Campi di concentramento in Abruzzo

Fonte

[…] A partire dal 1938 l’Italia divenne ufficialmente un paese antisemita e il pensiero prevalentemente era di considerare i neutralisti e, poi, gli antifascisti come pericolose categorie da estirpare dal tessuto sociale poiché d’ostacolo alla creazione dell’uomo nuovo vagheggiato dal fascismo, comportò l’assunzione di forme discriminatorie nei confronti di tutto ciò che era diverso o, comunque, percepito come potenziale minaccia.

In tal modo, si finì per avere anche una serie di istituti repressivi che, seppur differenti per finalità e genesi, trovarono la medesima applicazione per diverse categorie di persone, come dimostrano i numerosi campi di internamento sorti in Italia che, benché inizialmente previsti per la detenzione di sudditi nemici e prigionieri, finirono ben presto per accogliere oppositori politici ed ebrei, trasformandosi, per molti di costoro, nell’anticamera della deportazione in Germania.

L’Abruzzo a partire dal 1940 al 1944, per i luoghi impervi, la scarsa concentrazione abitativa, la minore politicizzazione degli abitanti, la scarsità delle vie di comunicazione, rappresentava una delle regioni, che, più delle altre, aveva tutti i requisiti richiesti dal Ministero dell’Interno per poter istituire campi di concentramento e località d’internamento. Nel corso della II^ guerra mondiale infatti, in Abruzzo saranno ben 15 i campi attivati e 59 le località d’internamento:

Casoli, il campo per gli ebrei; il campo di concentramento nell’asilo infantile “Principessa di Piemonte” a Chieti; il campo per gli italiani “pericolosi” di Istonio Marina (Vasto);  il campo di smistamento di Lama dei Peligni; il campo femminile di Lanciano, a Tollo il campo per i comunisti Jugoslavi; il campo di concentramento nella città fortezza di Civitella del Tronto; il campo di concentramento nella Badia Celestina di Corropoli;  i cinesi internati nella Basilica di San Gabriele a Isola del Gran Sasso; il campo di concentramento di Nereto; il campo di concentramento di Notaresco; i campi di concentramento di Tortoreto Stazione (Alba Adriatica) e Tortoreto Alto; i rom internati nel campo di concentramento di Tossicia.

Il campo di concentramento di Corropoli venne istituito nel monastero dei frati Celestini denominato Badia, a circa un chilometro dal paese in contrada Colli.

Prima di essere attivato, poiché si trovava in uno stato di inabitabilità, subì vari lavori di adattamento, che si protrassero per quasi tutto il 1940; tanto che i primi internati vi vennero inviati, dal Ministero dell’Interno, solo all’inizio del 1941.

Il 3 marzo 1941 il campo di Corropoli contava 18 internati; nel corso dei mesi successivi ci furono nuovi arrivi, e il campo, nell’agosto del 1941, raggiunse le 64 presenze. Questi primi internati erano in maggioranza irredentisti slavi e comunisti italiani che, in seguito alla condanna del Tribunale Speciale dello Stato, erano già stati confinati in precedenza. Tra gli internati civili italiani, erano presenti anche delle donne che, dopo pochi giorni passati nel campo, vennero trasferite.

Nel febbraio 1942 un anonimo riferì alla Prefettura di Teramo che gli internati di Corropoli godevano di troppa libertà. Dopo alcuni sopralluoghi della stessa Prefettura  si giunse alla conclusione gli internati presenti a Corropoli, essendo elementi prevalentemente sovversivi, dovevano essere tenuti a bada con “strumenti più efficaci”.

Da quel momento si registrarono maltrattamenti e torture di vario genere, che mai nessuno è riuscito a documentare fino in fondo, considerato che i campi di concentramento abruzzesi non erano noti all’epoca e successivamente come quelli di Auschwitz o Belzec.

