Ci vuole più coraggio a vivere che a morire

Don Giuseppe Morosini – Fonte: UnoeTre.it cit. infra

Entrò giovane [Don Giuseppe Morosini] nella Congregazione della Missione e fu ordinato sacerdote a San Giovanni in Laterano nel 1937.
Nel 1941 fu cappellano militare del 4º reggimento d’artiglieria di stanza a Laurana, ora in Croazia ma all’epoca in provincia di Fiume. Nel 1943 fu trasferito a Roma. Qui assisteva i ragazzi sfollati dalle zone colpite dal conflitto che erano alloggiati nella scuola elementare Ermenegildo Pistelli, situata nel quartiere Della Vittoria.
Dopo l’8 settembre entrò nella resistenza romana principalmente come assistente spirituale, ma riuscì anche ad aiutare procurando armi e vettovagliamenti. Era in contatto con la “banda Fulvi”, comandata da un ufficiale dell’esercito italiano, il tenente Fulvio Mosconi, gruppo che era attivo a Monte Mario, e dipendeva da Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.
Ottenne da un ufficiale della Wehrmacht il piano delle forze tedesche sul fronte di Cassino, ma, segnalato da un delatore (un certo Dante Bruna, infiltrato dalla Gestapo tra i partigiani di Monte Mario, che fu ricompensato con 70.000 lire), fu arrestato dalla Gestapo il 4 gennaio del 1944 mentre raggiungeva il Collegio Leoniano in via Pompeo Magno 21, in Prati insieme all’amico Marcello Bucchi. Fu detenuto a Regina Coeli nella cella n. 382. Morosini venne accusato oltre che di aver passato agli Alleati la copia della mappa del settore difensivo tedesco davanti a Cassino, anche del possesso di una pistola, rinvenuta tra la biancheria, e del deposito di armi ed esplosivi nascosto nello scantinato del Collegio Leoniano.
Nel carcere era ospitato, nella stessa cella, Epimenio Liberi, un commerciante ventitreenne nativo di Popoli che aveva partecipato ai combattimenti di Porta San Paolo e che era entrato nelle resistenza nelle file del Partito d’Azione. La moglie era in attesa del terzo figlio. I due strinsero amicizia e don Morosini scrisse in carcere per il bambino che doveva nascere, una celebre Ninna Nanna per soprano e pianoforte. Liberi fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo.
Sottoposto a torture perché rivelasse i nomi dei suoi complici, Morosini non solo non parlò ma, con Bucchi, cercò anzi di addossarsi ogni colpa del movimento. Il 22 febbraio il tribunale tedesco lo condannò a morte. Nonostante le pressioni esercitate dal Vaticano, fu fucilato il 3 aprile 1944 a Forte Bravetta. Nel plotone di esecuzione composto da 12 militari della PAI (Polizia dell’Africa Italiana), all’ordine di “fuoco!”, 10 componenti spararono in aria. Rimasto ferito dai colpi degli altri 2, don Morosini fu ucciso dall’ufficiale fascista che comandava l’esecuzione con due colpi di pistola alla nuca.
Fu accompagnato al patibolo dal vescovo monsignor Luigi Traglia, che l’aveva ordinato sacerdote sette anni prima.
Sandro Pertini, che era allora detenuto al carcere di Regina Coeli, lo incontrò dopo un interrogatorio delle SS. Pertini lasciò questa testimonianza:
« Detenuto a Regina Coeli sotto i tedeschi, incontrai un mattino don Giuseppe Morosini: usciva da un interrogatorio delle S.S., il volto tumefatto grondava sangue, come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono. Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede. Benedisse il Plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: “Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno”, come Cristo sul Golgota. Il ricordo di questo nobilissimo martire vive e vivrà sempre nell’animo mio».
(Roma, 30 giugno 1969)
Il don Pietro del film di Rossellini Roma città aperta, riassume le figure di don Giuseppe Morosini e di don Pietro Pappagallo, un altro sacerdote che partecipò alla resistenza romane e che fu ucciso alla Fosse Ardeatine.
Redazione, Il clero nella Resistenza. Don Giuseppe Morosini, ANPI Sezione “Poldo Gasparotto”, Monforte – Porta Venezia, Milano

