Carlo Levi a Firenze

Carlo Levi nel 1955 – Fonte: Wikipedia

Nella primavera del 1940, l’invasione tedesca costringe Carlo Levi a lasciare Parigi, dove si era stabilito qualche mese prima. L’ultima tappa della sua fuga attraverso la Francia è Cannes: arriva in luglio e ci rimarrà fino alla fine dell’inverno. Sono mesi di incertezza: Levi considera la possibilità di lasciare l’Europa. Ne discute con la madre Annetta Treves, le sorelle Luisa e Lelle, il fratello Riccardo, e con Paola Levi Olivetti che – insieme alla figlia più piccola, Anna, nata nel 1937 – aveva condiviso gli spostamenti di Carlo negli ultimi anni, ma era rimpatriata prima della guerra dichiarata alla Francia dall’Italia fascista il 10 giugno 1940. Le lettere sono controllate dalla polizia e viaggiano con la lentezza dovuta al conflitto. Ai primi di agosto Levi comunica alla madre che d’ora in poi la loro corrispondenza dovrà passare per il tramite di una signora di Zurigo. Per qualche mese la polizia indaga e solo il 27 gennaio 1941 il Consolato svizzero informa che Levi non risulta essere a Zurigo. Dai primi del novembre 1940 è Paola Olivetti a farsi tramite tra Levi e sua madre: “le mando questa lettera di Carlo l’ultima arrivata da 2 giorni, e come vede è recentissima. Ora le ricevo direttamente, non più dalla Svizzera e arrivano molto più presto”. Il 24 ottobre Carlo aveva scritto da Cannes: ha una prenotazione su un battello che partirà da Lisbona per gli Stati Uniti il 18 dicembre, i documenti per l’espatrio sono pronti, manca solo il visto per attraversare la Spagna, che ha ancora le frontiere chiuse: “non c’è che da aspettare. Così lascio un poco decidere alla sorte, che forse è la cosa migliore, là dove la volontà è così facilmente fallace”. Levi ha poca voglia di abbandonare l’Europa.
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La corrispondenza dei mesi successivi testimonia la difficoltà della scelta. La situazione non si sblocca, la partenza è rimandata. I familiari e Paola sperano di rivederlo, anche Carlo desidera salutare i suoi cari prima di un distacco che si prevede lungo. Tutti sono consci del pericolo di un passaggio per l’Italia: c’è il rischio di non poterne più uscire. Paola Olivetti si era stabilita poco fuori Firenze, a S. Domenico di Fiesole, dopo l’estate 1940.
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La città porta i segni della guerra: i musei sono chiusi, le opere d’arte coperte da protezioni. C’è l’oscuramento: “La sera c’è un buio pesto; io da S. Domenico non potrò mai uscire la sera, neanche se avrò una piccola macchina a metano, perché è quasi impossibile guidare in quest’oscurità”. “E poi stato di guerra a Firenze: intontimento, desolazione generale”, annota Piero Calamandrei nel suo diario il 14 giugno 1940. Dell’oscuramento approfittano i “venditori di carta azzurra, di ventoline azzurre per le lampadine” e di “pilette tascabili”. Tra la gente, un “senso di novità”, scherzi sulle possibilità erotiche che offre il buio assoluto. “Avvilimento generale: porca Toscana”. Alla dichiarazione di guerra erano seguite le disposizioni per l’internamento di ebrei e stranieri nemici. Paola dà notizie di suo fratello, Alberto Levi, “confinato in un paesino a 1400 m. in montagna vicino ad Aquila”. “Molti altri amici si trovano nelle condizioni di Alberto”, compreso il marito della sorella Natalia, Leone Ginzburg. Sembra che in generale il trattamento sia buono. Subisce l’internamento anche l’avvocato Alessandro Levi di Firenze, lontano parente acquisito della madre di Carlo Levi, nonché amico e vicino di casa di Calamandrei che scrive nel suo diario il 5 ottobre 1940: È tornato Sandrino [Levi], da Pescara, in breve licenza: non