiglia dopo il fallimento degli attentati del 1926, a dedicarsi strenuamente a combattere le diatribe intestine per convogliare le energie verso un’azione concreta, riuscendo a pubblicare dall’anno seguente il foglio “Non molliamo” – nome che evoca il “Non mollare” di rosselliana memoria ma con il quale non pare vi fossero affinità di contenuti né contatti redazionali; secondo Tombaccini e Manfredonia, “Non molliamo” era destinato al lavoro di agitazione in Italia e dunque inviato in buste anonime, nascosto nei fondi di valigia dei migranti o fatto espatriare con la collaborazione dei passeurs.
L’inasprimento del regime con le leggi del ’26 aveva portato ad una nuova ondata di espatri e Damiani nel Midi, assieme a Fabbri, Berneri e Damiani furono gli uomini di punta del movimento libertario che cercarono di rilanciare la causa attraverso la propaganda presso la colonia italiana e di chiarificare progetti e teorie, tenendo conto della nuova situazione che si era creata in Italia, colmando anche il vuoto delle pubblicazioni soppresse dalla censura fascista <86.
Il giornale ebbe vita breve a causa dell’assenza di fondi e della censura, e infatti l’intero gruppo redazionale parigino fu espulso nel ’29, ma rimase l’importante lavoro di propaganda e di presa di coscienza che compì sugli esuli libertari, che ben presto ricomparvero sulle stampe con “La Lotta Umana” e con il bollettino del “Comitato internazionale di difesa anarchica”. “La Lotta Umana” si distinse per la serietà della conduzione del dibattito politico, dell’informazione sul carattere del regime, e del confronto, raro caso di giornalismo di alto valore intellettuale tra la stampa fuoriuscita; ma anche per l’intransigente campagna denigratoria della “Concentrazione Antifascista”, un’istituzione che, come vedremo, raggruppava le forze democratiche e moderate dell’antifascismo. Sulla “Lotta Umana” scrivevano, da Parigi, Luigi Fabbri, Camillo Berneri, Gigi Damiani. Furono quelli gli anni in cui la stampa libertaria si dedicò con ardore e tenacia al caso di Sacco e Vanzetti, una campagna già diffusa in Francia dal 1923, ma che nel corso del 1926-1927 acquisì un posto di rilievo nel discorso pubblico francese, coinvolgendo intellettuali e politici che denunciavano al mondo intero l’“affare Dreyfus della polizia americana” <87.
Il lascito più importante della “Lotta Umana” fu poi quello di riuscire nell’obiettivo di riorganizzare il movimento in Francia, e infatti nel 1930 si costituì l’“Unione Comunista Anarchica dei Profughi Italiani” (Ucapi, poi Fcapi), che non si poneva più l’obiettivo di formare gruppi armati per un’azione imminente, dopo l’esperienza delle legioni garibaldine, ma piuttosto di appoggiare movimenti a carattere insurrezionale; a differenza dei comunisti, la propaganda in Italia non era concepita dagli anarchici per minare le basi del consenso al regime, ma a scopo di agitazioni finalizzate ad azioni sovversive e terroristiche. Tuttavia, con l’acuirsi della reazione in Italia, i militanti libertari si ritrovarono isolati nelle comunità d’origine, privi di reti di sostegno, e l’intransigenza dottrinale del movimento che precludeva qualsiasi forma di alleanza con i partiti antifascisti contribuì ad amplificare il senso di emarginazione dei militanti dalla lotta concreta. Se in Francia gli anarchici italiani poterono rappresentare una forza politica di peso, che accrebbe la sua influenza e credibilità nel corso dell’esperienza spagnola, in Italia, dove avrebbero potuto appoggiarsi a reti strutturate come quella comunista, spiega Manfredonia, il movimento, perduti i contatti, si dimostrò incapace di un’azione concreta <88.
Tra il Var e le Bouches-du-Rhône si stabilì poi ancora un’altra famiglia Carro, proveniente da La Spezia, composta da due fratelli capofamiglia, Domenico e Ruggero, e dal figlio del primo, Bruno, con al seguito le proprie mogli. Il primo a partire fu Domenico, precocemente, già nel 1921, quando si installò a Saint-Raphaël, nel Var, dopo essersi messo in mostra nella città di origine come propagandista comunista. Trovò lavoro come fabbro e inizialmente non si dedicò molto all’attività antifascista, ma una volta stabilizzatosi economicamente riprese le sue battaglie. Assieme a lui vivevano la moglie e il figlio Bruno, che frequentò le scuole francesi fino ai tredici anni, integrandosi nella società locale. Svolse poi numerosi mestieri, cambiando spesso impiego, come operaio, commesso, cameriere, meccanico, adattandosi all’offerta del momento e accontentandosi di compiti in cui non era richiesta una qualifica professionale. Lo zio Ruggero era espatriato invece un anno dopo, nel 1922, anch’egli per sfuggire alle rappresaglie fasciste per aver partecipato alle manifestazioni sovversive, in particolare anarchiche, a La Spezia. Si installò a La Ciotat, nelle Bouches-du-Rhône, e solo cinque anni dopo riuscì a farsi raggiungere dalla famiglia, probabilmente poiché, a differenza del fratello Domenico, decise di dedicarsi fin dagli inizi della migrazione all’attività politica, il che avrebbe messo in pericolo moglie e figli. Divenne infatti amico e compagno di fiducia di Paolo Schicchi, il celebre anarchico palermitano portavoce della tendenza antiorganizzatrice nell’anarchismo italiano, e si mise presto in mostra come propagandista capace di compiere attentati <89.
