Con gli ultimi anni del conflitto si ebbe il primo intervento organizzato del governo degli USA sul territorio italiano a fini di propaganda e di gestione della comunicazione

Nonostante organizzazioni poderose le forze politiche italiane, e le grandi associazioni come l’Azione cattolica, svolgevano ancora una propaganda per così dire “artigianale”. Di questo si rendevano conto gli osservatori contemporanei, come gli esperti di pubblicità che il quotidiano La Notte intervistò nel corso della campagna elettorale del 1953. I responsabili della pubblicità delle più grandi aziende italiane erano tutti d’accordo a contrapporre l’«imponenza di materiali» utilizzati dalle forze politiche con l‘assenza di una «tecnica» di comunicazione convincente. «La campagna dei partiti è condotta da persone inesperte, che si fanno trascinare dallo spirito di parte», sosteneva Fidelio Fideli, uno dei primi professionisti italiani nel campo della comunicazione pubblicitaria, e gli faceva eco il collega Campanini:
“Vorremmo avere noi pubblicitari la disponibilità di denaro che ha un grosso partito per la propaganda: basterebbe per due anni, non per soli trenta giorni, e i risultati sarebbero molto diversi. <106
Prendendo le distanze dagli accenti ipercritici dei tecnici del settore, che spesso si sentivano sottovalutati e ignorati dalla politica, si può notare che alcune intuizioni degli attivisti di partito erano brillanti, come l’attenzione da tutti riservata alle conversazioni quotidiane e alla loro importanza nella formazione delle opinioni <107. Ma negli USA, paese preso a modello dai “maghi” della pubblicità, la gestione della propaganda politica aveva da tempo acquisito alto profilo. In Italia, il primo studio accademico sulla comunicazione politica fu pubblicato nel 1960 <108; alcuni anni dopo, per imitazione e su suggerimento del governo USA, i primi tentativi di dare un profilo professionale alle tecniche propagandistiche furono sperimentati dalla DC, e si diffusero lentamente visti gli esiti controproducenti di alcune scelte grafiche della campagna elettorale del 1963″<109.
L’America e la comunicazione politica: dalla guerra mondiale alla guerra fredda
In America, l’importanza degli strumenti di comunicazione e il loro ruolo nella formazione dell’opinione pubblica democratica era percepita fin dall’inizio del Novecento, e con l’intervento nella Prima guerra mondiale si ebbe la creazione del Committee on Public Information, prima struttura per un intervento sulla circolazione delle informazioni e sul morale del “fronte interno” <110. L’esplosione di attività propagandistica durante la grande guerra suscitò l’interesse sul tema, dapprima con l’approccio socio-culturale del volume di Lippmann del 1922 <111, in seguito con gli interventi di studiosi di altri orientamenti. Capofila di questa tendenza fu, dal 1927, Harold Lasswell, giovane dottorando di Chicago, con il suo Propaganda Technique in the World War. Da allora, lo studioso proseguì la sua attività facendo del linguaggio il fulcro del suo modo stesso di definire la politica <112, e attorno a lui si sviluppò il primo gruppo di ricerca universitaria sulla comunicazione <113.
Nel frattempo, il mondo politico non aveva smesso di interessarsi alle possibilità offerte dagli interventi più o meno diretti sui canali di informazione: negli anni Trenta, l’autorevolezza dell’Ufficio stampa della Casa Bianca ed i rapporti di cordialità che esso seppe mantenere con i giornalisti si rivelarono determinanti nella riuscita delle politiche rooseveltiane <114. Con lo scoppio della guerra in Europa, le pressioni da Washington per influenzare i media si fecero più frequenti, in vista di un possibile intervento <115, e con la creazione dell’OWI nel giugno1942 vide la luce la prima struttura governativa americana votata alla propaganda verso l’estero <116.
