Da ora in avanti la mia vita non appartiene a me solo

Mario Pasi, sottotenente medico in Albania, 1941 – Fonte: Patria Indipendente

“Il Pasi era un giovanotto/ veniva dalla Romagna…” così inizia una poesia che Mario Tobino dedicò a Mario Pasi, suo amico e collega nello studio della medicina negli anni 30.
Lo chiamò in chiusura, con una felice frase poetica “il più bell’Italiano di mezzo secolo”. Ma a metà dell’ode scrisse: “Lui lo impiccarono i tedeschi/dopo sevizie che non ho piacere che si sappiano…”.
In questa lirica sono condensate molte e importanti cose sulla figura di Mario Pasi. Medico, antifascista, comunista ravennate, andato a Trento per il suo lavoro, comandante partigiano nel bellunese e lì catturato, seviziato per mesi, e impiccato – ormai moribondo – il 10 marzo 1945 nel “Bosco delle Castagne”, poco fuori Belluno. C’è ancora l’albero a cui lo appesero.

Fonte: Resistenza Libertà, citata infra

Ci sono le foto del corpo di lui, c’è il biglietto che scrisse durante il lungo martirio “Mandatemi del veleno, non resisto più”.
[…] C’è una frase che non può non colpire, scritta alla propria compagna Ines Pisoni (con cui Masi avrebbe voluto condividere l’esistenza intera se la sua non fosse stata brutalmente spezzata): “Da ora in avanti la mia vita non appartiene a me solo”. Una frase che dice molto, forse tutto, della sua condotta. Anche nei mesi di una detenzione che definire calvario è dire poco. Ma che era in qualche modo sua anche nella serietà e rigore da medico a Trento, da organizzatore e comandante di formazioni partigiane in un ambiente particolarmente difficile e pericoloso.
Giova ricordare che il trentino e il bellunese erano stati direttamente annessi al Reich germanico e sottoposti ad una imponente presenza e durissima repressione nazista. Dove i collegamenti, le azioni, i rapporti con la popolazione civile avevano caratteristiche della massima difficoltà e della massima tensione.
La delazione, la cattura, il martirio, la morte, non esauriscono la ricerca di Masetti. Oltre a una preziosa appendice fotografica e di lettere, di grande significato, c’è un ultimo doloroso capitolo sulle dicerie riguardo alla sua condotta nei lunghi mesi di detenzione. Diverse testimonianze di compagni di cella e di altri, confermano la resistenza del dottor Mario Pasi, il partigiano “Montagna” fino all’estremo sacrificio. La ricerca, uscita anche grazie al generoso contributo di persone vicine alla famiglia, in primo luogo Alberto Bissi, consentirà di riempire una pagina preziosa per la memoria della Resistenza.
Permette inoltre di arricchire il mosaico di un fenomeno tutto sommato poco studiato: quello di antifascisti, militari, partigiani che si batterono e spesso morirono lontano dalla loro terra di origine. Penso ad esempio al vicentino Antonio Giuriolo, figura di intellettuale e partigiano, quasi speculare a quella di Mario Pasi, venuto a morire nei monti sopra Reggio Emilia, ma penso anche al Carabiniere agrigentino Gaspare Crescimanno, venuto a combattere, e a morire fucilato a Giovecca, un paesino della bassa campagna ravennate. E penso ai tanti altri noti, e agli ancor più numerosi sconosciuti, che scelsero da che parte stare da qualunque terra ed esperienza venissero. È questo un altro grande valore della Resistenza: avere dato un contributo a rendere più unito questo Paese. Una unità fondata, per una volta, non sul comune stare nelle trincee di guerre volute da altri, ma sulla comune lotta per la libertà.
Guido Ceroni, presidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Ravenna, Giuseppe Masetti, “Il più bell’italiano. Vita partigiana del dottor Mario Pasi”, Edizione del Girasole, 2020, pp 272, € 14,25, Patria Indipendente, 14 febbraio 2021

