Che le montagne fossero propizie alla lotta armata non era cosa nuova

Ma perché la montagna? Scrive il giornalista e scrittore Giorgio Bocca: “La montagna è culla del partigianato”, “casa e madre del ribelle”. <41 Rispetto a qualsiasi altro spazio geografico, le colline e montagne italiane offrivano dei vantaggi indiscutibili e si presentavano come luogo ideale in cui organizzare la guerriglia. Che le montagne fossero propizie alla lotta armata non era cosa nuova, lo avevano già detto i teorici della guerra per bande a partire dall’inizio dell’Ottocento; <42 nel 1862 Giuseppe Mazzini, per esempio, annotava nel suo vademecum per la guerra rivoluzionaria: “La situazione geografica dell’Italia, cinta dall’Alpi, attraversata quanto è lunga dall’Appennino, intersecata d’ogni lato da fiumi, torrenti, laghi, maremme, selve, colli, paludi, è singolarmente favorevole alla guerra per bande”. <43
Da un punto di vista strategico-militare, resistere nelle montagne per il partigiano vuol dire porsi in una posizione “visivamente” privilegiata. La visuale dall’alto permette di tenere sotto controllo un’area molto ampia di territorio; uno sguardo innalzato, il più vicino possibile ai 360 gradi, rende possibile controllare al meglio gli spostamenti dei nemici, può consentire, se intravisto in tempo, di evitare e sfuggire un attacco o comunque di organizzare tatticamente una risposta e utilizzare a proprio vantaggio il (generalmente sempre ridotto) tempo a disposizione per preparare la difesa e non essere sorpresi all’improvviso. La scelta dei luoghi è indispensabile per condurre la lotta nel modo più efficace e sicuro possibile; la buona collocazione geografico spaziale di una base partigiana è essenziale per la lotta armata, perché pone in una condizione di vantaggio e permette di tenere testa ad un nemico che è di gran lunga più numeroso, meglio armato ed equipaggiato. <44 Ma la montagna come spazio votato alla lotta armata non è privilegiata solo per ragioni di comodità geografica strategica. A giocare un peso ugualmente rilevante sta la componente affettiva, quel carattere di famigliarità che lega il singolo a una specifica vallata, a un certo rilievo montuoso e che di solito fa sì che il partigiano scelga di prendere temporaneo domicilio nei rilievi a lui noti, quelli che conosce per esperienza diretta, per averci forse passeggiato con qualche membro della famiglia fin dai tempi dell’infanzia e ai quali è legato da una più o meno intensa parentela emotiva e sentimentale. <45 D’altra parte è difficilmente immaginabile il darsi alla macchia in un territorio che non sia il proprio e verso il quale non si senta un senso forte di affiliazione (e infatti non sono frequenti e particolarmente rilevanti le esperienze di partigiani che vivono la vita della banda in una regione altra rispetto a quella di provenienza).
Prima ancora che per la patria, il partigiano lotta per la difesa e liberazione del suo territorio. Come diceva Primo Levi in una delle due sezioni del ‘Sistema periodico’ dedicate al suo brevissimo passato partigiano: “Il Piemonte era la nostra patria vera, quella in cui ci riconoscevamo; le montagne attorno a Torino […] erano nostre, non sostituibili”. <46
Un’affermazione simile viene da Roberto Battaglia, il quale scrive “La casa del partigiano è la regione in cui combatte”, <47 un uomo che per la liberazione della sua realtà locale aveva combattuto fino agli ultimi giorni del conflitto <48 e che visse sulla propria pelle la transizione tra l’identità di romano, di uomo di città, e la nuova veste di partigiano della montagna. La montagna inoltre serve a chiarire politicamente le ragioni della lotta: lontana dall’intrico degli interessi cittadini, posta al di fuori delle dinamiche famigliari e dell’ambiente sociale, favorisce la precisazione dei motivi politici del ribellismo e la discussione ideologica. Nelle parole del comandante Livio Bianco: “I motivi politici, le ragioni storiche, non hanno bisogno di essere insegnati: essi sono nell’aria, sono nella realtà stessa che circonda il partigiano; bisogna solo farli ‘precipitare’, fissarli in una formula chiara”. <49
L’ambiente isolato della montagna e la pace tipica delle alte quote permettono lo sviluppo e l’avanzamento delle idee che, come diceva Meneghello, si incarnano nello spazio. L’assunto kantiano dei concetti che si manifestano nella realtà è una costante dei ‘Piccoli maestri’ e ritorna, per esempio, quando il protagonista racconta il primo incontro con i comunisti in montagna “Questi qui, pensavo, sono incarnazioni concrete delle Idee che noi cerchiamo di contemplare, sbattendo gli occhi. Eravamo tutti impregnati di questi concetti allora: dicevamo che le idee si calano nelle cose”. <50
Per Meneghello è innegabile che esista un “senso molto vivo dei rapporti tra i luoghi e (diciamo per semplicità) le nostre idee”, <51 un legame particolarmente vivo nelle montagne in quanto qui si è conservata intatta una mentalità e un modo di vivere arcaico e contadino, completamente sincronizzato con i ritmi della terra, delle stagioni e alieno dalle abitudini urbane. Le valli montane più isolate sono rimaste, spesso per tutto il ventennio, impermeabili al controllo statale del regime e comunicano una pace e tranquillità ineguagliabili. Contrapponendosi così alla città, inquinata dal fascismo e succube del nemico, la montagna si propone come spazio privilegiato in cui recuperare la dimensione di vita comunitaria, caratterizzata da quell’eguaglianza e aiuto reciproco censurati dal fascismo.
