Dalla parte del nemico

Roberta Cairoli, Dalla parte del nemico. Ausiliarie, delatrici e spie nella Repubblica sociale italiana (1943–1946), Milano (Mimesis) 2013 (Passato prossimo), 262 pp., ISBN 978-88-5751-203-7, € 20.
Il tema del collaborazionismo fascista con il III Reich durante l’occupazione tedesca sta conoscendo una importante stagione di studi. Per decenni è stato confinato nelle memorie dei fascisti repubblicani oppure nelle ricostruzioni dei protagonisti stessi della Repubblica sociale, con risultati scientifici che si possono immaginare. Soltanto dopo i lavori fondamentali di Pavone (1991) su Una Guerra civile, di Ganapini (1999) sulla Repubblica delle camicie nere e di Gagliani (1999) sulle Brigate nere, gli studi storiografici hanno abbandonato la sprezzante definizione di repubblichini e hanno approfondito le politiche, le motivazioni, gli ideali e la prassi del fascismo repubblicano. Tra i lavori più recenti (e migliori), si segnalano Leoni vegetariani (2011) di Toni Rovatti, dedicato alla violenza, e quello di Simon Levis Sullam (2015) sui Carnefici italiani, testi che si inseriscono in questo filone di studi aprendo delle prospettive nuove ed originali, e prendendo sul serio il ruolo della Rsi nella repressione della Resistenza e nella persecuzione degli ebrei. Il libro di Roberta Cairoli, dedicato alle Ausiliarie, delatrici e spie nella Repubblica sociale italiana analizza il difficile argomento del ruolo femminile nella Rsi: argomento complesso perché praticamente privo di ricerche di riferimento, come si evince dalla robusta bibliografia utilizzata dall’Autrice, nella quale le monografie scientifiche sull’argomento sono soltanto un paio. Inoltre lo scopo del libro non è quello di indagare l’immaginario o gli ideali politici delle fasciste, ma il loro ruolo effettivo quali ausiliarie, delatrici e spie, categorie nelle quali l’Autrice ha suddiviso le fasciste operative nelle forze armate o nelle varie polizie della Rsi. Per far ciò la ricerca si è basata principalmente su fonti dirette, soprattutto quelle giudiziarie, attraverso l’analisi dei processi svoltisi nel dopoguerra.
Il primo capitolo, dedicato alle delatrici, inquadra questa categoria di collaborazioniste in tre gruppi: le donne ideologicamente motivate; le donne comuni, che non appartenevano ad alcuna formazione della Rsi, e infine le donne vicine al movimento partigiano che per motivi personali, oppure perché arrestate torturate, decisero di passare al nemico. Attraverso l’analisi di decine di processi, l’Autrice giunge alla conclusione che il fenomeno della delazione ebbe un vero e proprio carattere di massa (p. 19), dovuto anche al tracollo morale della società italiana durante la guerra civile.
“Il denaro – scrive Cairoli – fu certamente uno dei principali moventi che ispirò le azioni di molte di queste donne che non mancarono di calcolo e di opportunismo per strumentalizzare gli effetti della delazione a proprio vantaggio” (p. 37), come si evince in maniera particolare dalle delazioni nei confronti degli ebrei, alla quale il libro dedica un lungo paragrafo. Il secondo capitolo, dedicato allo spionaggio antipartigiano, il ruolo degli Uffici politici investigativi della Guardia nazionale repubblicana (Upi), emerge in tutta la sua importanza. Anche questo è un tema molto poco battuto dalla storiografia, che ha sottostimato la capacità di intelligence della Gnr, vero fulcro della lotta alla Resistenza. Il terzo capitolo, quello probabilmente più riuscito del libro, ricostruisce le azioni delle agenti segrete italiane al servizio del controspionaggio tedesco. In questo caso le fonti utilizzate sono quelle del controspionaggio americano, particolarmente preoccupato per le infiltrazioni oltre le linee di sabotatori e spie nazi-fascisti. L’Autrice ha ricostruito i vari uffici dell’Abwehr tedesco in Italia e i gruppi di fasciste (come la Centuria del Fascio Crociato o le Volpi Argentate), che si misero spontaneamente al servizio dei nazisti per compiere azioni oltre le linee del fronte. Il volume, in conclusione, permette di andare oltre i miti e le leggende create nel dopoguerra attorno a questi gruppi attraverso una analisi rigorosa e rigidamente scientifica del ruolo delle fasciste nella guerra civile italiana.
