Davanti al fallimento delle trattative, l’iniziativa alleata nella Venezia Giulia aveva subito una momentanea battuta d’arresto

[…] il 3 settembre 1943 l’Italia firma con gli alleati l’armistizio di Cassibile, che verrà reso noto dalla radio solo 5 giorni dopo. I vecchi alleati tedeschi occupano immediatamente Trieste, che entra a far parte della Zona d’Operazione del Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland, una suddivisione territoriale comprendente le provincie italiane di Friuli, Venezia Giulia, Fiume e Lubiana, ma sottoposta de facto all’amministrazione militare tedesca) insieme alle province di Gorizia, Pola, Fiume, Udine e Lubiana.
L’occupazione dura fino al 30 aprile 1945, quando il CLN cittadino (Comitato di Liberazione Nazionale, un’associazione di partiti e movimenti oppositori al fascismo e all’occupazione tedesca) dà il via alle operazioni di liberazione, che culmineranno nel congiungimento tra gli insorti italiani e le avanguardie jugoslave. I primi giorni di maggio le truppe di Tito, venendo meno agli accordi con i partigiani italiani, si stanziano a Trieste dando inizio ai quarantatre giorni di occupazione jugoslava della città <60.
2.2. Dall’occupazione jugoslava al Territorio Libero di Trieste
Come già accennato, il tracollo del potere tedesco nell’area adriatica si verifica in un arco di tempo molto ridotto. Tra marzo ed aprile del 1945 le truppe jugoslave lanciano la loro offensiva finale, supportati in un secondo momento dalle truppe alleate. L’ultima difesa tedesca avviene a Fiume, città in cui gli eventi bellici rendono percepibili anche le prime ostilità tra i liberatori jugoslavi e quelli britannici, preludio ad una prospettiva di suddivisione delle aree di occupazione.
In tale contesto, il CLN di Trieste viene a trovarsi in una posizione delicata: l’attesa dei liberatori sloveni è spasmodica, ma condizionata da un compromesso di subordinazione agli stessi. “Era necessario insorgere non troppo prima dell’arrivo degli alleati occidentali, ma comunque prima che la città venisse occupata dagli jugoslavi” <61, spiega la professoressa Marina Cattaruzza.
All’alba del 30 aprile inizia l’insurrezione generale. I rappresentanti tedeschi si rifugiano in quattro roccheforti cittadine, rifiutando la resa se non in presenza di ufficiali inglesi ed americani. L’esercito jugoslavo entra in città il primo maggio ed immediatamente prende possesso dei simboli del potere cittadino, visto anche il ritardo inglese in quella che è stata ribattezzata la “corsa per Trieste”, l’avanzata verso la città giuliana compiuta in maniera concorrenziale da parte, per l’appunto, della quarta armata jugoslava e dell’ottava armata britannica.
Iniziano così i quaranta giorni di occupazione jugoslava di Trieste, una liberazione dal punto di vista della comunità slovena residente nella città, una terribile oppressione per gli italiani, per i triestini che ancora oggi ricordano con dolore quel capitolo della loro storia.
Sono gli anni delle foibe (il termine indica originariamente i grandi inghiottitoi naturali tipici della regione carsica): a partire dall’autunno del 1943 il disfacimento dell’esercito italiano in Venezia Giulia aveva permesso agli slavi un ampio controllo dei territori del litorale adriatico. Le eliminazioni di elementi fascisti si fanno sempre più frequenti, coinvolgendo un numero crescente di persone, sino ad arrivare al tragico traguardo delle torture ed uccisioni per via della nazionalità di appartenenza. È la vendetta slovena, la risposta a decenni di barbarie fasciste, ma non solo. È l’inevitabile e purtroppo comprensibile evoluzione di un rapporto tra popoli che forse non troverà mai pace.
