Camilla Ravera, un secolo di vita per la causa femminile

Camilla Ravera

Per un po’ di tempo si fa chiamare “Silvia”, poi, il suo nome in codice diventa “Micheli”, tanto che in molti, tra i fascisti che le danno la caccia, pensano di avere a che fare con un uomo. Sul magazine online Jacobin, “voce di spicco della sinistra americana”, è da poco comparso un profilo di Camilla Ravera e fa specie pensare come molte tra le grandi figure femminili della nostra storia siano spesso poco conosciute, al punto da diventare quasi più famose all’estero che in Italia. Rimediare è cosa buona e giusta, soprattutto se si pensa che Camilla Ravera è stata tra i fondatori del Partito Comunista Italiano, l’unica donna che durante il periodo della formazione del gruppo dirigente del partito ha assunto la statura di dirigente politico nazionale, nonché la prima donna a essere nominata senatrice a vita. Non si sta certo parlando di una personalità qualunque, ecco […]
Il suo sangue freddo e la sua tempra, però, emergono soprattutto negli anni del fascismo e della guerra. Dopo le leggi fascistissime nel 1926, il partito viene colpito da un’ondata di arresti (Gramsci compreso, ndr) e Ravera si ritrova quasi sola in Italia a gestire l’organizzazione clandestina e a tenere i contatti con i membri del partito in esilio all’estero. Nonostante le venga offerta la possibilità di rifugiarsi a Mosca, lei rifiuta e si dedica alla resistenza contro il regime fascista fino al suo arresto nel 1930. Seguono anni bui: spostata da una prigione all’altra in condizioni disumane fino al 1935, poi messa al confino e infine espulsa dal partito dal 1939 al 1945 per divergenze ideologiche.
Elisabetta Moro, Perché tutte noi, donne italiane coscienti, dovremmo conoscere la storia di Camilla Ravera. Per dirne una: è stata la prima donna a essere nominata senatrice a vita, ELLE, 20 giugno 2020