Amedeo Osti Guerrazzi,  QFIAB 95 (2015)

Il racconto storiografico maschile della guerra e della Resistenza corrisponde inoltre alla narrazione pubblica dei vincitori. Si assiste infatti per la Resistenza a quello che è stato definito uso pubblico della storia, per cui l’interpretazione storica si è a lungo collocata in una posizione subalterna rispetto alle esigenze politiche del momento. A partire dalla firma dell’armistizio, ma soprattutto alla fine della guerra, prende origine una “narrazione egemonica” in cui l’evento bellico viene descritto in termini epici come “secondo Risorgimento” della nazione italiana, e come “guerra di liberazione” dal tedesco invasore sostenuta concordemente da un popolo alla macchia <13, stretto intorno alle truppe regolari del regio esercito e alle formazioni partigiane <14. Viene inoltre stigmatizzata l’immagine del “cattivo tedesco” in contrasto con quella autoassolutoria del “bravo italiano”, che avrebbe dimostrato un alto grado di umanità verso le popolazioni occupate sui fronti di guerra dove l’esercito italiano aveva combattuto come potenza dell’Asse <15. Attraverso questo racconto l’Italia otteneva così un pieno riscatto e poteva essere considerata almeno moralmente tra le potenze vincitrici.
Una simile narrazione, seppur dettata dai sentimenti del momento e dalle istanze politiche della ricostruzione post-bellica, produceva un racconto parziale e reticente della storia nazionale, celando il consenso popolare al fascismo e il favore con cui molti italiani avevano accolto l’entrata in guerra a fianco della Germania, negando il carattere anche di guerra civile avuto dall’evento bellico, e tacendo il ruolo di protagonisti dei fascisti repubblicani. Di conseguenza veniva monumentalizzato il periodo 1943-1945, di cui non venivano indagate la complessità, le contraddizioni, le differenti esperienze e le scelte individuali.
[…] Importanti riflessioni si devono soprattutto ad Anna Bravo che nei suoi lavori ha sottolineato gli aspetti conservativo-regressivi della guerra da un punto di vista delle strutture di genere. La studiosa torinese infatti sostiene come le discontinuità e i cambiamenti significativi in materia di genere siano legati più al tempo di pace che non a quello di guerra e ha sottolineato l’importanza attribuita al tradizionale ruolo materno nelle esperienze vissute e raccontate dalle protagoniste. Le attività e le pratiche delle donne intervistate dalla storica torinese si svolgono infatti soprattutto all’interno dell’ambito materno della cura e dell’assistenza: la maternità deborda dalla famiglia e dal domestico, come testimonia l’operazione di salvataggio e di travestimento di massa messa in atto dalle donne in favore dei soldati sbandati dopo l’8 settembre, che la studiosa definisce maternage di massa <23.
[…] L’esperienza delle donne della Rsi e più in generale delle donne fasciste sono state a lungo escluse dalla trattazione storiografica. Le studiose che per prime si sono interrogate sul rapporto donne e fascismo lo hanno affrontato con tono rivendicativo e in una prospettiva storica di lungo periodo all’interno della più generale storia dell’emancipazione femminile, entro la quale le fasciste erano viste come vittime passive del patriarcato fascista <33. Alcune studiose avevano invitato ad indagare il ruolo attivo svolto dalle donne per il regime, per esempio Marina Addis Saba aveva parlato di donne che, per collocazione di classe e per cultura, si ponevano già esse stesse fuori della norma, sino ad allora solita nel nostro paese, della casalinga tutta figli <34.
Nonostante questi suggerimenti, se si eccettua l’importante lavoro di Victoria De Grazia <35, come sottolineava la Dittrich-Johansen nel suo lavoro sulle “militi dell’idea” <36, non si era proceduto ancora a uno studio organico e complessivo sulle organizzazioni femminili del fascismo.
Ancora maggiore è risultata la marginalizzazione delle donne della Rsi, la cui esperienza, insieme a quella dei fascisti repubblicani, era stata infatti esclusa dal dibattito storiografico e inizialmente analizzata soltanto in rari contributi storiografici, e lasciata soprattutto alla memoria dei protagonisti e dei reduci, che l’avevano descritta con toni apologetici e autogiustificativi <37.
