Credo che il vecchio Pablo Casals abbia suonato con la speranza o l’illusione

Rafael Alberti e la moglie María Teresa León – Fonte: Periodico de Ibiza

1. Silenzio e intermittenze
Nel 1961 l’editore Parenti pubblicava, nella traduzione di Dario Puccini, Miliziani a Ibiza. Un libro che, estendendo a oltre 250 pagine la titolazione originaria del pezzo iniziale, Una historia de Ibiza, raccoglieva sotto un’indicazione editoriale ad effetto alcuni racconti (o un ‘romanzo’, come lo definiva la scheda pubblicitaria d’accompagnamento <1) e un testo teatrale (De un momento a otro: Da un momento all’altro) del grande poeta spagnolo [Rafael Alberti ]. L’incipit del primo racconto (quello che appunto segnava l’identità del libro: Miliziani a Ibiza) non poteva non colpire uno scrittore come Giuseppe Dessí, che nel novembre del 1961 si sarebbe misurato con quelle pagine e con i ricordi che gli ridestavano.
Sappiamo infatti da note di diario che il 16 novembre era già immerso nella lettura e che solo la mattina del 20, non senza significative interferenze della memoria, avrebbe consegnato a Cingoli un pezzo/recensione per «Vie Nuove».
Ma procediamo con calma. Si accennava alle ragioni di un coinvolgimento, che dovevano certo essere più complesse del sottinteso, inevitabile impegno politico di quegli anni, e delle amicizie e collaborazioni romane che facevano di Dario Puccini una figura di riferimento <2. Ragioni che rinviavano piuttosto alla natura delle storie, dei luoghi, dei personaggi, delle scelte. Basti pensare che il protagonista di Miliziani a Ibiza, Javier, dovendo scegliere sulla carta un luogo della Spagna dove trascorrere le vacanze estive, opta per un’isola delle Baleari che pare garantire, assieme alla bellezza del paesaggio, una solitudine da riempire con il pensiero ed i libri. La lontananza dalla città, la rilassatezza del «rustico abbandono» – nonostante la presenza del mare, nel racconto di Alberti – non sono, e non dovevano apparire al suo colto lettore molto diverse dalla pace e dalla solitudine montana di San Silvano nella quale si era isolato, non senza giovanili abbandoni e rimorsi, il protagonista dell’omonimo romanzo di Dessí.
Che nell’isola natale (che avrebbe continuato a riservargli nel tempo fortissime intermittences, nutrite anche dalla distanza fatalmente generata da un qualche insel spleen: si pensi in Alberti alla sensazione forte che nasce dalla consapevolezza di trovarsi su un’isola, ovvero in «un pezzo di terra circondato da ogni parte dalle acque») sarebbe rimasto bloccato (al pari del protagonista di Miliziani a Ibiza, e in anni non molto lontani da quelli) da una guerra che al pari di quella civile spagnola sarebbe stata seconda per importanza, nei due paesi, soltanto al primo conflitto mondiale.
Sarà in boschi dall’intenso profumo di lentischio e di timo che si muovono e rifugiano ‘Pinocchio’ e Javier, anche se in un caso per la costruzione di un mondo fantastico destinato a finire, a dispetto della finale speranza (già che tutto si gioca su una storia individuale) <3, nell’altro per sfuggire alla violenza politica sulla quale – nel racconto del ’37 di Alberti – avranno felice rivalsa quanti, intellettuali o meno, si battono per la libertà.
Anche il secondo racconto del volume (Las palmeras se hielan: Si sono gelate le palme), del ’38 (apparentemente più lontano dai temi dessiani il conflitto familiare in una piccola città del sud prima del luglio del ‘36 di cui parlano i tre atti di Da un momento all’altro, se non fosse per la consapevolezza dei contrasti e delle faide domestiche <4 e per l’incredula e irragionevole speranza di una madre, non troppo lontana, per testarda tenacia d’amore, dalle figure dessiane di Alina e Mariangela <5), non doveva essere del tutto privo di echi per il nostro scrittore. Non solo perché il cielo di Madrid, rosso e nero sotto i bombardamenti, con le sue palme gelate in una mattina anche metaforicamente freddissima, poteva ridestare facilmente quella che avrebbe più tardi chiamato la sua ‘nostalgia di Cagliari’ <6, ma perché Braulio, il giovane protagonista del racconto spagnolo, è, al pari di Giacomo Scarbo (che lo è ‘ontologicamente’, fin dall’adolescenza, ma per questo senza remissione <7), ferito a una gamba, e si porta dietro, come anche la biografia dessiana ci attesta <8, un tormentato percorso scolastico scandito da indisciplina e mancanza di metodo. Al pari di Braulio, che studia Lettere con risultati mediocri, l’adolescente Dessí si era distinto per una strana miscela di ribellione e intelligenza, preferendo, come a Braulio succede, a noiose mattinate scolastiche, le corse col cane tra i lentischi e i cisti della montagna.
