Circa i confidenti della polizia fascista e l’Ovra

Negli anni Trenta il capo della polizia fascista Arturo Bocchini annotò in una rubrica i nominativi dei suoi confidenti, con i nomi di copertura e i numeri in codice dei singoli spioni; quel registro, ereditato dopo la morte di Bocchini, nel novembre 1940, dal successore Carmine Senise, rivela altresì i complicati criteri d’inoltro della corrispondenza e delle ricompense, a tutela delle «barbe finte». Caduto il regime, il «registro delle spie» fu rinvenuto nella documentazione archivistica trasferita al Nord; il 31 ottobre 1931 il capo della polizia Luigi Ferrari lo consegnò al Commissariato per la punizione dei delitti fascisti, affinché se ne servisse per l’epurazione di quanti si erano compromessi con l’apparato repressivo del regime.
Custodito per decenni negli archivi del ministero dell’Interno come un imbarazzante reperto, il registro fu poi trasmesso all’Archivio centrale dello Stato, dove è rimasto a lungo fuori consultazione. Oggi quel documento, finalmente desegretato», svela misteri. Si tratta di una grossa rubrica rilegata in pelle nera, con angoli e dorso verde, sul cui frontespizio è stampigliato il timbro «segreto». In 230 pagine compaiono 374 nominativi di fiduciari diretti della Divisione polizia politica con i recapiti ufficiali e clandestini di questo esercito di spie, impegnato nel decennio compreso tra la conquista dell’Abissinia e l’occupazione tedesca a raccogliere notizie e talvolta a ordine provocazioni per conto della polizia politica del Duce.
A reggere il gioco spionistico erano alcuni funzionari del Ministero dell’Interno, iscritti essi pure nel registro, sebbene con la precisazione «Non è fiduciario». Un ruolo di rilievo svolse Pietro Francolini (nome di copertura 1000 Senna), operativo presso il Regio consolato d’Italia e la nostra ambasciata a Parigi; da lui dipendevano alcuni elementi infiltratisi in Giustizia e Libertà. Rosario barranco (pseudonimo 2000 Varo) era distaccato presso il consolato generale d’Italia a Nizza, destinatario di plichi che smistava ai suoi confidenti: «Spedire lettere per corriere diplomatico, applicare i suggelli di ceralacca a tuta la corrispondenza; indirizzo privato da usare in casi urgenti ed eccezionali e solo per ordine del Sig. Capo divisione». Terzo regista dello spionaggio oltralpe era Ettore Pettinati (Rodano 3000), aggregato al consolato di Marsiglia e quindi incaricato della Sezione speciale di polizia all’Ufficio PS di Mentone; la Divisione polizia politica ricorse al corriere diplomatico anche per corrispondere con Pettinati.
La rete statunitense faceva capo a Umberto Caradossi (6000 Hudson), presso il consolato italiano a New York. Emerge dunque – dato preoccupante sul versante della storia delle istituzioni – il generalizzato utilizzo della rete diplomatica per foraggiare e gestire la rete spionistica all’estero. Nel plotone dei fiduciari spiccano i «fedelissimi», reclutati in epoca liberale e rimasti negli organici durante il ventennio fascista, transitati indenni attraverso l’esperienza del primo governo Badoglio e quindi attivi sotto le insegne della RSI o addirittura tornati al vecchio lavoro in epoca democratica. Soltanto la morte troncò la carriera dei più navigati «spioni di lungo corso», alcuni dei quali celavano dietro la facciata sovversiva un’inimmaginabile fedeltà alle istituzioni: è il caso dell’anarchico Bernardo Cremonini (6 Solone), attivo nell’emigrazione politica in Francia. Le politiche mutavano, i regimi cadevano, ma le più provette spie restavano al loro posto, comunque fedeli al potere, chiunque lo detenesse.