A sinistra Camilla Ravera; a destra Palmiro Togliatti

[…] la maestrina di Acqui, Camilla Ravera, arrestata il 10 luglio 1930, ad Arona, e detenuta in tante galere, ininterrottamente sino all’agosto 1943.
Un primato di quarantena durato 4795 giorni, condiviso in luoghi e tempi diversi con compagni illustri, colpiti dallo stesso virus, quali Pertini, Terracini, Spinelli, Rosselli, Amendola, Gramsci, Silone, Grieco, Spano, Togliatti, Felicita Ferrero, Teresa Noce ecc.
L’omaggio doveroso coincide con il 32° anniversario della morte, avvenuta il 14 aprile 1988 all’età di 99 anni.
Mussolini, duce del fascismo, ordinò il suo primo arresto nel novembre 1922. Non sopportava che una donna potesse essere una dirigente eccelsa del mondo antifascista. Quasi sempre nascosta, la clandestina Camilla sfuggì a Mussolini per quasi 8 anni, assumendo nomi di battaglia, quali Silvia e Micheli, nomi che facevano impazzire l’OVRA incapace di pensare che il temuto partito comunista, potesse essere diretto da una donna.
Fu Antonio Gramsci ad intuire le capacità di Camilla, giovane socialista torinese.
La chiamò nel 1920 nella redazione del settimanale “Ordine Nuovo” affidandole l’incarico di esperta del movimento internazionale. Lo stesso Gramsci, nel luglio 1921, le affidò nell’Ordine Nuovo, diventato quotidiano, il ruolo di responsabile della “Tribuna delle donne”.
Diventa comunista a Livorno il 21/01/1921, fu eletta negli organismi dirigenti. Venne prescelta a far parte della delegazione italiana partecipante a Mosca nel novembre 1922 alla conferenza dell’internazionale comunista.
In quell’occasione ebbe l’incontro più importante, sotto il profilo umano e politico, della sua vita, con Bordiga ebbe un colloquio con Vladimir Lenin, a pochi giorni di distanza dal golpe fascista della marcia su Roma.
Cominciarono allora 8 anni di lavoro clandestino, accanto a Gramsci, Togliatti e Terracini. Un ruolo spesso oscuro ma determinante: le elezioni del 1924, il delitto Matteotti, il congresso di Lione con la vittoria gramsciana su Bordiga, la repressione fascista del novembre 1926.
Proprio questa ultima vicenda decise il rapporto stretto di Camilla Ravera con Genova. Il comitato centrale eletto a Lione venne convocato clandestinamente a Genova, in Valpolcevera.
Solo pochi compagni sfuggirono alle retate fasciste. Anche Gramsci fu arrestato. Camilla ebbe il peso sulle sue spalle di salvare il partito.
Individuò il quartiere di Sturla come centro nascosto dei comunisti.
La villetta alla confluenza tra Via Caprera e Via Sturla divenne direzione del PC d I. La casetta dell’ortolano, sita nella zona allora agricola dell’attuale liceo King fu destinata a ufficio stampa.
Un appartamento scelto da Camilla in Salita Vallechiara ospitò l’ufficio militare.
Oggi può apparire un miracolo: la compagna Micheli divenne dopo Gramsci e prima di Togliatti, la segretaria del PCI, con il fardello organizzativo di mantenere il collegamento con i responsabili regionali, indicati con un numero al posto dei nomi.
Camilla riuscì a mantenere la pubblicazione dell’Unità, a convocare infinite riunioni di partito a Sturla nella casetta denominata “Albergo dei poveri” per l’ospitalità ai quadri di partito. Le relazioni accurate di Micheli per Ercoli (Togliatti) fanno parte della storia della vitalità antifascista, rappresentata da questa piccola, minuta donna, ricercata dalla polizia e capace, ogni giorno, di prendersi l’ora di aria sulla bellissima spiaggia di Sturla. La storia di quell’Italia è stata scritta da Paolo Spriano, sulla base degli scritti di Camilla Ravera.
Dopo l’arresto del 10/07/1930 subì il processo concluso con la condanna a 15 anni e 6 mesi.
Il pellegrinaggio tra carceri e confino fu infinito: Trani, Perugia, Montalbano Ionico, S. Giorgio Lucano, Ponza, Ventotene.
Tutto provò Camilla: la ferocia fascista, l’amarezza provocata in lei dagli stalinisti del PCI che non le perdonavano di essersi, nel 1939, schierata contro il patto Stalin-Hitler.
Venne espulsa addirittura dal PCI e riammessa solo nel 1945.
Una profonda amarezza mitigata dall’incontro a Ponza e a Ventotene con Sandro Pertini e con Umberto Terracini.
Pertini le confessò, a Ponza, di averla riconosciuta dai racconti affettuosi avuti nel carcere di Turi con Antonio Gramsci, altro grande compagno ingiustamente attaccato dagli stalinisti.
I 6 anni di confino con Pertini, in abitazioni adiacenti, tutte abbellite dai vasetti fioriti di Sandro, restarono indelebili.

Camilla Ravera

Nel 1982 Sandro Pertini, Presidente della Repubblica, compì il gesto di riconoscenza dell’Italia verso la combattente Camilla, nominandola senatore a vita.
Redazione, Giordano Bruschi ricorda Camilla Ravera nel 32esimo anniversario della morte (14 aprile 1988), Genova Solidale, 14 aprile 2020

Fonte: Leonardo Pisani

[…] Ravera sarà anche delegata a vari congressi del Comintern, dove conobbe Lenin e Stalin. Fu arrestata nel 1930 ad Arona (Novara) e condannata a 15 anni di carcere. Ne scontò 5 in cella, gli altri al confino a Ponza e Ventotene (Roma) dove conoscerà il socialista Sandro Pertini. […] Condannata a 15 anni e 6 mesi di carcere, aveva scontato i primi 5 anni nelle sezioni femminili dei carceri di Turi e Perugia, posta in regime di isolamento in quanto “detenuta pericolosa”. Nel 1935 per breve tempo era stata rilasciata per problemi di salute e, poi, con l’amnistia del 1936, definitivamente scarcerata e posta agli arresti domiciliari.
Scrive Michele Strazza: «Riportata in carcere per una visita di “controllo” il 12 ottobre 1936, dopo due settimane fu inviata al confino in Lucania che raggiunse con un lungo viaggio di 4 giorni e 3 notti, passando dagli istituti penitenziari di Piacenza, Ancona e Potenza per poi approdare a Montalbano e, infine, trascorrere altri 5 mesi nella vicina S. Giorgio.

