Circa la Resistenza a Conselice e Alfonsine, Romagna

Alfonsine (RA) – Fonte: Mapio.net
Fusignano (RA) – Fonte: Mapio.net
Nei dintorni di Conselice (RA) – Fonte: Mapio.net

Accadde all’alba del 23 aprile 1944 intorno ad alcune case coloniche, usate all’epoca come basi partigiane, nella campagna tra Fusignano e Alfonsine. La zona era nota come fondo ‘San Tommaso’, o podere “Palazzone”, e “Podere Zanchetta”.
Le case coinvolte furono quella dove abitava la famiglia Lanconelli, poi la casa dove abitavano i Baratoni, il capofamiglia con la compagna Ave Fini e il figlio di due anni Alfredo, e infine “Casa Zalambani”, allora detta anche ‘Il Palazzone’
Quell’ambiente coltivato “a larga” compreso tra il Canale di Fusignano e lo Scolo Arginello appariva infatti un luogo sicuro ove far riparare i primi nuclei di partigiani che di notte attentavano alle colonne di automezzi tedeschi in transito sulla Statale 16 Adriatica.
Nonostante le difficoltà iniziali, nella primavera del 1944 le azioni partigiane aumentarono considerevolmente. Grande successo venne riscosso dalle giornate Gap, ideate dai partigiani anche «per collaudare la volontà popolare: in quel giorno tutti coloro che erano legati all’organizzazione […] dovevano passare all’azione».
Nell’aprile del 1944 si registrò un inasprimento dello scontro da parte di tutti i contendenti. Le disposizioni partigiane parlavano di «sterminio» dei fascisti, ma già a fine mese si comprese la necessità di regolamentare gli attacchi a questi ultimi perché «ognuno che uccida si senta un giustiziere e non un assassino». Secondo tale prospettiva, i fascisti di grado minore, prima di essere assaliti, dovevano essere “giudicati” dal comitato provinciale di Liberazione o dai tribunali partigiani per atti quali lo spionaggio, l’accaparramento e per le violenze e i crimini commessi contro antifascisti e civili.
Durante alcune iniziative precedenti organizzate in quelle prime “giornate Gap” – momenti simultanei di sabotaggio promossi in ambito provinciale per intimidire gli occupanti tedeschi – i gappisti finirono per essere notati dai fascisti locali, che individuarono in quella zona tra Alfonsine e Fusignano le case di latitanza usate dai partigiani.
Una persona dall’interno della Questura di Ravenna fece sapere, il sabato 22, che la mattina dopo ci sarebbe stato un rastrellamento da parte dei fascisti nella zona tra Fusignano e Alfonsine. Così i partigiani decisero, dopo una riunione segreta tenuta presso una famiglia di via Nuova, di trasferirsi in case più sicure, senza dire quali.
Revel (il responsabile di zona del CLN) mandò quindi la segnalazione che l’indomani ci sarebbe stato un rastrellamento nella “Zona de’ Palazôñ”.
I partigiani Antonio Montanari, Aurelio Tarroni, Alfredo Ballotta, per maggior precauzione, avevano prelevato dei disertori russi (nove), già scappati dai tedeschi, e prima nascosti a “Casa Lanconelli”, li avevano trasferiti in località Passetto, oltre la strada Reale, e sistemati in un rifugio.
Poi, gli stessi, erano tornati indietro, avevano riposto le armi in un posto sicuro ed erano andati a dormire nella stalla di “Casa Lanconelli”, che consideravano fuori dalla zona pericolosa, dove si trovava anche un prigioniero slavo Repar Janez, di cui non sapevano, e altra gente sfollata.
Il capo della provincia di Ravenna, il dottor Franco Bogazzi, dispose un’operazione di polizia nella zona compresa tra i comuni di Fusignano e Alfonsine. Ordinò che carabinieri, guardie repubblicane, alpini e soldati tedeschi ai comandi del tenente colonnello Ansalone Ferdinando, comandante il gruppo dei carabinieri, e di un ufficiale tedesco si recassero ad eseguire un rastrellamento in quella zona poiché vi era stata segnalata la presenza di partigiani, renitenti di leva e disertori.
La delazione delimitava anche la località, Palazzone e Zanchetta.
Il questore Neri Arturo inviò anche un nucleo di agenti di pubblica sicurezza. Dopodiché, insieme al maresciallo Di Russo Stefano, si recò a Fusignano a bordo di una Fiat 1100.
Non vi presero parte gli agenti di pubblica sicurezza perché arrivarono in ritardo. Ad eseguirlo, sotto il comando dell’ufficiale tedesco dipendente dall’”ArmeeAbteilung von Zangen”, furono dieci militari tedeschi, numerosi militi della GNR e alpini portati sul posto con autocorriere e autocarri. Ridolfi Giulio era l’autista di uno degli autocarri e come gli altri si recò presso i vari presidi della GNR per caricare alcuni militi. Questi furono tutti raccolti a Lugo e da qui avviati a Fusignano per eseguire il rastrellamento. Calderoni Giuseppe faceva parte di un gruppo di militi giovani, al comando di un caporale. Questa squadra non partecipò al rastrellamento ma si fermò alle prime case del paese mentre l’azione contro i partigiani fu condotta da tedeschi, militi anziani ed alpini. I giovani furono fatti avvicinare a rastrellamento finito.
Ulisse Ballotta, era a circa 500 metri dalla casa dove era nascosto un gruppo di partigiani, tra i quali il fratello Alfredo, quando vide una colonna di macchine che trasportavano militari tedeschi e fascisti. Si nascose in un fosso.
Era ormai l’alba del 23 aprile: una corriera blu, di quelle da trasporto civili, seguita da due camion arrivò per la strada d’argine del canale di Fusignano.
La corriera e il primo camion, con i tedeschi e un cannoncino da campo, fecero un largo giro, il secondo s’infilò deciso per una carraia che portava alla Zanchetta, alle vicine case ‘Baratoni’ e ‘Lanconelli’, case agricole con stalla che restavano sotto il comune di Alfonsine, seppur al limite.
Le brigate nere irruppero nella stalla di casa Lanconelli
Alfredo Ballotta scappò ma fu ucciso nella campagna, Tarroni fu ferito a una spalla, tutti gli altri furono tratti come prigionieri e legati nel cortile. Tarroni, arrestato con alcuni documenti compromettenti indosso. Secondo la testimonianza di Antonio Montanari che era con lui e che si salvò miracolosamente, venne sottoposto a tortura: gli bruciano i piedi e lo calarono su e giù nel pozzo con una corda, volevano informazioni sul movimento partigiano. Passò il tempo ma inutilmente perché Tarroni non parlava, allora presero tutti gli uomini e partirono per il Palazzone, dove certamente la corriera e l’altro camion erano già arrivati.
