Dagli anni ’80 in poi la città di Milano ha scelto di privilegiare un modello di sviluppo che sempre più negli ultimi anni è stato dettato dalle esigenze del capitale finanziario-immobiliare di matrice internazionale

Milano: Via Solferino

Milano e la Lombardia, oggi, tra crisi identitaria e nuove sfide
Milano ha rappresentato, e tuttora rappresenta, la capitale economica del Paese. Tuttavia, il mito della «capitale morale» istituzionalizzato con l’Esposizione Nazionale del 1881 era già tramontato all’inizio del Novecento.
Nonostante la retorica ufficiale, la borghesia milanese rinunciò allora a dotarsi di un’ideologia autenticamente borghese, abdicando al ruolo che storicamente le sarebbe spettato, cioè esercitare una «direzione intellettuale e morale» in seno alle classi dominanti, preferendo invece godere di una copertura politica piena da parte dello Stato retto dalle vecchie élites aristocratiche.
L’anima democratico-repubblicana della borghesia risultò sistematicamente in minoranza in tutti gli snodi fondamentali dell’evoluzione dell’habitus milanese dall’Unità d’Italia ad oggi, quindi riuscì ad influenzare molto poco i processi di trasformazione urbana, architettonica e identitaria della città. Prendendo «congedo» da «norme etiche ben più rigorose» già ai tempi del primo conflitto mondiale, la borghesia milanese andò progressivamente perdendo il suo ruolo di guida ideologica della classe imprenditoriale a livello nazionale, nonostante a livello economico continuasse e tuttora continui a mantenerne il primato economico-finanziario.
Quello milanese continua ad apparire nell’immaginario collettivo come il popolo più «industrioso» d’Italia, quello naturalmente portato agli affari, alla creazione di valore e quindi ricchezza, ma, pur restando «tecnologica», Milano ha visto le grandi imprese che ne avevano determinato il successo economico e industriale (Montedison, Pirelli, Falk, Alfa Romeo, Italtel etc.) o abbandonarla per altre metropoli o lasciare in città solamente funzioni direzionali, commerciali o di ricerca (si pensi alla Pirelli, che nel capoluogo milanese oramai esiste solo come player immobiliare); i soldi a Milano oramai si fanno in via principale con la finanza internazionale e con gli investimenti speculativi che questa realizza e intende realizzare.
I simboli della città, dai vecchi palazzi storici ai nuovi grattacieli, sono in mani straniere <615, così come sono stranieri i proprietari delle sue due squadre di calcio, che vorrebbero demolire il vecchio San Siro per far posto a un nuovo quartiere residenziale con centri commerciali e grattacieli in cui lo stadio diventa quasi un elemento marginale.
Il declino industriale della città ha prodotto, come avremo modo di illustrare più approfonditamente nel capitolo 6, l’affermazione di un’innovazione sistemica nel tessuto socio-economico milanese, e lombardo in generale, cioè il riconoscimento delle organizzazioni mafiose come attore in campo economico, sociale e politico. Le organizzazioni mafiose italiane, la ‘ndrangheta in primis, hanno sfruttato la scomposizione non solo della grande fabbrica ma anche del tessuto sociale che ruotava attorno ad essa per conquistare non solo spazio territoriale ma anche spazio economico.
La riconversione etica e il nuovo modello di sviluppo
Dagli anni ’80 in poi la città di Milano ha scelto di privilegiare un modello di sviluppo che sempre più negli ultimi anni è stato dettato dalle esigenze del capitale finanziario-immobiliare di matrice internazionale, favorendo una trasformazione dello spazio politico e sociale attraverso una sorta di «neo-hausmannizzazione» nel senso attribuito dall’urbanista Andy Merrifield alla «nuova questione urbana» <616, il cui risultato è un ambiente di vita degradato a mero bene finanziario e l’espulsione dalla città di milioni di persone, le quali diventano periferiche <617.