I vertici della polizia coprivano di mille attenzioni i loro affiliati, come traspare dai criteri indicati per le spedizioni al ragionier Federico Crivelli (301 Osvaldo), longa manus spionistica nel Canton Ticino: «Indirizzare a Quirighetti Giulio, fermo posta Campione d’Italia – Assegni: tramite comm. Assirellli – Per eventuali comunicazioni inviare a Lugano a suo nome, via Trevano 20b, cartolina illustrata di saluto e ciò varrà a far sapere al fiduciario che a Campione vi è corrispondenza per lui – Se non si tratta di cose urgentissime, non spedire ogni giorno, ma raggruppare le lettere spedendo una volta la settimana – La cartolina illustrata d’avviso non scriverla sempre nello stesso modo mettendo sempre la stessa forma di saluti in un angoletto: variare, per non dare sospetto al portalettere. La corrispondenza deve essere spedita tramite il questore di Milano».
Per gli studiosi del sistema repressivo fascista lo squallido campionario del registro rappresenta un’essenziale banca-dati che, con la trattazione incrociata ed elaborazione al computer, consente interessanti scoperte. Spicca ad esempio la straordinaria estensione del «gruppo Menapace», probabilmente la più ramificata rete fiduciaria esistita negli anni Trenta. Forte di una dozzina di elementi capitanati dal trentino Ermanno Menapace (98 Spandri), la cui opera fu sperimentata in Francia, in Belgio e nell’Africa italiana. Il rapporto fiduciario s’interrompeva per due ordini di motivi: a) soggettivi, ovvero l’inaffidabilità o l’inefficacia del confidente; b) oggettivi, legati a ristrutturazioni della rete motivate da esigenze generali. Le dimissioni si ebbero in rari casi. Anni di esistenza segreta sotto il segno della collaborazione volontaria con la polizia ostacolavano il ritorno a una vita normale, con la rinunzia a lucrosi proventi e al senso di onnipotenza insito nel rapporto privilegiato con la struttura repressiva del regime. Un’ondata di licenziamenti fu disposta tra l’autunno 1939 e la primavera 1940: l’occupazione nazista della Francia privò gli esuli politici del principale retroterra e sconsigliò il mantenimento di un costoso apparato di controllo. Crollato il regime, una parte dei personaggi censiti nell’infamante catalogo scansò l’inserimento nell’«elenco nominativo dei confidenti dell’Ovra» pubblicato sul supplemento alla «Gazzetta Ufficiale» del 2 luglio 1946. Sospetti di omissioni compiacenti e di salvataggi per questo o quel personaggio aleggiarono da subito, e l’impossibilità di accedere a questo «documento principe» autorizzò ogni illazione. Oggi, dal raffronto tra i diversi elenchi, si scopre che a passarla liscia furono anzitutto i giornalisti, alcuni dei quali – pure segnati nella rubrica dei confidenti – furono ignorati dalla lista divulgata dalla «Gazzetta Ufficiale». Emblematici i casi di Gian Carlo Govoni, Ubaldo Silvestri e Alberto Giannini. Govoni (770 Pisa: riceveva i denari nell’abitazione romana di via Pisanelli), direttore dell’Agenzia International News Service, era corrispondente dei quotidiani «Tribuna», «Sera» e «Gazzetta del Popolo». Silvestri (796), già redattore della «Giustizia» e del «Resto del Carlino», nonché collaboratore del «Messaggero», nel dopoguerra fu segretario di redazione del «Popolo». Giannini, fondatore nel 1924 del settimanale satirico antimussoliniano «Il becco giallo», durante l’esilio in Francia aveva mutato orientamento politico e finì ignominiosamente sul libro paga di Bocchini, insieme alla sua convivente; i compensi venivano pagati a Roma, in corso Trieste 171. Il quadernone di Bocchini conferma inequivocabilmente lo status spionistico del romanziere Pitigrilli, designato coi nomi di copertura femminei di «Maria Rosa» e «Ivonne». Egli riceveva alternativamente denaro e richieste di informazioni al recapito torinese di Corso Peschiera 28 e all’alloggio parigino dell’Hotel de Lutéce, 5 rue Chaplain. Scoperto dagli antifascisti nel 1929, los crittore fu di lì a poco scaricato dalla polizia segreta, come si desume dall’ultima impietosa annotazione apporta sul foglio a lui intestato: «Licenziato».