Montanari Antonio e i Lanconelli furono tradotti alle carceri di Lugo.
Al ‘Palazzone’ (casa Zalambani) i partigiani e coloni, assediati e minacciati dal fuoco appiccato ai fienili, si difesero con le poche armi leggere per diverse ore.
Così la questura di Ravenna ricostruisce le dinamiche del rastrellamento in una relazione stilata il medesimo giorno:
“Stamane in località Palazzone del comune di Fusignano è stata eseguita azione di polizia con il concorso di alcuni militari germanici per catturare gruppi di partigiani e comunisti della brigata Garibaldi che dopo le azioni di rastrellamento svoltesi nelle limitrofe province si erano infiltrati in questa. In seguito ad azione di fuoco tre partigiani sono stati uccisi in conflitto e due feriti e catturati unitamente ad altri due arresisi incolumi. Questi ultimi quattro insieme al colono che li aveva favoriti sono stati passati per le armi sul posto.” (ndr. il colono Zalambani fu portato a Ravenna con Tarroni e lo slavo Repar e lì presso il cimitero tutti e tre vennero fucilati).
“Contemporaneamente veniva eseguita un’altra azione in località Fiumazzo del comune di Alfonsine dove venivano ucciso in un conflitto un comunista ed altro ferito, non ché [sic] catturato certo Repar Giovanni (ndr. Janez) nato a Stugenez (Lubiana) fuggito da un campo di concentramento della provincia di Arezzo, senza alcuna perdita da parte delle forze operanti. Tanto il ferito che lo slavo Repar venivano passati per le armi”
[…] Dopo l’eccidio, che in tutto costò 11 vittime fra i resistenti, le due fattorie coinvolte furono saccheggiate di ogni bene e date alle fiamme dai fascisti, insieme alle stalle ed a tutte le vigne del campo, gli animali della stalla venduti, e la famiglia Zalambani messa in miseria.
La strage impressionò considerevolmente non solo la popolazione ma anche l’organizzazione partigiana. Bulow non riusciva a spiegarsi come fosse potuto accadere. Tutti erano infatti stati avvertiti del rastrellamento. […]
(a cura di) Luciano Lucci, Il 23 aprile 1944 è la data l’eccidio della ‘Zanchetta’ (2 partigiani e un prigioniero slavo disertore) e del Palazzone (8 partigiani), Alfonsine

Immediatamente dopo la scadenza dell’«avviso agli sbandati», il 28 maggio 1944, il questore Neri afferma che il permanere di una situazione delicata la rende «meritevole di una energica azione che è in via di apprestamento avendo ricevuto rinforzi. Tale azione ha lo scopo di epurare la provincia da un centinaio o poco più di partigiani infiltrati in essa e che operano, in piccoli gruppi, commettendo azioni delittuose e da qualche elemento comunista d’azione che a tradimento, o arrivando all’improvviso in bicicletta alle spalle della vittime o tendendo agguati ai margini delle strade, aggrediscono con armi gerarchi e gregari fascisti nonché GNR (militi e carabinieri)».
Dopo che alle ore 5.30 del 31 maggio dalla Caserma Gorizia di Ravenna è partito per la Germania un reparto Auffauglager 1° Ravenna – Concentramento 1° Ravenna, composto di circa 300 militari italiani, «la notte sul 1° giugno forze di polizia con il concorso di un plotone germanico della Doellefeld eseguono contemporaneamente operazione di rastrellamento in tre zone di questa provincia ritenute infestate da partigiani e comunisti».
Neri conclude la relazione citata sottolineando che «i rapporti fra fascisti ed avversari vanno sempre più inasprendosi [e che] per l’intensificarsi di azioni delittuose da parte di ribelli e comunisti fanno necessariamente riscontro dure e violente contromisure da parte delle forze di polizia».
All’interno di questo scenario, il mattino del 1° giugno all’1.30, un reparto di 100 uomini e 4 ufficiali del battaglione di formazione di stanza a Faenza si reca a Conselice per procedere ad un rastrellamento. A tale operazione partecipano, da nord, un reparto germanico e uno della GNR della compagnia OP di Ferrara e, da nord-est, la compagnia dislocata a Conselice con un reparto della compagnia OP di Ravenna e uno dell’esercito repubblicano. Tutte le truppe sono agli ordini del tenente colonnello Cantucci Ercole.
Il rastrellamento procede attraverso l’accurato accerchiamento della zona fino alle 09.00 quando è raggiunto l’obiettivo fissato a Villa Serraglio. Complessivamente sono arrestate diciotto persone in parte renitenti. Non si è trattato infatti di un rastrellamento di civili da spedire in Germania ma di renitenti e «ribelli». Nel corso delle operazioni, nelle vicinanze di Cà Bastia, si rinviene un rifugio di m. 4×3 che certamente serve a dare ricovero ai «banditi». Prima di rientrare le truppe partecipanti si riuniscono per ascoltare gli ordini di un ufficiale tedesco e quindi di un ufficiale italiano che spiegano loro i motivi e i risultati del rastrellamento e anche come saranno trattati coloro che sono stati catturati e trovati in possesso di armi.
Esaminata la posizione delle diciotto persone, dodici sono rilasciate per non aver obblighi di leva e per non accertata attività sospetta, mentre cinque (Miscellani Giuseppe 1916, Fabbri Libero 1917, Taglioni Elio 1917, Gaudenzi Adelmo 1917 e Ancarani Iolando 1924) sono messe a disposizione del tribunale militare regionale poiché le prime quattro sono renitenti e la quinta disertore.
Resta Brini Luigi. Costui è stato trovato in possesso di un’arma e «a norma delle disposizioni vigenti» è passato per le armi vicino al cimitero di Conselice.
Durante il rastrellamento però sono già stati uccisi altri tre giovani.
Nella notte, infatti, Arnoffi Adriano di Giovecca, che sta dormendo con altri due ragazzi nella cascina del colono Tabannelli, si accorge dell’arrivo dei militi solo quando stanno salendo sulla scala di legno addossata alla cascina. I tre ragazzi sparano alcuni colpi e appiccano il fuoco alla cascina nel tentativo di coprire la fuga verso l’argine. Inseguiti, l’Arnoffi è raggiunto da un colpo e un suo compagno ferito.
Altrove vengono uccisi Barboncini Addone e Cacopardo Angelo. Quest’ultimo, renitente siciliano ospitato da una famiglia di contadini, è freddato dietro l’argine del fiume Santerno. Il suo corpo è abbandonato sul posto, ma alcune donne intervengono, ne ricompongono i resti per dargli una degna sepoltura.