Con l’occupazione jugoslava si verificano requisizioni, confische, arresti di numerosi cittadini, sospettati di nutrire scarsa simpatia nei confronti dell’ideologia comunista o ritenuti inaffidabili per posizione sociale, censo, origini familiari e, come accennato in precedenza, nazionalità.
[NOTE]
60 Cfr. Marina Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 283-288.
61 Marina Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 285.
Mattia Radina, Trieste e la Venezia Giulia nel Secondo dopoguerra. Testimonianze di un confine in movimento, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2011/2012

Il 2 maggio 1945, attorno alle ore 16:00, i reparti di testa della 2 New Zealand Division entrarono nel capoluogo giuliano, dando inizio all’ultimo atto di quella che sarebbe stata ricordata come ‘la corsa per Trieste’. <1
Pur salutato con esultanza dalla popolazione locale, l’ingresso in città dei neozelandesi avvenne in un clima di palpabile tensione, originato dal fatto che i combattimenti erano ben lungi dall’essere terminati. La guarnigione tedesca, infatti, conservatasi praticamente intatta, era ancora alle prese con gli jugoslavi – i quali erano giunti a Trieste con un giorno di anticipo rispetto agli alleati ed erano ben decisi a restare padroni del campo. Restii ad arrendersi agli uomini di Tito, i tedeschi resistevano con ostinazione in tre capisaldi cittadini (il castello di San Giusto, il tribunale e la villa Geiringer) e all’interno di un munito sistema difensivo situato nei pressi del vicino villaggio di Opicina.
Il ruolo che i neozelandesi ebbero nella capitolazione delle truppe tedesche fu risolutivo: tra il pomeriggio del 2 maggio e l’alba del giorno successivo, infatti, i kiwis costrinsero alla resa i tre centri di resistenza situati in città, raccogliendo diverse centinaia di prigionieri.
Il caposaldo di Opicina, al contrario, issò bandiera bianca solo nel tardo pomeriggio del giorno 3, venendo preso in consegna dai soli jugoslavi – i quali si erano opposti fermamente a qualsiasi intromissione da parte dei nuovi arrivati. <2 Malgrado il successo ottenuto con i tedeschi, i neozelandesi si resero subito conto che non sarebbero mai riusciti ad ottenere il controllo completo della città. Gli jugoslavi si erano infatti già insediati in diverse posizioni chiave e sembravano più che mai decisi a far valere i propri diritti di conquista. Al tempo stesso, però, i kiwis erano riusciti a ottenere un risultato che, per quanto modesto, avrebbe avuto delle importanti conseguenze sugli sviluppi futuri della situazione: avevano infilato, cioè, un piede nella porta – questa la figura evocata da Churchill – ed erano risoluti a non farsi allontanare. <3
Nei giorni che seguirono, entrambi gli occupanti provvidero convenientemente a consolidare le proprie posizioni facendo affluire uomini e mezzi all’interno della città e ponendo così le basi per una bizzarra coabitazione che sarebbe perdurata, tra alti e bassi, fino alla seconda settimana di giugno.