La Rsi è stata infatti lasciata cadere nell’oblio, subordinata e inglobata nell’esperienza del sistema di occupazione tedesco, secondo un’interpretazione che ha fatto da contraltare alla Resistenza come mera guerra di liberazione dallo straniero. La stessa denominazione di nazifascista ha unito infatti le due identità, omettendo l’esperienza distinta e autonoma del fascismo repubblicano. Come ricordava Dianella Gagliani nell’introduzione al suo importante volume sulle brigate nere, la situazione italiana non è stata però isolata, ma si è inserita nel generale processo di amnesia dei “collaborazionismi autoctoni”, messa in atto all’indomani della Liberazione nei diversi paesi che furono coinvolti dall’occupazione tedesca, al fine di risanare ferite profonde e pacificare le comunità nazionale <38.
[…] Le voci delle donne fasciste repubblicane si sono fatte largo solo in alcune riviste di destra con distribuzione all’interno delle associazioni combattentistiche, oppure più raramente sono state rese pubbliche, solo dopo essere state stimolate da studiosi e studiose <44. Le prime raccolte di testimonianze femminili sono state curate generalmente da uomini, altrimenti alcune hanno permesso la consultazione dei propri memoriali e hanno rilasciato alcune interviste solo dopo essere state stimolate dagli studiosi. Le loro testimonianze però non si discostano molto da quelle maschili, dalle quali riprendono la retorica del tradimento e dell’onore. Le esperienze raccontate si adeguano e ricalcano le caratteristiche tipiche dell’ausiliaria del Servizio ausiliario femminile, casta e pronta a sacrificare la propria vita per la propria patria e in nome della propria fede, senza però perdere i tratti distintivi della femminilità, dedita alle cure infermieristiche come una crocerossina, e ai servizi ausiliari nei punti di ristoro e negli uffici. Anche secondo Luigi Ganapini le memorie e le narrazioni autobiografiche delle donne di Salò “presentano una sorta di angosciata emulazione rispetto al modello maschile” <45.
Anche una ricerca presso l’Archivio diaristico nazionale ha rivelato poche testimonianze di donne simpatizzanti col fascismo: le testimonianze di Pieve infatti sembrano più inclini a mostrare le donne sotto il fascismo che le donne per il fascismo. Inoltre le poche memorie di fasciste ideologicamente convinte reperite si riferiscono soprattutto alla passata militanza, confessata in molti casi per mettere in risalto la scelta successiva di condannare il regime o di aderire al movimento partigiano. È il caso per esempio di Lya Lecchini, giovane fascista impegnata nelle attività delle Giovani italiane, ma che a contatto con la realtà di guerra perde il suo entusiasmo, individuando come momento spartiacque l’arrivo nella stazione della sua città di un treno-ospedale che trasporta i feriti del fronte russo <46. Le uniche due voci di donne che continuarono a sostenere il fascismo anche negli ultimi venti mesi, presenti presso l’archivio di Pieve Santo Stefano, sono quelle di Zelmira Marazio e di Maria Fenoglio <47. La prima, fedele ai propri ideali, attiva e convinta sostenitrice del regime, vive, ancora studentessa, gli anni della guerra. Costretta a rifugiarsi in convento con la famiglia, sfugge ai partigiani e si trasferisce a Palermo, per ricostruirsi un futuro, senza tuttavia rinnegare il proprio credo <48. La seconda si avvicina al fascismo dopo aver incontrato l’amore e dal settembre 1940 presta servizio come volontaria presso la “Scuola per militari”. Dopo l’armistizio resta fedele alle proprie idee e insieme all’uomo che ama aderisce alla Repubblica sociale. Dopo la delusione sentimentale si prodiga ancora di più nel suo impegno politico, fino alla liberazione, quando Maria viene imprigionata e detenuta per un anno prima di essere sottoposta a un processo per la sua attività delatoria e che si conclude con l’assoluzione.
Si deve sottolineare che le due memorie delle aderenti alla Rsi sono state depositate all’archivio dei diari soltanto negli ultimi anni, dopo che gli studi sulla fase del crepuscolo del fascismo hanno trovato piena legittimità.
Soltanto l’introduzione del concetto di guerra civile nel dibattito storiografico ha comportato infatti una rivisitazione della storia della Repubblica sociale, che è stata presentata non più come “parodia maramaldesca di un ben più tragico e mortifero potere” <49, quello delle forze d’occupazione del Terzo Reich – svalutazione che si ravvisava anche nell’uso linguistico con l’impiego di termini quali repubblichino, Stato fantoccio, Stato farsa e nella specifica concettualizzazione nella letteratura e nella storiografia del dopoguerra, di “nazifascista”, identificando e considerando come un’unica entità tedeschi e fascisti di Salò. Piuttosto sono state introdotte nuove linee interpretative, come quella di Lutz Klinkhammer sull’occupazione tedesca in Italia, dalla quale scaturisce una lettura della Rsi non di mero paese “occupato”, come per gli altri casi europei, bensì di “alleato-occupato” <50. Queste nuove linee interpretative hanno dato avvio a un’ondata di studi sulla Rsi, sia di stampo storico-scientifico sia di taglio giornalistico, che ha consentito di scorgerne le differenze e le sfumature interne <51.
