Con la scomparsa di Cervi veniva a mancare un protagonista straordinario del movimento antifascista della Caproni

Giovanni Cervi
Fonte: Wikipedia

[…] La situazione in fabbrica era sempre più difficile. Dall’agosto del 1943, dopo l’arresto di Mussolini, in previsione dell’uscita dell’Italia dalla guerra e della smobilitazione dell’industria bellica, una massiccia ondata di licenziamenti colpì numerose fabbriche: alla Caproni su 6.000 dipendenti ci furono 2.000 licenziamenti. Dopo gli scioperi del marzo 1943, avvenuti prevalentemente per motivazioni economiche, e quelli più propriamente politici del dicembre 1943, […] arresti, deportazioni e l’allontanamento dalla fabbrica di molti dirigenti della lotta clandestina, non impediscono la massiccia partecipazione agli scioperi del marzo 1944. La situazione si aggrava. Non si tratta più di arresti isolati ma di decimazioni in massa.[…][Pesce G. 2005].
Le rappresaglie creano vuoti in ogni reparto. Se il compagno di lavoro non si fa vedere per un giorno o due non vi é dubbio che sia in prigione. Dalla prigione molti partiranno per la Germania; altri moriranno su qualche piazza o a qualche angolo di via, impiccati. Lo si saprà scorrendo i giornali o leggendo i nomi dei “banditi” fucilati. Nel frattempo bisogna stare in guardia: attorno al posto dell’assente si aggira uno sgherro della Muti o una faccia sospetta di spia; bisogna evitare di chiedere notizie del compagno per non subire la stessa sorte. Contro i 30 della Muti agli ordini di Cesarini gli operai resistono ma non cedono. […] (Dopo gli scioperi di) dicembre: le rivendicazioni aziendali mascherano i motivi politici[…] [Pesce G. 2005].
In un tale clima di repressione alla Caproni esistevano però anche notevoli sacche di resistenza e già nel 1942 erano iniziate azioni di resistenza e sabotaggio.
Prima della costituzione delle brigate partigiane, operava in fabbrica un’organizzazione clandestina antifascista di non più di 50 unità. Leonida Calamida, dipendente della Caproni e membro del PDA, nel suo libro autobiografico “Gli anni del dolore e della rabbia. Lotta antifascista dal 1935 al 1975” racconta […] che negli stabilimenti di Via Mecenate vi fossero delle coperture politiche per gli antifascisti, pare certo. Gino Pauselli, già vice-comandante di un distaccamento della 116° Brigata Garibaldi SAP operante alla Caproni, intervistato da Luigi Borgomaneri nel 1976 […] rivela di essere stato assunto in fabbrica come operaio con una cinquantina di ”sbandati” nel novembre 1943 grazie all’interessamento del PCI [.…] di notte[…] alla Caproni non lavorava[…] Lui ed i 50 colleghi “turnisti” avevano tutto il tempo a disposizione per sabotare quel poco che era stato prodotto di giorno[…]. Stando a ciò che racconta Calamida (giellista e partigiano delle Brigate Mazzini)[…] in fabbrica ci organizzammo con scambio di notizie giornaliere[…] e con ritrovo plenario settimanale[…]si agiva già per cellule di cinque-sei compagni. Si discuteva di organizzazione, si decidevano le azioni da compiere[…] [Calamida L. 1986, Leondi S. 2005]. […]
Giovanni Camusso e la Caproni in Nino Camus

[ Nella bibliografia concernente le tragedie connesse alla fabbrica Caproni dopo l’8 settembre 1943, non solo in quella qui sopra citata, sono di rilievo: “Fischia Il Vento” di Sergio Leondi – ANPI – Milano 1985; “Due estati, un inverno e la rossa primavera. Le Brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943- 1945)”, Milano, Franco Angeli, 1985; “Gli anni del dolore e della rabbia” di Leonida Calamida – Ed. La Pietra – Milano 1987; “Senza tregua – La guerra dei G.A.P.” di Giovanni Pesce – Edizioni Feltrinelli – Milano 1967; “Dalla Resistenza” – Edito dall’Amministrazione Provinciale – Milano 1972; Claudio De Biaggi, La Caproni di Taliedo. Storie di operai 1915-1950, Quattro, 2018 ]

