Cenni (ulteriori) sull’epurazione antifascista

Fonte: Mapio.net

Prima ancora che la guerra fosse finita, mentre più della metà della penisola si trovava ancora sotto l’occupazione della Wehrmacht, con il R.D.L. 29 dicembre 1943, n. 29/B, vennero adottati i primi provvedimenti relativi alla “Defascistizzazione delle amministrazioni statali, degli enti locali e parastatali”. Da questa norma, emanata dal Governo Badoglio, prendono le mosse i tentativi che lo Stato Italiano, nella transizione dal Regno alla Repubblica, compirà per ripulire i propri apparati dalla pervadente presenza fascista, costruita in un ventennio di consolidamento del potere e controllo di ogni aspetto burocratico, intrinsecamente legato alla macchina statale, che costituiva – come ebbe a scrivere Mussolini correggendo la voce “fascismo” dell’Enciclopedia Treccani <23 redatta da Gentile – un «corpo unico con quello del Partito Nazionale Fascista».
L’impostazione data da questa norma, condizionò profondamente tutta la macchina dell’epurazione, fondando la premessa della continuità dello Stato che, anziché disconoscere integralmente i vecchi apparati normativi e burocratici, cercherà di ripulirli dalle connivenze con il fascismo, scontrandosi con la pervadente esperienza ventennale. In buona sostanza, il Legislatore si farà interprete della visione che riteneva il fascismo una semplice parentesi nelle tradizioni democratiche, anziché ritenere di dover voltare pagina e costruire uno Stato nuovo.
Con questo provvedimento iniziale si cercò di colpire tutti coloro che, appartenenti alle amministrazioni dello Stato <24, avessero avuto le seguenti qualiiche in quanto militanti nel Partito Nazionale Fascista: squadrista; marcia su Roma; gerarca <25; sciarpa littorio <26.
Probabilmente, con questo provvedimento il Re, per mano del fedelissimo Maresciallo d’Italia, tentò di riconquistare un po’ di credibilità <27 nei confronti delle forze antifasciste che di lì a poco sarebbero state chiamate a formare i governi che avrebbero dovuto gestire la delicata transizione mentre ancora si combatteva sul suolo nazionale, con un esercito praticamente dissolto e uno Stato allo sbando, dovendo fronteggiare la ricostituzione di uno Stato fascista al nord, nelle mani dell’ex alleato tedesco.
Quasi contemporaneamente, infatti, venne emanato un altro provvedimento <28 che cercò di rimediare anche a tutti quei casi in cui la non adesione al passato regime o l’aver subito la summa iniuria delle leggi razziali <29 avessero comportato l’allontanamento dal posto di lavoro.
In particolare, con tali norme vennero riassunti: coloro ai quali erano state applicate le leggi razziali, coloro che si erano riiutati di prestare il giuramento di fedeltà al regime fascista, coloro che erano stati privati dell’impiego in seguito a condanna penale per reati politici o assegnazione al conino di polizia per motivi politici, coloro che potevano dimostrare che la loro dispensa dal servizio o il loro licenziamento era stato dovuto esclusivamente a motivi politici.
Con questi due provvedimenti, tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, vennero già tracciate le linee fondamentali entro cui si sarebbero mossi tutti i Governi della transizione, almeno fino al 1946 quando le cose assunsero una nuova prospettiva.
[NOTE]
23 «Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo.» Successivamente la voce è stata pubblicata anche come: Mussolini B., La dottrina del fascismo, Vallecchi (Firenze, 1935).
24 L’art. 1 R.D.L. 29 dicembre 1943, n. 29/B, usa l’ampia locuzione: «Gli appartenenti alle amministrazioni civili e militari dello Stato, degli enti locali, degli enti parastatali, comunque costituiti o denominati, delle associazioni sindacali ed enti collaterali, e, in genere, degli enti ed istituti di diritto pubblico, anche con ordinamento autonomo, sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato e gli appartenenti alle aziende dipendenti da dette amministrazioni e da detti enti o ad aziende private esercenti servizi di pubblico interesse.»
25 Individuati nello stesso R.D.L. come segue: «1) i segretari e vice segretari del partito; 2) i membri del direttorio nazionale; 3) gli ispettori del partito; 4) i consiglieri nazionali; 5) i segretari federali; 6) i vice segretari federali; 7) i vice segretari amministrativi, esclusi i funzionari statali e parastatali incaricati del controllo amministrativo delle federazioni; 8) gli ispettori federali; 9) i presidi delle provincie; 10) i segretari politici ed i podestà di centri superiori ai 50 mila abitanti.»
26 Secondo l’art. 15 del Regolamento del P.N.F. «I requisiti per ottenere [la Sciarpa Littorio] sono: 1° possesso del brevetto della Marcia su Roma; 2° aver ricoperto cariche politiche per almeno dieci anni, anche non consecutivi, di cui cinque come gerarca del P.N.F. (art. 12 dello Statuto del P.N.F.) o dei G.U.F. (segretario, componente il Direttorio del G.U.F. e iduciario del N.U.F.) o dei cessati Fasci giovanili di combattimento (comandante in seconda e comandante di Fascio giovanile) o della cessata O.N.C, (presidente di comitato provinciale e comunale); 3° aver prestato almeno dieci anni di servizio, anche non continuativi, quale ufficiale della M.V.S.N. (in s.p.e. o nei quadri) o ufficiale della G.I.L. (FF. GG. C. o O.N.B.). Sarà considerato valido e computato doppio il periodo di servizio prestato nei reparti combattenti in Africa o in Spagna.»
27 «[…] vennero esaminati dal nuovo esecutivo una serie di progetti intesi a dare l’avvio, ormai indiferibile, alla politica di “defascistizzazione” (epurazione, revisione della legislazione fascista, punizione dei collaborazionisti, reintegrazione degli antifascisti, ecc.). Primo fra tutti lo scioglimento della Milizia, poi il provvedimento per la defascistizzazione delle amministrazioni statali e degli enti locali: un segnale per i partiti antifascisti e gli Alleati, come ebbe a deinirlo Massimo Severo Giannini, più che uno strumento realmente operativo» in Ricci A., Aspettando la Repubblica. I governi della transizione (1943-1946), Donzelli (Roma, 1996)
28 R.D.L. 6 gennaio 1944, n. 9, “Riammissione in servizio degli appartenenti alle amministrazioni dello Stato, degli enti locali e parastatali e controllati dallo Stato, aziende che gestiscono servizi pubblici o d’interesse nazionale, già licenziati per motivi politici”.
29 Il cui primo provvedimento fu il R.D.L. 5 settembre 1938, n. 1390, rubricato “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”.
Massimo Novi, L’epurazione negli Enti Locali della Provincia di Pisa (1945-1946), Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2013/14

Alto Commissariato Aggiunto per l’epurazione
Roma, li 29 dicembre 1944
Alla Commissione I° Grado Epurazione del Personale dell’Istruz. Universitaria
Facendo seguito alla nota 30 novembre 1944, n. prot. 27851, comunico i seguenti
addebiti a carico dei professori universitari qui appresso nominati:
……………………………………… O M I S S I S ………………………………
Prof. BOMPIANI Enrico – Ordinario di geometria analitica nella R. Università di
Roma – risulta che fece opera di apologia fascista quando, negli anni 1930-31
svolse un ciclo di lezioni in varie Università americane e quando, tra il 27 luglio e
il 3 agosto 1932 prese parte alla XIa conferenza dell’Entr’Aide Universitaire svoltasi
a Brno, dove parlò sul tema “l’Università fascista”.
……………………………………… O M I S S I S ………………………………
Chiede che codesta Commissione voglia, previ gli accertamenti del caso applicare,
quando ne ricorrano gli estremi, le sanzioni di cui al D.L.L. 27 luglio 1944, n. 158
nei confronti dei sopraindicati professori.
L’Alto Commissario Aggiunto
(Dr. Mauro Scoccimarro)
f.to [Guido] Pafumi

Prima di analizzare i dati sull’epurazione, è opportuno osservare la data di iscrizione dei magistrati al Partito nazionale fascista. Per tre magistrati non è stato possibile rintracciare il dato nei fascicoli personali. La maggior parte dei magistrati si è iscritta al partito nel 1932 (27 persone) <50, in seguito alla circolare del 4 maggio 1932 che imponeva ai magistrati l’iscrizione <51; tra questi però si può rilevare la posizione di Luigi Camboni, che risultava comunque iscritto dal 30 aprile 1926 alla Federazione nazionale universitaria fascista, gruppo di Cagliari. Solo un magistrato, Giuseppe Paolo Gaetano, si è iscritto l’anno successivo, nel 1933.
Dei restanti 12 magistrati iscritti negli anni Venti, la gran parte si è iscritta nel 1925 (Leopoldo Conforti, Vincenzo Macedonio, Guido Mirabile); Carlo Saltelli risulta iscritto dal 1922 (era iscritto al Partito nazionalista e dopo la marcia su Roma, in seguito alla fusione dei due partiti, al Pnf; l’iscrizione venne così retrodatata al 1919). I restanti sono Teucro Brasiello nel 1923, Enrico Romano nel 1924, Giuseppe Raimondo Agus e Federico Mancosu nel 1926, Pasquale Piredda nel 1928, Salvatore Messina nel 1929. Anche per altri due magistrati ci fu la retrodatazione al 1925 perché ex combattenti: Ugo Aloisi iscritto nel 1932 e Andrea Ferrara nel 1929.
Relativamente alle vicende epurative, dei 42 magistrati presi in esame nel presente lavoro, 31 non sono stati deferiti alla Commissione per l’epurazione. Tra questi 31 magistrati, quattro non sono stati presi in esame dalla stessa Commissione per l’epurazione perché collocati a riposo per età nel 1943 (Alberto Sanna a giugno, Raffaele Gioffredi ad agosto, Emilio Ferraro e Pasquale Piredda a dicembre), mentre uno di essi morì nel 1943 (Lorenzo Terra Abrami, nel mese di giugno).
Giuseppe Raimondo Agus è l’unico magistrato tra quelli presi in esame non epurati per il quale si rintraccia nel fascicolo personale una nota negativa sull’epurazione. Infatti, in merito alla possibilità di trattenere in servizio il magistrato (perché nel 1945 sarebbe dovuto essere collocato a riposo per limiti di età) il Ministero rispose di “Controllare sua posizione nei confronti della epurazione. Se è in regola, si può trattenerlo” e un brevissimo appunto manoscritto intitolato “notizie circa l’epurazione”, segnalò da parte di Dell’Ova per la Commissione per l’epurazione “Nulla”.