Il campo di concentramento di Corropoli fu chiuso nel maggio del 1944 come la maggior parte dei restanti campi abruzzesi. […]

da Il Martino.it

Agli stranieri di nazionalità nemica e agli oppositori politici si aggiunse, poi, la categoria degli ebrei stranieri. Si trattava di persone che, dopo le prime persecuzioni naziste iniziate con le leggi del 1933, erano giunte in Italia provenienti da diversi paesi europei alla ricerca di un luogo ove trovare sicurezza e rifugio.
Come ha mostrato Karl Voigt, che ha studiato in profondità il fenomeno, Mussolini poteva in tal modo vantarsi a livello internazionale di attuare una forma di governo più mite rispetto agli eccessi del nazismo hitleriano e al tempo stesso godere dei benefici economici provenienti dalla valuta straniera che affluiva in Italia, alimentando soprattutto gli introiti dell’industria alberghiera e della ristorazione. Le vicende storiche successive, e in particolare la campagna razzista messa in campo con la guerra d’Africa e le leggi del ‘38, mutarono profondamente il quadro politico. Agli ebrei stranieri, che erano entrati nel Regno d’Italia dopo il 1° gennaio 1919, venne ordinato di lasciare il paese entro sei mesi, pena l’espulsione. La tragedia umanitaria che provoca questo provvedimento razzista verso persone che spesso si erano integrate in Italia attraverso il lavoro, lo studio e la creazione di nuove famiglie, è aggravata dalla tragica impossibilità di rientrare nei luoghi di provenienza, dove da tempo erano in atto logiche di annientamento degli ebrei, e dalla difficoltà di ottenere il visto o di pagarsi il viaggio per andare fuori dall’Europa.
La corsa affannosa per raggiungere la libertà e salvarsi dalla morte sicura è interrotta il 10 giugno 1940 dall’entrata in guerra dell’Italia. A quella data i circa 3.800 ebrei stranieri, che non erano riusciti ad abbandonare il Regno, vengono arrestati e mandati nei campi di concentramento o nei luoghi di internamento che erano stati predisposti già prima dell’inizio del conflitto.
Insieme ad essi, come si è detto, vengono internati tutti coloro che erano ritenuti pericolosi in tempo di guerra, ossia i cittadini dei paesi belligeranti con l’Italia e gli oppositori politici, ma nell’elenco definitivo vengono inclusi anche gli zingari.
I campi di concentramento allestiti sono oltre 40, anche se non sempre funzioneranno contemporaneamente. A questi si aggiungeranno, dopo l’invasione della Jugoslavia, altri campi per slavi nel territorio italiano e nei territori annessi, portando il numero complessivo a oltre 60. La distribuzione geografica dei campi vede una forte concentrazione di questi nella fascia centro-meridionale dell’Italia orientale, con particolare riguardo all’Abruzzo che, con i suoi 15 campi di concentramento, è di gran lunga la regione a maggiore diffusione dell’universo concentrazionario. Essi sono ubicati a Chieti, Lanciano, Vasto, Tollo, Casoli, Lama dei Peligni, Città Sant’Angelo, Tortoreto, Tortoreto Lido, Tossicia, Civitella del Tronto, Corropoli, Nereto, Isola del Gran Sasso e Notaresco. Oltre che nei campi di concentramento giungono in Abruzzo centinaia di internati in regime di domicilio coatto e alcuni confinati politici. Le località di “internamento libero” erano disseminate capillarmente soprattutto nel territorio della provincia di Chieti.
Le ragioni di questa scelta geografica erano evidenti: il carattere montuoso della Regione, che la isolava di fatto dalle grandi città e dalle principali vie di comunicazione, la scarsa politicizzazione della popolazione residente, l’improbabilità che quell’area geografica sarebbe stata toccata direttamente dalla guerra.