sta male, lo trattano con riguardo. Il questore il primo giorno lo volle intervistare e gli domandò: «Che cosa ne pensate delle leggi razziali? Vi sentite di appartenere al “popolo eletto”? Sperate che la legislazione razziale cessi? (!)». Carlo Emilio Gadda racconta al cugino la vita a Firenze nel pieno dell’estate 1940: è tutto buio “alle dieci e si dà del naso nei passanti. Lampadine a pila, azzurrate, come lucciole”. In città ci sono: Montale ingrugnato, la Mosca ospitale, il conte Landolfi giocatore pazzo, il Luzi, il Bigongiari; mentre Carlo Bò fa il soldato a Genova, con facoltà di lettura di Malebranche in fureria. Ci sono poi i pittori: il buon Capocchini con quell’aria di morto in piedi; l’eccellente Ottone Rosai dalle mani enormi, che si divide tra i cipressi, i giuocatori e gli “scolari”. C’è qui Macrì, detto Oreste, e il Leone Traverso. La sera solito ritrovo alle “Giubbe Rosse” – “ora bianche, con controspalline rosse” – dove Montale “siede, in tre sedute (mattutina, vespertina e serale) quattro ore al giorno da tredici anni a questa parte, senza essere ancora morto di noia”. A volte Gadda passa per una visita a casa del poeta, un appartamento all’ultimo piano, in viale Duca di Genova; “la Mosca” offre “l’ultimo bicchierino di squisito cognac”, poi saluti “e l’ascensore sprofonda”. Anche Paola Olivetti frequenta “la Mosca”, ossia Drusilla Tanzi, che per lei non è solo la compagna di Montale, ma sua zia, la sorella di sua madre Lidia. Le due donne condividevano esperienze simili. Negli anni Trenta, Drusilla Tanzi aveva rotto il suo matrimonio con Matteo Marangoni per legarsi a Eugenio Montale; Paola e Adriano Olivetti si erano lasciati. Nelle lettere a Carlo Levi dell’autunno 1940 si alternano le descrizioni di Firenze e i racconti delle conversazioni con gli amici comuni. “Questa città che odiavo mi è diventata un po’ più simpatica. In qualche punto è persino bella”.
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Nel novembre 1940, Levi sembra decidersi per il rientro. Paola lo aspetta a Firenze: Dunque verrai davvero?! Adesso mi pare impossibile e sarebbe troppo bello. Io credo che potrai stare dove ti piace. O qui o a Alassio o un po’ qui e un po’ là. Se vieni a Firenze, potresti prendere uno studio o sull’Arno che qualche volta ce ne sono di liberi, o una stanza in campagna da queste parti vicino a me. Forse qui ti piacerebbe, c’è una bell’aria e un bel paesaggio.
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Gli equivoci si chiariscono e le tensioni si allentano nelle lettere successive. Nel frattempo, Levi ha sciolto ogni riserva: nell’aprile 1941 si trova di nuovo in Italia. Durante tutto questo periodo, la polizia ha continuato a sorvegliarlo. Il suo rientro in Italia è segnalato nel rapporto periodico datato 30 giugno 1941: “ha preso temporaneamente dimora in via Bezzecca, 11, dove si è fermato breve tempo. Successivamente si è trasferito a Firenze, piazzale Donatello 18. Quella questura informata per la vigilanza”. Levi era passato a Firenze in aprile, per rivedere Paola Olivetti, che gli chiede di fermarsi più a lungo approfittando dell’ospitalità che gli offriva Drusilla Tanzi, oppure prendendo qualcosa in affitto: “ti cercherò uno studio ma tu vorrai venire? Scrivimi, cosa fai? Firenze è cento volte più bella di Torino, credo che ti piacerà starci per un mese”. Nel frattempo Paola si era trasferita in un’altra villa di San Domenico di Fiesole. Fa trasloco un poco alla volta, a partire da maggio, e alla fine dell’estate non aveva ancora finito: “qui si sta d’incanto ed è un vero paradiso terrestre. Forse ci abiterò più dei cinque anni promessi. I mobili non sono ancora tutti qua, ma fra pochi giorni ci saranno”. I quadri di Levi “sono diventati i veri padroni di casa, nelle loro cornici dorate hanno preso un’aria solenne e principesca, fanno una bellissima figura”