Pili Emanuele invece (conteggiato ai fini dell’analisi nella voce “No” della tabella sottoriportata <52) venne segnalato alla Commissione, ma il suo processo si estinse per volontà dello stesso alto commissario.
Ben 9 magistrati furono collocati a riposo dalla Repubblica Sociale Italiana, con la formula “per speciali motivi di servizio”, la gran parte di essi perché si rifiutarono di seguire il trasferimento della Corte di Cassazione al Nord53. Furono tutti e nove riassunti in servizio. Un altro magistrato, Carlo Saltelli, fu collocato a riposo dalla RSI per lo stesso motivo, ma con il ripristinarsi della situazione gli venne suggerito dal ministro di Grazia e Giustizia Tupini di dare le dimissioni volontarie, prima ancora che si promulgassero norme relative all’epurazione, giustificando la sua richiesta per via del nuovo “indirizzo generale del Governo di sostituire i dirigenti degli alti uffici con elementi nuovi”. Fu quindi collocato a riposo a sua domanda nel luglio del 1944.
Due magistrati fecero parte di Commissioni di epurazione: Vincenzo De Ficchy fu nominato presidente della Commissione di primo grado per l’epurazione del personale del Ministero dell’Interno e Andrea Ferrara presidente supplente della Commissione per l’epurazione del personale dipendente del Ministero dell’Africa Italiana. Un altro magistrato, Ettore Casati, fu nominato nel febbraio 1944 ministro guardasigilli nel primo Governo del maresciallo Badoglio e il 27 luglio presidente dell’Alta Corte di Giustizia (lasciò l’incarico per motivi di salute in settembre) <54.
Gli altri tre magistrati Cristoforo De Villa, Giuseppe Lampis, Emanuele Piga ebbero incarichi durante le fasi della ricostruzione e furono autorizzati direttamente dall’Allied Control Commission a continuare a prestare servizio.
Solo 9 magistrati furono quindi deferiti.
Per Luigi Camboni (voce “incerto” nella tabella sottoriportata) mancano i corrispondenti documenti nel fascicolo <55 e Federico Mancosu (voce “segnalato”) fu segnalato alla Commissione, ma la sua morte, avvenuta nel corso del processo di epurazione, lo esaurì.
La motivazione dei nove deferimenti, ai sensi del decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159, è per sette magistrati quella di “apologia fascista” (Antonio Azara, Teucro Brasiello, Ettore Cipolla, Nicola Coco, Ernesto Eula, Salvatore Messina, Domenico Rende – art. 1256), per tre magistrati “attiva partecipazione alla politica del fascismo” (Ettore Cipolla, Ernesto Eula, Salvatore Messina – art. 12), per due magistrati di “collaborazione con la RSI” (Leopoldo Conforti, Enrico Romano – art. 1757) e per un magistrato quello di “ossequio alle gerarchie” (Leopoldo Conforti – art. 1358).
Il totale risulta più alto del numero dei magistrati deferiti perché alcuni di loro sono stati deferiti con più accuse.
Per quanto riguarda il modo in cui i 9 giudizi di epurazione sono terminati, è possibile notare come questi siano stati ancora meno incisivi di quanto descritto da Mariarosa Cardia in “L’epurazione della magistratura alla caduta del fascismo”. Il Consiglio di Stato: nel Consiglio di Stato “solo cinque consiglieri, l’11,90 per cento, vennero sanzionati al termine del processo epurativo sia di primo che di secondo grado” <59. Nella ridotta casistica presa in esame in questo lavoro nessuno dei 9 magistrati risulta sanzionato al termine di tutti i gradi di giudizio.
Infatti, ben cinque sono stati prosciolti in primo grado, Antonio Azara, Teucro Brasiello, Salvatore Messina, Domenico Rende, Ettore Cipolla. Tra questi, l’unico per il quale l’alto commissario non propose ricorso fu Cipolla; il ricorso venne respinto nel caso di Azara, Brasiello e Messina e si estinse per via del collocamento a riposo per Rende.
Nicola Coco, Enrico Romano, Leopoldo Conforti e Ernesto Eula vennero condannati alla dispensa dal servizio in primo grado, ma il collocamento a riposo estinse il giudizio per Coco e per Romano (nel caso di Romano venne in seguito dichiarato perento anche il ricorso dell’alto commissario); mentre per quanto riguarda Conforti e Eula, essi presentarono ricorso contro la decisione della Commissione di primo grado: per Conforti il giudizio si estinse a seguito della sua richiesta di collocamento a riposo, nel caso di Eula venne accolto il suo ricorso e fu revocata la sospensione.

[NOTE]
50 Ugo Aloisi, Luigi Camboni, Ettore Casati, Ettore Cipolla, Nicola Coco, Vincenzo De Ficchy, Demetrio De Martini, Cristoforo De Villa, Ernesto Eula, Emilio Ferraro, Raffaele Gioffredi, Alfredo Jannitti-Piromallo, Giuseppe Lampis, Angelo Lener, Enrico Leucadito, Antonio Manca, Oreste Enrico Marzadro, Giuseppe Meloni, Gaetano Miraulo, Francesco Pellegrini, Emanuele Piga, Emanuele Pili, Domenico Rende, Alberto Sanna, Francesco Saverio Telesio, Lorenzo Terra Abrami, Umberto Vaccari.
51 “Il decreto del capo del governo del 17 dicembre 1932, poi perfezionato con R.d.l. 1 giugno 1933, n. 641, richiedeva l’iscrizione al Pnf per qualsiasi impiego nella pubblica amministrazione. La l. 28 settembre 1940, n. 1428, pose l’obbligo dell’appartenenza al partito per l’avanzamento in carriera dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Inoltre – come esplicitato dalla circolare n. 2344 del 3 novembre 1934 – la partecipazione al movimento fascista prima del 28 ottobre 1922 venne considerato un titolo di preferenza nello svolgimento delle carriere statali. Le condizioni previste riguardavano: 1) invalidi o mutilati per la causa fascista in dipendenza di eventi verificatisi tra il 23 marzo ed il 22 luglio 1919, e dal 1° novembre 1922 al 31 dicembre 1925; 2) feriti per la causa fascista in dipendenza di eventi verificatisi nel periodo suddetto; 3) abbiano partecipato alla marcia su Roma; 4) siano iscritti al Pnf senza interruzione da data anteriore al 28 ottobre 1922”. Cfr. Cardia M., L’epurazione della magistratura alla caduta del fascismo. Il Consiglio di Stato, op. cit., pp. 206-207.
52 Le voci riportate in tabella, “no”, “sì”, “incerto”, “segnalato”, sono dell’autrice.
53 Angelo Lener, Enrico Leucadito, Vincenzo Macedonio, Oreste Enrico Marzadro, Guido Mirabile, Francesco Saverio Telesio, Umberto Vaccari, Demetrio De Martini, Giuseppe Meloni.
54 L’Alta Corte di Giustizia fu istituita ai sensi dell’art. 2 del D.l.l. n. 159 del 27 luglio 1944 “col compito di giudicare i membri e i gerarchi del governo fascista e la decadenza dalla carica dei membri di assemblee legislative o di enti e istituti che con i loro voti o atti avessero contribuito al mantenimento del regime fascista”. Cfr. Cardia M., L’epurazione del Senato del Regno (1943-1948), op. cit., p. 48 ss.
55 Nel fascicolo presente nel fondo epurazione dell’Archivio Centrale dello Stato sono conservati solo i fogli di trasmissione di alcuni atti, ossia del fascicolo personale al Ministero di Grazia e Giustizia per l’eventuale applicazione del D.L.lgt. 9 novembre 1945 n. 716 (per il collocamento a riposo); del fascicolo personale da parte dell’istruttore giudice aggiunto Minervini Girolamo e di due memoriali.
56 Art. 12: Sono dispensati dal servizio: 1) coloro che, specialmente in alti gradi, col partecipare attivamente alla vita politica del fascismo o con manifestazioni ripetute di apologia fascista, si sono mostrati indegni di servire lo Stato; 2) coloro che, anche nei gradi minori, hanno conseguito nomine od avanzamenti per il favore del partito o dei gerarchi fascisti.
57 Art. 17: Gli impiegati che, dopo l’8 settembre 1943, hanno seguito il governo fascista o gli hanno prestato giuramento o hanno collaborato con esso, sono dispensati dal servizio. Può essere loro inflitta una pena disciplinare
minore, qualora dimostrino di essersi trovati esposti a gravi minacce e pericoli per la persona propria o dei propri congiunti. Possono andare esenti da ogni sanzione coloro che hanno in modo efficace, con l’opera propria, aiutato i
patrioti e danneggiata l’azione dei tedeschi e del governo che apparentemente servivano. In ogni caso si farà luogo al conguaglio degli assegni che sarebbero spettati e di quelli che effettivamente percepiti: né sono dovute le indennità e le somme riscosse a causa del trasloco.
58 Art. 13: Sono altresì dispensati dal servizio i dipendenti dalle Amministrazioni di cui all’art. 11, i quali abbiano dato prova di faziosità fascista o della incapacità o del malcostume introdotti dal fascismo nelle pubbliche
Amministrazioni. Qualora dal giudizio di epurazione risultino elementi di reato, dovrà esserne fatta denuncia all’autorità competente.
59 Cardia M., L’epurazione della magistratura alla caduta del fascismo. Il Consiglio di Stato, cit., p. 245.

Francesca Cuccu, Profilo della magistratura italiana: la Corte di Cassazione dal fascismo alla Repubblica, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno accademico 2015-2016

L’analisi di questo gruppo di magistrati può rappresentare un ridotto ma significativo campione dell’epurazione dei vertici della Cassazione, sulla quale è in corso una più complessiva indagine da parte dell’autrice. Dei 16 magistrati uno, Terra Abrami, era deceduto (18-6-1943); due, Assisi (19-10-1943) e Arena (13-10-1944), erano stati collocati a riposo per raggiunti limiti di età.