[…] Alla Caproni ritorna il colonnello Cesarini, una specie di gigante, una bestia inferocita, l’immagine della prepotenza e del terrore. Ostenta la violenza e il cinismo. Assiste agli arresti; firma personalmente ogni atto di repressione. È insolente, ottuso, sanguinario. L’uomo che prima della guerra in fabbrica era incaricato della disciplina aziendale, ora è l’incarnazione della vendetta e della rappresaglia; l’immagine stessa del fascismo repubblichino.
Ordina la schedatura degli antifascisti che si sono distinti nel periodo badogliano. Molti fanno già parte dell’organizzazione clandestina che ha già cominciato ad operare in fabbrica. Ha inizio il confronto senza quartiere tra i repubblichini della brigata nera che presidia gli stabilimenti e sorveglia gli uomini, li spia e li arresta e gli uomini dell’organizzazione clandestina che preparano le azioni di sabotaggio, che reclutano i combattenti per le formazioni di montagna e si sforzano di neutralizzare delatori e aguzzini.
L’ingegnere Giovanni Cervi, dirigente di Giustizia e Libertà portato a San Vittore, viene fucilato all’Arena, in una mattina nebbiosa dell’ottobre del ‘43. È la prima vittima del colonnello Cesarini.
L’assassinio alimenta un’atmosfera di odio; la presenza del gerarca e una provocazione continua sia quando, in ufficio, interroga gli operai, sia quando passeggia di reparto in reparto, seguito dai pretoriani. Gli operai proclamano lo sciopero: ben quattromila si assentano dal lavoro […]
Redazione, Aprile 1945: l’ingegnere della Caproni viene giustiziato, Operai Contro, 20 Aprile 2018

Fonte: Wikipedia

All’Arena civica di viale Byron, a fianco del parco Sempione, avvenne il primo eccidio decretato da un tribunale fascista durante l’occupazione nazista a Milano, il 19 dicembre 1943.
Fu deciso come rappresaglia per l’agguato gappista al federale della Repubblica Sociale Italiana Aldo Resega, che era stato ucciso il giorno precedente presso la sua abitazione in via Fratelli Bronzetti.
La sera stessa un tribunale straordinario fascista condannò a morte otto uomini già detenuti a San Vittore per attività antifascista, sia pure estranei all’uccisione di Resega: Carmine Capolongo, Fedele Cerini, Giovanni Cervi, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Carlo Mendel, Amedeo Rossin, Giuseppe Ottolenghi.
Oggi all’esterno dell’Arena è posta una targa di marmo in loro memoria, mentre all’interno nel punto, dove avvenne la fucilazione è un cippo con la scritta «qui caddero per la causa della libertà il 19 dicembre 1943».
Non di tutti i condannati abbiamo chiare e sicure informazioni. Giovanni Cervi, ingegnere e capo dell’ufficio tecnico alla Caproni di Taliedo, apparteneva alle formazioni di «Giustizia e Libertà»; il ventiduenne Giuseppe Ottolenghi era figlio del noto socialista Giorgio Ottolenghi; il dott. Carlo Leone Mendel, ebreo di origine tedesca, attivo nella A.R.I., Associazione Radiotecnica Italiana, aveva curato i contatti radio per le prime formazioni di Resistenza.
Carmine Capolongo, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Fedele Cerini e Amedeo Rossin erano legati in modi diversi al gruppo «Cinque Giornate – San Martino di Vallalta – Varese», comandato dal tenente colonnello dei bersaglieri Carlo Croce. Sono controverse le vicende di Cerini e Rossin, già condannati a morte dal colonnello Croce: Rossin per avere agito con azioni isolate e temerarie mettendo anche a repentaglio l’incolumità del gruppo; Cerini, fatto ben più grave, perché accusato, oltre che di piccoli furti, di aver complottato con i fascisti di Varese.
Massimo Castoldi, MI4345