Le autorità fasciste daranno notizia di queste uccisioni separatamente facendo pensare che si trattino di omicidi isolati mentre quelle tedesche, facenti capo al generalkommando Witthöft, sintetizzeranno nel rapporto sugli esiti del rastrellamento: «4 morti, 13 feriti, requisito un magazzino di provviste».
[…] Estremi e Note sui procedimenti:
28/05/1946. Con sentenza 24.10.1946 la Suprema Corte di Cassazione annulla la suddetta sentenza e rinvia il giudizio alla Corte d’Assise sez speciale di Bologna.
Renier Raniero, imputato della cattura e uccisione di Luigi Brini, è condannato a 24 anni di reclusione e a 3 di libertà vigilata con sentenza del 2/07/1946. Con Sentenza 30/05/1947 la Corte di Cassazione annulla e rinvia alla Corte d’Assise speciale di Bologna.
Ferretti Guglielmo, imputato di aver partecipato al rastrellamento del 1° giugno, è condannato a 15 anni di reclusione con sentenza del 22/10/1946. Con sentenza del 10/05/1947 la Corte di Cassazione annulla e rinvia alla Corte d’Assise speciale di Modena.
Franti Luigi, imputato per il rastrellamento del 1° giugno, è condannato a 5 anni di reclusione con sentenza del 20/11/1945. Con Sentenza 27/08/1946 la Corte di Cassazione dichiara estinto il reato per amnistia.
Renier Mario, imputato di aver partecipato al rastrellamento del 1° giugno e all’uccisione di Brini, è condannato alla pena capitale mediante fucilazione alla schiena con sentenza del 5/03/1947.
[…] Monumenti/Cippi/Lapidi:
Cippo presso le mura del cimitero di Conselice.
Cippo sull’argine nord del fiume Senio vicino a Passo Gatto.
Cippo in via Lombardina di San Bernardino.
[…] Bibliografia:
P. Scalini, La notte più buia é prima dell’alba (Ravenna 1944-1945), Galeati, Imola, 1975, pp. 107-108.
A. F. Babini, Giovecca, anche qui è nata la Resistenza, Comitato Antifascista Giovecca, Bologna, aprile 1980, pp. 286, 288.
G. Casadio La memoria della Resistenza nelle iscrizioni dei cippi, lapidi e monumenti della provincia di Ravenna, Longo Editore, Ravenna, 1995, vol. 2, pp. 121, 192, 195.
E. Cavina, Crimini di guerra e violenza nazifascista nella provincia di Ravenna tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, tesi di dottorato di ricerca in Storia e Informatica – XVI Ciclo, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, a.a. 2003-2004, seconda parte pp. 30-31, p. 90.
[…] Fonti archivistiche:
ACS, AF, RSI, GNR, AG, b. 40, fasc. 4 Categoria B5, 81° Legione Ravenna, rapporto del 3 giugno 1944 dell’UPI del comando provinciale di Ravenna della GNR; MI, DGPS, DAG, AG, RSI, b. 6, fasc. 52, relazione del 28 maggio 1944 della questura di Ravenna; relazione del 4 giugno 1944 della questura di Ravenna; b. 25 K1B movimento comunista, fasc. 36 Ravenna, segnalazione del 2 giugno della prefettura di Ravenna ASRA, GQ, Categoria A1, b. 3, fasc. Timisani Guglielmo, verbale di interrogatorio del 24 agosto 1945 di Timisani Guglielmo; b. 8, fasc. Avveduti Bartolomeo, verbale dell’interrogatorio del 26 agosto 1945 di Bertuzzi Clotilde. ATRA, Sentenze Csa e Ca Sez. Speciale 1945-1947, sent. 28/05/46 n. 94, a carico di Garotti Dino; sent. del 2/07/1946 n. 107, a carico di Renier Raniero; sent. del 22/10/1946 n. 154, a carico di Ferretti Guglielmo; sent. del 20/11/1945 n. 161, a carico di Franti Luigi; sent. del 5/03/1947 n. 208, a carico Renier Mario; BA-MA, RH 24-73/8b. AANPIRA, schedario dei caduti della provincia di Ravenna.
(a cura di) Enrica Cavina, Episodio di Conselice, 01.06.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia (VI. CREDITS Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Ravenna e Provincia. Database di Carlo Gentile)

Certificato di morte di Cesare Gaiba – Fonte: Memorie Resistenti cit. infra

Cesare Gaiba (Diego), figlio di Eloiso e di Rosa Gamberini, nato il 30 maggio 1921 a Conselice e ivi residente, in località Borgo Serraglio. Scolarità licenza elementare, professione barbiere. Svolse prima il servizio militare in aeronautica, poi da partigiano fece parte della 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini”. Riconosciuto partigiano dal 29 settembre 1943 al 10 settembre 1944.
La sera del 10 settembre 1944 Giovanni Quarantini, Cesare Gaiba, Pio Farina ed Egidio Totti si trovavano nel nascondiglio della tipografia clandestina n.2, situata in località “Basse” a Villa Serraglio, nei pressi di Massa Lombarda, occupati a preparare la stampa del materiale di propaganda. Contemporaneamente, in un frutteto vicino, era riunito da poco più di un’ora il comando del gruppo partigiano “Umberto Ricci”, per definire gli ultimi accordi organizzativi in vista dell’attacco alla caserma locale della G.N.R. previsto per quella notte stessa, quando sopraggiunse un battaglione di tedeschi al completo, che accerchiò l’intera zona per compiere un rastrellamento. La Kommandantur intendeva infatti mettere in atto un’azione punitiva perché in quel pomeriggio nel medesimo luogo un ufficiale della Wehrmacht era stato disarmato.
I gappisti, vistisi circondati, cercarono di defilarsi alla spicciolata, senza rispondere apertamente al fuoco, ma il tentativo di rompere comunque l’accerchiamento, seppur in un punto marginale, portò allo scontro, durante il quale uno di loro (“Giorgio”, il russo Dimitri Ilic Pristanskov) fu subito colpito a morte da una fucilata, poi vennero feriti uno dopo l’altro quasi tutti i restanti: da una raffica di mitra al petto “Picett” (Dario Negrini), trascinato e nascosto dai compagni in un campo di granoturco, “Snap” (Ivo Ricci Maccarini, il commissario dei gapisti) da una pallottola alla coscia, quindi “Elic” (Silvio Pasi). Comunque tutti loro, compresi “Lampo” (Hidalgo Tampieri), Giannetto Bassi e Rocca, cioè l’intero stato maggiore del distaccamento partigiano “Umberto Ricci”, riuscirono a trascinarsi in salvo, facendo perdere le loro tracce, salvo il russo Ivan Grigorievic Diegnisov, che fu fatto prigioniero.