Particolare è il caso di Saltelli, che dal ’25 al ’32 esercitò le funzioni di capo della Segreteria e poi di capo di Gabinetto del guardasigilli Alfredo Rocco, facendo una rapida carriera – da sostituto procuratore nel ’25 a consigliere, presidente di sezione, procuratore generale presso la Cassazione nel ’28, ’31 e ’42 – che gli procurò critiche e accuse. <29 Chiamato il 27 aprile 1944 ad assumere le funzioni di capo dell’Ufficio del pubblico ministero della Cassazione a Brescia, il 3 maggio comunicò l’impossibilità di trasferirsi, per cui il 13 fu collocato a riposo dalla Rsi per motivi di servizio, con liquidazione del trattamento di quiescenza. <30 Insediatosi il nuovo governo, il ministro Tupini, pur riconoscendo illegittimo il decreto della Rsi, invitò «perentoriamente» Saltelli a presentare domanda di collocamento a riposo, in base all’indirizzo generale di sostituire gli alti funzionari. Saltelli, ritenendo di non avere altra scelta, presentò la richiesta e fu collocato a riposo per anzianità di servizio dal 1° luglio. Tuttavia, il 1° giugno ’49 ne chiese la revoca «perché il presupposto oggettivo essenziale dell’atto amministrativo (cioè la domanda dell’interessato) era viziato per metus», e affinché si riparasse a una «manifesta ingiustizia», per il diverso trattamento verso coloro che, pur sottoposti a regolare giudizio di epurazione, erano stati collocati a riposo con speciali condizioni economiche in base al d.lgs.lgt. 11-10-44 n. 257. La richiesta venne accolta, ritenendo «che egli si indusse a rassegnare le dimissioni non per libera determinazione della sua volontà, ma per aderire all’invito del ministro, nel timore di peggio», e che si fosse verificata quindi «una grave sperequazione» di trattamento: «Per rimediare a ciò, e poiché il dott. Saltelli nella ipotesi che la sua istanza venga accolta, è disposto a essere ricollocato immediatamente a riposo, e a tal fine ha già presentato la relativa domanda, sembra opportuno riammetterlo in servizio, per consentirgli, ricollocandolo poi a riposo, di migliorare il trattamento di quiescenza». Riammesso in servizio il 17 settembre 1949, lo stesso giorno Saltelli richiese il collocamento a riposo.
Cinque magistrati – Acampora, Anichini, Casati, De Villa, Marzadro – non furono deferiti e ricoprirono ruoli di rilievo durante l’occupazione. Acampora fu nominato presidente del Consiglio direttivo dell’Ufficio controllo prezzi, istituito dal commissario regionale del Governo militare alleato. Anichini, collocato a riposo per esigenze di servizio il 13 aprile 1944 dalla Rsi, nell’agosto 1945 fu posto a disposizione dell’alto commissario per le sanzioni contro il fascismo; per la sua opera ricevette nel 1946 una lettera di encomio da parte del commissario per l’epurazione Peretti Griva, che sentì «moralmente doveroso segnalare le alte benemerenze» acquisite nell’attività prestata come suo diretto coadiutore, sorretta «da quel sano equilibrio umanistico […] particolarmente apprezzabile nella delicatissima e preoccupante materia della epurazione». <31
Casati non aderì alle pressioni del governo fascista di giurare fedeltà alla Rsi e chiese anticipatamente il collocamento a riposo. Raggiunto, dopo molte difficoltà, il Governo a Salerno, il 15 febbraio 1944 fu nominato ministro di grazia e giustizia nel primo Ministero Badoglio, per cui la Rsi revocò il precedente collocamento a riposo dichiarandolo d’ufficio dimissionario con perdita del diritto a pensione. Conclusa l’esperienza governativa il 22 aprile, fu chiamato a presiedere dal 27 luglio l’Alta corte di giustizia col compito di giudicare i reati compiuti dai membri del governo fascista e la decadenza dalla carica dei membri di assemblee legislative o di enti e istituti che con i loro voti o atti avessero contribuito al mantenimento del regime. Fu inoltre nominato, il 10 novembre, componente della Commissione per gli Affari del personale dipendente dal Ministero di grazia e giustizia. Nella sua attività ministeriale contribuì ad accelerare la formazione di un governo politico di coalizione e a elaborare la legislazione per l’epurazione. Morì l’11 agosto 1945.
Marzadro, collocato a riposo dalla Rsi il 13 aprile 1944 per limiti d’età, il 27 febbraio 1948 fu chiamato a far parte della Commissione per la revoca della nazionalità tedesca per gli altoatesini che lo avessero domandato. De Villa si trovava in Sardegna nel 1944 e il Ministero ricevette diverse richieste, tra cui quelle del comandante militare della Sardegna Magli e dell’alto commissario aggiunto per le sanzioni contro il fascismo Berlinguer, affinché egli fosse assegnato a reggere la Corte d’Appello della Sardegna; ricoprì la carica di direttore generale degli Affari generali durante il Governo di Salerno; nell’ottobre 1944 fu nominato presidente delle Commissioni di epurazione di primo grado del personale dipendente dall’Istituto nazionale della previdenza sociale e del personale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; concluse la carriera presso la Corte d’Appello di Cagliari e fu collocato a riposo dal 1° gennaio 1950 per limiti d’età.
Relativamente ad altri 3 magistrati – Cortesani, Pellegrini, Manca – non risultano documenti relativi al deferimento. Essi continuarono la loro carriera, dimostrando in tal modo di essere passati indenni al vaglio dell’epurazione. Cortesani fu nominato procuratore generale nel febbraio ’45 e collocato a riposo nel ’50. Pellegrini non fu deferito nonostante alcune segnalazioni nei suoi riguardi, in quanto le indagini ebbero esito negativo; continuò la sua carriera sino al collocamento a riposo per limiti d’età nel ’52.
Manca fu destinato al Ministero di grazia e giustizia nel novembre ’44, nel ’56 venne nominato giudice alla Corte costituzionale e collocato a riposo per limiti d’età.
Quattro magistrati vennero invece deferiti: Azara, Cantelli, Conforti e Forlenza.
Azara venne deferito e proposto per la dispensa dal servizio il 9 settembre 1944, per avere in scritti e conferenze tenute in Italia e all’estero svolto «attiva opera di propaganda a favore del regime fascista e delle sue istituzioni», identificando l’italiano nel fascista, elevando «inni di glorificazione al ‘Duce’ e ai vari Ministri guardasigilli, e in particolare a Grandi». <32 Nelle sue memorie difensive, accompagnate da un nutrito corpus di documenti a discolpa, Azara sottolineò di non aver mai tratto dal fascismo vantaggi nella progressione di carriera, conquistata attraverso esami e concorsi, e di aver sempre esercitato le funzioni presidenziali «con la più scrupolosa probità» e con la sola
finalità «di rendere giustizia». <33 Dichiarò che il suo impegno scientifico, testimoniato dalla partecipazione a numerose associazioni giuridiche anglosassoni e francesi, esplicato sempre «senza mai togliere tempo all’adempimento» delle funzioni di magistrato «e soltanto col sacrificio del riposo e di qualsiasi divertimento», aveva avuto l’obiettivo della riunificazione del diritto italiano e francese, e che nella primavera del 1942 – informato delle disastrose condizioni in cui versava l’esercito italiano – si era astenuto da qualsiasi attività non direttamente inerente alla funzione giudiziaria: «Si voleva, allora, che io estendessi la mia attività dal campo meramente tecnico a quello politico e io questa volta recisamente rifiutai, perché diversa era la materia, diverso lo scopo, diverso il tempo […]. Il rifiuto portò come conseguenza al mio definitivo accantonamento: fui messo in disparte, perché, essendo note le mie simpatie per i francesi e per una legislazione con essi concordata, si temeva – con ragione – che io avessi intralciato, come già più volte avevo tentato di fare, le disposizioni di marca puramente fascista, per far trionfare quelle dei progetti preliminari più scientifiche e niente affatto politiche […]. Per timore infine, che potessi svolgere opera contraria alla parte politica della codificazione, mi fu anche tolta la direzione dell’Ufficio del ruolo e del massimario presso la Corte suprema di Cassazione; fui, insomma, messo in condizioni di non poter far nulla di azione, come si sapeva che facevo di pensiero contro il regime». <34 […]
[NOTE]
29 Sul caso si veda Archivio Centrale dello Stato (Acs), Ministero di grazia e giustizia (Mgg), Ufficio superiore personale e affari generali, Ufficio secondo, Magistrati, Fascicoli personali, III Versamento 1936-1949 (III Vers.), f. 66923; e in particolare una lettera anonima inviata il 23-06-49 al ministro di grazia e giustizia da «Un gruppo di magistrati e di cancellieri indipendenti». Cfr. inoltre P. Saraceno, Le «epurazioni» della magistratura in Italia dal regno di Sardegna alla repubblica (1848-1951), «Clio», n. 3 (1993), pp. 519 ss.; P. Saraceno, I magistrati italiani tra fascismo e repubblica. Brevi considerazioni su un’epurazione necessaria ma impossibile, «Clio», n. 1 (1999), pp. 69 ss.; N. Bertini, Il Ministero della giustizia e degli affari di culto tra la crisi dello Stato liberale e la stabilizzazione del regime fascista (1919-1932), «Le Carte e la Storia», n. 2 (2005), pp. 185 ss.
30 Uno scambio di lettere dal 28 settembre ’44 al 5 febbraio ’45 testimonia il braccio di ferro tra il sottosegretario di Stato della Rsi Barracu e il ministro della giustizia Pisenti sul collocamento a riposo per speciali motivi di servizio di magistrati della Corte di Cassazione. La Presidenza del Consiglio dei ministri riteneva che Saltelli, non avendo ottemperato all’ordine di seguire il governo, dovesse essere rimosso dall’ufficio con perdita del diritto a pensione, ma il guardasigilli mantenne il provvedimento adottato.
31 Ministero di grazia e giustizia, Fascicoli personali dei magistrati (Mgg, F. pers.), n. 80755.
32 Cfr. Acs, Mgg, Ufficio superiore personale e affari generali, Commissione per l’epurazione, Magistrati, cancellieri, pretori, 1945 (Ce), b. 2, f. 5; b. 10, f. 155; Corte suprema di Cassazione, Personale, Fascicoli personali di magistrati (Csc, f. pers.), b. 58, f. 853. Elementi probanti di reiterata apologia fascista venivano individuati in particolare negli scritti: L’etica fascista nel primo codice civile, La riforma fascista del diritto successorio, Direttive fasciste sul nuovo codice civile, Il fascismo all’avanguardia della tutela giuridica dell’agricoltura, Preparazione dei nuovi codici, La reforme des Codes en Italie, Successioni legittime e testamentarie nel nuovo codice civile fascista. Non venne peraltro menzionata la sua partecipazione al comitato scientifico della rivista «Diritto Razzista», come evidenziato da G. Focardi, Le sfumature del nero: sulla defascistizzazione dei magistrati, «Passato e Presente», n. 64 (2005), p. 78.