2. Sparse tracce di lettura
Sulla rigida copertina marrone di un piccolo quaderno ad anelli rintracciabile alla segnatura GD.0.1.19 del Fondo Dessí, un’etichetta con funzione di nota di contenuto rimanda a: «Rafael Alberti e i suoi rapporti con F[ederico] G[arcía] Lorca; Documentario girato in Sardegna per la RAI (appunti)». L’indicazione manoscritta, di mano della moglie Luisa, presa sul serio dal catalogatore <9, ha indotto la schedatura in Archivio, con il risultato di depistare almeno in parte dal contenuto reale. Visto che – sulle 34 complessive che costituiscono il reperto – le sole 17 pagine scritte (a inchiostro o a pennarello, palesemente in tempi diversi), solo in parte hanno a che fare con Lorca, Alberti e con un documentario girato o da girare per la Rai. Per giunta i pochi fogli utilizzati sono intercalati, con una frequenza alta perfino per le abitudini di Dessí (che usava divertirsi a disseminare qua e là schizzi e disegni <10), da un numero decisamente interessante e significativo di interventi che potremmo dire figurativi.
[…]
Su «Vie nuove», dunque, il 23 novembre 1961 (conservato nel Fondo alla segnatura GD. 8.2.7) sarebbero apparse, sotto titolazione redazionale (Un libro di Rafael Alberti / Spagna tragedia senza tempo di Giuseppe Dessí) – ma accompagnate sul quadernetto di autografi da uno schizzo specifico a quelle legato – le uniche pagine di Dessí che parlano esplicitamente della Spagna, ove si eccettui l’eco lunga, perdurante, e il rimorso che intreccia fin dall’inizio con la tragedia spagnola (a partire dall’incidente adolescenziale dell’Introduzione alla vita) la storia del personaggio più amato (Giacomo Scarbo), votato, per coraggiosa elezione, a morire in Spagna combattendo con le brigate internazionali <20.
Valga dunque riprodurre qui per intero quel testo introvabile, accompagnato da disegni significativi tracciati velocemente a lato, che provano quanto forte, e fortemente autobiografico, anche, dovesse essere stato il complessivo
coinvolgimento:

“Quando Rafael Alberti scriveva il lungo racconto Miliziani a Ibiza (che l’editore Parenti pubblica ora nella traduzione di Dario Puccini) aveva 34 anni ed era appena uscito dall’esperienza della guerra civile. Era al colmo della giovinezza e, al tempo stesso, nella piena maturità. Perché se è vero quello che alcuni sostengono, che in Spagna i giovani rimangono giovani più a lungo, che la giovinezza si prolunghi indefinitamente nella vita dell’uomo come un alibi felice, è anche vero il contrario, e cioè che nella giovinezza di quegli stessi uomini si dia il caso di ritrovare i segni di un’esperienza matura e profonda. Ma, a parte queste considerazioni, è certo che le esperienze di quegli anni intensissimi maturarono Rafael Alberti senza togliere alla sua poesia la freschezza e la forza genuina che erano piaciute a Juan Ramón Jiménez. In lui, come in García Lorca, la straordinaria evidenza dell’immagine, che sembra venir fuori di getto da una ispirazione immediata, è frutto sì di questa ispirazione ben riconoscibile, ma quando torna a bagnarsi nella sua corrente ha già fatto tre volte il giro del mondo. Nei suoi Ritratti di contemporanei (Il Saggiatore, Milano 1961) Alberti scrive, a proposito di Federico García Lorca: «… Federico era il cante (poesia del suo popolo) e il canto (poesia colta): era cioè Andalusia, dello jondo (del profondo) popolare, e insieme tradizione saggissima dei nostri vecchi canzonieri. Sebbene in quasi tutti i poeti contemporanei del Sud, con Antonio Machado e Juan Ramón Jiménez alla testa, si possa ritrovare questa medesima venatura, questo recuperato filo d’acqua trasparente, è García Lorca quello che con maggiore forza e continuità rappresenta siffatta linea».
È parlando degli altri che, a volte, i poeti rivelano i segreti della propria poesia, specie quando le affinità sono profonde, come nel caso di Rafael Alberti e di García Lorca.
Nelle prose e nel racconto drammatico che in questo volume sono raccolti sotto il titolo che Dario Puccini ha ricavato dalla prima di esse, gli spunti che, a prima vista, potrebbero sembrare autobiografici in senso stretto nascono invece dalla fusione di elementi che si riferiscono ora alla vita reale di Rafael, ora a quella di Federico. E il personaggio autobiografico che si chiama Javier in Miliziani a Ibiza, Braulio in Si sono gelate le palme, Gabriel in Da un momento all’altro, nasce da questa sintesi poetica.