Il registro riflette un Paese asservito a un potere straordinariamente abile nell’utilizzo degli strumenti occulti di controllo dell’opinione pubblica. Accanto ai doppiogiochisti reclutati nelle file dei dissidenti ritroviamo un cospicuo numero di «benpensanti», persone comuni immerse nella vita di quartiere o attive nelle professioni liberali, che – con sdoppiamento sconcertante – fornivano rapporti sul loro ambiente e sulle loro frequentazioni. Queste spie erano cittadini qualunque, persone – almeno apparentemente – «senza qualità»: eroi sconosciuti del loro tempo (l’era fascista), servitori segreti della dittatura, assistenti volontari vendutisi un tanto al mese alla polizia politica. Mimmo Franzinelli, Fascismo. La rubrica segreta delle spie, Corriere della Sera, 25 maggio 2002

Fra le tante serie prodotte dall’immenso apparato burocratico di sorveglianza e repressione messo in piedi dal regime, il noto Casellario Politico Centrale (Cpc), con i suoi circa 150.000 fascicoli personali di sovversivi controllati dalla Divisione Polizia politica e dall’Ovra <4, costituisce il fondo più ricco di informazioni specifiche e sistematiche sui protagonisti dell’esilio antifascista. La polizia politica schedò circa 25.000 antifascisti emigrati in Francia tra le due guerre, ovvero un sesto degli “elementi pericolosi” registrati.
I dati del Casellario vanno però valutati criticamente, in quanto prodotti per specifici scopi repressivi e basati spesso su accuse avanzate da delatori ingaggiati a pagamento. La cifra di 25.000 soggetti, per quanto suscettibile di ridimensionamenti per la discutibilità dei criteri di inclusione, deve essere però posta in relazione alle persone coinvolte nella vicenda personale del singolo fuoruscito, persone che emigravano ed erano allo stesso modo sorvegliate e giudicate moralmente dal personale della polizia politica.
Disponiamo poi ancora dei dati ufficiali delle adesioni italiane ai movimenti e ai partiti in esilio, anch’essi però viziati dal valore politico e propagandistico, ma anche dall’estrema incostanza nel tempo. Le cifre ridimensionano notevolmente i numeri del Cpc: si tratta di una percentuale esigua sulla totalità della massa immigrata, circa il 2-2,5% secondo Pierre Milza <5.
[NOTE]
4. Acronimo che probabilmente significava Organizzazione per la Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo. Si tratta della famosa polizia politica fascista, dotata di un imponente apparato burocratico, realizzato a partire dall’emanazione delle «leggi fascistissime» del 1926 al fi ne di vigilare e reprimere i movimenti dissidenti e sovversivi dal nuovo ordine costituito fascista, per opera del capo della polizia Arturo Bocchini. Di fatto è noto che il termine è stato scelto per assonanza con la parola “piovra”, al fine di suggestionare la popolazione per la capillarità del sistema di controllo e repressione, e che non vi era un reale significato dietro alla sigla quando fu coniata (così per ammissione di Guido Leto, uno degli uomini di punta dell’apparato dell’Ovra stessa). L’Ovra fu istituzionalizzata nel 1930 e la 1a zona di sua competenza, ovvero l’Italia settentrionale, fu affidata al famigerato ispettore Francesco Nudi. Uno dei suoi strumenti più efficaci si sarebbe rivelato il Casellario Politico Centrale, il grande schedario dei sovversivi istituito in Italia già in epoca crispina e notevolmente arricchito e potenziato sotto il regime fascista. L’Ovra fu sciolta nel 1943 con la caduta del fascismo, quando era retta da Guido Leto, e ricostituita sotto la Repubblica di Salò per poi cadere definitivamente con la fine della guerra. Sull’Ovra si vedano ad esempio i lavori di Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Torino 1999; Franco Fucci, Le polizie di Mussolini: la repressione dell’antifascismo nel Ventennio, Mursia, Milano 2011; Romano Canosa, I servizi segreti del Duce: i persecutori e le vittime, Mondadori, Milano 2000.