Pur nell’assenza di precedenti operazioni propagandistiche all’estero, gli Stati Uniti potevano contare sul vantaggio determinato dalla penetrazione che la cultura di massa americana aveva esercitato dall’inizio del secolo in tutta l’Europa occidentale: in Italia, almeno fino a metà degli anni Trenta, il regime fascista non aveva mostrato impegno ad opporsi alla diffusione del cinema, della musica e della letteratura proveniente dagli Stati Uniti, sia perché la loro influenza non sembrava interessare direttamente la sfera del politico, sia forse perché si percepiva la forza di stabilizzazione sociale propria di certi elementi culturali importati dall’America <117. Questo «ambiente psichico» generalmente favorevole era ben noto ai tecnici dell’OWI, e spesso essi cercavano di trarne vantaggio per il successo delle loro operazioni riferendosi al mondo del cinema nei contenuti dei loro prodotti <118. La qualità degli interventi era poi dovuta al fatto che negli uffici centrali fossero mobilitati i migliori tecnici e studiosi della comunicazione allora attivi negli USA <119; il gruppo di Lasswell, ad esempio, si trasferì durante la guerra a Washington, e lavorò sia nelle attività di progettazione del materiale informativo, sia nelle attività di repressione di propaganda nemica all’interno. Sottesa a questa collaborazione era la convinzione che una propaganda professionalmente condotta avesse effetti di persuasione assai più diretti e meccanici di quanto oggi si ritiene; questa fiducia, generata dai modelli interpretativi della psicologia behaviourista, appare oggi eccessiva, ma diede agli occhi del governo buoni risultati <120.
Con gli ultimi anni del conflitto si ebbe il primo intervento organizzato del governo degli USA sul territorio italiano a fini di propaganda e di gestione della comunicazione. Dapprima, l’OWI organizzò la produzione e il lancio di volantini propaganidstici con voli clandestini; dopo l’inizio della liberazione del territorio nazionale, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna organizzarono una struttura congiunta per combattere la guerra dell’informazione e dell’immagine presso le popolazioni civili dei territori occupati: il cosiddetto Psychological Warfare Branch (PWB) <121 ebbe il compito di curare (e controllare) la ripresa delle attività di informazione e comunicazione di massa nelle aree liberate <122. Nel corso del conflitto, il PWB insediò propri uffici in Italia, al seguito dei soldati alleati; esso produsse e distribuì una grande quantità di materiale a stampa e filmato (i documentari giunti in Europa nei primi mesi del 1945 vantavano autori d’eccezione come Frank Capra) che mostrava immagini rassicuranti e sorridenti di uomini politici e militari americani, o panorami delle città e delle campagne pacifiche e operose d’oltreoceano <123. L’OWI, dal canto suo, aprì la propria sede centrale in Italia a Roma, nell’estate del 1944. In teoria, il suo ruolo era quello di ufficio stampa, per la diffusione delle informazioni sulle attività belliche dell’esercito americano, ma la Commissione alleata di controllo lo trasformò in uno strumento più potente: non solo il bollettino curato dall’ufficio divenne l’unico strumento per conoscere le notizie di agenzia (e tale sarebbe rimasto fino al gennaio 1945, quando iniziò la sua attività l’ANSA), ma l’OWI divenne il fornitore di carta per i giornali, ed un bene così prezioso per l’informazione in tempo di guerra fu gestito per influenzare la linea editoriale delle redazioni della capitale <124.