Quando si sparse la notizia che Federico García Lorca era stato assassinato, gli amici, quasi contro ogni evidenza, continuavano a sperare; e Rafael ricevette una telefonata. «Era – egli scrive – un’altra voce, più impressionante, perché più vicina a Federico, quasi la sua, che mi assicurava…»: «Non è vero. Non è vero. Non fate nulla. So benissimo che Federico è nascosto ed è in salvo». Si trattava della sorella di Lorca, la più piccola e la più cara al poeta, che non si rassegnava, che non accettava la realtà: ostinata, ingenua, appassionata e cieca.
Non si può fare a meno di pensare ai personaggi del dramma Da un momento all’altro, quando, alla fine del terzo atto, il giovane Gabriel sta per essere ucciso la voce di Araceli, la sorella minore, la più cara al poeta (ché anche Gabriel è un poeta), suona con lo stesso accento di terrore e di inspiegabile ostinazione: «madre: Che pena questo ragazzo! Che debbo fare, mio Dio? – Araceli: Mamma, non preoccuparti se Gabriel questa notte non dovesse tornare…».
E la morte stessa di Gabriel, ucciso dai suoi ex-amici, che approfittano della guerra civile appena iniziata per dare sfogo al proprio odio, non somiglia forse alla morte di Lorca? D’altra parte, il personaggio di Gabriel, così come quello di Javier, come quello di Braulio, ricordano da vicino Rafael, la sua infanzia, la sua giovinezza.
Questa forma autobiografica composita e ricca permette allo scrittore di calarsi nell’intimo della società spagnola, come se parlasse di se stesso e della propria famiglia: una società così ferma, così sorda, così irrimediabilmente legata al passato, che anche nell’intimo della casa, di fronte alle persone più care, alla propria madre, ai fratelli, alle sorelle, chiunque sia volto all’avvenire, chiunque senta urgere un bisogno di giustizia, non può fare altro che pensare alla frattura più violenta e definitiva, alla rivoluzione.
Leggendo questi racconti scritti da un poeta che riesce a contenere nella prosa lucidissima la forza della sua lirica, si capisce almeno una delle ragioni per cui questo popolo, eroico e appassionato, sopporta da tanti anni la dittatura franchista: solo con la rivoluzione, col sangue, si potrebbe sradicare il fascismo, abbarbicato come un cancro e oramai confuso a tutto ciò che dovrà cadere con lui. E la rivoluzione dovrebbe cominciare in ogni casa, in ogni famiglia. Braulio sa che nell’odio contro i fascisti deve mettere «una parte della sua famiglia». Il suo migliore amico è stato ucciso in casa sua, dai suoi stessi fratelli. «Sì, devo dedicarmi a odiarli. Tutti. Senza eccezione. Accada quel che accada» (Si sono gelate le palme). E i due popolani rivoluzionari, Pablo e il Pescatore, quando i familiari si stringono attorno al corpo esanime di Gabriel, che i compagni hanno riportato a casa, li considerano con distacco e tristezza. Non con pietà, ché anzi nel loro distacco vi è anche una punta di sprezzo, ma con una tristezza consapevole: «Pablo: Ecco qui una famiglia spagnola. – pescatore: Una tragedia di Spagna» (Da un momento all’altro). La stessa famiglia, certamente, che, per consiglio del confessore, defrauda il vecchio Tomas (o Tommaso, all’italiana) Alberti, prozio dello scrittore, colto al volo in punto di morte, come un piccione, dal solerte gesuita. «Il vecchio zio garibaldino, grazie al cielo militante della Compagnia di Gesù, riposava ora per sempre, privo della sola medaglia con la quale sarebbe disceso pieno d’orgoglio nella terra» (Lo zio garibaldino).
Questa è la tragedia della Spagna. Tragedia viva e attuale ancora oggi, anche se il vecchio violoncellista Pablo Casals, che aveva solennemente promesso di non suonare mai più nei Paesi che avessero riconosciuto il governo franchista, ha accondisceso a suonare alla Casa Bianca per Jacqueline. Nulla è cambiato. È di pochi giorni la notizia che il ministro della Giustizia di Franco ha rifiutato di ricevere la delegazione internazionale per l’amnistia ai detenuti politici spagnoli.
Ma io credo che il vecchio Pablo Casals abbia suonato con la speranza o l’illusione di arrivare indirettamente, con la voce del suo strumento, dove la delegazione internazionale non è arrivata”.

1 Nel Fondo Dessí (conservato come noto presso l’Archivio contemporaneo «Alessandro Bonsanti» del Gabinetto «G. P. Vieusseux» di Firenze), alla segnatura GD.8.2.7, si trova una copia della scheda pubblicitaria del volume che Dessí aveva dunque conservato.