Fonte: Leonardo Pisani

La prima destinazione di Montalbano gli venne comunicata dipingendola come “luogo di ottimo clima, saluberrimo”. In realtà, come presto si rese conto, il centro lucano era un paese malarico ed il mare si vedeva solo “in lontananza, da un lato del panorama” che si stendeva all’intorno del paese; dagli altri lati era“tutto un susseguirsi di monti o alti colli”. Montalbano – annotava la donna – era solo un gruppo di case raccolte intorno a un piccolo colle, case “tutte bianche, calcinate, con molti balconcini e qualche terrazzo”.»
Così la confinata politica osservava il ritorno dei contadini dai campi: «Nell’ora del tramonto si vedono, qua e là per questi dirupi e scondiscendimenti, le genti tornar dal lavoro: uomini montati su piccoli asini, asinelli carichi di sacchi o di fascine, e minuscoli carrettini con alte ruote; e capre appaiono e spariscono su è giù per la rigosità di questa terra rosiccia e contratta».
Dopo vari giorni in cui aveva trovato alloggio nella soffitta della locanda “Roma”, gestita dalla famiglia Carlucci, il podestà locale le propose di fare “un po’di scuola ai giovani analfabeti prossimi alla chiamata di leva”, per evitare che, una volta partiti, non sapendo scrivere, non mandassero proprie notizie alle famiglie, costringendo le madri a chiederle al municipio.
«Ma l’iniziativa, puntualmente annunciata dal banditore comunale, durò solo pochi giorni perché la polizia, informata del fatto, intervenne e la confinata fu trasferita a S. Giorgio Lucano, un paese all’interno e ancora più isolato, mentre il podestà, prima diffidato, venne rimosso dall’incarico – precisa lo storico Michele Strazza – Nella nuova destinazione Camilla Ravera prese prima alloggio nella locanda e, poi, nella casa della famiglia Gerardi, al piano di sopra.
Pur essendo sottoposta ad una vigilanza più incisiva rispetto a quella di Montalbano, non mancò il contatto con la gente del posto che gli manifestava “una prudente ma vigilante e commovente solidarietà”. Anche con la padrona di casa, una contadina con due figlie piccole, si instaurarono i primi rapporti e la confinata la sera scendeva al piano di sotto per trattenersi davanti al camino o per bere del latte. A volte parlava anche con altri paesani che, intorno al fuoco, discutevano delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Ma il tutto fu fatto con grande cautela perché spesso, come ricorderà poi la Ravera, arrivavano i carabinieri per un’ispezione.
Restò a S. Giorgio per circa 6 mesi prima di essere rimandata, il 28 maggio 1937, nell’isola di Ponza. […]
Leonardo Pisani, CAMILLA RAVERA, FONDATRICE DEL PCI, CONFINATA IN LUCANIA, Roma, 18 giugno 2018