[…] Per un’analisi dell’attività delatoria si devono distinguere innanzitutto, come suggerisce Mimmo Franzinelli, le spie di professione e le informatrici occasionali <162. La delazione divenne istituzionalizzata quando donne e uomini vennero reclutati dagli organismi di Salò o da quelli nazisti addetti allo spionaggio, in cambio di un regolare stipendio. Più spesso però la delazione fu occasionale, talvolta riconducibile a un solo episodio, legata generalmente a motivi privati che si intrecciavano con quelli pubblici.
Per quanto riguarda le spie di professione si devono distinguere inoltre quelle arruolate negli organi di Salò e quelle invece assoldate direttamente dai tedeschi. La Rsi si era dotata, in continuità con gli organismi spionistici del regime, di servizi informativi, come gli Uffici politici investigativi (Upi): già funzionanti in seno alla Mvsn in ogni federazione provinciale del regime, vennero mantenuti in vita all’interno della Gnr durante i venti mesi della Rsi. Essi erano adibiti alla raccolta di informazioni su nemici politici del fascismo repubblicano, sui gruppi antifascisti e sulle bande partigiane. La Gnr e l’Upi avevano l’obbligo di riferire le informazioni che ricavavano a prefetti e questori, dai quali dovevano ricevere l’autorizzazione per le operazioni di polizia. Nella realtà dei fatti però, operavano generalmente in autonomia, “al di fuori di ogni e qualunque contatto con gli organi politici” procedendo invece arbitrariamente a perquisizioni, arresti, interrogatori, durante i quali spesso eccedevano nella violenza, macchiandosi di veri e propri crimini. Il Ministro degli Interni il 28 febbraio 1945 richiamava infatti all’ordine e ricordava che “la Gnr con l’annesso servizio dell’Upi, per quanto attiene ad operazioni di polizia, dipende[va] gerarchicamente dal Questore e dal Capo della Provincia. Nessun reparto armato [poteva] compiere operazioni di polizia quando non [fosse] autorizzato, e per ragioni di carattere eccezionale, dagli organi competenti del Governo” <163. Nonostante queste raccomandazioni le autorità centrali di Salò non riuscirono a controllare l’attività degli Uffici politici che operavano sul territorio anche grazie al servizio reso da molte donne.
[NOTE]
13 L. Longo, Un popolo alla macchia, Milano, Mondadori, 1947.
14 Per una ricostruzione del dibattito sulla memoria pubblica della Resistenza, cfr. F. Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005; S. Peli, La memoria pubblica della Resistenza, «Italia contemporanea», 237, dicembre 2004, pp. 633-646.
15 Sul mito del “bravo italiano”, cfr. F. Focardi, “Bravo italiano” e “cattivo tedesco”: riflessioni sulla genesi di due immagini incrociate, «Storia e memoria», 1, 1996, pp. 55-83; Id., La memoria della guerra e il mito del “bravo italiano”. Origine e affermazione di un autoritratto collettivo, «Italia contemporanea», 220-221, settembre-dicembre 2000, pp. 393-399, ora in volume, Id., Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 2013.
23 A. Bravo (a cura di), Donne e uomini nelle guerre mondiali cit.; A. Bravo, A. M. Bruzzone, In guerra senz’armi. Storie di donne, 1940-1945, Bari, Laterza, 1995.
33 Per queste riflessioni si veda P. Di Cori, Donne di destra: approcci storiografici del femminismo, «Democrazia e diritto», n. 1, 1994, pp. 325-340.
34 M. Addis Saba, La donna “muliebre”, in Ead., La corporazione delle donne. Ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio, Firenze, Vallecchi, 1988, pp. 52-53.
35 V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, Venezia, Marsilio, 1993.
36 H. Dittrich-Johansen, Le «militi dell’idea». Storia delle roganizzazioni femminili del Partito Nazionale Fascista, Firenze, Leo O. Olschki, 2002.