Con la fine del conflitto, le strutture create dall’OWI e dal PWB non furono immediatamente smantellate, e la loro attività divenne un punto di riferimento per le azioni successive. In particolare, la propaganda organizzata favorevole agli Stati Uniti rimase attiva, tramite gli uffici USIS (United States Information Service), che già l’OWI aveva istituito in oltre quaranta ambasciate <125. Formalmente, il ruolo di tali agenzie era quello di curare i rapporti tra le rappresentanze ufficiali del governo americano e i mezzi di informazione dei paesi ospitanti, fornendo notizie ed informazioni di carattere ufficiale sugli Stati Uniti; negli anni della guerra esse agivano da centrali di controllo dell’opinione pubblica dei paesi ospitanti, e cercavano di orientarla in senso favorevole agli USA <126. L’OWI fu poi soppresso nell’estate del 1945, ma con l’irrigidimento delle tensioni internazionali a partire dal 1947, si ebbe una riorganizzazione delle strutture di definizione della strategia propagandistica internazionale: a novembre il National Security Act istituì il National Security Council, destinato all’elaborazione della politica internazionale americana <127. Il progetto era di riproporre in tempo di pace, e in chiave marcatamente antisovietica, alcune delle attività propagandistiche sperimentate nel conflitto, a imitazione di quanto andava tentando di organizzare la Gran Bretagna <128, ma su una scala assai più vasta.
Il primo banco di prova per le nuove strutture di sicurezza nazionale fu ancora una volta l’Italia, con la campagna elettorale del 1948. In tale occasione gli Stati Uniti intervennero pesantemente, sia attraverso il finanziamento di alcune voci di propaganda anticomunista attive nel paese, sia con i loro propri uffici. Dopo la fine degli aiuti del programma UNRRA, nell’estate del 1947, il governo americano inviò circa trecento milioni di dollari in beni di prima necessità e materie prime attraverso i programmi post-UNRRA e Interim-Aid, appositamente per non interrompere il flusso degli aiuti in occasione delle elezioni: all’USIS toccò l’organizzazione delle celebrazioni all’arrivo di ogni centesima nave americana, celebrazioni che vedevano sempre impegnato l’ambasciatore a Roma James Dunn, e che grazie ai contatti gestiti dall’USIS godettero di una copertura informativa amplissima su giornali e cinegiornali <129. Gli uffici informazioni dell’ambasciata furono in quel periodo sede di un’intensa attività di elaborazione della propaganda, con la presenza di esperti che consigliavano i vertici della SPES sul materiale da produrre e ne controllavano il risultato finale <130. Fu forse elaborata nell’ambasciata di Roma anche l’operazione fondata sulla dichiarazione di Marshall, in base alla quale l’eventuale vittoria del Fronte avrebbe escluso l’Italia dagli aiuti americani; grazie alla solerzia dell’USIS, l’immediata divulgazione della notizia da parte dei giornali italiani creò scompiglio ai vertici del blocco di sinistra <131.
L’intervento americano nelle elezioni italiane, per la cui riuscita il governo di Washington stanziò circa venti milioni di dollari, venne riconosciuto come particolarmente significativo già dagli addetti ai lavori dell’epoca132, e molte persone oltreoceano si impegnarono direttamente nello sforzo propagandistico. Un esempio fu l’iniziativa dei “treni dell‘amicizia”, ideata dal giornalista Drew Parsons, che tra la fine del 1947 e i primi mesi del 1948 girarono gli Stati Uniti a raccogliere doni e generi di prima necessità, e poi in Italia si fermarono di stazione in stazione; ogni fermata dei treni, naturalmente, riceveva grande risalto sulla stampa locale e nazionale, grazie al lavoro delle agenzie di stampa americane e della stessa USIS nella diffusione delle informazioni <133. Ma l’episodio forse più singolare fu senz’altro quello delle “letters to Italy”. Si trattava di un’iniziativa, promossa da alcuni mezzi di comunicazione della comunità italo-americana, nell’ambito della quale i cittadini di origine italiana avrebbero dovuto inviare lettere ai loro parenti oltreoceano, per invitarli a votare contro il Fronte e a favore delle forze politiche sostenute dagli USA.