Per comprendere come si fosse giunti a questa particolare situazione, è opportuno tornare indietro di qualche mese e ripercorrere brevemente le principali tappe che avevano scandito il confronto tra alleati e jugoslavi circa il destino della Venezia Giulia. <4
Nel febbraio 1945, in vista dell’offensiva che avrebbe sbloccato lo stallo sulla Linea Gotica, i britannici avevano cominciato a pensare seriamente a come comportarsi una volta che le truppe alleate fossero entrate in quella parte del Regno d’Italia che era situata ad est del fiume Isonzo. Si trattava, in realtà, di una questione piuttosto delicata, visto che tali territori – passati all’Italia alla conclusione del primo conflitto mondiale – venivano rivendicati dalla Jugoslavia la quale, per giunta, manteneva al loro interno un attivo movimento resistenziale. La linea d’azione ufficiale che britannici e statunitensi avevano impostato nel corso dell’estate precedente prevedeva che l’intera regione venisse sottoposta a un Governo Militare Alleato analogo a quelli che erano stati instaurati nella Penisola a partire dall’invasione della Sicilia, lasciando alle successive conferenze di pace il compito di risolvere ogni eventuale disputa, territoriale e non. Un simile progetto non sarebbe stato tuttavia di facile realizzazione dal momento che, visti anche i notevoli progressi compiuti dalle truppe jugoslave negli ultimi mesi del 1944, (Belgrado era stata liberata il 20 ottobre con il sostanziale apporto dell’Armata Rossa) era possibile che Tito cercasse di anticipare gli alleati, occupando parte della regione contesa e instaurandovi una propria amministrazione civile. <5
A fianco delle svariate considerazioni di ordine politico che suggerivano di mantenere la zona sotto il controllo alleato, l’Allied Force Headquarters (AFHQ) aveva sollevato delle valide argomentazioni di carattere strategico. Secondo il Supreme Allied Commander Mediterranean (SACMED), infatti, gli alleati si sarebbero trovati – a guerra finita – nella necessità di rifornire le proprie truppe d’occupazione in Austria tramite le strade e le ferrovie che attraversavano la Venezia Giulia. L’unico modo per garantire la sicurezza di queste linee di comunicazione sarebbe stato quello di esercitare un controllo capillare sul territorio – da qui l’importanza di instaurare un GMA anche nell’area giuliana.
In ogni caso, né il SACMED (il feldmaresciallo Alexander) né i suoi superiori a Londra avevano escluso la possibilità di venire a patti con Tito. Era evidente, infatti, che qualora gli jugoslavi si fossero opposti all’estensione di un GMA sull’intera regione, sarebbe stato necessario raggiungere un compromesso. Di conseguenza, i britannici si erano preparati ad accettare, come ultima ratio, la divisione della Venezia Giulia in due distinte zone d’occupazione una delle quali – quella alleata – avrebbe necessariamente dovuto includere le linee di comunicazione con l’Austria. <6
Nel corso della conferenza di Yalta, Eden aveva cercato di presentare ai suoi omologhi russo e statunitense una soluzione del problema giuliano che prevedesse la spartizione, ma la priorità concessa in quella sede ad altri temi aveva impedito che la faccenda venisse discussa approfonditamente. I russi avevano semplicemente fatto intendere di non essere in grado di controllare le attività degli jugoslavi, mentre gli americani si erano limitati a ribadire l’intenzione – già più volte espressa – di estendere il GMA su tutti i territori appartenenti al Regno d’Italia nel 1939. <7
Di fronte a questo nulla di fatto, Alexander si era recato a Belgrado per affrontare il problema direttamente con Tito. <8
L’incontro tra i due, avvenuto il 21 febbraio 1945, non aveva avuto – a ben vedere – un esito particolarmente positivo. Da una parte, infatti, Tito aveva dichiarato la propria disponibilità ad agevolare il transito delle truppe angloamericane dirette in Austria (offrendo addirittura l’utilizzo delle linee ferroviarie che passavano attraverso Lubiana).
Dall’altra, però, si era opposto all’estensione del GMA su tutta la regione, facendo notare come alcune parti della Venezia Giulia – l’Istria, ad esempio – non rivestissero alcuna utilità per gli alleati. Guardando ancora più avanti, poi, il leader jugoslavo aveva espresso l’auspicio che tutto il territorio situato ad est dell’Isonzo passasse sotto l’amministrazione jugoslava non appena gli alleati se ne fossero andati.