37 Per i contribuiti storiografici si veda, M. Fraddosio, Donne nell‟esercito di Salò, «Memoria», n. 4, 1982, pp. 59-76; Ead., La mobilitazione femminile: i Gruppi fascisti repubblicani e il Saf, in P. P. Poggio (a cura di), 1943-1945. Repubblica Sociale Italiana, cit.; Ead., La donna e la guerra. Aspetti della militanza femminile del fascismo: dalla mobilitazione civile alle origini del Saf nella Repubblica sociale italiana, «Storia contemporanea», n. 6, 1989, pp. 1105-1181; Ead., “Per l‟onore della patria”. Le origini ideologiche della militanza femminile nella Rsi, «Storia contemporanea», n. 6, 1993, pp. 1155-1193. Per quanto riguarda la memorialistica e le opere di stampo reducistico, sono da ricordare le memorie del segretario privato di Mussolini, G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia, Milano, Garzanti, 1949; dell’ambasciatore della Rsi in Germania F. Anfuso, Roma, Berlino, Salò, Milano, Garzanti, 1950; del ministro della Giustizia della Rsi, P. Pisenti, Una repubblica necessaria, Roma, Volpe, 1977, in cui tenta di giustificare l’esistenza della Rsi definendola quale “freno” allo strapotere tedesco.
38 D. Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 6.
44 Associazione culturale Saf, Servizio ausiliario femminile, Pinerolo, Novantico, 1997; Scandicci 1945. PWE 334. Un campo di concentramento femminile. Tre diari di ausiliarie, s.l., Nuovo Fronte, 1997; L. Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini, Milano, Mursia, 1997; U. Munzi, Donne di Salò, Milano, Sperling&Kupfer, 1999; M. Viganò, Donne in grigioverde. Il comando generale del Servizio ausiliario femminile della Repubblica sociale italiana nei documenti e nelle testimonianze. (Venezia – Como 1944-1945), Roma, Settimo sigillo, 1995.
45 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, cit., p. 227.
46 Archivio diaristico nazionale (d’ora in poi Adn), L. Lecchini, Ciao, Compagno, ora pubblicato, Ead., Con i miei occhi, Siena, Cantagalli, 2006.
47 Adn, Z. Marazio, Il mio fascismo, pubblicato poi nel volume Ead., Il mio fascismo. Storia di una donna, Reggio Emilia, Verdechiaro, 2005; Adn, M. Fenoglio, Spasimo d’amore patrio.
48 L’esperienza di Zelmira Marazio è riportata anche da Luigi Ganapini nel suo ultimo libro, basato proprio sulle testimonianze dell’Archivio dei diari, cfr. L. Ganapini, Voci dalla guerra civile. Italiani nel 1943-1945, Bologna, Il Mulino, 2012, in particolare le pp. 126-131.
49 L. Ganapini, Una rilettura critica della storiografia sulla RSI e sull‟ultimo fascismo, cit.; Id., La Rsi e l‟ultimo fascismo. Una rilettura critica della storiografia, «L’impegno», a. XX, n. 3, dicembre 2000.
50 L. Klinkhammer, L‟occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
51 Cito soltanto alcune pubblicazioni: G. Oliva, La Repubblica di Salò, Firenze, Giunti, 1997; A. Lepre, La storia della Repubblica di Mussolini. Salò: il tempo dell‟odio e della violenza, Milano, Mondadori, 1999; M. Griner, La «Banda Koch». Il Reparto speciale di polizia 1943-44, Torino, Bollati Boringhieri, 2000; A. Rossi, Fascisti toscani nella repubblica di Salò 1943-1945, Pisa, BFS, 2000; M. Borghi, Tra fascio littorio e senso dello Stato. Funzionari, apparati, ministeri nella Repubblica sociale italiana 1943-1945, Padova, Cleup, 2001; A. Rossi, Le guerre delle camicie nere: la milizia fascista dalla guerra mondiale alla guerra civile, Pisa, BFS, 2004; R. Caporale, La “Banda Carità”. Storia del Reparto Servizi Speciali (1943-1945), Lucca, S. Marco Litotipo, 2005.
162 M. Franzinelli, Delatori, cit., p. 11.
163 Disposizione del ministro degli interni del 28 febbraio 1945 ai capi delle province, al comandante delle Brigate nere, della Gnr, dell’Esercito e della Marina, cit. in L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 570, n. 241.
Francesca Gori, Ausiliarie, spie, amanti. Donne tra guerra totale, guerra civile e giustizia di transizione in Italia. 1943-1953, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012/2013