Già nel corso della guerra, il governo statunitense aveva trovato negli “ethnic Americans” un valido strumento di propaganda favorevole, attraverso i contatti ed i legami affettivi che essi potevano avere con l’estero, e gli italo-americani costituivano un eterogeneo ma forte gruppo di pressione con cui il governo degli Stati Uniti doveva fare i conti per orientare la propria politica italiana <134. Lo stesso De Gasperi, nel suo viaggio americano del gennaio 1947, passò molto tempo ad intrecciare rapporti personali con alcuni influenti leader italiani d’America <135. L’operazione propagandistica del 1948 fu poi organizzata in grande stile. Le organizzazioni che raccoglievano gli italo-americani, come l’influente “Sons of Italy”, crearono e distribuirono volantini prestampati da spedire oltreoceano, in lettere per la consegna delle quali, spesso, si utilizzavano i fondi degli aiuti economici. La mobilitazione degli italo-americani fu orchestrata soprattutto tramite i giornali e i periodici della comunità, come il diffuso Il Progresso Italo-Americano di proprietà del magnate dei materiali da costruzione Generoso Pope. L’imprenditore fu uno dei protagonisti della “diplomazia parallela”, che negli anni Trenta il regime fascista cercò di creare attraverso l’opinione pubblica italo-americana <136; nell’immediato dopoguerra si avvicinò al partito democratico, acquisendo influenza e vantando contatti con gli uomini del governo. Su pressione dell’amministrazione Truman, il giornale di Pope ed altri periodici ad esso vicini divennero il fulcro della campagna per convincere gli italiani d’America ad intervenire nella campagna elettorale del 1948. Sulle sue pagine erano pubblicate lettere già scritte, da firmare e spedire gratuitamente; vignette e articoli da ritagliare e inviare, in cui si rappresentava l’eventualità di una vittoria del Fronte come la fine di ogni proficuo rapporto tra l’Italia e gli USA, persino per quanto riguardava i semplici legami familiari; suggerimenti su come utilizzare ogni pagina del giornale per generare un messaggio efficace, ad esempio ritagliando e spedendo le fotografie pubblicitarie dei department stores <137.
È impossibile capire quanto le missive dall’America abbiano effettivamente influito sull’elettorato, ma è indubbio che il tentativo di convincere gli italo-americani a compiere pressione sui loro cari ebbe successo: nei mesi precedenti le elezioni, si registrò un aumento del 40% dell’invio di missive dagli USA all’Italia <138. Intere copie del periodico, fruibile da chiunque perché scritto in italiano, furono spedite, e alcune giunsero alla Direzione del PCI, in cui si discusse con preoccupazione di questa iniziativa <139. Alla fine, nel partito si decise di reagire con un manifesto, che riproduceva un telegramma (probabilmente falso) di italo-americani «indignati vergognosa speculazione invio false lettere familiari» <140.
Nel periodo successivo alle elezioni del 1948, un ambito in cui l’attività degli uffici USIS europei fu particolarmente evidente, in particolare in Italia, fu quello della pubblicizzazione del piano Marshall, tra il 1948 e il 1952. Ancora prima che il piano di aiuti alla ricostruzione diventasse effettivo, ebbe inizio «la più grande operazione di propaganda internazionale mai vista in tempo di pace»: l’ECA, l’organizzazione destinata ad amministrare i fondi del piano in Europa, creò nella sede centrale di Parigi una sezione “Pubblicità”, con a capo Alfred Friendly. Gli uffici USIS si impegnarono invece a fornire uomini e fondi per le sedi locali incaricate di pubblicizzare il piano; dall’agosto del 1948 diresse la Divisione informazioni della sezione italiana dell’ECA Andrew Berding, giornalista, già direttore della sede di Roma dell’Associated Press. Quest’ultimo, con i suoi collaboratori per lo più italiani, alla fine dell’estate del 1948 infittì i contatti con il mondo della carta stampata, della radio nazionale, delle case di produzione cinematografiche, ecc., con il progetto di «raggiungere» con ogni mezzo possibile «Giuseppe nella fabbrica e Giovanni nei campi» <141.