[NOTE]
71. Bianchi cit., pp. 114-143. Sui fatti di Sarzana: Aa.Vv., I fatti di Sarzana: 21 luglio 1921, Città di Sarzana, Sarzana 1971; Luigi Monardo Faccini, Un poliziotto perbene, Ippogrifo Liguria, Lerici 2002; Giuseppe Meneghini, La Caporetto del fascismo: Sarzana, 21 luglio 1921, Mursia, Milano 2011.
72. Cpc: b. 389, f. Bruno Bassano; b. 683, f. Ugo Giuseppe Boccardi; b. 3465, f. Ugo Musetti; b. 2869, f. Orlando.
73. Milza, Voyage en Ritalie cit., pp. 185-194.
74. Cpc: b. 389, f. Emma Bassano.
75. Intervista a Giuseppe Meneghini, Antonio Luciani e Werter Bianchini cit.; cfr. Meneghini, La Caporetto cit.; Cpc: b. 683, f. Ugo Giuseppe Boccardi; Dgpp: b. 36, f. 13. Sulla presenza anarchica a Marsiglia di fine Ottocento cfr. Milza, Voyage en Ritalie cit., pp. 187-194.
76. Cpc: b. 683, f. Ugo Boccardi; b. 2922, f. Filiberto Magliano; b. 533, f. Orsolina Bernardini; b. 801, f. Giuseppe Boyancé.
77. Cpc: b. 2922, f. Filiberto Magliano; b. 3840, f. Elia Gemma Maria Pennacchi.
78. Cpc: b. 2869, f. Orlando Luciani; b. 3465, f. Ugo Musetti. Dpp: b. 36, f. 11: Agr, copia del telespresso Consolato d’Italia a Tolone al Ministero degli Esteri e al Ministero dell’Interno, 27/04/1937.
79. Cpc: b. 2866, f. Mansueto Giovanni Lucherino.
80. Cpc: b. 2900, f. Massimo Maccio.
81. Cpc: b. 3889, f. Ambrogio Pesce.
82. Cpc: b. 1529, f. Umberto Cresci; b. 1116, f. Silfide Carro.
83. Assp: b. 41, f. 17 Umberto Cresci: Silfide Carro in Cresci a Montivaldi, Spezia ?/06/192?.
84. Assp: b. 41, f. 17: Umberto Cresci: Silfide Carro a Umberto Cresci, La Seyne, 30/01/1935.
85. Ugo Fedeli, Gigi Damiani. Note biografiche. Il suo posto nell’anarchismo, L’Antistato, Cesena 1954.
86. Tombaccini, Storia dei fuoriusciti cit., p. 89; Manfredonia, «Les anarchistes italiens en France dans la lutte antifasciste» cit., pp. 227-246.
87. Tombaccini, Storia dei fuoriusciti cit., p. 89.
88. Ibidem, pp. 87-92; Manfredonia, «Les anarchistes italiens en France dans la lutte antifasciste» cit., pp. 235, 237.
89. Cpc: b. 1116, ff. Ruggero Carro, Domenico Carro, Bruno Carro.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015

Una posizione di primo piano nell’ambito del fuoruscitismo fu assunta dalla Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU), associazione sorta alla fine del 1922 ed operante nell’esilio francese con il compito di accogliere nei suoi ranghi i proscritti italiani di tutte le tendenze. Sul terreno pratico, la LIDU fu attiva nell’opera di assistenza materiale ai rifugiati politici, che si esplicava principalmente attraverso la regolarizzazione amministrativa e la definizione della posizione giuridica degli esuli in conformità con la legislazione del paese ospitante, senza tralasciare di fornire un primo orientamento al lavoro e la concessione di sussidi ai più bisognosi. Gli interventi andavano, nello specifico, dalla richiesta della carta d’identità e dei passaporti, alle pressioni per ottenere la revoca di provvedimenti di espulsione, all’attento monitoraggio di processi per ragioni politiche.