Il campo di Casoli fu utilizzato soprattutto per ebrei stranieri; quello di Chieti ebbe breve durata e fu riservato a inglesi e francesi; a Vasto furono inviati gli italiani pericolosi, tra i quali il vignettista dell’Avanti! Giuseppe Scalarini e il futuro direttore dello stesso giornale, Giulio Guido Mazzali, lo scrittore Mario Borsa, che diventerà direttore del Corriere della sera, il critico d’arte Raffaello Giolli; Lama dei Peligni ebbe un campo di concentramento con funzioni di smistamento degli internati, che vi restavano soltanto per brevi periodi; Lanciano ebbe un campo femminile prima e poi per comunisti jugoslavi; il campo di Tollo venne utilizzato essenzialmente per comunisti di Albania, Jugoslavia e Montenegro.
Negli altri campi istituiti nella regione si segnalano, per la loro specificità quello di Isola del Gran Sasso, riservato ai cinesi, e quello di Tossicia per gli zingari, in modo tale che la Regione Abruzzo, riusciva a contemplare nei suoi campi di concentramento tutte le categorie degli internati del regime fascista.
Altro elemento che rende particolarmente interessante il territorio abruzzese è dato dalla folta presenza di confinati politici, molti dei quali ebrei, soprattutto provenienti dalle fila di Giustizia e Libertà, come il filosofo Guido Calogero, che venne raggiunto da Carlo Azeglio Ciampi, Tristano Codignola, che sarebbe diventato il più giovane esponente dell’Assemblea costituente, Enzo Enriquez Agnoletti, leader della Resistenza in Toscana, Leone Ginzburg, studioso di prestigio, che sarebbe poi morto in carcere per le percosse subite dai nazisti.
Tra i tanti politici internati e/o confinati in Abruzzo meritano di essere ricordati almeno Guido Molinelli, dirigente comunista che era stato confinato a Ustica con Gramsci e che divenne anch’egli padre della Costituzione repubblicana e Aldo Finzi, uno dei personaggi più controversi della politica italiana di quegli anni che, da esponente di primissimo piano del fascismo, fu messo in disparte dopo il delitto Matteotti e, dopo le leggi razziali e le guerre di Mussolini, divenne strenuo oppositore del regime, finendo per essere trucidato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine.
Questi dati appena accennati sulla presenza in Abruzzo dei confinati politici e degli internati è comunque di grande importanza, in quanto rende necessario inquadrare sotto una nuova prospettiva tutta la storia regionale di quegli anni, compresa la Resistenza abruzzese, che a lungo è stata interpretata, senza considerare la sua specificità, come fenomeno marginale rispetto alla resistenza del Nord, non considerando che essa assume dei tratti di assoluta singolarità, non soltanto per il ruolo esercitato dalla Brigata Maiella, ma anche per l’apporto che gli internati forniscono alla Resistenza, come risulta inequivocabilmente dagli episodi di Bosco Martese e dalla rivolta di Lanciano, che ebbe tra i suoi principali protagonisti un internato ebreo, Carlo Schönheim, come ho avuto modo di scrivere negli ultimi lavori che ho dedicato ai campi di concentramento e alla rivolta lancianese. <1
Tuttavia, il principale interesse storico derivante dalla presenza degli ebrei in Abruzzo è dato certamente dalla pubblicazione del libro di Maria Eisenstein, “L’internata numero 6”, che costituisce l’unico documento che ci è pervenuto sulla vita all’interno di un campo di concentramento fascista.
Fine scrittrice di origine polacca, Maria Eisenstein si laurea in Lettere a Firenze prima di essere arrestata in Sicilia e trasferita nel campo di Villa Sorge a Lanciano. Il suo lavoro, che rivela una grande capacità nel cogliere il dramma umano dell’internamento, è al tempo stesso un prezioso documento storico in quanto, pur avendo un autentico spessore letterario, giocato efficacemente sul tema della terapia della scrittura e sulla funzione del doppio, descrive momenti di vita del campo con assoluta fedeltà ai fatti realmente accaduti.