Don Giuseppe Morosini – Fonte: Wikipedia

Nel 1943 avevo 13 anni compiuti e frequentavo il IV Ginnasio al Collegio Leoniano, in Via Pompeo Magno a Roma. Il Signor Morosini (Don Giuseppe) ci insegnava musica. Cominciò con le canzoncine correnti, più o meno di regime. Me ne ricordo una, sugli “orticelli di guerra”: i romani coltivavano insalata nelle aiuole dei giardini pubblici. Si chiudeva con un “Babbuccio mio” in cadenza plagale. Poi il Signor Morosini passò alla musica corale, alla polifonia e al gregoriano letto nelle chiavi antiche. Era il vertice dei miei amori: latino e musica. Mi incaricava di scrivere e correggere le parti. Avevo un pennino a cinque punte, caro quanto un frammento della vera croce: un pennino pentadattilo. Con l’inchiostro di china stendevo pentagrammi innumerevoli: “Alba pratàlia aràba”. Ero un editore. Ero Aldo Manuzio. Si cominciava con pezzi a due voci, soprano e contralto. Preparavo le sezioni che, talvolta, arrivavano a quattro voci. Spesso la parte del contralto mi lasciava perplesso: sapendo che la sensibile risolve salendo di grado, mi dispiaceva che nella cadenza finale scendesse alla quinta, come si concede; ma io la alteravo e la facevo salire alla tonica. Capivo il meccanismo mirabile degli accordi e la imitazione polifonica mi rapiva per il mistero della attrazione e della affinità delle parti. In classe si parlava di solfeggio e di composizione con quell’aria assorta e ispirata che si concede chi viene scelto per le imprese eccezionali: e infatti noi eravamo selezionati per il coro. Accanto alla musica coltivavo il latino, scrivevo con facilità pensando a Virgilio e a Ovidio. Leggevo benissimo il greco. Felicità ginnasiale. Incontro con gli dei. Ai primi di gennaio del 1944, tornando da una passeggiata, trovammo nel vestibolo, un gruppo di soldati tedeschi. Erano cortesi e molto eleganti. Ci sorridevano salutandoci. Il Signor Morosini scendeva il maestoso scalone scortato da altri soldati tedeschi in uniforme, simile a un principe tra i suoi sergenti, simile a un uomo eletto. I superiori ci tenevano informati: a. avevano trovato armi da guerra sotto il suo letto; b. era stato tradito da un falso partigiano, un infiltrato assistito e confortato dal Signor Morosini. Per la delazione aveva intascato i suoi denari; c. il Signor Morosini incoraggiava con viveri e con il suo ministero un gruppo di rifugiati, in una grotta di Monte Mario. Uno di essi, sospettato, gli aveva affidato armi e munizioni, le stesse trovate sotto il suo letto, al collegio; d. si trovava a via Tasso. Aveva stipulato un’amicizia fra morituri, con Epimenio Liberi e aveva composto una berceuse per il suo figlioletto. Papa Pacelli aveva chiesto la sua liberazione al tiranno in persona. Grazia negata da dittatore a pontefice. Un giorno venimmo convocati “ad audiendum verbum” durante lo studio, in ora inconsueta. Ci guardammo senza parlare. Il Signor Morosini era stato giustiziato al Forte Bravetta. I soldati italiani non vollero sparare o tirarono senza mirare. Ci pensarono i soliti tedeschi. Il Signor Morosini era sereno. Al prelato che lo confortava disse, confortandolo a sua volta: “Ci vuole più coraggio a vivere che a morire”. Mi pare che fosse il lunedì santo 1944. Cessai immediatamente di recitare paternoster per i tedeschi. Cessai lo studio del tedesco e mi cadde di colpo la mania di scrivere in caratteri gotici, con l’altro mio prodigioso pennino a punta quadrata. Come a Winkelmann, il suono della lingua tedesca mi procurava raccapriccio e vomito, rancore e desolazione. Così fu traviato il fanciullo umanista e la sua tenera barbarie lepina. Così finì la mia innocenza. Ma la musica, divinamente avviata dal Signor Morosini, ha fatto la sua strada. Giuseppe Agostini, organista, direttore di coro e compositore

[…] Nato a Ferentino (Frosinone), fucilato a Roma il 3 aprile 1944, sacerdote.
Ordinato nel 1937, don Morosini divenne, nel gennaio del 1941, cappellano militare del 4° Reggimento d’artiglieria a Laurana.
Trasferito a Roma nel 1943, dopo l’8 settembre entrò nelle file della Resistenza collegandosi con la banda “Mosconi” operante a Monte Mario.
Ne divenne assistente spirituale, ma si adoperò anche per procurare armi e vettovagliamenti e, soprattutto, ottenere informazioni. Da un ufficiale della Wehrmacht, riuscì addirittura ad ottenere una copia del piano operativo delle forze tedesche schierate sul fronte di Cassino, che trasmise agli Alleati.
Denunciato da un delatore (certo Dante Bruna, che ottenne in compenso 70 mila lire), don Giuseppe fu arrestato dalla Gestapo il 4 gennaio del 1944. Sottoposto a tortura, mantenne un orgoglioso contegno. Condannato a morte e ristretto a “Regina Coeli” nella attesa dell’esecuzione, si prodigò per sostenere i compagni di carcere e gli ebrei che vi erano rinchiusi.
Il 3 aprile 1944 il valoroso sacerdote fu trasportato a forte Bravetta per esservi fucilato da un plotone della PAI (Polizia Africa Italiana); all’ordine di “fuoco!”, 10 componenti del plotone (su 12) spararono in aria. Ferito dai colpi degli altri 2, don Morosini fu ucciso dall’ufficiale fascista che comandava l’esecuzione con due colpi di pistola alla nuca.
Onorificenze
Medaglia d’oro al valor militare:
«Sacerdote di alti sensi patriottici, svolgeva, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, opera di ardente apostolato fra i militari sbandati, attraendoli nella banda di cui era cappellano. Assolveva delicate missioni segrete, provvedendo altresì all’acquisto ed alla custodia di armi. Denunciato ed arrestato, nel corso di lunghi estenuanti interrogatori respingeva con fierezza le lusinghe e le minacce dirette a fargli rivelare i segreti della resistenza. Celebrato con calma sublime il divino sacrificio, offriva il giovane petto alla morte. Luminosa figura di soldato di Cristo e della Patria.»
– Roma, 8 settembre 1943 -3 aprile 1944.
postato da Simone Campioni su FB
Redazione, 3 aprile ’44. Ricordare Don Morosini, UnoeTre.it, 3 aprile 2018