33 Deduzioni difensive presentate il 6 ottobre 1944. Cfr. Acs, Mgg, Ce, b. 2, f. 5; b. 10, f. 155.
34 Promemoria riassuntivo presentato il 7 novembre 1944, nel quale Azara si sofferma sul ruolo che svolse quale segretario della Commissione reale per la riforma dei codici per impedirne la decadenza. Cfr. Acs, Mgg, Ce, b. 2, f. 5; b. 10, f. 155.
Mariarosa Cardia, L’epurazione dei magistrati del Consiglio Superiore della Magistratura alla caduta del fascismo in (a cura di) Piero Aimo, Elisabetta Colombo, Fabio Rugge, Autonomia, forme di governo e democrazia nell’età moderna e contemporanea. Scritti in onore di Ettore Rotelli, Pavia University Press, 2014

Vincenzo De Ficchy nacque a Davoli, provincia di Catanzaro, il 23 gennaio 1880, da Savio De Ficchy e Francesca Sergi <127. Dal foglio matricolare risulta disporre di rendita dotale. Laureato in Giurisprudenza, sposò nel 1910 Linda De Michele, con la quale ebbe 8 figli. Nel 1901 prese parte al concorso per 150 posti di uditore e risultò 39° in graduatoria <128. Venne quindi nominato uditore giudiziario il 16 maggio 1902 e il 24 giugno venne destinato alla Regia Procura di Napoli. Nel dicembre 1902, in seguito alla richiesta di De Ficchy di essere nominato reggente di una Pretura, il procuratore generale di Napoli riferiva che il giovane magistrato era “d’eletto ingegno, di coscienza illibata, di singolare operosità, d’ottimi studi di diritto e procedura penale, di capacità non comune nelle discipline civili, di grande attitudine a reggere una Pretura anche importante” <129. Venne così destinato in qualità di vice pretore al dodicesimo mandamento di Napoli il 14 dicembre 1902 e il 28 dello stesso mese fu tramutato al mandamento di Tortolì, con incarico di reggere l’ufficio. Questa disposizione venne revocata il 12 febbraio 1903, quando De Ficchy venne richiamato al dodicesimo mandamento di Napoli. Nei rapporti del 14 e del 16 ottobre 1903, in relazione all’ammissione all‟esame pratico, i capi della Corte di Napoli descrissero De Ficchy come giovane “di distinta capacità, di non comune coltura in materia civile, di molta dottrina penale, di singolare operosità, di carattere serio e dignitoso”. Con decreto del 22 ottobre 1903 venne esonerato dalle funzioni di vice pretore e destinato temporaneamente in missione presso la Corte di Cassazione di Roma. Il 6 marzo 1904 fu approvato all’esame pratico con voti 169 e classificato alla 29° posizione in graduatoria e venne nominato aggiunto giudiziario presso il Tribunale di Roma l’8 settembre dello stesso anno. Il 16 settembre 1906 fu nominato pretore del mandamento di Vico Pisano e fu tramutato nominalmente (in quanto era trattenuto nelle precedenti funzioni di aggiunto giudiziario al Tribunale di Roma) prima a Leonessa (il 22 novembre) e poi a Montereale (il 17 marzo 1907). De Ficchy chiese di essere tramutato al secondo mandamento di Perugia nel marzo 1907, domanda che ricevette l’approvazione del primo presidente di Roma, che nella sua nota del 6 aprile disse di lui che “aveva sempre prestato lodevolissimo servizio”; questo giudizio lusinghiero venne riportato anche nella nota del 31 marzo 1907 del primo presidente di Ancona che ne tessé le lodi “sia per le qualità morali, sia per il carattere integro, i costumi illibati, la condotta e i sentimenti, sia per le doti di intelligenza e di coltura sia per alcuni pregevoli studi su questioni giuridiche interessanti” ed espresse la certezza che il magistrato “si sarebbe mostrato degno dell’ambita fiducia del Governo e avrebbe ottimo servizio all‟amministrazione giudiziaria”.
[…] Nel biennio 1931-1932 fu membro supplente del Consiglio Superiore della Magistratura. Nel luglio 1931, da informazioni raccolte dalla presidenza del Consiglio, risultò che sia la moglie di De Ficchy che i suoi figli “non si limitano soltanto a coltivare sentimenti ostili al regime, ma ne davano pubblica e aperta manifestazione”. Si affermava infatti, che “in occasione delle proteste studentesche contro le organizzazioni cattoliche, sia la signora De Ficchy, che i figli, avessero pronunciato sconce frasi contro il regime e contro i fascisti, determinando i commenti dei coinquilini” <133. Il ministro Rocco dispose quindi che De Ficchy venisse “invitato in via riservata da S.E. il primo presidente della Cassazione a sorvegliare meglio la condotta dei suoi familiari” e invitato a rassegnare, per motivi di opportunità, le dimissioni da membro supplente del Consiglio Superiore della Magistratura. De Ficchy, presentando l’istanza, assicurò che l’accusa era completamente infondata e spiegò le singole circostanze dei fatti. Il ministro giudicò attendibili le giustificazioni e non adottò nessun provvedimento. In merito a questa vicenda, nel 1936 De Ficchy scrisse un’istanza al Ministero, con la quale chiedeva l’apertura di una formale inchiesta sulla sua condotta pubblica e su quella dei suoi familiari, ritenendo che esclusivamente motivi di natura politica avessero causato la sua mancata promozione al grado superiore. Il ministro Solmi scrisse il 5 gennaio 1937 al primo presidente della Corte di Cassazione di comunicargli che gli erano note “le sue qualità di magistrato e di studioso” e di rassicurarlo sul fatto che egli godeva di “tutta la fiducia dell’amministrazione”, esortandolo a “continuare ad attendere con l’usata serenità al suo delicato lavoro”. Il 17 novembre 1938 fu nominato procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro e collocato fuori del ruolo organico della magistratura dal 17 novembre 1938 e il 12 dicembre dello stesso anno temporaneamente destinato a esercitare le funzioni proprie del grado di presidente di Sezione della Corte di Cassazione del Regno. Nel gennaio 1940 non venne accolta l’istanza di De Ficchy con la quale chiedeva l’autorizzazione per accettare un incarico arbitrale (conferitogli con decreto del primo presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, relativamente alla controversia tra Alessio Henny e i fratelli Herbert e Carmelo Alessio). Il 28 giugno 1943 fu nominato presidente di Sezione della Corte Disciplinare Suprema di Cassazione per il biennio 1943-1945.
Nel periodo dell’armistizio De Ficchy si trovava nelle Marche, a Senigallia, in ferie e tra i mesi di ottobre e novembre comunicò a Messina, presidente della Corte Suprema di Cassazione a Roma, le sue difficoltà nel cercare di tornare a Roma <134. La sua prima lettera è del 19 ottobre <135, la successiva del 2 novembre, nella quale scrisse: ‘Ero in procinto di tornare, quando col 21 ottobre è stato sospeso il servizio dei treni viaggiatori sulle linee Falconara Orte e Firenze Orte, il che mi ha impedito di raggiungere Roma all”epoca stabilita. Ciononostante non mi sono scoraggiato, ho ottenuto dal comando germanico già dal 30 ottobre il permesso di tornare a Roma in automobile; ma dopo aver procurato macchina, autista e carburante, e dopo aver già approntate le valigie, l’autista ieri si è rifiutato di trasportarmi, preoccupato delle recenti incursioni a danno di automobili lungo la via Flaminia presso Civita Castellana. Mi trovo perciò qui relegato, senza abiti invernali, senza libri, e involontariamente inadempiente ai miei doveri’ <136. Il 15, riportando le notizie già date con le precedenti lettere, aggiunse di aver cercato un mezzo di fortuna, di essere “riuscito a ottenere il permesso del comando germanico per rientrare a Roma in automobile; ma dopo acquistata financo la benzina, l’autista si è rifiutato di trasportarmi, per fifa, dati i frequenti mitragliamenti lungo la via Flaminia. Proprio il giorno innanzi a quello fissato con l’autista per la partenza, era accaduto un mitragliamento presso Civita Castellana, e avevano trovato la morte due autisti di Fano” <137. De Ficchy quindi si trovava “relegato, sprovvisto di abiti e scarpe invernali. Famiglie conoscenti ci hanno favorito in prestito un po’ di coperte, perché qui la casa non è attrezzata per una dimora invernale. E si è costretti a vivere senza ricevere lettere, senza leggere giornali che non arrivano, e col solo conforto della radio, fino a quando ce la lasceranno!” <138. Chiese quindi di “tollerare la mia involontaria assenza”, giustificandolo col primo presidente. Il 31 maggio 1944 Messina comunicò che De Ficchy aveva ripreso regolare servizio alla Corte Suprema di Cassazione. Il 24 luglio 1944 De Ficchy inviò al presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione un promemoria nel quale ripercorse la sua carriera: ‘Nel 1927 vinsi il primo concorso bandito dal Ministro Rocco per la nomina a consigliere di Cassazione, venendo graduato al quinto posto fra i nove vincitori. Il Ministro Rocco nel 1931 promosse al grado terzo i colleghi […] io non fui promosso perché nel giugno 1931 era pervenuta alla presidenza del consiglio una denunzia per antifascismo a carico di tutta la mia famiglia. Oggetto dell’accusa era l’onesta deplorazione fatta da mia moglie dell’invasione dei circoli cattolici da parte di giovinastri delle organizzazioni giovanili del tempo. Il Ministro Rocco, nel chiedermi giustificazioni, mi invitò anche a dimettermi da membro supplente del consiglio superiore; ma, in seguito alle mie giustificazioni, revocò tale invito e non adottò alcun provvedimento contro di me. Il successore Ministro De Francisci, che aveva alta stima di me, seguì nelle promozioni al grado terzo il criterio dell”anzianità; vi derogò solo per il collega Messina Salvatore, segnalatogli dal Ministro degli Esteri; ed essendo poi giunto il mio turno di anzianità, mi assicurò che nell’aprile 1935 mi avrebbe destinato alla Corte di Cassazione, dopo il collocamento a riposo del presidente Padiglione. Egli aggiunse che non mi concepiva in un ufficio estraneo alla Corte di Cassazione, dove prestavo servizio da un trentennio. Ma purtroppo il De Francisci non era più Ministro quando si rese vacante il posto promessomi. Il Ministro Solmi sistematicamente mi saltò nelle molteplici promozioni al grado terzo fatte dal maggio 1935 al giugno 1938; egli si giustificava col ripetere che io, quale redattore capo della Giurisprudenza Italiana, non avrei accettato una promozione fuori di Roma. Ma ciò non rispondeva a verità, perché io avevo dichiarato di pormi a disposizione del Ministero; e la vera causa era ben altra: l’accusa di antifascismo, la stima e amicizia di Lodovico Mortara, una mia noticina pubblicata nella Giurisprudenza Italiana, che non approvava qualche disposizione del r. decreto 7 agosto 1936 n. 1531 sul procedimento per ingiunzione. Finalmente, in seguito alla morte del collega Lavagna, presidente della terza sezione penale, sezione da me costituita e di fatto presieduta sin dalla sua creazione, nel novembre 1938 il Ministro Solmi si decise a promuovermi, dopo aver promosso prima di me una trentina di colleghi meno anziani. Oggi, dovrei seguire nella graduatoria i colleghi Pilotti, Aloisi e Messina, se a suo tempo fossi stato promosso, e mi troverei compreso nel ruolo organico fin dal 1932, percependo da tale epoca l’assegno di rappresentanza, che non viene corrisposto ai presidenti fuori ruolo. Confido che vostra Eccellenza vorrà, quanto meno, accordarmi il passaggio nel ruolo organico non appena si verificherà la prima vacanza. Ciò significherà per me il riconoscimento da parte di V.E. dei torti da me subiti. E vorrà inoltre compiacersi di darmi la titolarità di qualche sezione, alla quale sarei già stato chiamato se fossi stato promosso al mio turno‘ <139. In un altro promemoria dello stesso giorno, relativo all’organico e alla mole di lavoro svolto alla Corte di Cassazione, sottopose all’attenzione del Ministero una sua idea, ossia la reintroduzione dell’istituto della “perenzione nei giudizi di Cassazione”, in modo che “buona parte dei ricorsi resterebbero abbandonati. I ricorsi dovrebbero essere portati a discussione solo su domanda delle parti; se tale domanda non è presentata nel termine, il ricorso s’intende abbandonato, e se ne pronuncia declaratoria in camera di consiglio”. Secondo De Ficchy questa riforma “renderebbe possibile non solo l’ulteriore riduzione del numero dei presidenti, ma anche una notevole riduzione del numero dei consiglieri, con vantaggio del bilancio dello stato e con elevazione del prestigio dell’Alto Consesso” <140.