I quattro stampatori clandestini, invece, uscirono dal loro rifugio forse per intervenire in aiuto dei compagni, sicuramente per distogliere l’attenzione dei tedeschi dalla tipografia e salvare l’istallazione con tutto il materiale. Furono detenuti prima nel carcere mandamentale della Rocca di Imola (BO), poi trasferiti a San Giovanni in Monte, a Bologna, il 23 settembre 1944. Cesare Gaiba riceve la matricola 11932, e come gli altri è posto a disposizione del «comando tedesco SS», ovvero della Gestapo.
Vi resterà fino al 30 settembre, data in cui risulta rilasciato e consegnato ad agenti del «comando tedesco SS» insieme agli altri 3 conselicesi e ad altri sette detenuti: Giuseppe Pistocchi e Salvatore Bagattoni, Mario Suprani, Alfredo Ruggeri, Gualtiero Santi, Bruno e Remo Mazzoni, Ernesto Belletti. Saranno condotti al Poligono di tiro di Bologna e fucilati in una esecuzione decisa dal comando di polizia tedesco come rappresaglia per l’attacco gappista avvenuta il giorno precedente al centralissimo Hotel Baglioni, frequentato da ufficiali tedeschi e italiani.
Il 3 ottobre 1944 nella cronaca di Bologna de Il Resto del Carlino compare un comunicato, senza alcun nome delle vittime.
“Banditi fucilati per un atto terroristico. Il Comandante della Polizia di Sicurezza e del SD in Italia, Comando Esterno di Bologna, rende noto: Nella notte del 30 settembre quarantaquattro terroristi hanno effettuato un vile attacco contro un albergo di Bologna uccidendo un soldato tedesco, due agenti della Polizia ausiliaria e una donna italiana e ferendo tedeschi e italiani. Come contromisura sono stati fucilati dodici individui, rei e confessi di aver appartenuto a bande sovversive e terroristiche. Anche in avvenire, qualora si verificassero tali proditori attacchi, saranno prese le stesse misure espiative”.
Bibliografia
Sei pedalate per un volantino. La stampa clandestina in Romagna-1943/1945, Ed. ANPI “F.Zini” 2006
Rizieri Fuzzi – Olindo Davalle (a cura di), I percorsi della memoria, ANPI Conselice e Lavezzola, 2015
Redazione, Cesare Gaiba (Diego), Storia e Memoria Bassa Romagna

Alcune delle testate stampate nella tipografia n. 1 di Conselice – Fonte: Memorie Resistenti cit. infra

Tra le vittime della fucilazione avvenuta al poligono di Tiro di Bologna il 30 settembre del 1944 dobbiamo annoverare anche quattro giovani partigiani di Conselice, nel ravennate, impegnati nel lavoro di stampa clandestina dei quotidiani e dei volantini antifascisti, che fecero da controinformazione durante la Resistenza: Cesare Gaiba, Pio Farina, Giovanni Quarantini ed Egidio Totti.
Tutti nativi di Conselice, questi ragazzi avevano un’età compresa tra i trent’anni dei due più “vecchi” (Quarantini e Totti) e i vent’anni dei più giovani, Gaiba del ’21 e Farina del ’22. Erano ancora tutti senza una famiglia propria; Gaiba era un barbiere, Quarantini faceva il muratore, Farina l’operaio, Totti era un contadino; appartenevano alla divisione GAP di Ravenna ed erano partigiani combattenti addetti alla “pedalina”-la macchina tipografica-. Occorrevano forze e resistenza per farla funzionare: sei colpi di pedale per ogni pagina da stampare (perciò la macchina era chiamata “pedalina”), ripetuti per le diverse migliaia di copie da tirare, lavorando in condizioni proibitive, tra l’acqua e il fango, dal tramonto all’alba, due di guardia fuori dal rifugio, gli altri dentro a pedalare a turno e a pompare fuori l’acqua che invadeva i locali.
Con ogni probabilità condivise sostanzialmente la loro sorte, anche un soldato russo dell’armata rossa, unitosi ai partigiani della zona dopo la sua fuga dal campo di concentramento di Fossoli : Ivan Grigorievic Diegnisov (o Denisov – come risulta sulla matricola del carcere), che fu arrestato insieme a loro, rinchiuso nel carcere mandamentale della Rocca di Imola, poi trasferito con loro a Bologna, a San Giovanni in Monte, ma che fu giustiziato qualche giorno prima, il 25 settembre del ‘44.
[…] La piccola cittadina di Conselice, in provincia di Ravenna, ebbe un ruolo cruciale negli anni tra il 1943 e il ’45 poiché divenne uno dei centri di stampa clandestina più importanti della nostra regione, pubblicando e distribuendo centinaia di migliaia di copie di giornali e volantini non solo in provincia di Ravenna, ma anche, a seconda delle necessità, a Forlì, Ferrara, perfino Bologna e nell’assicurare i mezzi e le condizioni per realizzare la stampa e la diffusione di alcune testate clandestine, a partire dall’ Unità, l’ Avanti, La voce repubblicana, Noi Donne, tra le più conosciute, ma anche giornali di minor fama, tuttavia importanti per la controinformazione, come La Lotta, Il Garibaldino, Il combattente –organo del CUMER, Fronte Interno e Terra e Lavoro, con tirature medie sulle 2000/3000 copie, in più curando la diffusione dei volantini e dei manifestini, che potevano toccare anche le 180.000 copie.
Così far uscire giornali e volantini ed in ultimo assicurarne la diffusione divenne altrettanto pericoloso e in grado di mettere a repentaglio la propria vita quanto la lotta armata.
Fu nel settembre del ’43 che “Marcello”(Giorgio Rocca) ed Enio Cervellati decisero di stabilire a Conselice l’attività di stampa, facendovi trasportare da Guido Buscaroli, nascosta nel suo camioncino, una macchina in disuso recuperata da una tipografia di Imola. Il falegname Aldo Venturini rifece il cassone e Giovanni Felicetti risistemò le parti meccaniche.
La macchina, ripristinata nelle funzioni, fu situata nella abitazione della famiglia di Aristodemo Sangiorgi, in via Benelli, nel comune di Medicina, in un nascondiglio presso il fiume Sillaro, scavato nell’argine, dove fu stampato uscì il primo numero clandestino dell’Unità, in 3000 copie, ai primi di novembre 1943. Responsabile della redazione fu Medardo Merli, “Walter”, delle brigate di “Giustizia e Libertà”, evaso dal carcere militare di Bologna e riparato a Conselice il 10 agosto 1943. A scrivere furono in tanti, ma chi se ne occupò di più e per più tempo fu Giuseppe D’Alema, “Alberto”, che ebbe questo incarico dal Comando Partigiano di Ravenna e fu mandato appositamente a Conselice, dove rimase quasi ininterrottamente fino al ’45.
