Ci tocca oggi assistere a un culto del leader (Führer) che rasenta l’idolatria

Fonte: Wikipedia

Josef Mayr-Nusser, nato il 27 dicembre 1910 a Bolzano, sviluppò una grande attenzione verso i più poveri sin dalla prima giovinezza, diventando membro delle Conferenze di San Vincenzo. Accrebbe la sua formazione leggendo in autonomia grandi autori spirituali e aderì all’Azione Cattolica proprio mentre l’associazione era apertamente osteggiata dal regime fascista. Di fronte alla questione delle “opzioni” dell’Alto Adige, invitò i suoi conterranei a rimanere e aderì al movimento di resistenza intitolato all’eroe Andreas Hofer.

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Si sposò il 26 maggio 1942 con Hildegard, una sua collega di lavoro alle manifatture Eccel, che l’anno dopo gli diede un figlio, Albert. Arruolato a forza nell’esercito nazista, sopportò l’indottrinamento e le esercitazioni militari, finché, la mattina del 4 ottobre 1944, non dichiarò apertamente che non intendeva giurare fedeltà a Hitler, per non sostituire il culto dovuto solo a Dio con quello della personalità del capo politico tedesco. Avrebbe dovuto essere trasferito al campo di Dachau, ma morì lungo il tragitto, il 24 febbraio 1945, a causa della dissenteria e della febbre. La diocesi di Bolzano-Bressanone ha seguito la sua causa dal 24 febbraio 2006 al 19 marzo 2007. L’8 luglio 2016 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Josef Mayr-Nusser veniva ufficialmente dichiarato martire. La sua beatificazione è stata fissata al 18 marzo 2017 nel Duomo di Bolzano. La sua memoria liturgica cade il 3 ottobre, il giorno prima dell’anniversario del giorno in cui lui scelse di obbedire a Cristo, ma non a Hitler. I suoi resti mortali riposano dal 1958 nella chiesa di San Giuseppe a Stella di Renon.

A Pepi piacciono le stelle, si incanta a fissare il cielo e da grande vorrebbe fare l’astronomo: deve accontentarsi invece di un diploma di scuola commerciale e adattarsi a fare il cassiere in un paio di aziende di Bolzano.
Nato nel 1910 in una famiglia di viticoltori, ha lo sport nel sangue, ama il pattinaggio, legge con avidità libri impegnati, coltiva una intensa vita spirituale. Gli piace Tommaso Moro, l’inflessibile cancelliere che quattro secoli, pur di non perdere la sua fede, si oppone al re d’Inghilterra, che lo fa decapitare. Travolgente e vulcanico trascinatore di giovani, ne cura la formazione umana e spirituale, dicendo che «dare testimonianza oggi è la nostra unica arma efficace», perché sull’Europa si stanno addensando i cupi nuvoloni del nazionalsocialismo e «intorno a noi c’è il buio della miscredenza, dell’indifferenza, del disprezzo e forse della persecuzione».
Naturale che ad un giovane così si offra la presidenza della Gioventù Cattolica Sudtirolese, che in quegli anni si sta organizzando, sapendo di metterla in buone mani; altrettanto naturale che, così facendo, si esponga troppo e finisca per essere attenzionato dalle autorità, che si convincono di avere in lui un pericoloso formatore di coscienze e un temutissimo testimone. Non sfuggono, ad esempio, queste sue parole del 1936, quasi premonitrici della sua scelta futura: «Oggi, più che in qualsiasi altro tempo, si esige nell’Azione Cattolica un cattolicesimo vissuto. Oggi, si deve mostrare alle masse che l’unico capo che solo ha diritto ad una completa, illimitata autorità e ad essere il nostro “condottiero” è Cristo».
Si innamora, esattamente come gli altri, quando conosce Hildegard, che lavora nella sua stessa ditta: c’è un’affinità evidente tra i due e una gran condivisione di ideali. Le fa una corte spietata e tenace fino a quando lei, che sta pensando seriamente di farsi suora, gli dice di sì. Convinto che nel matrimonio ci sia spazio sufficiente per testimoniare la propria fede e aspirare alla santità, la sposa il 26 maggio 1942 e l’anno successivo sono rallegrati dalla nascita di Albert.
Fidanzamento e matrimonio non lo distolgono dalla sua multiforme attività sociale e religiosa, anche in conseguenza della quale viene arruolato a forza nelle divisioni dell’esercito nazista e condotto a Konitz per l’addestramento. Insieme all’indottrinamento ed alle esercitazioni militari che dovrebbero fare di lui una perfetta SS, lo preparano anche al giuramento, insegnandogli la formula: «Giuro a Te, Adolf Hitler, Führer e cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a Te e ai superiori designati da Te obbedienza fino alla morte. E che Dio mi assista». Ed è qui che va in crisi la fede di Pepi, al quale sembra blasfemo coinvolgere il Dio in cui crede nel culto del capo innalzato a idolo.
«Ci tocca oggi assistere a un culto del leader (Führer) che rasenta l’idolatria», scriveva nel 1936; «non posso giurare a questo Führer» dice a voce alta la mattina del 4 ottobre 1944, aggiungendo di non sentirsi nazionalsocialista per motivi religiosi. Ai commilitoni, che lo invitano a ritrattare, risponde senza enfasi, ma con profonda convinzione, che «se nessuno avrà mai il coraggio di dire no ad Hitler, il nazionalsocialismo non finirà mai». Una scelta, la sua, maturata nei lunghi colloqui con il fratello don Jakob e con la moglie, alla quale scrive: «Prega per me, affinché nell’ora della prova io possa agire senza esitazioni secondo i dettami di Dio e della mia coscienza (…) tu sei una donna coraggiosa e nemmeno i sacrifici personali che forse ti saranno chiesti potranno indurti a condannare tuo marito perché ha preferito perdere la vita piuttosto che abbandonare la via del dovere».
Subito incarcerato e processato, viene condannato a morte come “disfattista”. Caricato su un treno a inizio febbraio 1945, insieme ad altri 40 obiettori, con destinazione Dachau, il convoglio si ferma ad Erlangen perché la linea ferroviaria è stata bombardata: Pepi sta male, ha la febbre, la dissenteria lo sta uccidendo. Per iniziativa di una delle guardie (un ex seminarista) si affronta un viaggio a piedi di tre ore per farlo visitare da un medico nazista, che lo rimanda indietro: «Niente di grave, può riprendere il viaggio».
Tornato sul treno, muore quella stessa notte. «Per broncopolmonite», dirà il telegramma che oltre un mese dopo, arriverà a casa sua; «Per Cristo e per la fede», dice la Chiesa, che ha ufficialmente sancito quest’affermazione dopo un lungo processo.

Autore: Gianpiero Pettiti in Padri e Madri della Libertà