Camilla Ravera

[…] Dal 5 marzo del 1923 Camilla Ravera entrò a far parte del Comitato Centrale del partito e, quando nel ’26, la struttura clandestina fu l’unica a funzionare, lei fece parte dell’Ufficio di Segreteria insieme a Scoccimarro. Dal 9 novembre 1926, in seguito all’arresto di tutti i deputati comunisti, rimase l’unica della Segreteria in libertà.
Aiutata dai compagni Amoretti e Tresso organizzò tutto da sola: aiutare i compagni feriti e salvarli da nuovi interventi della polizia e dei fascisti, assistere i carcerati, mettere al sicuro chi era sfuggito all’arresto, richiedere documenti falsi e provvedere all’espatrio, rispondere politicamente agli atti e alle decisioni del fascismo sia con la stampa clandestina sia organizzando azioni concrete, come proteste o scioperi.
Avvertiva forte la necessità di dimostrare che il partito comunista, nonostante i divieti liberticidi del fascismo, non si scioglieva: bisognava continuare a vivere nel mondo della gente e nell’opinione pubblica per non lasciare né far sentire soli i lavoratori ed i cittadini tutti nella loro vita quotidiana specie sotto quella che ormai era diventata chiaramente una dittatura.
Fu questa la preoccupazione fondamentale di Camilla nel periodo della clandestinità (quando portò la sede a Sturla, nell’entroterra ligure), e lavorò intensamente per mantenere vivo il partito curando la rete di contatti con la base e la realtà, orientando i compagni nelle loro scelte ed evitando deviazioni, sia terroristiche che di ripiegamento, dimostrando di essere una dirigente di grande spessore.
Quando arriva a Ponza, Camilla, ritrova i suoi compagni di lotta, da Terracini a Scoccimarro a Li Causi, ma anche i confinati di altri partiti che l’accolgono affettuosamente. Ha modo di parlare con Altiero Spinelli, prendendo atto del suo distacco definitivo dal partito comunista; conosce personalmente e frequenta Pertini, insomma si relaziona col gotha dei confinati politici del suo e degli altri partiti.
Bella è la descrizione che, nel suo Diario, fa di Giorgio Amendola: “..il suo temperamento mi colpì: vigoroso, a momenti impetuoso, capace, mi parve, di decisione e azione. […]Aveva la mente aperta, rivolta a problemi diversi, più vivi e attuali, esigenti trattazione concreta, legata al movimento e all’azione”.
Si sofferma anche su ras Immerù: “Arrivò anche ras Immerù, accompagnato da un deggiac. Era stato alla testa dell’esercito abissino contro l’aggressore fascista e fatto prigioniero. Era alto, maestoso, portava un lungo mantello nero e un largo cappello”. Alloggiato a Santa Maria, nell’attuale pensione Silvia, dove sarà prigioniero, qualche anno dopo, lo stesso Mussolini, non poteva avere rapporti con gli altri confinati, ma, scrive la Ravera: “A ras Immerù riuscimmo a mandare alcuni libri in lingua francese e inglese. Ce ne fu grato.” E questo, nonostante il triplice cerchio di militi armati che circondava lo spazio ristretto destinato ai confinati.
Dove alloggiò, Camilla Ravera dopo essere stata ospitata subito dopo l’arrivo dalla confinata Maria Baroncini?
Ecco la descrizione della sua stanza: “…mi sistemai in una stanza a cui si arrivava con una breve scaletta esterna, di pietra, e che aveva a lato una terrazza affacciata su piccoli orti.[…….] accanto a me abitava Terracini. Dalle nostre terrazze vicine, senza vederci, potevamo salutarci e scambiarci reciproche notizie. A breve distanza era alloggiato Pertini: anche lui disponeva di una terrazza, e ne aveva fatto un giardino, coltivandovi con cura amorosa, in bei vasi di coccio, molte pianticelle fiorite. Me ne regalò subito alcune, con le quali anch’io, come Terracini, avviai il mio giardinetto sulla terrazza. Fra Pertini e Terracini nacque, in quel campo, una vera gara.”
Certamente, questa stanza che non guardava verso il mare, altrimenti Camilla Ravera l’avrebbe citato, che si affacciava su una zona coltivata a piccoli orti, come la Padura, che stava vicino all’alloggio di Pertini e confinava con quello di Terracini, doveva stare lungo la strada dei Galano a Chiaia di Luna. […]
Rosanna Conte, Camilla Ravera a Ponza (2), Ponza racconta, 16 giugno 2014