5. Pierre Milza, Voyage en Ritalie, Plon, Paris 1993.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015

Molto spesso anche i caffè, i ristoranti, le brasseries, funsero da sede e da ritrovo per le appassionate riunioni degli antifascisti italiani nonché luoghi dove si recavano anche le numerose spie dell’OVRA che redigevano per la polizia italiana delle informative su quanto veniva discusso <52.
Come ha sottolineato Patrizia Gabrielli: “Le case sono all’estero come in Italia poli non trascurabili del lavoro politico, così come acquistano rilievo le osterie e i caffè, non solo in quanto centri di ritrovo delle masse popolari ma anche perché sono in grado di offrire uno spazio adeguato per ospitare riunioni che potevano assumere il carattere di una vera e propria manifestazione con ampio numero di partecipanti, diffusione della stampa, discorsi, presenza dei rappresentanti delle singole organizzazioni”. <53
Ad esempio il noto Café de La Chope de Strasbourg sito in Boulevard de Strasbourg, nel X arr., era sede delle riunioni dei concentrazionisti ma anche, al primo piano, il ritrovo per le riunioni del partito socialista italiano, “Piccola sala dal soffitto basso (…) dove si discuteva di tutto, non sempre utilmente, ma sempre con passione”. <54
I congressi e i meetings del partito socialista italiano si svolgevano invece nelle salle de la rue Trétaigne “che – riportava una spia dell’OVRA – dalla massoneria è stata messa gratuitamente a disposizione dei fuorusciti”, <55 nella rue de Charonne (XI arr.), o nella Salle du Grand Orient de France nella rue Saulmier (IX arr.), e nella rue Cadet (IX), tutti luoghi delle sezioni locali del partito socialista francese, SFIO.
Altro locale molto frequentato dagli antifascisti democratici era il ristorante Chez Boubule, al n. 84 del Boulevard Diderot anch’esso nel quartiere popolare del XII arr.
Come ricorda Amendola, ai comunisti era stato proibito di frequentare questi luoghi ben conosciuti dall’OVRA: “Purtroppo dovevo evitare i caffè e le brasseries di quella zona. Mi era stato indicato di evitare soprattutto i caffè di Montparnasse (la Rotonde, le Dome, la nuovissima Coupole), perchè ritrovi di noti antifascisti emigrati, e quindi anche di spie dell’Ovra. (…) “Gli antifascisti di Montparnasse” era il termine rozzamente polemico con cui nella nostra stampa indicavamo gli antifascisti della Concentrazione, che si limitavano a leggere i giornali italiani e a chiacchierare a perdita di tempo. Altri punti da evitare erano la Place de l’Opera e la Masion du cafè, approdo di tutti gli italiani di passaggio che volessero bere un caffè passabile, e del periferico ristorante Bouboule. Non sempre questi divieti erano rispettati. Da Bouboule incontravo altri compagni, persino il severissimo Alfredo, debole tuttavia davanti al miraggio di un piatto di tagliatelle alla bolognese.”. <56
In una nota di un informatore della polizia fascista del febbraio 1936, il Ristorante Franco-italiano Boubule, diretto dai Fratelli Schiavina, è descritto quale ‘noto recapito del partito comunista’ dove gli affiliati si fanno inviare la corrispondenza. <57
[NOTE]