La crescente polarizzazione sociale ed economica tra centro e periferia non avviene solamente all’interno dei confini della città ma anche, come si è visto, tra la città e il suo hinterland, nel quale, mancando un disegno strategico metropolitano, hanno prevalso e presumibilmente continueranno a prevalere localismi condizionati da interessi privati (con competizioni tra comuni) e processi imitativi della strategia milanese, ovviamente al ribasso viste le dimensioni dei contesti urbani: non è un caso che nella stragrande maggioranza dei PGT dei comuni dell’hinterland vi sia una marcata propensione ad aumentare le previsioni edificatorie per un’espansione residenziale destinata a produrre ulteriori consumi di suolo agricolo, mentre nel riuso di grandi aree dismesse domina incontrastato il modello del grande centro commerciale (shopping mall) con tutto quello che concerne in termini di multisale, alberghi, nuove infrastrutture stradali e unità abitative, che da sempre costituiscono l’affare permanente del settore delle costruzioni e di chi detiene il monopolio del movimento terra <618 (in questo caso le organizzazioni mafiose, in particolare la ‘ndrangheta).
Tesi confermata anche dalle statistiche contenute nell’ultimo report della Banca d’Italia sull’economia lombarda prima del Covid-19, che certificava una rilevante crescita del settore immobiliare e delle costruzioni, a fronte di un rallentamento del settore manifatturiero <619, e dal rapporto sul consumo di suolo ISPRA <620.
La borghesia milanese è stata all’avanguardia in quel processo di «riconversione etica» richiesta dalla nuova economia, di cui parlava Bourdieu <621, facendo propria la nuova morale edonista del consumo. Emblema di questa trasformazione è «il cuore della città», per usare le parole di Luigi Capuana in «Milano 1881»: Galleria Vittorio Emanuele II ha perso la sua vocazione all’aggregazione e alla circolazione della cultura, resa immortale da Boccioni nel suo «Rissa in Galleria» ambientato di fronte allo storico Gran Bar Zucca, tra i cui avventori figuravano Verdi e Toscanini, diventando in pochi anni una vetrina per turisti e consumatori di lusso, con l’albergo a sette stelle, lo chef stellato, la pasticceria famosa, i caffè trasformati in ristoranti, i marchi di alta moda, con solamente le due librerie ad essere rimaste luoghi accessibili alla classe media, per il prezzo imposto dei libri in copertina, si intende. Dal 2007 non c’è nemmeno più la «bottega», l’ufficio che negli anni ’70 la Rizzoli aveva dato a Enzo Biagi dopo il suo licenziamento da Il Resto del Carlino per il rifiuto a licenziare due cronisti sgraditi a un ministro: anche dopo l’editto bulgaro emanato da Berlusconi nel 2002, lì, nel cuore di Milano, resisteva un’arena di resistenza culturale imperniata sui valori del vecchio habitus milanese, colto, intellettualmente vivace, mai volgare.
Migliaia di persone ogni giorno attraversano la Galleria, su Instagram le foto arrivano quasi al mezzo milione, ma in pochissimi ad esempio sanno che i quattro grandi affreschi rappresentano i continenti e i simboli sul pavé (compreso il povero martoriato toro) sono quelli delle capitali del Regno d’Italia, unito da re Vittorio Emanuele II, cui la Galleria è appunto dedicata. Da luogo identitario a sempre più luogo senza storia, un non-luogo nella definizione di Benko <622, dove l’identità del singolo viene continuamente ricostruita a partire dal consumo che può praticare ed esibire.
La stessa vicenda del salvataggio del Corriere della Sera, di cui nessuna famiglia o cordate di famiglie milanesi volle farsi carico nel 2016 <623, dice da sola molto della situazione odierna: «Non credo sia tanto un problema di decadenza», spiega Marco Garzonio <624, «ma di trasformazione delle famiglie e dei loro interessi coincisa con la deindustrializzazione: dal punto di vista imprenditoriale le grandi famiglie sono di fatto scomparse, vuoi per esaurimento del mercato in cui erano attive, vuoi per scomparsa delle famiglie stesse. È stato inevitabile a quel punto il subentro della finanza».