Dal marzo ’44 la tipografia subì una serie di ricollocamenti finché non fu posizionata presso la famiglia Ricci Petitoni, di nuovo sulle rive del Sillaro, e continuò a pubblicare i giornali; nel frattempo però se ne realizzò un’altra, la seconda, quella di Villa Serraglio, che si specializzò in volantini e materiale di propaganda e funzionò dall’aprile al settembre ’44, quando fu trasferita di nuovo.
9.3.3. Le circostanze della cattura
La sera del 10 settembre 1944 Giovanni Quarantini, Cesare Gaiba, Pio Farina ed Egidio Totti si trovavano appunto nel nascondiglio della tipografia clandestina n.2, situata in località “Basse” a Villa Serraglio, nei pressi di Massalombarda, occupati a preparare la stampa del materiale di propaganda, come al solito. Contemporaneamente, in un frutteto vicino, era riunito da poco più di un’ora il comando del gruppo partigiano “Umberto Ricci”, per definire gli ultimi accordi organizzativi in vista dell’attacco alla caserma locale della G.N.R. previsto per quella notte stessa, quando sopraggiunse un battaglione di tedeschi al completo, che accerchiò l’intera zona per compiere un rastrellamento. La Kommandantur intendeva infatti mettere in atto un’azione punitiva e di rivincita perché in quel pomeriggio nel medesimo luogo un ufficiale della Wehrmacht era stato disarmato.
I gappisti, vistisi circondati da un numero esorbitante di nemici, cercarono di defilarsi alla spicciolata, senza rispondere apertamente al fuoco, ma il tentativo di rompere comunque l’accerchiamento, seppur in un punto marginale, portò allo scontro, durante il quale uno di loro (“Giorgio”, il russo Dimitri Ilic Pristanskov) fu subito colpito a morte da una fucilata, poi vennero feriti uno dopo l’altro quasi tutti i restanti: da una raffica di mitra al petto “Picett” (Dario Negrini), trascinato e nascosto dai compagni in un campo di granoturco, “Snap” (Ivo Ricci Maccarini, il commissario dei gapisti) da una pallottola alla coscia, quindi “Elic” (Silvio Pasi). Comunque tutti loro, compresi “Lampo” (Hidalgo Tampieri), Giannetto Bassi e Rocca, cioè l’intero stato maggiore del distaccamento partigiano “Umberto Ricci”, riuscirono a trascinarsi in salvo, facendo perdere le loro tracce, salvo il russo Ivan Grigorievic Diegnisov, che fu fatto prigioniero.
I quattro stampatori clandestini, invece, uscirono dal loro rifugio forse per intervenire in aiuto dei compagni, sicuramente per distogliere l’attenzione dei tedeschi dalla tipografia e salvare l’istallazione con tutto il materiale. Furono catturati tutti quanti ed insieme al russo Ivan Diegnisov prima vennero incarcerati ad Imola, poi trasferiti a San Giovanni in Monte, a Bologna, il 23 settembre 1944.
Da lì i quattro partigiani-tipografi saranno prelevati il 30 settembre 1944 e fucilati al Poligono di Tiro con altri sei detenuti del carcere bolognese, mediante il solito meccanismo del finto rilascio, con affidamento al comando tedesco delle S.S. Il russo Diegnisov, invece, risulta prelevato dal carcere in data precedente, il 25 settembre, giorno in cui presumibilmente fu fucilato anch’egli al Poligono di via Agucchi.
Il giovane russo, originario della zona di Celiabinsk, anch’egli poco più che ventenne, era stato fatto prigioniero dai tedeschi nella sua terra ed era giunto in Italia al seguito delle truppe tedesche, che lo avevano rinchiuso a Fossoli con altri militari sovietici catturati. Dopo l’8 settembre, con altri commilitoni russi era fuggito dal campo di concentramento e si era aggregato ai partigiani organizzati dal CNL di Conselice, prima combattendo nell’ 8ª Brigata Romagna, poi in pianura nella 28ª Brigata Garibaldi, distaccamento “Umberto Ricci”.
Non fu fucilato ad Imola, come si è creduto fin qui, ma con ogni probabilità a Bologna, ed il suo corpo, altrettanto probabilmente, deve essere ricercato tra quelli non identificati, alcuni russi, oggi custoditi nell’Ossario dei Caduti della Resistenza alla Certosa di Bologna. Nello specifico, noi riteniamo che le sue spoglie vadano identificate con quelle dello “sconosciuto russo”, unico tra gli sconosciuti russi a riportare sulla lapide la data 26-9-1944, quando probabilmente il suo corpo venne trovato dopo l’esecuzione, anticipata di quattro giorni rispetto alla data di morte dei quattro tipografi catturati a Conselice assieme a lui.
A comprovare il suo arresto e la sua uscita anticipata (rispetto ai quattro tipografi) dal carcere di San Giovanni in Monte al 25-9-1944, abbiamo la foto parziale della sua matricola di ingresso e di uscita dal carcere, parziale perchè la foto era incentrata su un altro nome, italiano, non sul suo, che peraltro è riportato in modo semplificato rispetto alla scrittura russa più corretta. Pubblichiamo comunque qua, sotto la sua foto, il documento, anche se incompleto.
Bibliografia e sitografia:
–I percorsi della memoria– a cura di F.Rizieri e O.Davalle ed. ANPI Conselice e Lavezzola
–Sei pedalate per un volantino.La stampa clandestina in Romagna-1943/1945.Ed. ANPI “F.Zini” 2006.
-matricole del carcere di San Giovanni in Monte di Bologna.
Redazione, I quattro tipografi di Conselice, Memorie Resistenti

Che Luigi Franti fosse fascista da sempre non c’erano dubbi. Iscritto dal 1936, nella Milizia dal 1938. L’armistizio lo aveva sorpreso in Slovenia ed egli non era riuscito a sfuggire alla consueta alternativa posta dai tedeschi. Scelse l’Italia a costo di combattere per una causa che ormai considerava persa. Una breve licenza e poi in divisa della GNR vicino a casa, a Cotignola. Lui era di Massalombarda, nato nel 1914 da Augusto e da Teresa Rubbi. Di guerra n’aveva fatta tanta e se proprio doveva continuare a farla, tanto valeva fingere di combattere nei luoghi natii. E così, quando fu mandato a Venezia, scattò la molla giusta. Prima la fuga, poi in ospedale e da ultimo, nel settembre del 1944, la diserzione verso la Toscana più prossima alla Romagna, nel fiorentino, già liberato dagli alleati. In pace, finalmente. Ma, dopo 13 mesi, nell’ottobre del 1945 fu arrestato con l’accusa di collaborazionismo e di partecipazione ad un omicidio. Era successo che al tempo del servizio a Venezia ottenesse una licenza. Una breve licenza, solo 24 ore. E il Nostro, a costo di passarle tutte in viaggio, aveva puntato verso Massalombarda, ove giunse il 31 maggio ‘44. Ma abbracci e baci furono tosto interrotti da un perentorio ordine del Capo delle Brigate Nere locali: all’alba dell’indomani presentarsi alla Casa del Fascio per un’operazione urgente, che richiedeva molto personale.