52 ACS, MI, DGPS, PP, C (estero), Parigi fuorusciti e sovversivi, 1932-1941, b. 30.
53 P. Gabrielli, Col freddo nel cuore, uomini e donne nell’emigrazione antifascista, Donzelli, Roma, 2004, pp. 109-110.
54 V. Modigliani, op. cit., p. 149.
55 ACS, MI, DGPS, PP, C(estero), Parigi fuorusciti e sovversivi, 1932-1941, b. 30, Informativa del 26.2.1933.
56 G. Amendola, Un’isola, op. cit., p. 29.
57 ACS, MI, PS, K1B, Comunisti estero, Francia, b. 53
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

Dal 1926 al 1940 (anno della sua morte) il capo della Polizia fascista fu il prefetto Arturo Bocchini.[1] Nell’espletamento del suo mandato, volle anche annotare in un registro i nominativi dei confidenti che fornivano segretamente dati riservati su persone e movimenti politici avversi al regime. [2] In questo registro vennero indicati anche i nomi di copertura e i numeri in codice delle singole spie. Si tratta di una grossa rubrica rilegata in pelle nera, con angoli e dorso verde, sul cui frontespizio è stampigliato il timbro ‘segreto’. In 230 pagine sono elencati 374 nominativi di fiduciari diretti della Divisione Polizia Politica (Popol) con i recapiti ufficiali e clandestini. Il periodo considerato va dalla conquista dell’Abissinia (1935-1936) fino all’occupazione tedesca (1943). La rete dei confidenti era seguita da alcuni funzionari del Ministero dell’Interno. Anche loro erano iscritti nel registro (con la precisazione: ‘Non è fiduciario’).
Da Bocchini a Senise
Dopo la morte di Bocchini, il registro fu acquisito dal suo successore: il prefetto Carmine Senise.[3] Quest’ultimo, esercitò il ruolo di capo della Polizia dal 1940 al 1943. Dopo la destituzione di Mussolini, il 26 luglio 1943 il gen. Pietro Badoglio, nuovo capo del governo, lo restituì alle sue funzioni (mantenute fino all’8 settembre 1943). Con la caduta di Mussolini (25 luglio 1943), l’allora capo dell’OVRA[4], dott. Guido Leto[5], aderì alla Repubblica Sociale Italiana (RSI), e si trasferì a Valdagno, nella casa del conte Gaetano Marzotto.[6] Con sé, trasportò una parte notevole dell’archivio dell’OVRA. A fine conflitto, Leto fu indicato dalle autorità alleate quale conservatore e responsabile del suddetto archivio. In seguito, riprendendo le carte dell’OVRA, il registro venne ritrovato. II 31 ottobre 1945 il capo della Polizia Luigi Ferrari[7] lo consegnò all’Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti. Tale organismo aveva il compito di epurare dalla pubblica amministrazione quanti avevano interagito di nascosto con gli uffici del regime fascista addetti alle repressioni. In seguito, il registro fu custodito prima negli archivi del Ministero dell’Interno e venne poi consegnato all’Archivio Centrale dello Stato.[8] Nell’attuale periodo, una volta desecretato, è stato oggetto di studi. Il materiale riguardante la rete dello spionaggio fascista (OVRA)[9] è significativo a livello storico perché fornisce numerose indicazioni. Tra queste, rende noti gli articolati criteri d’inoltro della corrispondenza e delle ricompense, al fine di proteggere l’anonimato dei collaboratori, le tecniche adoperate per raccogliere notizie, e – in alcuni casi – gli ordini impartiti per attuare delle provocazioni.
1946: la pubblicazione dell’elenco dei confidenti dell’OVRA
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri[10], il 6 febbraio 1946 venne nominata una speciale Commissione. Tale organismo doveva, sulla base dei documenti ritrovati, pubblicare un elenco nominativo dei confidenti dell’OVRA. Erano esclusi da tale lista i deceduti e i funzionari, impiegati, sottufficiali e guardie di pubblica sicurezza, e le persone non individuate. Ai sensi dell’art. 2 del R.D.L. 25.5.1946, n. 424, venne data facoltà di ricorrere contro tale inclusione.
Tra i confidenti prevalevano nelle categorie professionali i giornalisti e, dal punto di vista della religione, gli ebrei.[11] In tale contesto, si mossero più persone per far eliminare il proprio nominativo dall’elenco. Da un totale di 900 nomi si arrivò alla fine (con doppia scrematura) a divulgare 622 nominativi. Diverse persone erano riuscite a non far pubblicare il proprio nome. Per questo motivo non mancarono le polemiche. Queste ultime, fecero riferimento a omissioni compiacenti, a ‘salvataggi’ di vari personaggi. Le illazioni, poi, aumentarono perché ai ricercatori non fu permesso di accedere al «documento principe».