Fonte: Wikipedia

Giovanni Cervi (Gattatico, 1º giugno 1903 – Milano, 19 dicembre 1943) è stato un partigiano italiano, fucilato all’Arena di Milano il 19 dicembre 1943. […] Fu arrestato dalle SS il 3 novembre e tradotto al carcere “incolpandolo di detenere delle armi che non gli vennero trovate né in casa né altrove” (dalla sentenza del 1946 a pag.20). Insieme ad altre sette persone detenute nel carcere di San Vittore per attività antifasciste (Carmine Campolongo, Fedele Cerini, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Carlo Mendel, Beppe Ottolenghi, Amedeo Rossin) il 19 dicembre 1943 fu condannato a morte dal Tribunale militare straordinario costituito dal generale Solinas, su ordine del ministro dell’interno della RSI Guido Buffarini Guidi e del capo della Provincia Oscar Uccelli, in quanto furono considerati “responsabili di omicidi, di rivolta contro i poteri dello Stato, d’incitamento alla strage, detentori di armi e munizioni, di apparecchi radio trasmittenti e di materiale di propaganda comunista” in rappresaglia per l’attentato in cui il giorno prima era morto il federale di Milano Aldo Resega e fucilato all’Arena Civica di Milano il 19 dicembre 1943 alle 17. L’accusa del Tribunale militare era infondata in quanto era stato arrestato prima dell’attentato a Resega. Il Corriere della Sera pubblicò il 20 dicembre 1943 due articoli, uno sull’omaggio alla salma di Aldo Resega con l’annuncio dei funerali nel pomeriggio ed uno sulla condanna a morte già eseguita degli otto partigiani. I due articoli scrivevano che Resega aveva detto nel suo testamento che non voleva rappresaglie ma che “tutto il fascismo è rimasto al suo posto, vigile e saldo, fidente che gli organi dello Stato avrebbero compiuto la loro opera di doverosa giustizia contro i sanguinari disgregatori dell’ordine e traditori della Patria”, facendo apparire falsamente la condanna a morte come una azione non collegata strettamente all’attentato.

Milano: l’Arena

La predeterminazione della condanna a morte è dimostrata dal fatto che l’Arena fu bloccata al pubblico da reparti militari del Terzo Bersaglieri e da genieri alcune ore prima della sentenza del tribunale militare, come scritto nella sentenza citata della Corte d’Assise del 1946 con nota a pagina 40. Per i dettagli della morte si legga il resoconto di Giuseppe Bulferi Bulferetti sulla voce Strage dell’Arena. In una giornata di estate dopo la Liberazione i partigiani della Caproni riportarono la salma a Montecchio, dove viveva la famiglia. Arrivarono da Milano in duecento con quaranta automobili e lo vegliarono a turno, giorno e notte fino al momento dell’ultimo saluto, poi se ne andarono ordinatamente dopo aver imposto il suo nome ad una via del paese. Nel 1946 i giudici della Corte di Assise speciale di Milano condannarono a morte i membri del Tribunale militare che ricorsero poi in Cassazione ed ottennero una revisione del processo, dato che nel frattempo era stata decretata una amnistia. In ricordo dell’uccisione furono posti un cippo e una lapide all’Arena ed una lapide in viale Bianca Maria 35 dove abitava che ricorda anche Mino Steiner. Sulla targa è inciso: “I patrioti/ ing. Giovanni Cervi/ fucilato all’Arena di Milano 19-12-1943/ dott. Mino Steiner/ caduto a Mauthausen 3-4-1945/ siano ricordati e glorificati/ a esempio di estrema dedizione/ agli ideali supremi della Libertà/ Ventennale della guerra di Liberazione”. Una lapide è stata posta anche al Centro socio-ricreativo per anziani del Comune di Milano in via Boscovich 43, ex sede del Consiglio di Zona 3. Luigi Borgomaneri dell’ISMEC ha raccolto la seguente testimonianza di Mariano Lazzarini su Giovanni Cervi: Con la scomparsa di Cervi veniva a mancare un protagonista straordinario del movimento antifascista della Caproni, quello che più di tutti aveva riscosso simpatie e consensi, travalicando gli schieramenti di partito; la sua personalità integerrima, l’atteggiamento fermo ma alieno da settarismi, la ricerca dell’unità tra i democratici che aveva caratterizzato ogni sua azione, l’estrema sensibilità verso i più deboli, fecero sì che i comunisti delle officine di via Mecenate intitolassero al nome del valoroso dirigente di Giustizia e Libertà la 196ª Brigata Garibaldi SAP costituitasi ufficialmente nei giorni dell’insurrezione; così come i partigiani giellisti della fabbrica, nel momento in cui dopo la Liberazione vollero farsi riconoscere dal nuovo Stato democratico per il servizio prestato nella lotta clandestina, ottennero per loro comodità di essere inquadrati nella stessa formazione sappista. Padri e Madri della Libertà