Il 3 agosto 1944 De Ficchy venne nominato presidente della Commissione di primo grado per l”epurazione del personale del Ministero dell’Interno e il 16 novembre dello stesso anno venne richiamato in ruolo quale presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione in Roma (seconda Sezione penale). In merito al lavoro svolto durante l’incarico alla seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, il primo presidente Casati scrisse il 31 luglio 1945: ‘Ho letta la relazione che ella ha creduto farmi tenere, per darmi esatto conto del lavoro compiuto dalla seconda sezione, da lei con tanto scrupolo e diligenza presieduta, a cominciare dal 6 novembre 1944, da quando cioè essa riprese a funzionare dopo il draconiano provvedimento dello pseudo governo repubblicano fascista, fino al 27 luglio u.s. Il numero delle udienze tenute, i numerosi ricorsi discussi in pubblica udienza o trattati in camera di consiglio, il maggiore aggravio derivante dai ricorsi assegnati alla sezione stessa in dipendenza dell’applicazione dell’art. 6 della legge 27 luglio 1944 n. 159 per le sanzioni contro il fascismo, e infine la gravità e complessità dei ricorsi stessi rilevano all’evidenza lo sforzo compiuto, specie se si considera la deficienza numerica dei magistrati presenti alla sezione. Me ne compiaccio con lei assai vivamente e mi riservo riferirne, a momento opportuno, al Ministro di Grazia e Giustizia. La mia parola di lode va anche a tutti i magistrati, al dirigente e agli altri funzionari di cancelleria della sezione, che hanno dimostrato spirito di comprensione e abnegazione al dovere da consentire un notevole e cospicuo rendimento‘ <141.
Il 28 marzo 1947 De Ficchy rinnovò il suo giuramento, in ottemperanza al disposto dell’art. 1 della Legge 23 dicembre 1946 n. 478 sulla Modificazione delle formule di giuramento <142.
Il 19 gennaio 1950 venne collocato a riposo per raggiunti limiti di età a decorrere dal 23 gennaio 1950, con il grado e il titolo onorifico di primo presidente della Corte Suprema di Cassazione.
[NOTE]
127 Per una ulteriore scheda biografica sul magistrato, cfr. Cardia M., L’epurazione della magistratura alla caduta del fascismo. Il Consiglio di Stato, op. cit., p. 139; Cardia M., L’epurazione del Senato del Regno (1943-1948), op. cit., pp. 126-127.
128 Nel certificato penale di De Ficchy risultò una azione penale estinta, e in un appunto manoscritto relativo alle informazioni prese per l’ammissione al concorso si legge: “Noto che fra questi aspiranti abbondano quelli un po’ maneschi. Per costui se si fa venire copia della sentenza, probabilmente come è successo per altri, non si ricaverà nessun elemento utile; d’altra parte visto che non si è avuto difficoltà per gli altri, si può ammettere anche il Ficchy. A proposito del cognome osservo che in alcuni documenti è detto Ficchi, in altri Ficchy, e si vede anzi che il Ficchi è stato talvolta corretto in Ficchy coll’aggiunta della coda dell’y. Si potrebbe chiedere un altro atto di nascita al procuratore del Re di Catanzaro”. L’ordinanza del 14 settembre 1899 recita “Il pretore del mandamento di Salerno ha emanato la seguente ordinanza nella causa penale contro De Ficchy Vincenzo di Savio di anni 19 di Davoli, studente domiciliato in Napoli – imputato […] per lesioni lievi a danno di Luigi e Gelsomino Favalaro; e ingiurie a danno di Loffredo Teresa […]. Dichiara non farsi luogo a procedimento per essere estinta l’azione penale contro i suddetti imputati, condannando la parte lesa nelle spese incorse in questo procedimento da liquidarsi con apposita parcella”. Cfr. MG, Fasc. pers., f. 69655.
129 MG, Fasc. pers., f. 69655.
133 Nel suo fascicolo personale è conservato l’intero scambio epistolare sulla vicenda, iniziato il 22 giugno 1931 con un promemoria nel quale si legge che “Il comm. Deficchi consigliere della Corte di Cassazione che fece, per la protezione di S.E. Mortara, una rapidissima carriera, abita con la famiglia in via Giuseppe Ferrari n. 4. I figli del comm. Deficchi sono studenti al ginnasio-liceo “Terenzio Mamiani” e sono conosciuti da tutti gli avanguardisti come degli irriducibili antifascisti. A proposito sempre dell’atteggiamento antifascista della famiglia Deficchi, si riferisce il seguente episodio. Durante la sollevazione studentesca dello scorso mese, per protesta contro le attività politiche degli studenti cattolici, fu invaso l’oratorio limitrofo alla chiesa di San Gioacchino. Tanto la signora Deficchi, quanto i propri figli gridarono sconce frasi contro il regime e contro i fascisti […]”. A seguito di questa lettera il Ministro Rocco, il 1 luglio 1931, chiese al Primo Presidente della Corte di Cassazione del Regno di “invitare il comm. De Ficchy a meglio sorvegliare la condotta dei suoi familiari e a infrenarli, e possibilmente a raddrizzarli, nei loro atteggiamenti e nella loro mentalità”, visto che essi “non si limitano a coltivare pertinacemente sentimenti ostili al regime, ma ne danno pubblica e aperta manifestazione”. Il 15 luglio 1931 De Ficchy inviò un suo esposto per rispondere agli addebiti mossi contro la sua famiglia, descrivendo la moglie come “raro esempio di virtù domestiche, del tutto aliena sia dal partecipare a manifestazioni politiche, sia dal fare discorsi di natura politica, che esorbitano dalla di lei mentalità di vera ed esclusiva madre di famiglia. Tutta la di lei attività materiale e spirituale si è esclusivamente dedicata all’educazione dei propri figlioli, ed è sempre stata di lei cura costante di ispirare a essi non solo i puri sentimenti cristiani, ma altresì di informare le coscienze all‟amore verso la Patria”. L’esposto continuava parlando dei figli che “educati con tanta saggezza, dedicano la loro attività esclusivamente agli studi e, nelle ore di riposo, agli esercizi fisici, assiduamente frequentando anche nelle ore serali, i corsi di avanguardista […] amano soltanto, dopo la patria e la famiglia, il duce reggitore sapiente delle sorti del nostro paese”. Continuava scrivendo “Riassumendo, né mia moglie né i miei figli hanno mai fatto discorsi politici: mia moglie nei 21 anni di vita coniugale ha fatto soltanto l’allevatrice e l’educatrice di ben 8 figli, due dei quali ho perduto dopo lunghe, strazianti infermità”. Spiegò “la vile calunnia lanciata contro i miei congiunti” come “frutto esclusivo dell’umana malvagità” e dovuta a un episodio banale, ossia dal fatto che la moglie parlò a una vicina di casa di un tumulto a cui assistette vicino alla sua chiesa. Questo episodio venne ingigantito e riportato sino a farlo diventare ciò che venne riportato al Ministro. De Ficchy concluse la perorazione della sua causa scrivendo che si sarebbe assoggettato a rassegnare le dimissioni dal Consiglio Superiore della Magistratura se il Ministro lo “crederà opportuno nel suo insindacabile giudizio”. Cfr. MG, Fasc. pers., f. 69655.