Le autorità statunitensi realizzarono in proprio, o fecero realizzare attraverso cospicui finanziamenti al LUCE e alla INCOM, documentari sulle distribuzioni degli aiuti, che poi vennero distribuiti in tutta Italia, e trasmessi persino in paesi sperduti grazie ai tecnici dell’USIS <142. A ciò si aggiunsero quarantacinque mostre allestiste per far conoscere il piano agli italiani, e milioni di copie di volantini informativi, distribuiti ovunque. Il poderoso sforzo propagandistico produsse risultati non soddisfacenti per quanto riguarda la diffusione delle informazioni; dai sondaggi, gli italiani che non conoscevano il piano Marshall alla fine del 1948 erano il 20%, la quota più alta in Europa. Ma il successo fu pieno per quanto riguardava il favore verso l’iniziativa; oltre l’80% delle persone che erano a conoscenza del piano ne avevano una opinione favorevole (in questo caso l’Italia era in testa ai paesi europei), e gli stessi sforzi dei partiti di sinistra nella mobilitazione contro di esso ottenevano l’effetto di diffonderne la conoscenza in settori dove la propaganda favorevole stentava ad arrivare <143.
[NOTE]
106 L’inchiesta che vide protagonisti gli esperti di pubblicità italiani apparve su La Notte, 14-15/V1953, p. 3. Per ulteriori informazioni cfr. C. Ottaviano, “Manifesti politici e dintorni…” cit., pp. 9-10.
107 L’importanza del rapporto diretto e della comunicazione individuale per la formazione delle opinioni politiche è ormai un dato acquisito nelle più recenti analisi scientifiche sulla comunicazione: per i riferimenti, cfr. G. Mazzoleni, La comunicazione politica, cit., spec. pp. 99 e ss.
108 P. Facchi (a cura di), La propaganda politica in Italia (1953 e 1958), Bologna, Il Mulino, 1960.
109 Per ulteriori informazioni, cfr. F. D’Almeida, “L‘américanisation de la propagande en Europe de l‘Ouest (1945-2003)”, Vingtième Siècle, 80, 2003, pp. 8-10.
110 Il principale lavoro d’insieme sull’argomento è R. Jackall, J.M. Hirota, “America’s First Propaganda Ministry. The Committee on Public Information During the Great War”, in R. Jackall (ed.), Propaganda, Basingstoke, Macmillan, 1995, pp. 137-173. cfr. anche C. Simpson, Science of Coercion. Communication Research and Psychological Warfare 1945-1960, New York-Oxford, Oxford University Press, 1994, pp. 15 e ss.
111 L’opinione pubblica, Roma, Donzelli, 1995.
112 Le principali opere di H.D. Lasswell sono disponibili in lingua italiana: tra esse, sono utili riferimenti per inquadrare la sua attività scientifica l’antologia, curata da M. Stoppino, Potere, politica e personalità, Torino, UTET, 1975, Id., N. Leites (a cura di), Il linguaggio della politica. Studi di semantica quantitativa,Torino, ERI, 1979, e Potere e società. Uno schema concettuale per la ricerca politica, Bologna, Il Mulino, 1997 (scritto con A. Kaplan).
113 Cfr. W.P. Dizard, Inventing Public Diplomacy. The Story of the US Information Agency, Boulder, Rienner, 2004, pp. 19-21, e B. Gary, The Nervous Liberals cit., pp. 58 e ss. e 90 e ss.
114 Cfr. R.W. Steele, Propaganda in an Open Society. The Roosevelt Administration and the Media. 1933-1941, Westport-London, Greenwood Press, 1985.
115 Ibid., pp. 161 e ss.
116 W.P. Dizard, Inventing Public Diplomacy cit., pp. 1-2. Si veda anche come A.M. Winkler, autore del principale studio sull’OWI, sintetizza la sua funzione: «From the start, the propaganda organization […] wanted to take an active part in winning the war and in laying the foundations for a better postwar world. To that end, OWI sought to communicate American aims in the struggle at hand and at the same time tried to convey to audience abroad the ideals that could give rise to a peaceful, democratic world » (The Politics of Propaganda. The Office of War Information 1942-1945, New Haven-London, Yale University Press, 1978, p. 4).