Tra i nomi ‘salvati’ (che fecero scalpore) c’era quello, ad esempio, dell’ispettore generale di pubblica sicurezza Gesualdo Barletta. Era stato il capo della nona zona OVRA (Lazio meridionale-Roma). Malgrado ciò, dopo un periodo di internamento e una fase di latitanza, fu promosso nel settembre del 1948 direttore della neo-costituita Divisione affari generali e riservati della Polizia, quindi vicecapo della Polizia (fino al gennaio 1956).[12] Era affiancato dall’ispettore Domenico Rotondano (responsabile servizio 1), anche lui di provenienza OVRA. È pure da ricordare che, tra il 1946 e il 1953, fu questore di Roma il commissario Saverio Polito che aveva in precedenza operato nell’OVRA.
Nel recente periodo, confrontando più elenchi[13], ci si è accorti che diversi giornalisti riuscirono a non essere inseriti nella lista dei fiduciari del regime. Pur segnati nella rubrica dei confidenti, furono ignorati dalla lista pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Si possono ricordare alcuni nominativi: Gian Carlo Govoni, Ubaldo Silvestri e Alberto Giannini.
Govoni (fiduciario n. 770, nome in codice ‘Pisa’): riceveva i compensi presso l’abitazione romana di via Pisanelli. Direttore della Agenzia International News Service, era corrispondente dei quotidiani ‘Tribuna’, ‘Sera’ e ‘Gazzetta del Popolo’.[14] Ubaldo Silvestri (n. 796), già redattore della ‘Giustizia’ e del ‘Resto del Carlino’, nonché collaboratore del ‘Messaggero’, nel dopoguerra fu segretario di redazione del ‘Popolo’.[15] Alberto Giannini[16], fondatore nel 1924 del settimanale satirico antimussoliniano ‘Il becco giallo’, durante l’esilio in Francia aveva mutato orientamento politico e finì sul libro paga di Bocchini, insieme alla sua convivente. I compensi venivano pagati a Roma, in corso Trieste 171.[17]
L’individuazione dei confidenti operanti in Vaticano
Lo studio delle carte dell’OVRA ha permesso di comprendere meglio anche il disegno spionistico che il governo fascista attuò a danno della Santa Sede.[18] Sono così emersi i nominativi dei fiduciari dell’OVRA operanti in Vaticano. Uno di essi altro non era che il capo degli stessi servizi vaticani di sicurezza.[19] Ciò spiega, tra l’altro, perché il governo italiano era in possesso del cifrario della Santa Sede. D’altra parte, lo stesso ministro Galeazzo Ciano, nel 1940, disse a monsignor Borgoncini Duca[20]: “Non vi fidate dei diplomatici accreditati presso la Santa Sede, i quali, nei loro telegrammi e rapporti, danno notizie dell’Italia come apprese in Vaticano e fanno anche il mio nome. Noi leggiamo tutto ed anche Mussolini legge tutto. Bisogna che teniate conto della mia posizione, se no, non vi dico più niente”.[21]
Il governo italiano seguiva quindi con particolare attenzione quanto avveniva all’interno del territorio vaticano. I motivi erano evidenti: interazione della Santa Sede con diplomatici di più Paesi, presenza di tipo residenziale (durante il Secondo conflitto mondiale) di rappresentanti delle Forze Alleate nemiche dell’Asse, comunicazioni della Segreteria di Stato con i centri ecclesiali dislocati nei territori ove era in corso la guerra, promozione di iniziative umanitarie (a favore di ebrei, perseguitati politici, sfollati, profughi, internati). In tale contesto, le azioni di spionaggio furono continue. Ciò fu possibile per i comportamenti posti in essere da: monsignori[22], personale laico vaticano, giornalisti. Tale manovra occulta si indirizzò anche nei confronti dei diplomatici accolti in Vaticano. Ad esempio, nel 1943, il Servizio Informazioni Militari (SIM) fece in modo che l’ambasciatore inglese, sir Francis d’Arcy Osborne[23], assumesse uno dei suoi agenti in qualità di maggiordomo. Secondo le istruzioni ricevute, questi (un italiano) rubò dal suo nascondiglio il materiale attinente al cifrario in possesso del diplomatico, mentre Osborne era uscito con il cane.[24]
[…]