Questa specifica connotazione assistenziale non deve indurre a sottovalutarne la valenza politica, in chiave antifascista, dell’operato. Al suo interno trovarono posto elementi di diversa estrazione ideologica o afferenza partitica: se è vero che socialisti, repubblicani e poi giellisti ne costituirono la parte preponderante, tra gli iscritti erano presenti anche esponenti liberali, anarchici, sindacalisti rivoluzionari, democratico- radicali e specialmente nella fase dei fronti popolari si registrò un’adesione crescente di comunisti (Vial 1986: 412–413; Fedele 2000: 53).
Si dimostrò così in grado di offrire ai cosiddetti senza partito una tribuna, un’occasione per far sentire la propria voce, ponendosi al di là delle differenti posizioni e degli inevitabili contrasti interni come “vettore di unità nel fuoruscitismo” (Vial 2005: 81).
Come si evince dal suo programma, la LIDU, dedita principalmente all’assistenza materiale e giuridica degli esuli, si veniva sempre più a configurare alla stregua di vero e proprio organismo politico nel senso più alto della parola, preoccupato di fare la sua politica, che consiste appunto nel dimostrare anche praticamente, sul terreno dei fatti, l’opposizione irriducibile esistente tra i metodi e i principi della Democrazia e i principi e i metodi del Fascismo, e l’eccellenza di quelli su questi <1.
L’esercizio di una funzione autonoma nei confronti dei partiti non implicava affatto la negazione dell’agire politico. In primo luogo perché la Lega offriva ospitalità, come è stato già sottolineato, a quegli antifascisti che non si riconoscevano nei partiti tradizionali e però desideravano partecipare alla lotta e alla propaganda. Per altro verso, la tutela degli emigrati, che andava dal semplice disbrigo delle pratiche all’inserimento lavorativo nella rete cooperativistica gravitante attorno al partito socialista francese, dalle battaglie per il rispetto del diritto d’asilo alle lotte serrate contro le espulsioni, avevano di per sé, oltre che una carica umanitaria e di giustizia, una valenza politica. La presenza capillare della LIDU sul territorio, grazie all’appoggio dell’analoga Ligue Française des Droits de l’Homme, era infatti garanzia di una pressione costante nei confronti delle autorità locali in favore del riconoscimento dei diritti e in direzione di una reale applicazione di quegli accordi riguardanti i lavoratori italiani in Francia, dal momento che spesso venivano ignorati in sede periferica (Vial 1998: 119–125). Su questo terreno, lo sforzo dell’organizzazione assumeva una precisa connotazione politica, visto che doveva fronteggiare l’operato dei consolati fascisti in sede locale. Alla propaganda e all’assistenza sociale si affiancava l’impegno culturale per favorire gli italiani immigrati nell’apprendimento rapido della lingua francese.
In tutti i casi le attività dispiegate dalla Lega erano mosse dal dovere fondamentale di alimentare la lotta contro il fascismo. Oratori e rappresentanti della LIDU intervenivano periodicamente in manifestazioni, spesso di carattere internazionale e organizzate dalla Ligue o dalla massoneria francese, come in molti comizi, congressi, banchetti, commemorazioni. Fu un’opera costante di denuncia volta a sensibilizzare l’opinione pubblica francese sul pericolo rappresentato dai regimi dittatoriali e sui misfatti da questi perpetrati, mediante una propaganda culturale ed educativa necessaria per creare e ravvivare nelle coscienze degli emigrati lo spirito antifascista (Baglio 2007b: 147–148).
L’esempio di coerenza, di fede e di sacrificio offerto dall’emigrazione politica italiana fu indiscutibile, anche se gli sforzi compiuti per l’isolamento morale del regime oppressore rimasero a lungo vani. Al di là dei risultati, la LIDU – che, è bene sottolinearlo, con i suoi tremila iscritti alla fine degli anni Venti vantava il primato di adesioni tra gli organismi antifascisti, almeno fino all’esperienza della comunista Unione Popolare Italiana (UPI) – collaborò con grande intensità alla lotta contro il fascismo e si mostrò favorevole ad ogni manifestazione di solidarietà nel nome della libertà e dei diritti dell’uomo.
Aderendo all’invito formulato dalla nobildonna Aline Ménard-Dorian, vicepresidente della prestigiosa Ligue Française des Droits de l’Homme, per dar vita ad un’analoga istituzione in rappresentanza dell’Italia, sul finire del 1922 erano stati i coniugi Campolonghi a tessere le fila della LIDU, destinata ad accogliere gli esuli politici provenienti dall’Italia (Vial 1986: 408).
1 Lega italiana dei diritti dell’uomo (s.d.; ma 1929): Il Programma, i Metodi e l’azione della L.I.D.U., Paris, 7 (cit. in Baglio 2007b: 145).
Antonio Baglio, L’emigrazione politica italiana in Francia tra le due guerre: il ruolo della LIDU, Kwartalnik Neofilologiczny, LXVI, 2/2019 (pp. 330-340)