2 Vista la frequentazione romana, poche le lettere di Puccini nell’archivio Dessí (cfr. al proposito A Giuseppe Dessí. Lettere di amici e lettori. Con un’appendice di lettere inedite, a cura di Francesca Nencioni, Firenze, Firenze University Press, 2009), ove si eccettuino un paio di messaggi per notizie sulla salute e soprattutto una lettera del novembre del ’73 nella quale, ringraziando per l’invio dell’Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo, Puccini ricorda l’amico comune Niccolò Gallo e i tempi della collaborazione a «Vie nuove» (cfr. GD. 15. 1. 423. 5).
3 Ma per una lettura del romanzo sia consentito il rinvio a Anna Dolfi, I tre tempi di «San Silvano», in La parola e il tempo. Saggio su Giuseppe Dessí, Firenze, Nuovedizioni Vallecchi, 1977 (n.e. rivista, Roma, Bulzoni, 2003, con il titolo La parola e il tempo. Giuseppe Dessí e l’ontogenesi di un «roman philosophique», pp. 177-203); e a Le costanti narrative nell’opera di Dessí e l’eccezione ferrarese di «San Silvano», in «Esperienze letterarie», l979, l, pp. 76-88 (poi in A. Dolfi, Terza generazione. Ermetismo e oltre, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 405-422); all’Introduzione a Giuseppe Dessí, San Silvano, Milano, Mondadori «Oscar», 1981, pp. 5-28 (poi, con il titolo Ragione e passione in un ‘roman philosophique’, in Terza generazione cit., pp. 423-434); alla Post-face a G. Dessí, San Silvano, Lagrasse, Verdier, 1988 (poi, con il titolo Rileggendo Dessí e «San Silvano», in A. Dolfi, In libertà di lettura. Note e riflessioni novecentesche, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 159-168); a Le modulazioni del tempo sensibile, in G. Dessí, San Silvano, Nuoro, Ilisso, 2003, pp. 7-23 (poi, con il titolo «San Silvano», ovvero le modulazioni del tempo sensibile, in Una giornata per Giuseppe Dessí. Atti di seminario. Firenze – 11 novembre 2003, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 15-27).
4 Si pensi (per il momento della nascita del fascismo) a specifici riferimenti nel Disertore.
5 Protagoniste rispettivamente dell’Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo e del Disertore.
6 Cfr. in particolare Nostalgia di Cagliari, in G. Dessí, Un pezzo di luna. Note, memoria e immagini della Sardegna, a cura di Anna Dolfi, Cagliari, Della Torre, 1987 (n. e. 2006) e la scheda/commento che accompagna quel pezzo, ma più in generale l’insieme del libro, dove si trovano precisi riferimenti all’insel spleen, alla guerra e ai bombardamenti sull’isola.
7 Per una nostra lettura dell’Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo cfr., oltre a un capitolo specifico in A. Dolfi, La parola e il tempo cit., un successivo intervento: Un’introduzione per l’«Introduzione alla vita», in G. Dessí, Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo, Nuoro, Ilisso, 2004, pp. 7-31.
8 Basti il rimando ai pezzi saggistico-testimoniali che accompagnano il romanzo postumo La scelta (a cura di Anna Dolfi, Milano, Mondadori, 1978; n. e. Nuoro, Ilisso, 2009).
9 Né poteva essere diversamente, vista la mole enorme del materiale da riordinare (cfr. Giuseppe Dessí. Storia e catalogo di un archivio, a cura di Agnese Landini, Firenze, Firenze University Press, 2002).
10 Ma per dati sulla passione di Dessí per il disegno e la pittura cfr. Giuseppe Dessí-Maria Lai, Un gioco delle parti, a cura di Anna Dolfi, Cagliari, Arte Duchamp, 1997 e il catalogo della mostra pittorica inaugurata a Villacidro nel settembre 2010: Giuseppe Dessí. Testi di Maria Paola Dettori, con un contributo di Anna Dolfi, Villacidro, Fondazione Giuseppe Dessí, 2010.
19 Alla c. 10 v. troviamo uno schizzo di navi, alla c. 17 v. quello di barche e alberi.
20 Come il romanzo I passeri suggerisce.
21 Ma per un tracciato delle tangenze tra i due e per la storia di una complessa amicizia si veda, in questo libro, Due scrittori, la forma breve e l’azzurro.

Anna Dolfi, CASALS, ALBERTI E LA SPAGNA. UN TESTO DISPERSO DI GIUSEPPE DESSÍ E UNA TANGENZA BASSANIANA in Dopo la morte dell’io. Percorsi bassaniani «di là dal cuore», Firenze University Press, 2017