Con l’espulsione di Tito dal Cominform nel giugno 1948 il ruolo del confine orientale non fu più quello di Stato “cuscinetto” tra i due blocchi

In questo scontro tra i due grandi blocchi il confine orientale italiano rappresentava la cerniera, il punto di contatto. In questa porzione di terra si riversarono e scontrarono gli interessi di più attori. Gli Stati Uniti vista l’importanza del confine orientale non avevano intenzione di ritirare le proprie truppe dall’area e di abbandonare l’ultimo avamposto prima del mondo comunista. Allo stesso modo, l’Unione Sovietica insieme alla Jugoslavia non aveva intenzione di rinunciare ad un’area geografica strategica come la penisola istriana e la città di Trieste.
Dopo la ratifica del Trattato di pace nel settembre 1947 l’Italia aveva riacquistato la propria autonomia ma aveva dovuto anche accettare la definizione dei confini. Con l’articolo 21 del Trattato era stato istituito il Territorio Libero di Trieste, diviso in zona A sotto il controllo del Governo Militare Alleato e la Zona B sotto il controllo della Repubblica Federale Jugoslava. Il presidio della zona A era particolarmente importante per gli alleati perché l’Italia era un paese ancora troppo debole per fermare un’eventuale avanzata dell’armata rossa che, nel caso di un’invasione militare, sarebbe sicuramente passata tramite la Jugoslavia attraverso il confine orientale.
A livello nazionale l’Italia aveva mostrato delle fragilità interne che avevano ridotto la portata delle azioni del governo proprio per la varietà delle visioni politiche. Se nel 1947 era comprensibile che il governo si muovesse a fatica perché non era ancora entrato in esecuzione il Trattato di pace, nel 1948 la politica italiana era ancora molto frammentata. Nel secondo e nel terzo capitolo abbiamo visto come i partiti del Governo Nazionale erano tenuti insieme solamente dagli ideali antifascista, ereditati dal secondo conflitto mondiale. D’altronde, non bastava condividere gli ideali antifascisti, i partiti italiani erano chiamati a schierarsi con una delle due superpotenze. La scelta venne condizionata principalmente dall’eredità storico culturale di ciascun partito. Ad esempio fu naturale che il Partito Liberale si schierasse con gli Stati Uniti e il Partito Socialista con l’Unione Sovietica. Inevitabilmente però l’attivazione del Piano Marshall da parte degli Stati Uniti avrebbe rappresentato un elemento agglomerante ancor più forte di quello antifascista.
Ad un certo punto, alla fine del 1947, il governo italiano aveva dovuto prendere atto del fatto che il paese aveva disperata necessità di investimenti. Il PCI avrebbe avuto un ruolo cruciale in questo frangente trovandosi nella posizione di dover scegliere tra essere pragmatici o rimanere fedeli alla dottrina marxista di lotta al capitalismo. L’imbarazzo della scelta aveva condotto il partito a spaccarsi sempre più al proprio interno. Anche la situazione del TLT aveva rappresentato un problema di non facile soluzione per il PCI perché, se da un lato, i fratelli comunisti di oltre confine avrebbero avuto il diritto di esser sostenuti dall’altro era forse più importante appoggiare gli interessi nazionali. Togliatti aveva cercato di risolvere la questione andando a parlare con Tito ma il suo tentativo si era rivelato essere più volto a screditare l’azione di De Gasperi che a raggiungere un risultato concreto.
A livello internazionale, l’Italia si stava appena creando una propria credibilità e non poteva rifiutare gli aiuti economici americani che le servivano come il pane. I rapporti con la Jugoslavia e la gestione della questione territoriale sancita dell’articolo 21 del trattato portavano con sé anche il problema di gestione di una massa di esuli provenienti dalle ex terre italiane.
A livello nazionale tutti i partiti erano pieni di contraddizioni. Ogni partito vedeva la nascita di diverse correnti che a loro volta destabilizzavano i partiti o portavano alla creazione di nuovi partiti con interessi sempre più specifici. L’instabilità del Parlamento a questo punto toglieva al Governo la propria capacità di agire concretamente che veniva considerato imprevedibile e incapace di dialogare con le altre potenze in modo compatto e coeso.
La scarsa credibilità internazionale, le spaccature interne e le contraddizioni del parlamento avevano riflessi anche sulla questione del confine orientale. L’Italia aveva avrebbe voluto risolvere la questione direttamente ma non poteva farlo perché non aveva il controllo della zona A del TLT e i suoi interlocutori erano due: il Governo Militare Alleato e la Jugoslavia.