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Firenze, giugno 1941. Carlo chiede alla madre di informarsi per sapere se potrà far ancora valere il suo visto francese, in scadenza il 29 del mese: “andrei laggiù almeno per qualche giorno, anche per prendere dei quadri che ho lasciato. Ma temo che, almeno per ora, non si possa uscire”. La risposta positiva giunge inaspettata, a ridosso della scadenza, e coglie impreparato Levi: “non mi accomoderebbe andarci ora subito. Ci andrei invece molto volentieri fra un mese, alla fine di luglio, partendo da Alassio, che è a due passi”. Carlo delega alla famiglia le pratiche per la proroga del visto
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A fine settembre, dunque, la banca Monte dei Paschi di Siena – “Uff. Beni Nemici, gestione E.G.E.L.I.” – comunica a Levi che, grazie alle “premure della Sig.ra Marangoni che si è calorosamente interessata”, “abbiamo potuto ottenerVi l’affitto del quartiere Gee in Via Nazionale n° 20”. L’inizio dell’affitto “potrebbe far tempo dal 1° Novembre p.v. come per consuetudine locale”. Da quando erano state promulgate le leggi razziali, l’EGELI (Ente di gestione e liquidazione immobiliare) si occupava della gestione dei beni di proprietà ebraica che superavano un certo valore; da quando l’Italia era entrata in guerra, la competenza si era estesa ai “beni nemici”. L’accordo sfuma in ottobre, sopraggiungono delle difficoltà legate alle condizioni dello studio e del mobilio: tutto è sporco e mal ridotto, “non puoi dormire in quello schifoso letto né mettere la roba tua in quei luridi cassetti” gli scrive Paola. La banca non vuole sgomberare le cose vecchie, perciò “non puoi aggiungere cose pulite oltre quelle sudicie se no non ti muovi”. Nel frattempo si era liberato un altro studio presso la vecchia proprietaria, quello “a pianterreno molto bello con giardino e camera e bagno. Tutto ammobiliato con telefono e termosifone”.
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Ai traslochi si aggiungono i viaggi frequenti. Carlo discute degli affari di famiglia con la sorella Luisa, che reclama la sua collaborazione. C’è da preoccuparsi del podere di Alassio, che dal 1941 è affidato a mezzadria alla famiglia Cardone. “Alassio” non è solo un’azienda dove si seguono i raccolti e si suddividono le parti coi mezzadri, ma anche il luogo delle vacanze, dove a febbraio fa già caldo, a marzo si fanno i primi bagni dell’anno, e l’estate dura sino a ottobre. Nella villa che fu del padre, si ritrovano parenti e amici. Prima di andarci, Carlo si mette d’accordo con Luisa, in modo da trovare pronti al suo arrivo cavalletto, tele e colori. A Torino Levi ci va meno spesso, e forse meno volentieri, solo per questioni di famiglia – come nell’ottobre 1942, per il funerale dello zio Marco Treves – o quando è necessario per il suo lavoro, per vendere quadri, oppure realizzarne qualcuno di nuovo: accetta di fare ritratti su commissione, anche se poi non sempre riesce a concludere.
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Il 19 novembre, già prima di mezzogiorno, a Firenze tutti discutono della prima notte di bombe su Torino. Carlo scrive agli amici per avere notizie. Nel giro di qualche settimana gli rispondono in piazza Donatello il pittore Felice Casorati, l’architetto Carlo Mollino, la vedova di Piero Gobetti Ada Marchesini, la casa editrice Einaudi, il pittore Piero Martina, e altri ancora. Rassicurazioni e sollievi arrivano già travolti dai nuovi bombardamenti: le incursioni si susseguono fino a dicembre.