Non si accettarono scuse. Ah, se fosse rimasto in Laguna! E, alle cinque del mattino del 1° giugno (nelle carte, 1 maggio), partenza per Conselice. Giunto sul luogo dell’appuntamento, il Franti chiese al comandante delle operazioni, il Colonnello Santucci, di essere esonerato.
“Taci, lavativo”, fu la risposta. Inutile anche il tentativo di ottenere un incarico defilato, lontano dal rastrellamento, magari ad un posto di blocco. Gli toccò la guardia ad un ponte, distante circa un chilometro dal cimitero. A fine giornata furono catturati alcuni uomini, subito spediti al Carcere di Ravenna. Ma non mancò il morto, un giovane fucilato presso il locale cimitero, colpevole di detenere una pistola. Si chiamava Luigi Brini (classe 1919).
La responsabilità del Nostro era modesta, ma la partecipazione ad un’azione complessa di polizia richiedeva necessariamente diverse mansioni per raggiungere gli scopi. Attenuanti sì, ma nessuna innocenza. Cinque anni invece di dieci, visto anche la sua successiva diserzione.
Sentenza in data 20-11-45, cancellata dopo 9 mesi dalla Cassazione.
Che brutta licenza!
Elios AndreiniSaturno Carnoli, Camicie Nere di Ravenna e Romagna tra oblio e castigo, Edizioni Artestampa, 2006, p. 122

La manifestazione del 17 ottobre 1945, a un anno dall’eccidio – Fonte: Patria Indipendente cit. infra

Da questo momento Giuseppe Baffè, detto Pippo, fa una scelta importante di vita: abbraccia con determinazione la causa dell’antifascismo militante. Nonostante la sorveglianza dei carabinieri e dei fascisti, riesce a tessere una tela di rapporti clandestini con altri antifascisti che si estende anche ai paesi vicini: Conselice, Lavezzola, Cà di Lugo, Voltana, Lugo ecc.
Nel 1925 ospiterà nella sua casa tutta la documentazione della federazione provinciale del PCdI. Nell’agosto del 1927 viene arrestato una seconda volta
[…] E così si giunge a quel tragico 17 ottobre 1944 quando alle 5,30 del mattino i fascisti conducono i tedeschi delle SS alla casa dei Bafè, la circondano e vi penetrano dentro: saccheggiano, picchiano gli uomini e li radunano nel cortile. Pippo Baffè, ignaro di quanto sta accadendo (dormiva lontano da casa), si avvicina alla casa, viene catturato e portato assieme agli altri in un palazzo al centro del paese dove vengono imprigionati e “interrogati” per ore.
Nel frattempo alla distanza di un chilometro dalla casa dei Bafè avviene uno scontro a fuoco fra alcuni partigiani e un tedesco che rimane ucciso assieme a un partigiano (Gastone Scardovi “Lampo”). Questo sarà il pretesto “ufficiale” per compiere la strage che alle 11 della mattina si compirà nel cortile della casa, dopo che i prigionieri erano stati portati sul posto.
Tutti gli uomini e le donne saranno uccisi e poi buttati dentro la casa fatta saltare con il brillamento di alcune mine. Oltre ai membri della famiglia Bafè saranno uccisi anche uomini e giovani che erano in quella casa per lavorare ed estranei all’attività di Pippo Bafè. Sarà uccisa anche la figlia Lalla di 24 anni che era corsa per incontrare il padre pur avendo la possibilità di salvarsi non abitando in quella casa. Oltre ai Bafè saranno uccisi anche i membri della famiglia Foletti che avevano come unica colpa quella di abitare in una casa di fronte, al di là della strada.
In tutto i martiri saranno 22.
Pochi giorni dopo i carnefici fascisti alla notizia della liberazione di Cervia (distante meno di 50 chilometri) fuggiranno di nuovo da Massa Lombarda per non tornare mai più.
Uno dei più feroci fascisti locali che aveva partecipato all’eccidio (Mario Renier) e aveva posto nella casa il cartello: “Qui viveva una famiglia di partigiani e assassini”, nel dopoguerra sarà processato, condannato a morte ma poi amnistiato.
Finirà i suoi giorni in Sardegna dove aveva insegnato per anni in una scuola media…
Mauro Remondini, Quando fascisti e nazisti massacrarono 22 persone, Patria Indipendente, ottobre 2013

Marzo 1944. Giorno imprecisato. Il dottore visitò un paziente con le costole fratturate dal Timoncini. Si trattava di Domenico Minganti, che, uscendo verso le 20, 30 da un bar della piazza, fu indicato da un gruppo di fascisti, tra cui il Renier, e condotto in Municipio per la solita cura.
1° aprile 1944. Dopo mezzanotte la famiglia Dosi ricevette la visita di Marcello Marconi e padre. Volevano Antonio, assente, e la moglie fu obbligata a svelare il luogo in cui si era rifugiato.
Al mattino Antonio fu sorpreso dal Marconi e dal Renier in località “Tagliata”. Fu arrestato, con il solo scopo di indurre a presentarsi il figlio Lino e Edmondo Melandri. Il Renier, per incutergli terrore, sparò un colpo in aria. Alla fine, Antonio fu rilasciato per l’intervento di un altro brigatista, tale Pazzi.
3 maggio 1944. Rastrellamento di Conselice. Un milite, Gino Franti, in istruttoria aveva posto il Renier tra i presenti. L’imputato si difese con due argomenti. In quel periodo si sarebbe trovato alla Rocca delle Caminate, presso la Legione M “Guardia del Duce”; il camerata si sarà confuso con il fratello Raniero. La Corte sospese il giudizio, anche perché l’accusatore non si presentò in aula.
21 agosto 1944. Una storia in parte narrata. La coppia Renier-Timoncini incrociò alla periferia di Massalombarda, alle ore 19, Degasio Mazzolani. Questi fu condotto per una strada campestre fino ad un autocarro, che lo depositò presso la sede del fascio. Pestato a dovere, dopo un giorno fu rimesso sul camioncino, nascosto da una coperta, sul quale si trovava un altro prigioniero, sanguinante, tale Armando Ancarani di Conselice, accusato dell’uccisione del fascista Mongardi Ernesto e di avere un figlio tra i partigiani. Il gruppo raggiunse la Valle Campotto di Argenta. Il Degasio fu trattenuto con una pistola, mentre l’Ancarani, fuori dallo sguardo, veniva ucciso e gettato in una risaia. La Corte s’irritò molto con il teste Degasio, poiché aveva dichiarato falsamente d’essere incensurato. Tanto da mettere in discussione non solo la partecipazione degli imputati alla vicenda, ma anche la morte dell’Ancarani. Di pessimo gusto, visto che nell’Albo d’Oro dell’ANPI risulta che il ferroviere Armando Ancarani, classe 1895, fu ucciso il 23 agosto 1944, proprio nel luogo sopra indicato.