[…] Mario Pasi, medico ravennate, in servizio dal 1938 al 1940 all’ospedale Santa Chiara, attivo in città in una cellula clandestina del partito comunista.
Dopo l’8 settembre, Pasi si impegnò per aiutare i soldati italiani in fuga e per spingerli verso la causa della lotta contro il nazifascismo. Ma in Trentino il movimento di liberazione faticava a organizzarsi, mentre prendeva corpo l’occupazione, nell’ambito della nuova area amministrativa denominata Zona di operazioni delle Prealpi, cui appartenevano anche le province di Bolzano e di Belluno, controllata dai nazisti tirolesi e di fatto inglobata nel Terzo Reich.
Di fronte all’impossibilità di costruire un esercito di liberazione strutturato in Trentino e al rischio crescente di finire prigioniero dei nazisti, all’inizio del ’44 Pasi si spostò nel Bellunese, dove la Resistenza era già attiva e organizzata fin dall’autunno del 1943. Qui, con il nome di battaglia Montagna, il medico ravennate fu fra le figure più in vista, aggregato dapprima al nucleo partigiano «Luigi Boscarin», poi commissario politico nellambito della divisione garibaldina «Nino Nannetti» e infine commissario del comando unico di zona del Cln bellunese da novembre 1944. Incarico, quest’ultimo, di raccordo fra il livello politico e quello militare, che Pasi ricoprì solo poche settimane, perché fu arrestato da nazisti il mese successivo, in seguito a una «spiata».
Montagna fu quindi incarcerato nella caserma Tasso, in centro a Belluno, sede della gendarmeria germanica guidata dal famigerato tenente Georg Karl, noto torturatore e assassino del quale dopo la guerra si persero completamente le tracce.
Nella caserma Tasso, dove operavano anche alcuni attendenti sudtirolesi del capo nazista, Mario Pasi fu seviziato per mesi, ridotto in fin di vita, in quella prigione in cui contro i numerosi arrestati per motivi politici, si usavano anche strumenti di tortura medievali. Karl voleva conoscere i nomi e i nascondigli di altri comandanti della Resistenza. Grazie a un’altra partigiana, Tea Palman, che poi come un migliaio di bellunesi sarà deportata al lager di Bolzano e torturata nella caserma del corpo d’armata, Pasi fece uscire dalla prigione un biglietto in cui chiedeva ai suoi compagni di inviargli del veleno: ormai temeva di non riuscire più a tacere.
Ma per lui, invece, si avvicinava l’ultimo giorno. La situazione pricipitò dopo un attentato contro i nazisti messo in atto da uomini della divisione Belluno in un poligono di tiro che si trovava in un prato ai piedi della collina denominata Bosco delle Castagne.
Come ritorsione, furono chiesti al tenente Kark cinquanta partigiani da impiccare, ma in gendarmeria dovevano ancora procedere con molti interrogatori e concessero «solo» dieci prigionieri.
Il pomeriggio del 10 marzo 1945 la settima compagnia del battaglione Schröder, composto da Ss altoatesini, la stessa che aveva subito l’attentato, scortò i dieci partigiani verso il luogo prescelto per l’impiccagione: il Bosco delle Castagne.
Il macabro corteo sfilò fra le case per sfidare e minacciare una popolazione ostile ai nazisti.
Mario Pasi, incapace di camminare, fu trasportato in auto, su una Topolino, e quindi adagiato su una scala che i militari requisirono a un contadino.
Bisognava salire un ripido sentiero per raggiungere il luogo del’impiccagione, scelto pobabilmente anche perché ben visibile di mondi a nord della città, dov’erano attestati i partigiani nel comando di cui faceva parte anche il maggiore Bill Tilman della missione britannica.
Giunti al bosco, attorno alle 18, i nazisti procedettero con le impiccagioni dei partigiani ai rami del castagni.
Oggi quel luogo è un’area storica fra quelle più note nel Bellunese, posti che conservano simbolicamente la memoria di questo e degli innumerevoli altri episodi tragici (stragi, uccisioni, deportazioni, paesi incendiati eccetera) che martoriarono la provincia dolomitica nel 1944 e nel 1945 per mano dei nazisti.
Lo stesso giorno, il 10 marzo ’45, un’altra decina di persone furono uccise sull’altro versante della Valbelluna, in Sinistra Piave, compresi i quattro fratelli Schiocchet di Sant’Antonio di Tortal […]
Zenone Sovilla, L’omaggio di Trento a Pasi partigiano caduto a Belluno, l’Adige.it, 10 marzo 2015

Mario Pasi alla scuola Allievi ufficiali di Firenze nel 1937 – Fonte: Patria Indipendente