117 Cfr. V. De Grazia, “Prefazione” a Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista. L’organizzazione del Dopolavoro, Roma-Bari, Laterza, 1981, p. X. Per ulteriori specificazioni sulla diffusione dell’American way of life tra le due guerre, cfr. Ead., Irresistible Empire. America’s Advance Trough 20th Century Europe, Cambridge (MA)-London, The Belknap Press of Harvard University Press, 2005.
118 W.P. Dizard, Inventing Public Diplomacy cit., p. 20.
119 Lo studio più completo a questo riguardo è C. Simpson, Science of Coercion. Communication Research and Psychological Warfare 1945-1960, New York-Oxford, Oxford University Press, 1994. Cfr. anche G.S. Jowett, V. O’Donnell, Propaganda and Persuasion cit., 1986, pp. 102-104.
120 Cfr. Ibid., pp. 99 e ss.
121 La migliore trattazione delle attività del PWB si trova nel fondamentale studio di A.M. Winkler, The Politics of Propaganda cit., 1978, pp. 114 e ss.
122 In Italia, gli studi sull’organizzazione della propaganda di guerra americana non hanno visto finora molti contributi, se si eccettuano il lavoro di R. Faenza e M. Fini, Gli americani in Italia, Milano, Feltrinelli, 1976, ricco di dati di prima mano, e soprattutto il saggio di F. Anania e G. Tosatti, L’amico americano. Politiche e strutture per la propaganda in Italia nella prima metà del Novecento, Roma, Biblink, 2000, (cfr. spec. pp. 67-68 e 170). Per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, il caso italiano divenne quasi subito uno study case, soprattutto perché l’Italia fu il primo paese occupato e divenne una sorta di “laboratorio”; tra i contributi prodotti dai ricercatori che presero direttamente parte alle attività dell’OWI, cfr. R.T. Holt, R.W. Van Der Velde, Strategic Psychological Operations and American Foreign Politics, Chicago, The University of Chicago Press, 1960, pp. 123-158.
123 Ibid., pp. 67-68.
124 Cfr. R. Faenza, M. Fini, Gli americani in Italia cit., pp. 57-58 e 102. Utili riferimenti comparativi con le strutture che agivano in altri paesi, occupati per un periodo più lungo sono N. Pronay, K. Wilson (eds.), The Political Re-Education of Germany and her Allies after World War II, London-Sidney, Croom Helm, 2001, e R. Wangneitner, Coca-Colonization and the Cold War. The Cultural Mission of the United States in Austria after the Second World War, Chapel Hill-London, The University of North Carolina Press, 1994, pp. 84-107.
125 Per un’idea del lavoro svolto nel corso del tempo dagli uffici USIS, una descrizione interessante è ancora quella di J.W. Henderson, The United States Information Agency, New York, Praeger, 1969, spec. pp. 128-162.
126 Walter L. Hixson, Parting the Curtain. Propaganda, Culture and the Cold War, Bakingstoke-London, Macmillan, 1998, pp. 2-4.
127 Sul ruolo del NSC nel mondo della propaganda, cfr. W. P. Dizard, Inventing Public Diplomacy cit., pp. 38-39 e ss.
128 Cfr. A Defty, Britain, America and Anti-Communist Propaganda. 1945-1953. The Information Research Department, London-New York, Routeledge, 2004, pp. XVIII-281.
129 cfr. J.M. Miller, “Taking off the Gloves. The Italian Elections of 1948”, Diplomatic History, VII, 1, 1983, pp. 35-55, e A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere DC, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 545.p. 484. La ricostruzione dell’intervento americano nella campagna elettorale per il 18 aprile proposta da Gambino costituisce ancora oggi un punto di riferimento a livello non solo italiano, ma internazionale (cfr. ad es., i riferimenti ad essa in R.A. Ventresca, From Fascism to Democracy cit.). Informazioni e documenti sugli arrivi delle navi americane, pure nel periodo successivo alle elezioni, sono conservati in ACS, PCM, 13659/93.23.