25 agosto 1944. Ore 2. I soliti due ed altri penetrarono nella casa di Lea Verati. Trasferimento in sede. Botte, vesti strappate. La donna fu denudata, seviziata con le sigarette. Le furono strappati i peli e alla fine i fascisti le infilarono una candela nel sedere. Accusa: comandare il movimento partigiano. La Lea trascorse poi 17 giorni nel Carcere di Ravenna, da dove, a seguito di un bombardamento, riuscì ad evadere.
26 agosto. Stessa ora. I due forzarono la porta di casa di Lanzoni Pompeo. Lo portarono in sede, dopo avere prelevato una fotografia del fratello Paride, ritenuto, a ragione, un partigiano. Botte anche a Pompeo.
In data imprecisata. In via Canalazzo 8 coabitavano più famiglie. Arrivarono i fascisti in cerca dei partigiani. Spari sopra le teste degli abitanti, costretti ad accompagnare le Camicie Nere in un rifugio distante cento metri. Esito negativo. Arresto di Sostiene Venturini e di Angelo Manaresi, malmenati a sangue dal Timoncini. Un provvidenziale bombardamento consentirà loro, pochi giorni dopo, di fuggire dal carcere. Se i due fecero il bilancio dei lividi e delle ferite, al processo, le donne del caseggiato (Agnese, Maria, Giovanna, Antonia) quantificarono il maltolto. Tredici biciclette, due pneumatici, un quintale di benzina, vari indumenti, lire 82mila.
Settembre 1944. Renier e Timoncini catturarono Aldo Battilani d’anni sedici, non avendo trovato il fratello Alberto d’anni 18 (teste, la madre, Tellarini Marietta). Pugni e calci al giovane, che riportò lesioni guarite in 15 giorni. Prima di lasciarlo, i fascisti trovarono modo di consolarlo: “Se avessimo trovato tuo fratello, lo avremmo ucciso”.
8 settembre 1944. Ore 16. Renier ed altri quattro a casa di Geminiani Luciano. Scopo dichiarato: cercare una salma nel podere. Di fatto, cercavano Luciano, assente, e ne arrestarono il padre, Tranquillo, trattenuto per sei giorni. Originale il sequestro: vestiti, libri ed una penna stilografica. Meno intellettuale la perquisizione di un mese dopo, che procurò una damigiana di vino ed alcune galline, uccise con il mitra! Con i Geminiani le Brigate Nere finirono il loro compito il 17 ottobre, con la cattura e la detenzione per tre giorni dello zio Cesare.
15 novembre 1944. Anche per i Battilani non era finita. Settimio in quel giorno stava dirigendosi in bicicletta verso l’Osteriola, sulla Strada S. Vitale, quando incrociò un autocarro con diversi militi, tra cui i nostri due. All’ingiunzione di fermarsi il Battilani si diede alla fuga, inseguito da spari. Riuscì a nascondersi (provvisoriamente) presso un’agente di campagna.
Non trovandolo, i brigatisti si accontentarono della sua bicicletta e di un suino del fattore, del peso di 120 Kg.
25 ottobre 1944. Verso sera. Renier, con una compagnia diversa, tale Giorgio Manaresi, decise di puntare in alto. Basta con i contadini! Con modi gentili, ma con le armi in mano, una pistola e un mitra, i due si presentarono al gerente dell’Ufficio Postale, il signor Francesco Ponsecchi. Causale della visita: sei mesi di stipendio per il personale delle Brigate Nere (un calcolo quasi perfetto sulla durata della guerra). Fuori il conto generale e il contante!
Poi, mentre il Renier se ne usciva per altra incombenza, il Manaresi prelevò lire 11.600, rilasciando una ricevuta in bianco. Il capo, nel frattempo, aveva raggiunto la Cassa di Risparmio. All’impiegata, Marisa Sapori, poche parole. Fuori tutto il denaro, per non lasciarlo in mano alleata. La donna, spaventata, dichiarò la propria incompetenza e chiamò in causa il titolare, Giuseppe Facchini, che però era sfollato a S. Agata Feltria (in collina, forse già liberato o sulla linea del fronte!). Ma i fascisti, che di solito fuggivano con l’avvicinarsi degli alleati, questa volta scelsero di andare incontro al pericolo. Due militi caricarono la donna e la portarono su in collina. Sennonché il titolare li giocò in accordo con la Sapori, cui consigliò di nascondere le cifre del conto rimanenze. E così, invece del milione e settecentomila lire a disposizione, il Renier si trovò in mano soltanto 100mila lire, estorsione legittimata con un timbro della Brigata Nera. Il suddetto timbro fu portato a discolpa dalla difesa.
Dal 10 agosto 1944, come più volte detto, i fascisti di Massalombarda si erano insediati nel palazzo di proprietà dell’Ammiraglio Pellegrino Matteucci. Stanze e magazzini furono saccheggiati, ma nessuna prova portava ai due imputati.
Elios AndreiniSaturno Carnoli, Op. cit., pp. 404-405

31 ottobre 43 – uccisione a Ravenna del partigiano Pino Ferranti
4 novembre 43 – assassinato dalle brigate nere di Faenza Ermenegildo Fagnocchi
12 novembre 43 – uccisione a Ravenna del partigiano Celso Strocchi
22 novembre 43 – fucilato a Ravenna dalle brigate nere Nino Cimatti
27 dicembre 43 – prelevato da casa e massacrato dai fascisti a Taglio Corelli di Alfonsine Antonio Pezzi 30 dicembre 43 – prelevato a Marradi e fucilato a Bologna dai tedeschi Arrigo Donatini
5 gennaio 44 – uccisione a Ravenna del Partigiano Dino Sintoni
7 gennaio 44 – fucilato presso le mura del cimitero di Ravenna Dino Ravaioli
14 gennaio 44 – fucilati a Forlì i partigiani Mario Gordini e Settimio Garavini
11 febbraio 44 – fucilazione di 3 patrioti presso le mu ra del cimitero di Faenza dalle brigate nere di Faenza Armando Marangoni, Romolo Cani, Livio Rossi
16 febbraio 44 – fucilato a Ravenna Menotti Cortesi 3 marzo 44 – fucilazione a Rimini di Franco Tassinari 20 marzo 44 – massacrati a Cervia 4 civili nel caffè Roma 20 marzo 44 – ucciso dai tedeschi Savioli Lidio a Lavezzola
23 marzo 44 – uccisi 2 giovani partigiani a Cervia il giorno dei funerali dei 4 assassinati al caffè Roma
5 aprile 44 – fucilazione a Verona di Aldo Celli
9 aprile 44 – trucidato un giovanissimo operaio a Fusignano
14 aprile 44 – ucciso dai nazifascisti a Lavezzola Gandolfi Giuseppe
23 aprile 44 – ucciso il partigiano Ballotta Alfredo in località Zanchetta di Alfonsine e altri 8 partigia- ni in località Palazzone di Alfonsine
24 aprile 44 – fucilato dai fascisti a Ravenna il partigiano Tarroni Aurelio e il partigiano Repar Janez a Ravenna
3 maggio 44 – fucilato a Ravenna Romolo Ricci
19 maggio 44 – uccisione di 3 civili a Massalombarda 10 giugno 44 – fucilazione di 3giovani a Giovecca 10 giugno 44 – ucciso dai nazifascisti a Lavezzola Picci Gino
17 giugno 44 – torturata a morte Leonilde Montanari di Solarolo
22 giugno 44 – trucidato l’antifascista Pietro Bartolotti di Mezzano.