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Quando la casa di via Bezzecca viene danneggiata, durante il bombardamento del 28 novembre, almeno un centinaio dei quadri di Levi sono già stati trasferiti a Ivrea, ma altri ancora erano rimasti nella vecchia casa di famiglia e in vari depositi, anche presso amici. Levi si decide ad andare a vedere di persona quel che è accaduto a Torino. La sua preoccupazione si può intuire attraverso una lettera di Paola Olivetti, da Firenze, il 5 dicembre 1942: spero tu possa almeno trovare i tuoi quadri. Sono molto in pensiero per te, un po’ perché ho paura dei bombardamenti sulla tua sacra testa, un po’ perché ho paura che tu non trovi più né casa né quadri e temo tu ne abbia un dispiacere troppo grande. Nel periodo in cui ci visse Levi, piazzale Donatello non sembra essere solo il fulcro del quartiere degli artisti, bensì un crocevia di persone ed eventi. Doveva esserci un rifugio antiaereo, e di certo vi si trovava una sede della milizia fascista; il comunista Cesare Massai ricorda che nel febbraio 1944 sfumò un attentato dei GAP contro il console della milizia, l’azione si trasforma in un attacco a un’altra pattuglia repubblichina in piazzale Donatello. La sera dell’8 settembre 1943, dopo l’annuncio dell’armistizio, i dirigenti del PdA fiorentino si danno appuntamento al Cimitero degli inglesi – quella “isola di cipressi” in mezzo al piazzale Donatello – che, stando al ricordo di Maria Luigia Guaita, resta il luogo di ritrovo abituale del gruppo “per tutto il periodo della Resistenza”. Qualche settimana dopo, il comunista Mario Spinella – arrivato a Firenze proprio in quei giorni – trova una stanza in piazzale Donatello “presso una vecchia signora”. Il piazzale doveva essere già stato colpito dalle bombe sganciate dagli aerei alleati il 25 settembre 1943, nell’incursione che aveva per bersaglio il nodo ferroviario di Campo di Marte. Nella primavera 1944, l’avvocato Luigi Boniforti – arrestato dai fascisti nell’autunno 1943 – è fatto evadere dalla clinica di piazzale Donatello, dove aveva ottenuto d’essere trasferito per l’aggravarsi della sua ulcera. In seguito, Boniforti assumerà un ruolo di primo piano nel CTLN. Il 16 agosto 1944, durante la battaglia per la liberazione di Firenze, il piazzale è teatro di uno scontro tra partigiani e tedeschi, che lasciano “sul terreno una mitragliatrice pesante e sei uomini”. Dopo la liberazione, per qualche tempo Levi riprenderà a vivere al numero 19. La guerra ha provocato danni all’edificio e la proprietaria reclama un aumento dell’affitto, giustificato anche dalle spese di restauro che ha sostenuto da sola, senza ricorrere ai sussidi e all’assistenza del genio civile
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Filippo Benfante, Carlo Levi a Firenze e la Firenze di Carlo Levi (1941-1945). Vita quotidiana e militanza politica dalla guerra alla Liberazione, * Tesi di dottorato, European University Institute, Firenze, 2003

 

* Questa ricerca nasce dal recente ritrovamento, presso gli eredi del pittore fiorentino Giovanni Colacicchi, di lettere e documenti appartenuti a Carlo Levi, risalenti al periodo in cui il pittore e scrittore torinese tenne aperto uno studio a Firenze: dalla fine del 1941 alla fine del 1945. Durante questi anni, accadono molte cose che un biografo definirebbe “fondamentali”. Dalla Questura di Firenze parte l’ordine di arresto che costa a Levi la terza carcerazione della sua vita: dalla fine del giugno 1943 sarà detenuto al carcere delle Murate, da cui uscirà il 26 luglio. Tra il 1943 e il 1944, nascosto in piazza Pitti, scrive Cristo si è fermato ad Eboli, che resterà il suo libro più celebre. A Firenze Levi aderisce al Partito d’Azione, e quindi lo rappresenta, dall’agosto 1944, nella direzione interpartitica della “Nazione del Popolo”, il quotidiano pubblicato a cura del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Tra i cinque condirettori, Levi si ritaglia un ruolo di assoluto primo piano: ha un peso molto rilevante nella scelta dei collaboratori, a lui si devono la presenza di certi temi e prese di posizione sulle pagine della “Nazione del Popolo”. Levi interviene direttamente – sono almeno trenta i suoi articoli di fondo, concentrati soprattutto nei primi mesi di vita del giornale -, oppure commissiona alcuni pezzi ad hoc ai suoi collaboratori più stretti.
Filippo Benfante