Fonte: ANPI Ponte Lambro, Op. cit. infra
Fonte: Nino Camus

[…] L’amico Leonida Calamida, assistente edile alla Caproni, lo descrive nel suo libro “Gli anni del dolore e della rabbia”: “[Giovanni Cervi] Piccolo, magro, quasi imberbe, dal volto mite e con un sorriso dolce, sempre accennato sulle labbra, la molle parlata emiliana, i modi composti. Lo avresti detto un impiegato d’ordine del Catasto. Era invece un uomo eccezionale, intransigente con se stesso e con gli altri. Il suo desiderio di verità e giustizia lo guidava ad operare incurante del danno che poteva procurarsi. Cervi si trovava a suo agio solo tra gli umili, dai quali proveniva, e da essi era perfettamente compreso e stimato. Con la sua volontà ferrea, con il suo coraggio cosciente sapeva trasfondere negli altri gli ideali di giustizia e libertà che animavano i suoi atti e i suoi comportamenti.”
Testimonianza di Giovanni Cervi, nipote dell’ing. Cervi:
“La sua vita spartana probabilmente deriva dal fatto che lo stipendio lo mandava alla famiglia patriarcale, che negli anni intorno al 25′ ebbe una grave disavventura finanziaria. Il padre infatti ex casaro e commerciante, aveva sposato la sorella di Mons. Alai Attilio, parroco di Montecchio fino alla morte nel luglio 43′. Questa severa figura di parroco aveva avuto molta influenza sull’educazione della famiglia non solo sul piano strettamente religioso, ma anche sociale attento alle istanze dei più poveri”.
25 luglio 1943: cade il governo Mussolini
Il 25 luglio 1943, con la caduta del governo Mussolini, le maestranze della Caproni lo eleggono all’unanimità capo della Commissione Interna. Cervi, come altri tecnici, quadri dirigenti e impiegati, era un convinto antifascista e militava in Giustizia e Libertà.
Il 27 agosto, durante un incontro delle Commissioni Interne con il Prefetto di Milano, Cervi chiede l’immediato allontanamento dai reparti dei fascisti indesiderabili, in accordo con i dirigenti della Soc. Aeroplani Caproni, oltre a miglioramenti economici.
Dopo l‘8 settembre 1943, guidati dall’Ingegner Cervi, dai fratelli Mariano e Leonetto Lazzerini da Bosi, Osvaldo Brioschi e Lorenzo Alberti, gli operai della Caproni occupano la fabbrica e si impadroniscono di 124 mitragliatrici di aereo e di migliaia di proiettili.
Decidono di chiedere altre armi al generale Vittorio Ruggero, comandante la Piazza di Milano. Il generale prende tempo, tergiversa, non vuole prendere una decisione. I lavoratori rientrano in fabbrica e cercano di cavarsela con quanto hanno a disposizione.
Dal generale Ruggero si reca un’altra delegazione del Fronte Nazionale d’Azione (nome nuovo assunto dal Comitato delle Opposizioni) per convincerlo a non arrendersi ai tedeschi che stanno per occupare la città, a lanciare un appello alla popolazione per difendere la città dall’invasore, a domandare armi per la guardia nazionale. Ma invano, il generale sta già patteggiando con le autorità germaniche, “si limita a promettere 10.000 fucili e 2.000 mitragliatrici d’aeroplano che non verranno mai consegnate”.
Il 10 e l’11 settembre i soldati tedeschi. che hanno l’ordine di disarmare i soldati italiani, si impadroniscono della città senza trovare alcuna resistenza, salvo qualche sparatoria attorno alla Stazione Centrale ad opera di alcuni lavoratori della Pirelli e della Caproni armati con le mitragliatrici d’aereo.
L’episodio purtroppo rimase isolato e gli operai rientrarono nelle fabbriche, ma non le mitragliatrici che vennero consegnate alla sede clandestina del Comitato di Liberazione Nazionale in Via Manzoni, per prendere successivamente la via di Cernobbio, dove si stavano organizzando le prime formazioni partigiane, costituite da volontari provenienti dalle fabbriche milanesi fra cui molti della Caproni . Tra gli organizzatori spiccavano Bosi, i Lazzarini e Cervi.