134 Tali difficoltà vennero da De Ficchy sottolineate anche in un’altra lettera, questa destinata a Ezio Campana cancelliere capo della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 1944, nella quale, parlando del rifiuto del cancelliere a pagare gli assegni per il mese di dicembre per via del suo mancato ritorno alla scadenza delle ferie, scrisse che “fin dal 20 ottobre (data in cui mi trovavo legalmente in ferie) per disposizione del comando germanico fu sospeso il servizio ferroviario Rimini Roma, sospensione che tuttora perdura; pertanto la mia mancata restituzione in sede è dipesa da circostanza indipendente dalla mia volontà. Mi preme inoltre ricordarle che per disposizione data dal R. governo a favore dei funzionari che si trovavano fuori della loro sede nel momento della occupazione germanica, costoro hanno l’obbligo di restituirsi in sede entro un mese dal dì in cui la occupazione straniera verrà a cessare e saranno ripristinate le comunicazioni. Tengo infine a informarla che dell’impedimento a restituirmi in sede diedi subito comunicazione agli eccellentissimi primo presidente e presidente titolare della prima sezione”. Cfr. ACS, Csc, Fasc. pers., b. 6, f. 288.
135 Non presente nei fascicoli personali.
136 ACS, Csc, Fasc. pers., b. 6, f. 288.
137 ACS, Csc, Fasc. pers., b. 6, f. 288.
138 ACS, Csc, Fasc. pers., b. 6, f. 288.
139 MG, Fasc. pers., f. 69655.
140 MG, Fasc. pers., f. 69655.
141 ACS, Csc, Fasc. pers., b. 6, f. 288.
142 L’art. 2 sulla formula del giuramento recita: “La formula di giuramento per gli appartenenti alle Forze armate dello Stato è stabilita come segue: ‘Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana e al suo Capo, di osservare lealmente le leggi e di adempiere tutti i doveri del mio stato al solo scopo del bene della Patria’ ”.
Francesca CuccuOp. cit.

Nella riunione del Consiglio dei Ministri del 18 settembre 1944 venne approvato lo schema di decreto con il quale il consigliere Tito Livio Mesina, già nominato consigliere di Stato e trasferitosi al Nord per effetto della circolare n. 25393/2547 inviata a Santi Romano dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Barracu, veniva nominato Presidente di Sezione a decorrere dal 1° ottobre successivo <187. Santi Romano aveva ricevuto la circolare 14 ottobre 1943 n. 25393/2547 da parte del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Barracu, «del quale si dice che ricevesse a colloquio gli ospiti – fra cui il Romano – con un mitra spianato sulla scrivania» <188, e l’aveva inoltrata ai consiglieri, quasi tale e quale due giorni dopo, con la sua circolare n. 820. Questa lettera imponeva l’obbligo di trasferirsi presso la sede di Cremona. Di fatto Santi Romano sarebbe stato il primo, seguito poi da moltissimi altri colleghi, ad esibire vari certificati medici per evitare di dover lasciare Roma. Così fecero moltissimi altri e fu anche per questo motivo che all’atto pratico al Nord si trasferirono solamente sette persone. <189
[…] Dai verbali delle sedute svolte durante tutto il periodo della Costituente risulta come fu possibile, in un progetto di Costituzione che voleva avere il sapore della novità, lasciandosi alle spalle tutti gli istituti legati al periodo precedente visto come un periodo infausto da un lato per un ventennio di governo fascista, e dall’altro per aver il popolo italiano scelto per la repubblica e non per la monarchia. Spesso Togliatti nei suoi interventi ricorda come non solo nella nuova Costituzione che si andava profilando si volessero riconoscere libertà e diritti, ma anche dare all’Italia istituzioni nuove, che non sapessero si monarchico o di fascista. Spesso Togliatti ha detto che la costituzione doveva essere non afascista ma antifascista <202.
Alla fine del 1945 il Consiglio di Stato aveva visto la nomina di un nuovo presidente, dopo la lunga presidenza di Santi Romano. Il presidente del Consiglio dei Ministri, Alcide De Gasperi, aveva nominato una importante personalità, Bartolomeo, conosciuto come Meuccio, Ruini <203. La notorietà e il rispetto per l’Istituzione non sembravano scalfiti, tanto si rinviene anche in occasione dell’insediamento ufficiale di Ruini nell’ufficio di presidenza, il 10 gennaio 1946. La nomina del presidente del Consiglio di Stato spettava al presidente del Consiglio dei Ministri, competenza tolta al Ministero dell’Interno durante il fascismo, e tale fu mantenuta anche durante il regime repubblicano.
[…] L’epurazione ebbe un antefatto e cioè la breve ma significativa esperienza epuratrice avviata autonomamente dagli alleati attraverso l’istituzione di una «piccola commissione», che agì per qualche tempo nel territorio regionale di Roma. Poi si ebbe anche un lungo epilogo, tra cui le numerose pronunce del Consiglio di Stato, anche dopo il 1946: di entrambi non è possibile qui occuparsi, e converrà dunque rinviare alla letteratura sul tema <207.
A parte quattro consiglieri nominati nel 1944, troviamo ben 12 consiglieri nominati successivamente al 1 gennaio 1945, cioè quasi il 21%, di cui ben 4 oltre i sessant’anni208. La composizione del Consiglio di Stato al 31 dicembre 1945, che quindi assistette alla cerimonia di insediamento di Ruini, appare molto meridionale. Infatti, sebbene il Lazio abbia dato i natali a 11 consiglieri, ben 34, cioè il 59%, provengono da regioni del Sud o dalle Isole. Campania, Calabria, Sicilia e Puglia sono le regioni più rappresentate e risulta altresì, come d’altronde in ogni periodo della storia del Consiglio di Stato, elevata la percentuale di coloro che sono nati in piccoli centri, con meno di 50.000 abitanti, ben 28 persone, cioè il 48%.
[NOTE]
187 G. D’Agostini, «Mesina Tito Livio», in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia, cit. pp. 1512-1516.
188 F. Cocozza, Santi Romano presidente del Consiglio di Stato, cit., pp. 1231-1252.
189 Negli archivi del Consiglio di Stato risultano notevoli certificati medici con le malattie più disparate, spediti dai consiglieri agli uffici della presidenza del Consiglio di Stato, al fine di evitare di doversi stabilire a Cremona. Tali certificati medici compaiono in faldoni “Varie” della presidenza contenuti negli archivi in via dei Monti della Farnesina e in piazza Capo di Ferro. Si vedano anche i relativi fascicoli personali citati da M.R. Cardia, L’epurazione della magistratura, cit.
202 Archivio Storico della Camera dei Deputati, Assemblea plenaria, verbale del 11 marzo 1947, seduta pomeridiana, pp. 1992-1994, consultabile anche sul sito http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed058/sed058nc_1981.pdf.
203 Secondo M.S. Righettini, in Il giudice amministratore, cit., p. 84-85, la nomina di Ruini a presidente del Consiglio di Stato fu fatta sotto il Governo Badoglio nel 1943 ma questo non può essere dato che Ruini fu riammesso in servizio solamente il 1 marzo 1945. La nomina di Meuccio Ruini decorrerà dal 22 dicembre 1945, anche se la cerimonia ufficiale si svolse il mese successivo, appena dopo le vacanze natalizie. Archivio Consiglio di Stato, fascicoli personali, n. 719.
207 Cfr. C. Pavone, «La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini», in AA.VV., Italia 1945-48. Le origini della Repubblica, Einaudi, Torino 1974; M. Flores, «L’epurazione», in L’Italia dalla Liberazione alla Repubblica, Atti del convegno di Firenze, 26-28 marzo 1976, Feltrinelli, Milano s.d., pp. 413 e segg.; R. Romanelli, «Apparati statali, ceti burocratici e modo di governo», in AA.VV., L’Italia contemporanea. 1945-1975, Einaudi, Torino 1976, pp. 145 e segg..; C. Pavone, «Ancora sulla “continuità dello Stato”», in Scritti storici in memoria di Enzo Piscitelli, a cura di R. Paci, Editrice Antenore, Padova 1982, pp. 537 e segg.; Idem, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995; R. P. Domenico, Processo ai fascisti, Rizzoli, Milano, 1996; H. Woller, I conti con il fascismo, L’epurazione in Italia 1943-1948, II Mulino, Bologna 1997; G. Melis, «Percorsi di continuità: l’epurazione nei ministeri», in La Resistenza tra storia e memoria. Atti del Convegno, a cura di N. Gallerano, Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, Mursia, Milano 1999, pp. 298 e segg.; Idem, «La continuità dell’amministrazione», in La fondazione della Repubblica 1946-1996, a cura di P. Iuso, A. Pepe, numero speciale di «Trimestre», Teramo 1999, pp. 181 e segg.; R. Canosa, Storia dell’epurazione in Italia. Le sanzioni contro il fascismo 1943-1948, Baldini&Castoldi, Milano 1999.
208 Modestino Petrozziello aveva 67 anni.
Corrado Cavallo, Il Consiglio di Stato durante la fase Costituente, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, 2012

Sono quattro densi capitoli quelli in cui, come scrive Piero Aimo nella Prefazione, Mariarosa Cardia studia gli ultimi cinque anni del Senato regio e il difficile passaggio verso il nuovo Senato della Repubblica. Il libro costituisce un prezioso contributo all’approfondimento delle vicende relative alla fascistizzazione della Camera alta e soprattutto alla sua defascistizzazione, laddove la minuziosa consultazione del materiale archivistico (dell’Archivio centrale dello Stato e soprattutto dell’Archivio storico del Senato della Repubblica) viene accompagnata a un’ampia interpretazione critica del sistema istituzionale italiano in uno dei momenti più importanti e delicati della sua storia: la transizione dal regime fascista alla Repubblica. Il volume ripercorre le tappe principali di quella che fu l’intricata materia dello smantellamento del fascismo (p. 36) e della punizione dei suoi delitti, prendendo in esame la questione dell’epurazione, intesa sia come sanzione dei profitti illeciti e dei delitti commessi durante il Ventennio, sia come allontanamento di quanti, funzionari e dipendenti pubblici, erano stati compromessi con il fascismo. Partendo dallo studio del processo di occupazione fascista dell’assemblea vitalizia, da un’utilissima analisi dei lineamenti morfologici dell’élite senatoriale, l’autrice prosegue le analisi sin qui condotte dalla storiografia (si pensi ai contributi di D. Musiedlak e di E. Gentile), addentrandosi con molta cura nel periodo successivo al 25 luglio 1943. In particolare vengono prese in considerazione le vicende relative all’istituzione e al funzionamento dei due organi speciali, l’Alto Commissariato per l’epurazione e l’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, previsti dalla legislazione sanzionatoria lungo il breve ma intenso periodo che va dal 1944 al 1948. Cardia segue nel dettaglio le varie fasi dell’attività epurativa, intrecciando lo studio dei provvedimenti per le sanzioni contro il fascismo con la rielaborazione delle acquisizioni storiografiche che più hanno contribuito a mettere in luce gli elementi di continuità dello Stato tra fascismo e Repubblica (specialmente gli studi di C. Pavone, M. Flores e G. Melis). In questo senso il volume tiene insieme le specifiche vicende della nascita e del rapido fallimento dell’azione epurativa (dovuta agli ostacoli posti dalla magistratura ordinaria nell’applicazione della legge contro i delitti fascisti; alle difficoltà degli organi giurisdizionali speciali sempre più ridotti nelle loro funzioni costitutive, ai rinvii governativi, alle strategie difensive adottate dai senatori dinnanzi alle accuse dell’Alto Commissariato) con quelle più complessive della “transizione” democratica, in una lettura appassionante e sempre filologicamente ineccepibile. Utilissima, a questo proposito, l’ampia appendice di grafici, elenchi e schede prosopografiche (ben 432) dei senatori in carica nel momento in cui iniziò il deferimento da parte dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo.