NOTE
1 Arturo Bocchini (1880-1940). Laureato in legge. Entrò nella carriera prefettizia nel 1903.
2 Bocchini disponeva per gli informatori di 150.000 lire mensili. Durante il fascismo furono diverse le agenzie di intelligence: Polizia Politica (Polpol, sorta nel 1926), l’OVRA (braccio operativo della Polpol, 1927), Servizio Informativo Militare (SIM), l’Ufficio Politico delle Questure (UPI) e l’organizzazione spionistica del partito fascista (OCI).
3 Carmine Senise (1883-1958). Fu capo della Polizia dal 1940 al 1943. Dopo la destituzione di Mussolini, il 26 luglio 1943 il gen. Pietro Badoglio, nuovo capo del governo, lo restituì alle sue funzioni che mantenne fino all’8 settembre 1943.
4 O.V.R.A.: acronimo (non ufficiale) di Opera Vigilanza Repressione Antifascismo. Polizia segreta del regime fascista.
5 Guido Leto (1895-1956).
6 Gaetano Marzotto jr (1894-1972). Cf anche: S. Setta, Profughi di lusso. Industriali e manager di Stato dal fascismo alla epurazione mancata, Franco Angeli, Milano 1993.
7 Luigi Ferrari (1888-1955). Nominato capo della Polizia il 1 agosto del 1944. Terminò il suo mandato nel 1948.
8 Rimasto a lungo fuori consultazione.
9 O.V.R.A.: acronimo (non stabilito in modo ufficiale) di ‘Opera Vigilanza Repressione Antifascismo’. L’OVRA fu la Polizia segreta del governo fascista.
10 Presieduto dall’on. Alcide De Gasperi (1881-1954).
11 “(…) il che risulta naturale, se si considera che fra i giornalisti in tutti i Paesi e tempi sono sempre esistiti informatori e che per sorvegliare gli ebrei vittime delle persecuzioni razziali molto servivano i loro correligionari” (cit. G. Cosmo, I servizi di polizia politica durante il fascismo, in: ‘Il Movimento di Liberazione in Italia’, fasc. 16, 1952, p. 47.
12 Ministro dell’Interno era l’on. Mario Scelba (1901-1991). La Divisione Affari Riservati fu istituita nel 1948.
13 Quello ufficiale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, quello conservato presso l’Archivio di Stato, e altri elenchi che si trovano presso fondazioni.
14 Cf anche: M. Forno, Fascismo e informazione. Ermanno Amicucci e la rivoluzione giornalistica incompiuta (1922-1945), Edizioni dell’Orso, Alessandria 2003, p. 141.
15 Cf anche: L’Osservatore politico letterario, volume 17, seconda edizione, 1971, p. 118.
16 Alberto Giannini (1885-1952).
17 Cf anche: S. Urso, Alberto Giannini, in: ‘Dizionario biografico degli italiani’, vol. 54, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2000.
18 C.M. Fiorentino, Spie di Mussolini all’ombra di San Pietro. L’attività informativa fascista in Vaticano, in: ‘Nuova Storia Contemporanea’, 2, 1998.
19 R.A. Graham, Il Vaticano e lo spionaggio, in: ‘La Civiltà Cattolica’, 1991, IV, pp. 350-361.
20 Mons. Francesco Borgoncini Duca (1884-1954). Nel 1940 era arcivescovo. Divenne poi cardinale.
21 Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, vol. I, n. 274, pp. 412-413.
22 I sacerdoti più compromessi, anche se rinviati a giudizio, si salvarono grazie all’amnistia di Togliatti del 1946.
23 Lord Francis D’Arcy Godolphin Osborne, XII duca di Leeds (1884-1964).
24 R.A. Graham, Il Vaticano e lo spionaggio, op. cit.
[…]
Pier Luigi Guiducci, La rete dell’OVRA in Vaticano, Storia in Network, 1 settembre 2020