La scelta di darsi alla macchia fu per molti obbligatoria, essendosi troppo esposti dopo il 25 luglio: rientrare in fabbrica e trovare a comandare le SS e gli aguzzini fascisti, significava andare incontro a morte sicura. Dopo quell’episodio, il clima divenne teso e i tedeschi procedono negli arresti. Cervi venne arrestato a Taliedo il 3 novembre 1943.
E’ ancora Leonida Calamida a ricordare: “Vidi Cervi per l’ultima volta a fine ottobre 1943, dopo il mio licenziamento dalla Caproni. L’avevo aspettato sotto il portone della casa di Viale Bianca Maria al n° 35, ove era alloggiato in una piccola pensione. Gli parlai per quasi un’ora: lo scongiurai di lasciare subito Milano e lo invitai a trascorrere la notte a casa mia; l’indomani avrebbe potuto rifugiarsi in qualche paesino dell’Emilia o altrove, ma non doveva più tornare a Taliedo, dov’era bruciato, come mi aveva confermato anche Pelà”.
“Nei 45 giorni badogliani il Cervi si era chiaramente scoperto e le canaglie fasciste, che egli aveva giustamente epurato, stavano ritornando ai loro posti a Taliedo e si sarebbero sicuramente subito vendicate. Cervi mi ascoltò pazientemente con il suo sorriso disarmante, mi rispose che non era ancora giunto il momento di lasciare la Caproni. Disse che i nazifascisti non avevano che scarse prove contro di lui e che infine non poteva lasciare il posto di battaglia che aveva volontariamente e coscientemente scelto e che amava tanto”.
“Giovanni fu arrestato dalle S.S. pochi giorni dopo quel nostro incontro e io appresi dai giornali la sua morte”.
L’accusa, il processo e la fucilazione
Cervi viene accusato di aver consegnato delle armi ai partigiani, ma l’accusa risultò infondata, perché nulla gli viene trovato nelle perquisizioni in ufficio e in casa. Ciò non di meno viene incarcerato a San Vittore. A nulla valgono le istanze e i memoriali di difesa portati al Comando nazista dell’Hotel Regina.
Dopo un processo farsa del “Tribunale Militare Straordinario” venne fucilato dai fascisti, nel tardo pomeriggio del 19 dicembre 1943, all’Arena di Milano. Dinanzi al plotone d’esecuzione si sfilerà un maglioncino e lo consegnerà “al prete perché lo faccia avere alla fidanzata. Era tutto di quanto materiale possedeva”.
Per uno strano caso del destino anche i fratelli Cervi – suoi cugini di terzo grado – vennero arrestati nello stesso periodo, la mattina del 25 novembre 1943 – e uccisi per rappresaglia il 28 dicembre seguente. Il 19 dicembre i condannati vengono prelevati dal carcere di San Vittore e portati ali’Arena, nei corridoi dove la “Muti” aveva camerate e magazzini.
Il plotone d’esecuzione era composto di alcuni militi delle squadre d’azione della “Muti” e ” Trieste” (in alcuni atti risulta però che si trattava di un gruppo misto del 3° bersaglieri e della GNR). Per il luogo fu scelto lo spalto a destra della porta del locale che fungeva da carcere.
I condannati furono invitati a sistemarsi su alcune sedie, ma rifiutarono e vollero morire in piedi, senza le bende agli occhi. Alle loro spalle erano già pronte le casse da morto.
Alcune ore dopo la fucilazione giunse Pavolini con un altro ufficiale, mettendosi a discutere perché non avevano aspettato il suo arrivo.
Nel silenzio si sentì un rantolo : uno dei fucilati non era ancora morto, il segretario del PNF si arrabbiò perché il medico non aveva ancora constatato il decesso dei condannati. Si avvicinò ai corpi, estrasse la pistola e sparò. Il moribondo era l’ultimo a destra, quasi vicino alla ringhiera.
Dopo l’esecuzione, il Ministro dell’Interno Buffarini Guidi scrisse una lettera al Duce dove comunica: “la preoccupazione per la tensione dovuta alla ” recrudescenza dei crimini politici” degli squadristi e per lo scarso rendimento della polizia. Riferisce di aver fatto fucilare nove detenuti politici ali’Arena, per rappresaglia all’uccisione di Resega e nonostante l’opposizione dei tedeschi”.