Nata ad Acqui Terme il 18 giugno 1889, Camilla Ravera era figlia di un funzionario del ministero delle finanze. Cresciuta con sette fratelli, iniziò a lavorare come maestra a Torino iscrivendosi al PSI nel 1918. Ricorderà l’evento della decisione di impegnarsi così: «Era il 1913, nel momento in cui a Torino aveva luogo un grande sciopero di operai metallurgici, da una finestra della mia casa guardavo avanzare una grande colonna di operai, più grande metro dopo metro. All’improvviso io, che già avevo studiato con passione Marx, innanzi a quella colonna ebbi l’impressione di vedere il suo pensiero divenire storia. Da quel momento seguì sempre le lotte degli operai torinesi, sino a persuadermi che non bastava cogliere la teoria di Marx rimanendo in disparte, bisognava partecipare, impegnarsi. Lo scoppio della guerra eliminò le mie esitazioni ed entrai nel Partito Socialista».
Tra il 1919 e il 1920 entrò a far parte della redazione della rivista L’Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia. Incaricata dell’organizzazione femminile, diede vita al periodico La Compagna.
Dopo le leggi speciali fasciste del 1926 e l’arresto di Gramsci rimase alla testa dell’organizzazione clandestina; delegata a vari congressi del Comintern, conobbe Lenin e Stalin. Il 31 ottobre 1926 il regime fascista mette agli arresti – violando l’immunità parlamentare – Antonio Gramsci, Segretario del PCd’I. Questo momento segna una svolta nella vita di Camilla, che diviene immediatamente il nuovo leader di un Partito i cui membri si sono oramai dati alla clandestinità. Manterrà il ruolo di segretario sino al 1930 quando, rientrata in Italia da Parigi (la maggioranza dei membri del partito aveva trovato riparo in Francia), viene arrestata e condannata a quindici anni e mezzo di carcere che trascorse fino alla fine del fascismo tra carcere e confino. Quando fu inviata al confino a Montalbano Jonico, piccolo paese della Lucania, organizzò una scuola per i pastori della zona. Questo fatto irritò i fascisti che la trasferirono in altra località, con l’imperativo di non intrattenere rapporti con la popolazione. Fu l’ultima dei confinati a lasciare Ventotene insieme a Umberto Terracini con il quale fu nel 1939 espulsa dal partito per aver condannato il patto Ribbentrop-Molotov. Ricorderà questo fatto per lei drammatico così: «Io e Umberto sostenevamo che, se il principio del socialismo era universale, ogni paese aveva il diritto di costruirlo sulle proprie esigenze e specificità e che un passaggio di società come quello che c’era stato in Russia non era obbligato anche da noi; mentre altri compagni, come Secchia e Scoccimarro, consideravano errato il solo fatto di pensare che la via seguita in URSS potesse non essere universale come se tutto fosse già stabilito e preparato. Mi hanno sempre fatto paura le idee settarie e chiuse: forse perché sia io che Terracini ci eravamo formati nel gruppo di Gramsci dove c’era una grande capacità di critica e di discussione. Così ci cacciarono via del Partito. Sì, fu per me un momento molto amaro». […]
Redazione, 6.7. CAMILLA RAVERA, LA PRIMA SEGRETARIA COMUNISTA DONNA, Storia Universale

Enrico Berlinguer e Camilla Ravera – Fonte: Leonardo Pisani

[…] Riacquisita la libertà durante la guerra, dopo una serie di avventure trovò rifugio nel nostro territorio, in particolare sulle alture di San Secondo di Pinerolo. Ricercata dai fascisti, si nascose in un casolare al Bric, che divenne un punto di riferimento per gli incontri clandestini tra combattenti per la libertà. Inizialmente vi trovò accoglienza – per pochi giorni – lo stesso Umberto Terracini, prima di essere costretto a riparare in Svizzera.
La casa apparteneva a Walter Gardiol, che sarebbe diventato partigiano. Perché a San Secondo? Pare per via della presenza di Arturo Gardiol, zio di Walter, che apparteneva a una famiglia da sempre socialista.

Camilla Ravera – Fonte: L’Ora del Pellice

In seguito Camilla Ravera si spostò al Rocco, presso un’altra famiglia Gardiol. Vanda Gardiol, che all’epoca aveva 16 o 17 anni, descrisse così, a Gian Vittorio Avondo, la figura della Ravera: «Cuciva, leggeva, in prigione aveva fatto un tappeto tutto annodato e lo aveva portato con sé. (…) Di sera la portavamo a passeggiare, ma solo di sera…». Tra San Secondo e Prarostino, Camilla Ravera intrattenne rapporti con alcuni partigiani della zona e insegnò l’inglese ad alcuni ragazzi.
Dopo la Liberazione, Ravera fu riaccolta nel Partito comunista. Palmiro Togliatti ritenne indispensabile il suo contributo, tanto da definire «fesserie» le ragioni che avevano causato la sua espulsione a Ventotene. Eletta consigliera comunale a Torino nel 1946, divenne deputata tra il 1948 e il 1958. Promosse la prima legislazione a favore della donna lavoratrice e madre. Fondatrice con Ada Gobetti dell’Unione Donne Italiane, pubblicò molti scritti di carattere politico, ma durante gli anni ’60 fu un po’ emarginata. A partire dagli anni ’70, invece, il suo ruolo nella lotta per l’emancipazione della donna è stato ampiamente e giustamente riconosciuto.
Tuttavia, il suo ultimo libro, pubblicato poco prima della morte, s’intitola significativamente: Una donna sola.
Redazione, 14 aprile 1988: Camilla Ravera, un secolo di vita per la causa femminile, L’Ora del Pellice, 14 aprile 2019