Per non abbandonare completamente la partita il Governo italiano decise di prendere in mano la situazione creando uno strumento apposito alle dipendenze dirette della Presidenza del Consiglio dei Ministri: L’Ufficio Zone di Confine che avrebbe avuto il compito di coordinare le diverse iniziative messe in campo per sostenere l’italianità del territorio. Nel capitolo quarto e quinto vengono trattate nello specifico le azioni messe in campo dall’Ufficio come la gestione della propaganda attraverso gli aiuti economici alla stampa e alla radio, finanziamenti a gruppi di resistenza armata come i Circoli e le Associazioni triestine, interventi nel tessuto economico produttivo tramite accordi con il GMA.
L’UZC, essendo alle dipendenze della PCM, era un organo con un indirizzamento politico. Gli avvenimenti del biennio analizzati nel corso del presente elaborato come la firma del Trattato di Pace, la Dichiarazione Tripartita, le elezioni politiche dell’aprile 1948 avevano dato vita un governo a trazione centrista che vedeva la collaborazione di tutti i partiti che credevano che una politica filo occidentale fosse la strada giusta da seguire per il bene del paese. Tramite l’UZC questa visione politica era arrivata anche al confine orientale dando origine alla cosiddetta Giunta d’Intesa composta da: DC, PSLI, PRI, PLI. Le rappresentanze di questi partiti che erano i principali fruitori dei finanziamenti statali che permettevano loro una maggiore capacità organizzativa sul territorio. Come abbiamo visto, se da una parte c’era un’azione politica dall’altra i cospicui finanziamenti ai Circoli triestini, alla stampa e alla radio tenevano alta la tensione di piazza incoraggiando la popolazione a resistere attivamente al fascino comunista. Tutte le azioni dell’UZC si erano adeguate agli indirizzi politici nazionali con il blocco centrista che si era schierato a favore degli Stati Uniti. Le dinamiche della Guerra Fredda si erano riversate anche nel TLT.
Questo parallelismo tra gli Stati Uniti che combattevano l’Unione Sovietica a livello internazionale e il governo italiano filoccidentale che combatteva contro la minaccia comunista al confine orientale durò poco. Con l’espulsione di Tito dal Cominform nel giugno 1948 il ruolo del confine orientale non fu più quello di Stato “cuscinetto” tra i due blocchi. A quel punto la Jugoslavia era subentrata in questo ruolo e l’appoggio politico di Washington all’Italia si fece sempre più debole limitandosi a fornire aiuti economici senza mai rivendicare il valore della Dichiarazione Tripartita.
Tommaso Cortivo, Politiche ufficiali ed ufficiose condotte dall’Italia nel biennio 1947/1948 al confine orientale, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2019/2020

Se l’osservazione da più lati del concetto di confine può aiutare a comprendere e contestualizzare la realtà triestina e giuliana, le contraddizioni riscontrabili nella storia della città e del confine orientale pongono diversi dubbi.
Prende talvolta forma lo spettro del cosiddetto “particolarismo triestino” <116, il mito della diversità caratteristica e ricorrente in vari settori della cultura della città <117, il quale erge una barriera contro quanti desiderino penetrare l’immaginario storico ed ideologico proprio della città adriatica.
Grazie alla memoria di coloro che hanno vissuto in prima persona la Seconda guerra mondiale, i travagliati anni del Territorio Libero di Trieste, l’evoluzione delle relazioni politiche tra Italia e Jugoslavia, è a mio parere immaginabile un avvicinamento in tal senso, pur sapendo che, come scrive Scipio Slataper, “quando poi qualcuno viene, noi non sappiamo fare altro che condurlo per queste grigie vie e meravigliarci che egli non capisca” <118.
Le “grigie vie” sono spesso enigmatiche in quanto percorse da eventi complessi, interpretabili da punti di vista diametralmente opposti: la storia di Trieste, quella degli italiani, dei triestini, degli sloveni. Claudio Magris definisce la città come “modello dell’eterogeneità e della contraddittorietà di tutta la civiltà moderna, priva d’un fondamento centrale e d’una unità di valori” <119. La storia del confine orientale e le “storie” da esso generate confermano i caratteri di diversificazione e pluralità di cui parla l’intellettuale triestino. Alle radici di tali “eterogeneità e contraddittorietà” vi sono le esperienze di vita di ogni individuo, le quali costituiscono i tasselli del composito mosaico che narra della città di Trieste e del confine orientale.
[NOTE]
116 Fabio Cusin, Giulio Cervani, Appunti alla storia di Trieste, Udine, Del Bianco, 1983, p. 7.
117 Angelo Ara e Claudio Magris, Trieste, un’identità di frontiera, Torino, Einaudi, 1982, p. 6.
118 Scipio Slataper, Lettera a S. Aleramo del 16 settembre 1912, in Id., Epistolario, a cura di Giani Stuparich, Milano, 1950, p. 312.
119 Angelo Ara e Claudio Magris, Trieste, un’identità di frontiera, Torino, Einaudi, 1982, p. 4.
Mattia Radina, Trieste e la Venezia Giulia nel Secondo dopoguerra. Testimonianze di un confine in movimento, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2011/2012