[NOTE]
41 BOCCA, Storia dell’Italia partigiana, cit., p. 92.
42 La letteratura della lotta per bande comincia a svilupparsi a partire dagli scritti di Carlo Bianco, Saint Jorioz e Giuseppe Mazzini, i cui insegnamenti però non circolarono ampiamente e rimasero patrimonio di pochi. Cfr. Introduzione, in C. ARMATI (a cura di), Il libretto rosso della Resistenza. Teoria e la pratica della guerriglia antifascista attraverso i documenti militari dei partigiani italiani, Red Star Press, 2012.
43 G. MAZZINI, Della Guerra di insurrezione, in ID. Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini, Daelli editore, 1862, p. 119.
44 Il tema della sproporzione numerica e della condizione di svantaggio (sia in termini di apparato bellico che di preparazione tecnica) delle formazioni partigiane rispetto alle forze militari regolari ricorre frequentemente nella narrativa resistenziale. Il racconto di Fenoglio sulla disfatta di Alba è forse il più rappresentativo dell’inadeguatezza dei partigiani a reggere il confronto con i nemici e ad affrontare una guerra di città meglio impostata e preparata. Cfr. B. FENOGLIO, I ventitrè giorni della città di Alba, in L. BUFANO (a cura di), Beppe Fenoglio. Tutti i racconti, cit.
45 Basti ricordare il caso di Meneghello, che riandando con la memoria allo sviluppo delle formazioni partigiane nei Piccoli maestri scrive: “Alti sul crinale si vedono due paesini, che ora appartenevano ai partigiani, Torreselle e Monte Pulgo. Il caso ci aveva portati qui, a due passi dal mio paese, nei territori dove anche da bambino facevo la guerra coi miei compagni”. MENEGHELLO, I piccoli maestri, cit., p. 174.
46 P. LEVI, Potassio, in ID., Il sistema periodico, Einaudi, p. 53.
47 BATTAGLIA, Un uomo, un partigiano, cit., p. 135.
48 Roberto Battaglia lascia Roma, sua città natale, subito dopo l’8 settembre 1943 e si reca in Umbria, nella casa di antica proprietà della sua famiglia “affacciata su una campagna luminosa e raccolta in un ampio cerchio di montagne”. Dopo la liberazione della regione, si farà paracadutare in Garfagnana e organizzerà la divisione partigiana Lunense, di cui sarà anche comandante. Verrà insignito della medaglia al valor militare in virtù delle sue abilità come capo alla guida della formazione e per il suo strenuo coraggio. La narrazione di questi episodi è rintracciabile nel suo libro, uscito già nel settembre del 1945, Un uomo, un partigiano, cit.
49 BIANCO, Guerra partigiana, cit., p. 61.
50 MENEGHELLO, I piccoli maestri, cit., p. 62.
51 ID., Jura. Ricerche sulla natura delle forme scritte, Rizzoli, 2007, p. 169.
Angela Boscolo Berto, L’invenzione della montagna. Significati e valori dello spazio nel fascismo e nella Resistenza, Doctoral dissertation, Harvard University, Graduate School of Arts & Sciences, 2015