130 Cfr. R. Faenza, M. Fini, Gli americani in Italia cit., pp. 267 e ss.
131 Cfr. Ibid., p. 86, e A. Gambino, op.cit., pp. 493.496.
132 Cfr. R.T. Holt, R.W. Van Der Velde, Strategic Psychological Operations cit., pp. 158-205.
133 Oltre ai già citati lavori di Gambino e di Fini-Faenza, cfr. M. Isnenghi, “Alle origini del 18 aprile. Miti, riti, mass-media”, in Id., S. Lanaro (a cura di), La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile cit., pp. 300-303.
134 per alcune informazioni generali, cfr. E. Miller, “Preface” to The United States and Italy. 1940-1950. The Politics and Diplomacy of Stabilization, Chapel Hill-London, The University of North Carolina Press, 1986, p. X.
135 Cfr. Ibid., p. 218.
136 Cfr. S. Luconi, La “diplomazia parallela”. il regime fascista e la mobilitazione politica degli italo-americani, Milano, F. Angeli, 2000.
137 La campagna delle “letters to Italy” (o “lettere dall‘America”, come si usa chiamarla in Italia) è stata spesso citata nei lavori di sintesi sulla campagna elettorale del 1948, ma assai poco studiata nel dettaglio. Recentemente, è stato pubblicato uno studio assai interessante su essa: W.L. Wall, “‘Best Propagandists’. Italian Americans and the 1948 ‘Letters to Italy’ Campaign”, in Christian G. Appy (ed.), Cold War Constructions. The political Culture of United States Imperialism, 1945-1956, Amherst, The University of Massachusetts Press, 2000, pp. 89-109.
138 cfr. W.L. Wall, op. cit, pp. 104-105.
139 I giornali sono ora conservati, insieme ad altro materiale propagandistico ostile al Fronte nella campagna del 1948, in APC, 0196 0781-0793.
140 www.manifestipolitici.it
141 Per lo studio dell’attività propagandistica legata al piano Marshall, sono ormai un riferimento classico i lavori di D.W. Ellwood, che hanno trovato coronamento nella monografia L’Europa ricostruita. Politica ed economia tra Stati Uniti ed Europa occidentale. 1945-1955, Bologna, Il Mulino, 1994, (cfr. spec. pp. 216 e ss.), ma che si sviluppano in una lunga serie di contributi, tra i quali meritano di essere ricordati “La propaganda del piano Marshall in Italia”, Passato e Presente, 9, Sett.-Dic. 1985, pp. 153-171, “Il cinema e la proiezione dell‘America”, in P.P. D’Attorre (a cura di), Nemici per la pelle cit., pp. 335-361, “The impact of the Marshall Plan on Italy; the Impact of Italy on the Marshall Plan”, in Rob Kroes, Robert W. Rydell, Doeko F.J. Bosscher (eds.), Cultural Transmissions and Receptions. American Mass Culture in Europe, Amsterdam, VU University Press, 1993, pp. 100-124, “Italian Modernization and the Propaganda of the Marshall Plan”, in L. Cheles, L. Sponza (eds.), The art of Persuasion cit., pp. 23-48, e “The propaganda of the Marshall Plan in Italy in a Cold War Context”, in G. Scott-Smith, H. Krabberndam, The Cultural Cold War in Western Europe. 1945-1960, London-Portland, Frank Cass, 2003, pp. 225-236.
142 Il fondo USIS di Trieste conserva ancora alcuni dei documentari commissionati: il materiale è ora conservato presso l’ACS, ed è stato abbondantemente utilizzato in F. Anania, G. Tosatti, L’amico americano, spec. pp. 128-132.
143 Cfr. F. Anania, G. Tosatti, L’amico americano cit., pp. 92-93 e 104-105.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di perfezionamento in discipline storiche, Scuola Normale Superiore di Pisa, 2007