29 giugno 44 – fucilati 8 civili a Piangipane
8 luglio 44 – ucciso a Ravenna Arnaldo Guerrini 11 luglio 44 – ucciso a San Bartolo Aristide Missiroli 12 luglio 44 – uccisione di 3 patrioti a Ravenna
16 luglio 44 – fucilazione di 3 patrioti a Crivellari di Riolo Terme
18 luglio 44 – torturato a morte e fucilato a Ravenna Walter Suzzi
19 luglio 44 – fucilati 3 antifascisti presso il cimitero di Bagnacavallo
27 luglio 44 – fucilato a Forlì dai tedeschi Pietro Fabbri 31 luglio 44 – fucilazione di 3 civili a Ravenna
10 agosto 44 – fucilazione di 5 patrioti a Conselice
11 agosto 44 – fucilazione di 10 patrioti a S. Maria in Fabriago
12 agosto 44 – fucilazione di 4 antifascisti a Rivalta di Faenza
13 agosto 44 – uccisione di 5 partigiani a Voltana 25 agosto 44 – impiccagione di Umberto Ricci e di Lina Vacchi e fucilazione di altri 10 patrioti al Ponte degli Allocchi (oggi ponte dei Martiri a Ravenna)
– impiccagione di 5 patrioti a Savarna
– fucilazione di 6 patrioti a Camerlona, di 3 operai a Filetto e di 2 a S. Alberto
26 agosto 44 – fucilati a Camerlona Giulio Lolli e Vincenzo Zanzi
27 agosto 44 – fucilazione di 3 antifascisti a Rossetta 1 settembre 44 – fucilazione di un partigiano a Russi
2 settembre 44 – impiccagione del partigiano Adriano Casadei a S.Zaccaria e di 9 patrioti a Ponte Felisio di Solarolo
3 settembre 44 – uccisione di 4 patrioti a Mulino Zaccarelli di Casola Valsenio
4 settembre 44 – fucilazione di 5 patrioti a Russi
5 settembre 44 – fucilazione di Vincenzo Lega presso l’aereoporto di Forlì
8 settembre 44 – impiccagione di 2 civili a Casemurate 9 settembre 44 – fucilati 2 contadini ed un impic cato a S. Savino di Fusignano
9 settembre 44 – impiccato Francesco Tarroni in Via Borse di Alfonsine
10 settembre 44 – fucilati dai nazifascismi Lorenzo Poggi e Teodosio Ferri a Moronico di Brisighella 12 settembre 44 – fucilato a Bolzano dai tedeschi Domenico Montevecchi
19 settembre 44 – assassinati nella propria abitazione padre e figlio Giovanni e Vincenzo Placci a Saldino di Faenza
25 settembre 44 – fucilazione di 5 civili a S.Stefano di Fognano
28 settembre 44 – fucilazione di 4 contadini a Casola Valsenio
4 ottobre 44 – assassinato dalle brigate nere di Faenza Bruno Bandini nei pressi di Tebano
6 ottobre 44 – fucilazione di 4 patrioti a Pergola di Faenza.
17 ottobre 44 – fucilate o arse vive 23 persone a Massalombarda fra partigiani, contadini e ostaggi, di cui 10 della famiglia Baffè e 4 della famiglia Foletti. 21 ottobre 44 – fucilati 2 partigiani a Cervia
22 ottobre 44 – nei giorni della liberazione sono state uccise a fucilate per rabbiosa vendetta 14 persone del comune di Cervia
25 ottobre 44 – fucilato “il Comandante del Distaccamento S. Garavini” Primo Bandini in Via Erbosa di S. Zaccaria
26 ottobre 44 – massacro di 7 partigiani e di 8 ragazzi sull’argine del Senio a Lugo
28 ottobre 44 – fucilato Guglielmo Miserocchi a S. Stefano
2 novembre 44 – fucilazione di 5 patrioti a Limissano di Riolo Terme
14 novembre 44 – fino al giorno 17, in tre riprese, sono state fucilate 53 persone a S.Pancrazio
17 novembre 44 – impiccati 3 patrioti sul ponte del Lamone a Villanova di Bagnacavallo
20 novembre 44 – fucilati 3 vigili del fuoco a Ravenna 27 dicembre 44 – massacro di 55 civili a Madonna Dell’Albero
2 dicembre 44 – il giorno prima della liberazione di Russi, su delazione, fascisti e tedeschi prelevano 2 partigiani del luogo, padre e figlia, e li portano via: i loro corpi non sono stati più ritrovati
23 dicembre 44 – 28 civili (donne, vecchi e bambini) a Masiera e 4 a Fusignano vengono massacrati dall’esplosione e dal crollo delle loro case minate nella notte dai tedeschi e fascisti
27 gennaio 1945 uccisa dai nazifascisti la partigiana Guerrini Claudia in via Mazzini di Alfonsine
10 aprile 45 – massacrate 29 persone dentro la Torre Civica di Solarolo.
A questi si aggiungono 5 dispersi di cui si è sapu to della avvenuta fucilazione ma i corpi non furono ritrovati: ALIETTI Giuseppe Ravenna, GIUNCHI Jader Ravenna, BATTELANI Agos Porto Fuori, MAGRINI Roberto Porto Fuori, MISEROCCHI Pietro Porto Fuori, TARRONI Andrea Alfonsine.
Redazione, Eccidi e stragi nazifasciste in provincia di Ravenna, IN Comune, Notiziario del Comune di Alfonsine, N. 3 2006

Certificato di morte di Pio Farina – Fonte: Memorie Resistenti cit. infra