Malgrado questi segnali contrastanti – e la mancata assunzione di qualsiasi impegno vincolante – Alexander aveva lasciato Belgrado conservando un certo ottimismo. Dal punto di vista militare, infatti, l’aver ottenuto il consenso di Tito riguardo all’utilizzo delle linee di comunicazione era già di per sé un buon risultato. Al tempo stesso, le rivendicazioni accampate dal leader jugoslavo nei confronti di quelle aree che sarebbero state escluse dalle operazioni alleate non sembravano entrare in conflitto con l’ipotesi della divisione in zone – la quale, come si è visto, era già stata messa in preventivo dai britannici. <9
Da quel momento in poi, la questione giuliana sarebbe passata in mano alle diplomazie occidentali, ritornando di scottante attualità, per l’AFHQ, soltanto verso la fine di aprile. <10 Nel frattempo, il quartier generale di Alexander si sarebbe occupato di preparare – e lanciare – l’ultima, grande offensiva della campagna d’Italia: l’operazione Grapeshot.
Avviata il 9 aprile 1945, la cosiddetta ‘offensiva di primavera’ portò le truppe alleate a sfondare la linea Gotica e a occupare, in meno di un mese, le principali città del Nord Italia.
Data la vastità del fronte e la pluralità degli obiettivi prefissati, le due armate a disposizione di Alexander seguirono due direttrici d’attacco diverse. Mentre la 5th Army statunitense concentrò i propri sforzi nella conquista dei grandi centri industriali del nordovest, la britannica 8 Army puntò decisamente verso nordest, procedendo a tappe forzate verso l’Austria – e verso Trieste. Superato il Po il 25 aprile, le avanguardie britanniche raggiunsero l’Adige il 26 ed entrarono a Venezia il 29 – attestandosi, contemporaneamente, sul Piave. <11
La ‘corsa per Trieste’ stava entrando nella sua fase conclusiva. Il 26 aprile, piuttosto irritato per non aver ancora ricevuto istruzioni chiare sul da farsi, Alexander aveva informato i Combined Chiefs of Staff (CCS) della propria intenzione di occupare “quelle parti della Venezia Giulia che sarebbero state rilevanti per il prosieguo delle operazioni militari”. <12 Due giorni dopo, i CCS avevano risposto, ordinando al SACMED di porre l’intera regione sotto un GMA angloamericano e specificando che: “in case any Jugoslav forces in the area to be placed under US/UK Military Government fail to cooperate with the plan set forth in the message, you will communicate with the Combined Chiefs of Staff before taking further action.” <13
Nel frattempo, la situazione sul campo si stava evolvendo rapidamente. Alle 15:30 del primo maggio, a coronamento di un’avanzata ininterrotta di circa 70 miglia, la divisione neozelandese – che costituiva la punta avanzata dell’8 Army – raggiunse finalmente l’Isonzo. Dopo uno scambio di convenevoli piuttosto lungo con i partigiani jugoslavi, i neozelandesi proseguirono verso la cittadina costiera di Monfalcone (situata a circa 30 km da Trieste) dove ricevettero un “tremendous welcome from both the partisans and civilians”. Le cattive condizioni meteorologiche e la necessità di neutralizzare alcune sacche di resistenza nemiche individuate nelle vicinanze spinsero i nuovi arrivati a rimandare al giorno successivo l’ultimo balzo verso Trieste. <14
Le vicende legate alla capitolazione della guarnigione tedesca tra il 2 e il 3 maggio sono ormai ben note al lettore, e ci sembra inutile riproporle qui di seguito. Allo stesso modo, riteniamo che sia superfluo descrivere minuziosamente l’attività diplomatica che portò gli alleati a raggiungere un accordo con Tito. Tali sviluppi sono già stati esaurientemente descritti nei testi consigliati in nota (pag. 2), ai quali rimandiamo per qualsiasi approfondimento. Nelle pagine che seguiranno ci riserviamo di toccare soltanto i passaggi fondamentali di quel confronto, dedicando tutta la nostra attenzione all’impiego concreto delle truppe americane e del Commonwealth nella Venezia Giulia.
Al fine di comprendere come l’8 Army riuscì a consolidare la propria presenza a est dell’Isonzo è opportuno fornire un quadro sommario delle forze in campo, cominciando dall’unità britannica che era stata incaricata di prendere in mano la situazione: il 13 Corps.