Scompare un protagonista
Per comprendere ancor di più quanto fosse stimato e apprezzato l’ingegner Cervi, possono essere utili alcune testimonianze
“Con la scomparsa di Cervi veniva a mancare un protagonista straordinario del movimento antifascista della Caproni, quello che più di tutti aveva riscosso simpatie e consensi, travalicando gli schieramenti di partito; la sua personalità integerrima, l’atteggiamento fermo ma alieno da settarismi, la ricerca dell’unità tra i democratici che aveva caratterizzato ogni sua azione, l’estrema sensibilità verso i più deboli, fecero sì che i comunisti delle officine di Via Mecenate intitolassero al nome del valoroso dirigente di Giustizia e Libertà la 196a Brigata Garibaldi SAP costituitasi ufficialmente nei giorni dell’insurrezione; così come i partigiani giellisti della fabbrica, nel momento in cui dopo la Liberazione farsi riconoscere dal nuovo Stato democratico per il servizio prestato nella lotta clandestina, ottennero per loro comodità di essere inquadrati nella medesima formazione sappista ” (testimonianza di Mariano Lazzarini, nell’intervista raccolta da Luigi Borgomaneri, presso l’I.S.R.M.O.)
Presso l’Archivio dell’Istituto per la Storia della Resistenza e del Movimento Operaio, c’è un documento molto significativo sulla figura di Giovanni Cervi. Si tratta di un volantino, di quelli clandestini, distribuito alla Caproni, probabilmente nel periodo degli scioperi del 1944, dove si esortavano gli operai a proseguire nella lotta, ricordando il sacrificio dei propri martiri: Giacomo Matteotti e Giovanni Cervi. […] Discorso di Giuseppe Bulferi Bulferetti, per commemorare la morte di Giovanni Cervi, nell’ottobre del 1945:
“1° Albori di libertà
Col 25 luglio 1943 il popolo italiano crede di essersi liberato dal giogo fascista e gli operai cominciano ad organizzarsi. Vengono formate le Commissioni di fabbrica che debbono tutelare i diritti dei lavoratori. Nello stabilimento della Caproni a Taliedo viene acclamato Capo della Commissione interna l’Ing. Giovanni Cervi. Uomo retto e di cuore, tecnico di valore e senza alterigia, carattere forte che non si è mai piegato al fascismo come tanti altri, assume con ardore e fede l’oneroso mandato affidatogli dalla massa lavoratrice. Con schietta e semplice onestà dona tutta la sua opera sagace per la difesa dei lavoratori. Crede fermamente che il popolo italiano ormai liberato, sappia marciare unito e compatto verso un avvenire di pace e lavoro.
2° Il tallone di ferro
Ma l’odiato tedesco, trasformatosi dopo l’armistizio da preteso alleato in nemico invasore, irrompe in Milano con le sue divisioni corazzate. Il codardo comportamento di Badoglio, del Re, dei Capi Militari consegna alla vendetta degli sparuti fascisti, protetti dalle armi dei tedesco-nazisti, tutti coloro che apertamente e coraggiosamente avevano alzato la bandiera della libertà. Molti italiani purtroppo si uniscono agli odiati nazi-fascisti e si fanno delatori dei propri fratelli. Il Cervi come tanti altri, non avendo fatto altro che del bene, riamane al suo posto di lavoro e nella sua buona fede non pensa, nè crede lo si possa perseguitare. Chi ha l’animo retto e puro non concepisce le bassezze dei rettili umani.
Falsamente accusato di aver consegnato delle armi ai valorosi che avrebbero dovuto combattere contro i nazifascisti, il 3 novembre 1943 viene arrestato dalle SS tedesche al suo posto di lavoro nello stabilimento. L’accusa infame risulta infondata, perchè nulla gli viene trovato nelle perquisizioni in ufficio e in casa. Ciò non di meno viene incarcerato a San Vittore. A nulla valgono le istanze e i memoriali di difesa portati al Comando nazista dell’Hotel Regina.