Chiara Giorgi, L’epurazione del Senato del Regno (1943-1948), con prefazione di Pietro Aimo, Mariarosa Cardia, Milano, Giuffrè, pp. 329, SISSCo

A dispetto di una corposa e qualificata letteratura di genere che ha messo in luce storia, evoluzione e deficienze delle prassi epurative e i curriculum di alcuni imputati celebri, ogniqualvolta si vanno a sfiorare queste tematiche ci si trova invariabilmente di fronte ad una trama sintattica che continua a persistere sui toni dell’assenza, per colorare di sé un inesauribile «dopoguerra storiografico». Un tempo sospeso che ha nutrito l’arma della retorica e dentro il quale sono state affinate le interpretazioni intorno a «process[i] senza sentenza» che hanno consentito il travaso di fascismo nella nascente Repubblica e alla divaricazione tra le due anime dell’epurazione, in un dibattito centrato fin dalla prima configurazione normativa sulla qualità e i limiti di questa giustizia e sulla raffigurazione del “giusto” reo. Qui, la forbice delle possibilità evidenziava due diversi afflati emotivi con gli antifascisti più radicali orientati verso un processo a capite ad calcem – da capo a fondo -, senza perdono, che smontasse il regime, decapitandone dapprincipio emblemi, grotteschi contrassegni e numi tutelari per, poi, rigenerare lo stato di diritto guastato dal fascismo.
All’opposto, chi, fin quasi dal debutto di questa legislazione, palesava preoccupazioni per una magistratura potenzialmente cieca di fronte ai propri tantum e quod e per le possibili degenerazioni nell’addebito alle persone. Nel breve volgere degli anni tra l’8 settembre 1943 e la chiusura dei processi di epurazione in Consiglio di Stato nel 1951, sono state molteplici le motivazioni dei fautori delle tesi conciliatorie divenute dominanti dopo l‟approvazione della legge Nenni nel novembre 1945. Tra le principali: la necessità di frenare lo spirito di vendetta dei vincitori e di non incrinare la continuità dei processi e dei servizi primari dell’organizzazione statuale, l’inattualità di procedure di completa rimozione del personale iscritto al PNF e la convenienza di mantenere l’agibilità politica dei simpatizzanti monarchici e della destra moderata per arginare il più forte partito comunista dell’Europa occidentale. Sul fronte opposto, uomini come Acerbo chiosavano che le soluzioni di liquidazione del fascismo non potevano imporsi quando si pretendeva di cogliere con questo lessico l’intera galassia dei comportamenti sociali senza una diretta attinenza a una dottrina politica e alla sua materiale estrinsecazione in una forma di governo. Acerbo medita attorno a un “fascismo”, termine che tutto copre, con una tangibile perdita di significato: un mero atteggiamento dello spirito senza una reale connessione con l’arte di esercizio della politica.
Daniela Giaconi, L’epurazione dei docenti fascisti. Il caso degli economisti, HAL open science, 2017

Per quanto riguarda l’azione degli angloamericani bisogna fare alcune considerazioni.
Inizialmente, l’epurazione fu per loro solamente una necessità militare, finalizzata a rimuovere dalla società e dalle amministrazioni italiane quegli individui che, avendo riposto la loro fedeltà nel regime fascista, potevano causare difficoltà e problemi nei territori occupati. Solamente dopo l’armistizio, e in particolare dopo la Conferenza di Mosca dell’ottobre 1943, essi cominciarono a perseguire con dedizione l’obiettivo di ricostituire le istituzioni italiane su base democratica: l’epurazione diveniva quindi un obiettivo fondamentale, trattandosi del primo passo da compiere in quella direzione.
C’è da aggiungere che dopo i primi tentativi di gestione diretta, i risultati migliori siano stati raggiunti coinvolgendo nel processo anche il personale italiano, in particolare istituendo i comitati d’epurazione. Questi, infatti, avevano una maggiore conoscenza e competenza a giudicare quali docenti fossero meritevoli di essere epurati per la loro attività politica fascista, per la loro intemperanza verso i colleghi, per avere piegato la scienza mettendola al servizio del regime o, più semplicemente, per aver raggiunto indegnamente l’insegnamento per via degli appoggi politici. L’azione diretta di Gayre in Sicilia, tuttavia, può essere giudicata positivamente, nonostante l’Isola probabilmente non fosse il banco di prova ideale per l’epurazione <1 : l’allontanamento dei docenti dalle università non fu affatto indiscriminato, e l’intervento dell’Educational Advisor appare abbastanza efficace e moderato, pur con qualche neo. Innanzitutto, la scelta di ricoprire le cattedre vacanti con la nomina diretta di nuovi professori universitari si rivelò in qualche modo poco opportuna. Se da un lato, infatti, molti dei professori nominati erano seri studiosi e possedevano la maturità scientifica per ambire all’ordinariato, dall’altro riuscirono a ottenere il posto anche docenti di dubbia competenza. Inoltre, la sola azione di nominare d’autorità ben 38 docenti (che rappresentano il 25% dei circa 150 professori di ruolo attivi all’epoca in Sicilia) appare un gesto senza precedenti all’interno dell’università italiana, nella quale si giungeva al posto di ruolo dopo un lungo apprendistato fatto di incarichi annuali, libere docenze e pratica come aiuti o assistenti.
Soprattutto poi, la nomina veniva raramente concessa dal potere politico (56 professori in tutta Italia avevano ricevuto una nomina per chiara fama dal 1922 al 1943, meno di tre all’anno), e la procedura ordinaria prevedeva il bando di un concorso a cattedra con una valutazione effettuata da commissioni giudicatrici composte da docenti della disciplina bandita. L’eccezionalità e l’ingente numero di queste nomine, unita alla successiva incapacità del governo italiano di risolvere adeguatamente la questione, hanno creato un caso, ricostruito in una interessante monografia da Enza Pelleriti <2, più volte citata nelle pagine precedenti.
[…] Anche nelle università del Nord si riscontrano alcuni errori e una certa disparità nell’applicazione delle procedure. Innanzitutto, a Genova, per quanto la documentazione disponibile sia scarsa, si intuisce che, contrariamente alla prassi consolidata, il comitato interno d’epurazione si sia limitato unicamente a segnalare i docenti da epurare direttamente alla Commissione ministeriale italiana (da cui il nome “Comitato di segnalazione”), mentre non sembra che il Regional Commissioner alleato abbia disposto alcuna sospensione dall’incarico.
Anche nelle loro relazioni con i CLN gli ufficiali civili mostrarono comportamenti contraddittori. Se infatti il capitano Noe, giunto a Torino, trovò un Comitato d’epurazione universitario già formato dal locale CLN-Scuola che aveva proposto l’epurazione di cinque professori ordinari, e ne convalidò la composizione approvandone il lavoro svolto, la stessa cosa non accadde a Padova, dove il capitano Gregory fece sciogliere il comitato istituito senza il suo benestare, e dichiarò nullo il lavoro svolto fino a quel momento, che aveva portato alla segnalazione di dieci professori di ruolo. O ancora, il colonnello Bowman e il capitano Tilroe avevano rifiutato la proposta del CLN emiliano di nominare prorettore dell’Università di Ferrara il professor Ignazio Brunelli, poiché egli non era «professore di ruolo» <3 nella medesima università, mentre, al contrario, Arthur Vesselo validò la nomina a prorettore della Statale di Milano di Mario Rotondi, che si trovava nella stessa situazione, facendo parte del corpo docente della Cattolica.
In ogni caso, le operazioni di epurazione e riapertura delle università andarono lisce in tutti gli atenei del Nord, a parte all’Università Statale di Milano e all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Alla Cattolica emersero i contrasti sotterranei che, fin dai tempi della Sicilia, la Education Subcommission aveva avuto con la Chiesa. Quest’ultima, infatti, riteneva suo compito quello di occuparsi delle istituzioni educative italiane e aveva tentato in ogni modo di rivendicare un ruolo da protagonista nella loro riorganizzazione.
Spesso personalità ecclesiastiche avevano cercato di porre il veto (a volte anche con successo) su alcune nomine disposte dagli Alleati, e nell’estate 1944 il Segretariato di Stato Vaticano era giunto a scrivere una lettera di lamentele al governo di Washington proprio perché le iniziative clericali nel campo dell’istruzione venivano costantemente frustrate dall’ACC. Data la situazione tesa, era prevedibile che nell’epurazione e nel riordinamento dell’Università Cattolica, nonostante le cautele prese dagli Alleati, tutto il risentimento maturato fino a quel momento venisse esternato; e anche se gli ufficiali della Education Subcommission erano venuti incontro alle esigenze clericali, preparando per la Cattolica una procedura di epurazione ad hoc concordata con la Santa Sede, che (dopo alcuni incidenti spiacevoli) si rivelò favorevole alle istanze vaticane risultando particolarmente leggera e permettendo il mantenimento in carica del rettore Agostino Gemelli, esponenti della Curia ebbero comunque a lamentarsi della prepotenza degli Alleati.