Nome di battaglia “Montagna” [Mario Pasi] nasce a Ravenna il 21 luglio 1913. Nel 1931, quando iniziò gli studi all’Ateneo bolognese, diede vita con altri a un gruppo di studenti antifascisti. Nel 1933 intervenne all’ultima lezione di Bartolo Nigrisoli – costretto a lasciare l’insegnamento perchè non aveva giurato fedelta al regime fascista – e con numerosi studenti gridò a lungo: «Nigrisoli deve restare!». Nel 1935 fu uno dei fondatori della cellula del PCI all’interno dell’Ateneo. Richiamato alle armi nel 1936, prestò servizio militare negli alpini.
Nel 1938 si recò a Parigi per passare in Spagna e combattere nelle file delle brigate internazionali in difesa della repubblica democratica. Essendo la guerra civile giunta alle ultime battute, non potè arruolarsi. Tornò in Italia e iniziò a lavorare come medico nell’ospedale S. Chiara a Trento, dove si stabili pur continuando a tenere rapporti politici con i compagni di Bologna e Ravenna. Nell’ottobre 1939 fu nuovamente chiamato alle armi e, con il grado di tenente, combattè nel giugno 1940 sul fronte francese e nel 1941 in Albania. Congedato per invalidità, tornò a Trento e nel 1942 fece uscire il primo numero de “Il proletario”, il periodico clandestino del PCI trentino. Dopo l’8/9/43 fece parte del CLN di Trento e nella primavera 1944 si trasferì nel Bellunese dove – in accordo con i dirigenti della Resistenza di Bologna – organizzò i nuclei armati che diedero vita alla divisione Nannetti. Per qualche tempo militò nel distaccamento Fergnani composto da partigiani bolognesi e fu commissario politico della brigata Mazzini composta in prevalenza da bolognesi. Un paio di volte si recò a Bologna per concordare l’invio di uomini nel Bellunese, ma soprattutto per dirimere alcune questioni politicomilitari insorte tra i dirigenti bolognesi della Resistenza e quelli veneti. Il 22/10/44 fu nominato commissario politico della zona Piave.
Arrestato dai tedeschi il 9/11/44, fu a lungo torturato per estorcergli informazioni. Il suo calvario durò cinque mesi, durante i quali i tedeschi non lasciarono nulla di intentato. Dal carcere riuscì a far uscire un breve messaggio. Diceva: “Cari compagni mandatemi del veleno. Non resisto più. Montagna”. Per porre fine alle sue sofferenze si tagliò le vene dei polsi, ma i tedeschi lo salvarono per poterlo impiccare il 10/3/1945 nel Bosco dei Castagni a Belluno. Andò al patibolo con altri 9 compagni, giustiziati in segno di rappresaglia per la morte di alcuni tedeschi. Pare che quando fu impiccato a un albero fosse già morto. Nella cella della caserma di Belluno, dove aveva trascorso i mesi di prigionia, fu trovata questa scritta fatta col sangue: “Io muoio, ma voi ricordatevi di non tradire i vostri compagni. Montagna”.
Gli è stata conferita la medaglia d’oro al Valor militare con la seguente motivazione:
«Fin dall’8 settembre 1943 impugnava valorosamente le armi contro l’invasore. Ricercato dalla polizia tedesca, quale organizzatore della lotta di liberazione, si arruolava nelle formazioni partigiane della montagna di cui divenne animatore fecondo e combattente audace. Commissario di brigata e poi di zona Partigiana, valoroso tra i valorosi, sosteneva durissimi combattimenti infliggendo gravi perdite al nemico. Apostolo di bene e di carità, prodigava la sua opera di medico a lenire le sofferenze dei feriti senza mai risparmiarsi nei pericoli e nei sacrifici. Catturato per delazione, affrontava e sosteneva con sereno stoicismo le sevizie che solo la più efferata crudeltà poteva immaginare. Bastonato a sangue con le membra fracassate, trovava ancora la forza di por fine al martirio, tagliandosi le vene, ma il bieco nemico impediva che la morte lo strappasse alla sua sadica barbarie e poi lo finiva a colpi di bastone. Il suo cadavere impiccato per estremo oltraggio restò esposto per due giorni, circondato dall’aureola del martirio, fu faro luminoso che additò ai superstiti la via da seguire per raggiungere la vittoria». Bosco dei Castagni (Belluno), 10 marzo 1945.
Comandante Lupo, Pasi Mario, Storie Dimenticate, 10 marzo 2012