3° Il sacrificio supremo
Nella fredda alba della domenica 19 dicembre 1943 dieci detenuti politici vengono prelevati dal cellulare e portati nel Palazzo di Giustizia. Dalle 9,30 alle 14,30 sono tenuti ammanettati nella Sala degli Avvocati, in attesa del cosiddetto Tribunale Militare Straordinario che li dovrà giudicare. Alle 14,30 arriva il Questore col. Santamaria Niccolini con altri due capitani fascisti e dopo nemmeno due ore di uno pseudo processo, senza difesa, senza pubblico, senza alcuna formalità legale, vengono condannati a morte ben nove, meno un certo Ponza, il cui processo viene stralciato perchè colpevole di furto.
I condannati sono quasi tutti dei laureati e dei diplomati colpevoli solo delle loro idee democratiche. Il pretesto per il loro assassinio è una crudele rappresaglia per l’uccisione del federale Aldo Resega, e la stampa li descriverà come dei criminali confessi di tale delitto, mentre sono tutti ignari di quanto era accaduto, perchè imprigionati prima della morte di Resega. Il quale invero sembra sia stato colpito dagli scherani della “Muti” che lo sapevano contrario alle loro rapine.
Dopo la crudele mistificazione del processo i nove sono portati all’Arena dove era stato predisposto il plotone di esecuzione composto di 20 militi della Trieste (fascisti vestiti da bersaglieri) e da 20 della Muti. Alle 17.30 è data lettura della Sentenza che ne condanna otto alla fucilazione alla schiena e al solo Brenna Mario viene commutata la pena a 20 anni di reclusione. Questi deve però assistere alla fucilazione dei suoi compagni. Le otto vittime innocenti si abbracciano e si baciano nel loro reciproco ultimo saluto e sono costrette a sedersi e a farsi legare su apposite sedie alla presenza del questore, del prefetto Uccelli in rappresentanza del Ministro Buffarini Guidi, ispiratore della strage. Al confessore il Cervi dice che per sé non gli importa di morire, ma gli dispiace per il colpo che dà alla madre e ai fratelli, e perché è una morte ingiusta e immeritata. Si leva il pullover e lo dà al cappellano militare da portare come suo ultimo ricordo alla fidanzata. E quando viene ordinata la terribile parola “fuoco” tutti gli otto martiri d’accordo si alzano in piedi come segno di protesta e per morire da forti. Il Cervi grida: “Viva l’Italia” e cade bocconi in avanti insieme agli altri”.
Questa la verità storica ricostruita in seguito dal racconto dei presenti, mentre per il pubblico ignaro, sia per radio che sui giornali, vien dato dai nazifascisti il seguente falso comunicato:
“Contro i Sanguinari Perturbatori dell’Ordine – Otto Criminali Giustiziati –
Si è convocato ieri il Tribunale militare Straordinario, che dopo la prescritta istruttoria, ha giudicato e condannato dieci criminali responsabili di omicidi, di rivolta contro i poteri dello Stato, d’incitamento alla strage, di detentori di armi e munizioni, di apparecchi radio trasmittenti e di materiale di propaganda comunista. Il Tribunale ha emesso la seguente sentenza:
Condannati alla fucilazione: 1) Amedeo Rossini; 2) Fedele Cerini: 3) Alberto Maddalena; 4) Carmine Capolongo, 5) Carlo Mendel, 6) Luciano Gaban; 7) Giovani Cervi, 8) Antonio Maugeri.
Mario Brenna condannato a 20 anni di reclusione. Tommaso Ponza rinviato al Tribunale Militare ordinario.”
[…]
1943-2003: nel 60° Anniversario dalla morte. Giovanni Cervi, Martire della Libertà, a cura di Claudio De Biaggi, edito dall’A.N.P.I Sezione “Osvaldo Brioschi” – Ponte Lambro, 22 Giugno 2003

Alcune pagine della Sentenza del processo n. 358 del 1946 della Corte di Assise Speciale di Milano del 12 novembre 1946 contro gli autori della Strage dell’Arena – Fonte: Wikimedia