Per quanto riguarda la Statale, i problemi nacquero dalla decisione del Regional Education Officer per la Lombardia Arthur Vesselo, di confermare le misure prese nei giorni immediatamente successivi la Liberazione dal CLN. Questo aveva infatti posto a capo dell’ateneo meneghino il docente della Cattolica Mario Rotondi, che ambiva a venire confermato al rettorato dal voto dei colleghi. Il rifiuto dei professori milanesi di accoglierlo nel corpo docente per permettergli di partecipare all’elezione, unito a una epurazione non del tutto soddisfacente (Vesselo riteneva che il Comitato avesse sovraepurato in alcune direzioni, e sottoepurato in altre), portò alla rielezione del rettore repubblichino Giuseppe Menotti De Francesco. Gli Alleati e il CLN brigarono al fine di poter ottenere una nuova elezione, non ritenendo accettabile mantenere in carica un personaggio che aveva ricevuto la fiducia delle autorità fasciste repubblicane. Fu così
eletto successivamente il radiologo Felice Perussia, di sicura fede antifascista. Tuttavia, appare emblematico che, alla scadenza del mandato di quest’ultimo, risultò nuovamente eletto De Francesco, che mantenne il rettorato nei 12 anni successivi, più volte riconfermato alla guida dell’università dal voto dei colleghi. Certamente, questo aspetto è indice del ripiegamento avvenuto dal 1948 di cui si è parlato nel capitolo precedente, ma rivela anche come la prima scelta dei docenti milanesi fosse proprio De Francesco, e che essi (a dispetto della pretesa estensione della democrazia in Italia) erano stati costretti dagli Alleati a votare un altro candidato; solo quando terminò l’occupazione militare i
docenti della Statale poterono tornare a scegliere il rettore che preferivano.
Si può fare qualche considerazione conclusiva anche sul processo di epurazione intrapreso dagli italiani.
[…] Certamente l’epurazione di marca italiana appare molto meno severa di quella alleata: i funzionari epurati dagli Alleati dovevano essere giudicati nuovamente dai tribunali italiani e, per quanto venissero aperte numerose nuove istruttorie, i loro giudizi appaiono più moderati e garantisti di quelli alleati. Ciò accadde poiché per assicurare le necessarie tutele giuridiche proprie di uno Stato di diritto, si cercò di risolvere il problema politico dell’epurazione con gli strumenti della giurisprudenza. Questi, al contrario dei meno sofisticati metodi alleati, che prevedevano un giudizio “per pari” fornito dai comitati d’epurazione sui quali si basavano gli ordini di licenziamento dei governatori militari, garantivano all’epurando la possibilità di produrre adeguatamente memoriali difensivi e testimoni, e consentivano un vaglio approfondito di ciascuna situazione, andando inoltre a stabilire delle categorie precise in base alle quali valutare chi fosse da epurare.
Uno strumento di epurazione più propriamente “politico”, introdotto con il decreto dell’ottobre 1944, fu il potere concesso al Consiglio dei Ministri di collocare a riposo «nell’interesse del servizio» quei funzionari di alto grado particolarmente compromessi senza alcun dibattimento. I casi di questi dipendenti pubblici, segnalati dall’Alto commissariato o dagli stessi ministri, venivano discussi dai membri del governo, i quali decidevano chi meritasse il pensionamento anticipato: costoro venivano quindi collocati in quiescenza con decreto del Presidente del Consiglio, e tale decisione sarebbe stata irrevocabile (fino a quando non vennero promulgate leggi che permisero di produrre opposizione o ricorso contro tali atti).
L’introduzione della «legge Nenni» e la successiva caduta del governo Parri appaiono emblematiche del mutamento dell’orizzonte politico, entro il quale si stava preparando il terreno per il perdono e per la pacificazione.
Il mutamento in senso sempre più garantista delle leggi e la contemporanea diminuzione del rigore dell’epurazione provocò, inoltre, sensibili differenze nel trattamento tra i pubblici dipendenti delle regioni del Centro-Sud e quelli delle regioni del Nord: questi ultimi, infatti, essendo giudicati dalla fine del 1945, poterono godere di leggi più favorevoli che permisero alla maggior parte di essi di superare indenni l’epurazione.
Ad ogni modo, come emerge da questa ricerca, limitatamente all’ambito dei professori universitari, parlare di «epurazione mancata» è riduttivo, anzi, errato. L’epurazione ci fu, eccome. Ben 177 professori universitari vennero allontanati dalle loro cattedre dagli Alleati e, dopo il benevolo riesame delle loro posizioni effettuato dagli organismi italiani, il loro numero si ridusse a 50. Certo, un numero esiguo a fronte dei 1469 professori in ruolo nel 1943-45, valutando anche il grado di adesione al fascismo di molti che erano scampati all’epurazione, ma in ogni caso 50 individui avevano perso il loro posto nell’università a causa delle sanzioni, e 4 di essi erano stati addirittura incarcerati (per non menzionare quelli che invece erano fuggiti all’estero o che ancora si trovavano in clandestinità). Non si può quindi affermare che l’epurazione non ci sia stata. Essa ci fu: sicuramente dopo essere passata in mano italiana risultò molto più moderata rispetto ai provvedimenti alleati, non venne condotta equamente nei confronti di tutti i docenti (quelli del Nord poterono beneficiare di agevolazioni non concesse a quelli del Sud), e probabilmente non andò a colpire tutti quelli che lo avrebbero meritato, ma ci fu. Non fu possibile mantenere i canoni di intransigenza impostati dagli Alleati sia per la tendenza all’indulgenza delle Commissioni italiane, sia perché utilizzando gli strumenti della giurisprudenza si impedì lo scaturire di provvedimenti indiscriminati. Questi, comunque, erano auspicati da una parte dei promotori dell’epurazione, come ad esempio l’Alto commissario aggiunto Mauro Scoccimarro che, nell’agosto 1944, aveva formulato la proposta di pensionare, senza alcuna eccezione, tutti gli alti gradi della pubblica amministrazione <4. Ma una tale proposta, oltre a suscitare la viva opposizione di gran parte degli attori politici, se applicata, avrebbe gettato nel caos l’intero apparato statale italiano, e per di più, in un ambito chiuso ed estremamente specialistico come quello universitario, avrebbe significato un eccessivo impoverimento didattico e scientifico.
Ciò nonostante, tra il 1945 e il 1948 sembrava che le sentenze delle Commissioni ministeriali, dell’Alta corte di giustizia e delle corti d’assise straordinarie avrebbero plasmato il futuro della società italiana. Chi era stato giudicato incompatibile con la permanenza in servizio non aveva più possibilità di tornare alla vecchia occupazione, e chi aveva ricevuto condanne detentive doveva rassegnarsi a scontarle: l’epurazione, per quanto ritenuta troppo moderata da molti dei suoi fautori, era presente e operante nelle vite di chi ne era stato coinvolto.
Se l’intero processo andò poi a fallire non fu a causa di un germe insito nella legislazione o nei tribunali dell’epurazione, ma per la precisa volontà politica dei governi guidati da Alcide De Gasperi tra il 1946 al 1949 di mettere fine all’esperienza e di annullarne gli effetti. Infatti, a partire dalla legge con la quale si sopprimeva l’Alto commissariato (D.L.L. 22/1946), si succedettero interventi legislativi volti al disfacimento di quanto i decreti sull’epurazione avevano prodotto <5. È evidente la volontà politica, in particolare dei governi centristi, di lasciarsi alle spalle quel periodo critico e di avviare un’epoca di pacificazione dopo la tragica guerra civile di cui ancora perduravano alcuni strascichi.
Anche il mutamento del quadro internazionale, con la sconfitta definitiva e totale dell’Asse e la contrapposizione sempre più dura con il blocco sovietico, che era ora identificato come il nuovo nemico delle democrazie, aveva fatto passare in secondo piano le colpe degli ex fascisti, che si cercava di assimilare all’interno dei nuovi partiti politici <6.
In ogni caso questo periodo di transizione ci mostra una università sostanzialmente unita contro le ingerenze esterne, di qualunque marca. La fascistizzazione che sarebbe dovuta avvenire dopo vent’anni di regime, si rivelò una operazione superficiale che aveva coinvolto sinceramente solo pochi docenti, mentre la stragrande maggioranza vi si era adeguata opportunisticamente.
[NOTE]
1 Infatti in Sicilia, come in gran parte del territorio meridionale, l’adesione al fascismo non aveva avuto il carattere convinto che ebbe in altre parti d’Italia e, nella generale arretratezza dell’Isola e nella sua particolare struttura sociale, era piuttosto facile confondere agli occhi degli stranieri le antiche fedeltà al regime, o ad altre associazioni, come quella mafiosa.
2 Enza Pelleriti, «Italy in transition». La vicenda degli Allied Military Professors negli Atenei siciliani fra emergenza e defascistizzazione, Acireale, Bonanno, 2013.
3 NARA, RG.331, Education, box 7422, 10900/144/87, lettera del capitano Tilroe al Commissario provinciale del CLN Emilia-Romagna, s.d.
4 Cfr. H. Woller, I conti con il fascismo: l’epurazione in Italia, 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 262.
5 In particolare con la cosiddetta «amnistia Togliatti» (D.P. 4/1946), con le norme per la estinzione e revisione dei giudizi di epurazione (D.L. 48/1948), e infine con la revoca dei provvedimenti (L. 326/1949).
6 Questa tendenza viene confermata anche da uno dei professori epurati, Serafino D’Antona, in un pamphlet da lui pubblicato nel 1951, nel quale si racconta il lungo procedimento di epurazione che lo tenne lontano dalla cattedra dal 1944 al 1949. Egli riporta, infatti, un dialogo avuto nel 1945 con un non meglio precisato professore dell’Università di Siena, che gli consigliava di affiliarsi a uno dei nuovi partiti per vedere risolversi in suo favore il procedimento di epurazione: «Perché non ti procuri l’appoggio di qualche partito? Qui a Roma ho visto tanta gente che se l’è cavata appena presa una tessera» (S. D’Antona, Contributo alla casistica della così detta “epurazione” con qualche considerazione sulla psicopatologia politica nostrana, Bari, P. Di Canosa, 1951, p. 34). Certamente non si può leggere acriticamente ogni parola scritta da questo docente (che non solo non rinnegava il suo passato fascista, ma anzi deprecava i valori su cui si stava fondando lo Stato democratico) per via del profondo coinvolgimento personale che lo portò a vergare quelle pagine, ma la sua è una testimonianza indice della tendenza dei partiti (soprattutto DC e PCI)
all’assorbimento degli ex fascisti.
Mattia Flamigni, «To make complete purification of the University»? La fallita epurazione dei professori universitari tra volontà politica e spirito corporativo (1943-1948), Tesi di Dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2017