Mario Pasi – Fonte: Resistenza Libertà, citata infra

[…] Arriva la guerra di Spagna e Pasi, con una scusa di carattere medico, cerca di aggregarsi alle Brigate Internazionali antifranchiste, ma è ormai troppo tardi ed è costretto a fermarsi e a tornare in Italia. Inizia a lavorare all’Ospedale di Trento e lì si fa subito notare per le sue capacità mediche e per l’altruismo nei confronti dei poveri. Intanto tesse la rete con gli altri antifascisti, giungendo alla costituzione del C.L.N. e, nel 1942, alla redazione di un giornale clandestino, «Il Proletario». Nel frattempo, nel 1939, all’Ospedale, ha conosciuto una giovane insegnante cattolica, Ines Pisoni. Tra di loro è nato un rapporto affettivo e intellettuale, intenso e contrastato, date le forti personalità dei due. Descriverà molto bene – nel dopoguerra – l’intera loro vicenda sentimentale, politica e resistenziale, la Pisoni nel bel libro Mi chiamerò Serena. Nel 1940-’41, Pasi è richiamato alle armi ed inviato sul fronte albanese; tornerà poi a Trento e diverrà segretario della locale Federazione del Partito Comunista Italiano. Dopo l’8 Settembre 1943, assieme ai suoi compagni, sale sulle montagne bellunesi per praticarvi la guerriglia partigiana; lì diviene, con il nome di battaglia “Alberto Montagna”, prima Commissario Politico della Brigata “Mazzini”, quindi Commissario Politico di zona. Tuttavia Mario non perde mai i contatti con la terra natale ed alcune volte torna a Ravenna per incontrare i famigliari ed esponenti partigiani. Ines, infatti, lascerà Trento e vivrà per alcuni anni nella casa dei Pasi, e, con il nome di battaglia “Serena”, diverrà valorosa partigiana romagnola
[…] «Basta con la gente,/ che chiede al
destino la grazia di un giorno,/un giorno,
un altro, un altro ancora,/tutto di
guadagnato,/basta con questi tipi./
Voglio conoscer qualcuno/ che adatti
a se stesso la ruota,/che non ovatti di
cibo il suo sogno/ (ché siamo due, noi
e il destino, e non è detto/ che non
si possa vincere)./ Se voglio questo,
io sono uomo/ (se dentro mi guardo,
dico/ “Tante cose vorrei, ma, insomma,/
vorrei esser felice”)» (Poesia di Mario Pasi).
«Mi ritengo fortunato di vivere in questa epoca decisiva per la libertà dell’uomo. […] L’assenteismo non è possibile, la nostra intelligenza non ce ne dà il diritto. […] Quando uno si mette per una strada come la mia, la sua vita non appartiene a lui solo» (Frasi di Mario Pasi).
«Mario aveva un estremo pudore dei propri sentimenti, si nascondeva: non voleva che nessuno potesse conoscerli, capirli. […] Era un uomo dolcissimo, che per fare quello che ha fatto deve aver fatto uno sforzo sovrumano. Ecco, io ho conosciuto Mario Pasi sotto questo aspetto. Se dovessi paragonarlo ad un fiore, direi: Mario Pasi è una margherita, una viola» (Testimonianza di Nello Patuelli).
«Ho avuto con lui una lunga consuetudine. Siamo stati compagni di scuola, del ginnasio, dal liceo a tutta l’Università, e si è formata tra noi quella amicizia affettuosa, intima, che si forma fra i banchi della scuola, ma soprattutto un’amicizia che si fonda su una sintonia di ideali umani, così profondamente sentiti, quali ne sentiva Mario. Vivevamo di casa insieme: 50 metri da casa mia alla sua […]; preparavamo insieme, ricordo, l’esame di maturità […]. Spesso il nostro discorso passava a interrogarci, in quei momenti duri e oscuri del fascismo, su quelle che sarebbero state le nostre prospettive, di noi giovani: quale sarebbe stato quel futuro che pur noi sognavamo. Ricordo soprattutto il suo carattere. Non è facile dire del carattere di Mario: era apparentemente chiuso e schivo, ma aveva dentro una forza, un temperamento, una decisione e uno spirito talmente libero che credo si potesse un po’ ricondurre a certe radici così profonde nella tradizione della nostra terra, un po’ di tipo libertario: amava la libertà più di ogni altra cosa, per sé e per tutti gli altri […]. Quando penso agli strazi che ha dovuto affrontare, penso che veramente giganteggi» (Testimonianza di Benigno Zaccagnini)
[…]
Gian Luigi Melandri, Ricordi di Mario Pasi, il partigiano “Montagna”, Resistenza Libertà, Organo dell’ANPI provinciale di Ravenna, Anno IX n. 4 – luglio-agosto 2007