[…] Alla data del 1 maggio, il 13 Corps controllava ‘solamente’ due divisioni: quella neozelandese (lanciata verso Trieste) e la 6 Armoured Division (in movimento verso l’Austria). <18 Due giorni dopo, esso aveva già modificato il proprio ordine di battaglia sostituendo alla divisione corazzata un’unità di fanteria: la 56 (London) Division. Il 5 maggio, poi, esso aveva assunto il controllo operativo della 91st Infantry Division statunitense, cui si sarebbe aggiunta – verso la metà del mese – la 10 Indian Division. <19 Il 26 giugno, infine, dopo una breve parentesi di convivenza con un corpo d’armata americano, il 13 Corps avrebbe finito con l’assorbire pure la 10th US Mountain Division. <20
Risultato finale di questa serie di passaggi sarebbe stata l’assunzione, da parte di Harding, del controllo operativo su un totale di cinque divisioni di fanteria.
Vediamo ora quali furono le principali tappe che portarono gli alleati a creare la loro testa di ponte ad est dell’Isonzo, seguendo in maniera schematica i movimenti delle grandi unità sopra elencate.
Il 4 maggio, in risposta alla decisione – presa il giorno prima da Alexander – di “spingersi avanti evitando scontri aperti con gli jugoslavi e di occupare le aree di importanza militare della Venezia Giulia” <21, lo staff di Harding emise un’istruzione operativa che delineava gli obiettivi principali del 13 Corps. Essa esordiva così: “The task of 13 Corps is to continue to occupy the points reached by our leading troops at the time of the surrender of German forces in Italy, while negotiation are in progress with the Yugoslav Army for the use of the port of Trieste and the road and rail [communications] from it into Austria. Thereafter the Corps will be responsible for safeguarding those [communications] within the Corps [boundaries]”. <22
Subito dopo, l’istruzione definiva – a grandi linee – i “boundaries” in questione, individuando tre aree di responsabilità che sarebbero state assegnate alle divisioni dipendenti dal corpo d’armata. I neozelandesi (già piazzati in posizione favorevole) avrebbero coperto il fianco destro dello schieramento consolidando la propria presenza a Trieste e Monfalcone e controllando la cintura costiera compresa tra le due città. Gli statunitensi (che si trovavano ancora per strada) avrebbero gestito il fianco sinistro, dispiegando la loro 91st Infantry Division nell’area compresa tra Gorizia e Palmanova. I britannici, infine, avrebbero occupato con la 56 (London) Division la fascia intermedia, compresa tra Monfalcone e Portogruaro (una cittadina situata nei pressi del confine tra Veneto e Friuli). Al fine di dare un tocco di colore “alleato” all’occupazione, poi, era previsto che americani e britannici facessero confluire a Trieste un battaglione di fanteria ciascuno. Analogamente, la concentrazione di truppe americane a Gorizia sarebbe stata ‘diluita’ dall’arrivo di un battaglione della 56 (London) Div. Si noti bene che lo schieramento alleato sarebbe stato tutt’altro che monolitico visto che le aree di responsabilità indicate nell’istruzione avrebbero inevitabilmente incluso dei territori che erano già stati occupati dai reparti jugoslavi, dando forma, su un’ipotetica cartina, ad
un complesso schema a macchie di leopardo. <23
Fu anche pensando a questo problema – e al conflitto di competenze che ne sarebbe derivato – che il 13 Corps inserì all’interno dell’istruzione un paragrafo dedicato alle misure da prendere qualora gli appartenenti alle “local factions” avessero deciso di regolare i propri conti sotto il naso dagli alleati. Secondo il Corps, le truppe alleate avrebbero dovuto intraprendere “all possible action short of actually opening fire to preserve law and order”. In particolare, esse avrebbero dovuto cercare di isolare le aree interessate da eventuali scontri e impedire che personale armato vi affluisse. Una volta calmatesi le acque, gli alleati avrebbero dovuto mettere i capi delle ‘fazioni’ coinvolte di fronte all’alternativa di consegnare le armi o allontanarsi dall’area. In ogni caso, essi avrebbero dovuto agire con la massima prudenza riportando al quartier generale di Harding, prima di intraprendere qualsiasi azione, “any refusal to comply with such instructions”. <24