Al di là dei caratteri permanenti dell’habitus milanese, prevalentemente legati al campo economico (il culto dell’efficienza, del pragmatismo e della professionalità, unito al mito della velocità e l’orgoglio per la propria tradizione civica che va di pari passo col ruolo di capitale economica), sembra proprio avesse ragione Philippe Daverio quando affermava che:
«i milanesi sono l’unico popolo che io conosca che ha perso il senso della propria provenienza. Non hanno più un rapporto di identità culturale con le proprie istituzioni. Il pubblico milanese è bonario, critica poco e se mai non consuma. Gli si può dare foie gras per due anni e se poi si passa alla buseca non è che quelli dicano vogliamo il foie gras; mangiano meno buseca e se ne vanno. Son così i milanesi» <625.
Della stessa opinione è anche Lodovico Isolabella, avvocato e discendente di una importante famiglia di imprenditori, che parla apertamente di «crisi politica e ideologica, ma anche emotiva e morale».
Questo smarrimento del senso della propria provenienza, «che era di altare, non di spada», è coinciso, secondo lui, anche col declino del grande potere che dominava a Milano, cioè la Chiesa, che «in Lombardia rappresentava un po’ quello che la mafia ha rappresentato in Sicilia, cioè il potere reale sulle cose, e traeva la sua legittimazione dalla sfiducia nel potere centrale». La cultura milanese «non è una cultura di Stato, una cultura di capi, come quella torinese o napoletana. Noi non abbiamo mai avuto uno Stato in cui poterci identificare», e nel dirlo ricorda del vero e proprio orrore negli occhi di sua nonna quando per scherzare le diceva che da grande avrebbe voluto fare il giudice: «ma tu sei matt’, va’ a fa’ l’impiega’ statal’?» <626.
Con il processo di secolarizzazione il potere politico della Chiesa è andato inevitabilmente diminuendo, e la crisi identitaria milanese si è accentuata con la scomparsa della «grande fabbrica», che pure dava una stabilità istituzionale e sociale.
Perso il senso della propria provenienza, non stupiscono le notizie di cronaca su “innovative” imprese sotto sequestro per condotte che un tempo sarebbero state viste come esclusiva dei mafiosi <627. «Attenzione però – sottolinea Isolabella – non confondiamo la mafia con la semplice corruzione e la mentalità omertosa che la sostiene, perché quella è molto più diffusa e può essere facile confondersi. Io ho fatto sia processi di mafia che di corruzione e posso dirle di aver visto Michele Pantaleone, uno in prima fila contro la mafia, sudare pesando ogni singola parola al processo De Mauro. Ho visto anche Sciascia balbettare in quel processo. Ecco, la mentalità mafiosa è tutta un’altra cosa rispetto alla semplice mentalità omertosa. E di questo mi sono convinto soprattutto al processo sull’Ambrosiano».
[NOTE]
615 A mero titolo esemplificativo ma non esaustivo: il quartiere Porta Nuova, 25 edifici che comprendono la Torre Unicredit e il Bosco Verticale, è stato venduto al fondo sovrano Qatar Investment Authority (Qia) nel 2015; lo storico Hotel Gallia in Piazza Duca D’Aosta è stato acquistato nel 2013 direttamente dalla società di famiglia dello sceicco, la Katara Hospitality, nel 2013. L’ex-torre dell’INPS in Via Melchiorre Gioia è ora di proprietà dell’Abu Dhabi Investment Authority degli Emirati Arabi Uniti, mentre Palazzo Turati in via Meravigli è stato comprato per 97 milioni di euro dal fondo sovrano Sofaz dell’Azerbaigian. Il gruppo cinese Fosun International ha comprato invece Palazzo Unicredit in Piazza Cordusio, dopo lo spostamento in Gae Aulenti della banca, mentre il palazzo della Rinascente è oggi thailandese. La statunitense Blackstone, uno dei colossi mondiali della finanza e degli investimenti immobiliari, si è accaparrata invece la secolare sede del Corriere della Sera in via Solferino, dopo che il Comune di Milano a guida centrosinistra rinunciò ad esercitare la prelazione sull’immobile, nonché l’ex sede delle Poste Italiane, sempre in Piazza Cordusio, ora occupata da Starbucks. Stessa sorte è toccata a City Life: torre Isokazi è stata comprata dai tedeschi di Allianz.