Ma il valore della scrittura di Maria Eisenstein è soprattutto nella capacità di rendere la paura e la crisi di identità determinate dalla vita nel campo: “più mi agito e più mi pare di essere in un mondo fittizio, non vero. O meglio: meno mi pare di essere io, in quel mondo. È un’altra, è il numero 6, che ha, sì, la sua personalità perché è 6 e non 59 né 23, ma non sono io. E dove sono io…? Nascosta. Molto ben nascosta e dal mio nascondiglio guardo questo 6 che si agita, scrive, discute, e mi meraviglio molto… Poi viene la sera, fa scuro e il numero 6 svanisce con le altre ombre. E io esco coraggiosa dal mio nascondiglio, coraggiosa perché fa buio e quando fa buio la maschera mi abbandona. Allora ho il coraggio di avere paura. Quanta paura, mio Dio, quanta paura! Mi stringe la gola, mi paralizza le membra. Mi rannicchio nella mia branda, mi copro la testa con la coperta e lascio che la paura salga, e m’avvolga, e cresca e geli in me, mi faccia stupida, ebete. È l’angoscia di quello che accadrà. Che accadrà di noi ebrei? Di me, se vince Hitler?” <2
Altrove, di fronte all’incubo ricorrente della morte, le tornano con straziante nostalgia le parole e i gesti della madre, che l’odio nazista ha allontanato da lei forse per sempre: “L’altro giorno ho pianto perché mi sono ricordata di una risposta che mi ha dato mia madre, quando le ho chiesto di darmi alcune delle sue gioie. Ha detto: “Quando sarai sposata le avrai tutte”… Ho rivisto mia madre nell’atto di agganciarsi la sua collana di perle: ogni volta – mille volte – mi diceva: Questo è il primo regalo di tuo padre dopo il primo processo che ha vinto”… Ora so che non mi erano indifferenti queste cose… Avevo creduto anche che non m’importasse della nostra casa, della raccolta di porcellana di mia madre, dei barattoli di marmellata che vi confezionava nella tarda estate, del giardino con gli arbusti di ribes e i due grandi meli, dei quali i ragazzacci del vicinato riuscivano sempre a rubare la frutta, nonostante Barry, il cane di guardia, che era molto vecchio e dormiva sempre. Credevo non m’importasse niente di tutto ciò e di tante altre cose: e invece ora m’importa molto”. <3
Il valore letterario, storico e umano costituito da “L’internata numero 6”, un testo che ancora oggi è sconosciuto ai più, e che comunque non è mai stato fatto oggetto di un convegno di studi a livello nazionale, già da solo fa capire quanto poco è stato fatto sia a livello locale che accademico nella ricostruzione del contributo italiano alla Shoah. Molti restano ancora gli archivi comunali inesplorati, dove è possibile trovare traccia della moltitudine di
deportati che è transitata nell’Italia centro-meridionale e che spesso ha trovato la morte nei campi di sterminio nazisti.
Note
1 Vedi G. Orecchioni, I sassi e le ombre. Storie di internamento e di confino nell’Italia fascista. Lanciano 1940-1943, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006 e, dello stesso autore, Postfazione a La rivolta di Lanciano nella storiografia della Resistenza, Edizioni di Memoria e Democrazia, Lanciano 2007
2 M. Eisenstein, L’internata numero 6, Tranchida, Milano 1994, p. 34
3 Op. cit., pp. 137-138
Gianni Orecchioni (storico), L’internamento in Abruzzo in (a cura di ) Liliana Di Ruscio – Rita Gravina – Enrico Modigliani – Sandra Terracina, 1939-1943: dalla vita quotidiana alla storia, Federazione Nazionale Insegnanti (FNISM) – Sezione Roma e Regione Lazio, con la collaborazione di Progetto Memoria e con il contributo dell’Assessorato alle Politiche della Scuola della Provincia di Roma, Roma, 2010