616 Merrifield specifica cosa intenda per Neo-Haussmannization a pagina X della prefazione del suo libro del 2014 The New Urban Question. Il termine è mutuato dalla grande trasformazione edilizia portata avanti dal Barone Haussmann nella seconda metà del 19° secolo a Parigi, con la quale questi sventrò il denso tessuto urbanistico dell’antica città medievale, perenne focolaio di epidemie e di insurrezioni, costruendo nuove arterie stradali, rettilinee, ampie e alberate, che si snodano tuttora per 165 chilometri in tutta la capitale (i celebri boulevard); chiaramente questa imponente trasformazione urbanistica favorì una speculazione edilizia senza precedenti, facendo arricchire i dominus delle costruzioni e aprendo una voragine finanziaria nelle casse cittadine, oltre a rimodellare lo spazio sociale e politico. È a questo divide et impera da parte delle classi dominanti attraverso la trasformazione urbana che si riferisce Merrifield, analizzando come questo nuovo processo sia in atto globalmente non solo nelle grandi capitali e che sia orchestrato da élites economico-finanziarie transnazionali con la complicità, non sempre consapevole, delle élites locali e dei governi nazionali.
617 MERRIFIELD, A. (2014). The New Urban Question, London, Pluto Press, p. 29
618 Gibelli, op.cit., p.77. In particolare, la Gibelli fa riferimento all’Arese Shopping Center sorto sull’ex-area industriale dell’Alfa Romeo, a Nordovest di Milano, ma molti sono gli esempi di complessi di questo tipo, come il Centro Commerciale Fiordaliso a Rozzano, il Galleria Borromea a Peschiera Borromeo e il Westfield Milano vicino a Linate, per citare i più noti.
619 BANCA D’ITALIA, “L’economia della Lombardia”, in Economie Regionali, n. 3, Milano, giugno 2019, p. 8. In particolare, dopo il prolungato periodo di crisi, l’attività del settore delle costruzioni ha ripreso a crescere dal 2017; nel 2018 il fatturato a valori correnti delle imprese di costruzioni è salito del 3,9 %.
620 Cfr ISPRA (2019). Rapporto 2019 sul consumo di suolo in Italia, Roma, settembre 2019, p. 47 e ss. In particolare, la Lombardia risulta nel 2018 la Regione con il più alto consumo di suolo, con oltre 310 mila ettari del suo territorio coperto artificialmente (il 13,5% delle aree artificiali italiane è in questa regione), mentre Milano è al primo posto tra le grandi città con un indice di densità del consumo di suolo pari 6,35 metri quadrati per ettaro, contro i 5,8 di Roma, e il 57.5% del suo territorio consumato, contro il 23,9% della capitale.
621 La Distinzione, p. 315-316
622 Nella definizione di Georges Benko riportata da Bauman (Modernità Liquida, p. 113), sono quei luoghi che scoraggiano l’insediamento, dove tutti si sentono a casa propria, ma nessuno deve comportarsi come se fosse a casa propria, perché tutti devono seguire lo stesso modello comportamentale; per usare Bourdieu, potremmo dire che tutti devono seguire lo stesso schema corporeo imposto dallo stile di vita legittimo.
623 Dal 2011 al 2016, a causa di una cattiva gestione da parte dell’ad dell’epoca, il gruppo editoriale accumulò perdite per 1,3 miliardi di euro. Il tentativo di salvare il Corriere, a partire dalla proprietà dello storico palazzo che lo ha sempre ospitato, fallì e sui vecchi soci la spuntò l’imprenditore piemontese, ma cresciuto professionalmente a Milano, Urbano Cairo.
624 Marco Garzonio, intervista all’autore, 1° febbraio 2021.
625 Citato in Francesca Bonazzoli, L’arte con Daverio fa il tutto esaurito, Corriere della Sera, 17 gennaio 2004
626 Lodovico Isolabella, intervista all’autore, 6 giugno 2021.
627 Si pensi al caso di UberEats e di Straberry, sotto sequestro per caporalato. In entrambe le situazioni il business si basava sullo sfruttamento dei lavoratori e la violazione delle leggi.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020