Le conseguenze che le direttive del 13 Corps ebbero sulla disposizione delle truppe alleate furono sostanziali. La 2 New Zealand Division, che era dispersa tra Trieste e Gorizia, concentrò i propri reparti nella fascia costiera, completando l’occupazione di svariate posizioni chiave sia all’interno del capoluogo giuliano, sia nelle sue vicinanze. <25
La 56 (London) Division continuò celermente il proprio trasferimento nel settore centrale dello schieramento, stabilendo il quartier generale nella cittadina di Gradisca già il 5 maggio. <26 In quella stessa data, le avanguardie della divisione statunitense fecero il loro ingresso a Gorizia, dove rilevarono un’unità britannica che aveva rimpiazzato – poco tempo prima – i neozelandesi. <27
Tra il 5 e il 6 maggio, come previsto, un battaglione delle Scots Guards e un battaglione del 363rd Infantry Regiment americano vennero inviati a Trieste “to show the flag”. Analogamente, un battaglione britannico fu spedito a Gorizia, dove passò alle dipendenze della 91st Infantry Division. <28
Alla data dell’11 maggio, le tre divisioni avevano quasi completato il trasferimento.
L’unica deviazione rispetto al piano originario era costituita dall’ammassamento, nei pressi del paese di Ronchi dei Legionari, della 43 Lorried Infantry Brigade, un’unità indiana indipendente che aveva ricevuto l’incarico di proteggere il locale campo di aviazione e di mantenere una testa di ponte permanente sulla riva sinistra dell’Isonzo. <29
Per quanto riguarda il settore di Trieste, è interessante notare come la divisione neozelandese fosse affiancata da un’unità britannica espressamente incaricata di fornire il necessario supporto logistico e amministrativo: la 55 (Army) Area. Compito specifico delle Army Areas era quella di gestire la “static administration” all’interno delle zone d’operazioni, al fine di consentire agli stati maggiori divisionali o di corpo d’armata di dedicarsi esclusivamente alla condotta delle azioni di guerra – o, come in questo caso, di occuparsi a tempo pieno degli aspetti politico-militari dell’occupazione. <30 Nel caso triestino, la 55 (Army) Area era responsabile “for the developement and operation of the port of Trieste [including] transit installations, and for local [administration] within the city and port area” e estendeva la propria giurisdizione su tutte quelle unità che non dipendevano direttamente dalla 2 New Zealand Division: gli uffici amministrativi, le unità incaricate di far funzionare il porto, le compagnie di lavoro e quelle di trasporto, i distaccamenti della polizia militare, i reparti antincendio, le unità mediche, ecc. Oltre a ciò, essa aveva il compito di compilare i Routine Orders, e cioè quei regolamenti – tarati sulle caratteristiche della zona d’occupazione e sulle esigenze del momento – che avrebbero disciplinato la vita quotidiana di uomini e reparti all’interno della città. <31
Di fatto, la 55 Area aveva cominciato a svolgere la sua preziosa attività a Trieste fin dai primi di maggio. Passata sotto il comando del 13 Corps il giorno 3, essa aveva preso contatto con gli jugoslavi il giorno successivo, cercando di ottenere – tra le varie cose – l’accesso alle infrastrutture portuali e la concessione di alloggi per la truppa. <32
[…] Ciò premesso, l’istruzione affrontava l’evacuazione vera e propria. In caso d’emergenza, la 9 NZ Brigade avrebbe assunto la direzione delle operazioni e avrebbe dato avvio al piano trasmettendo ai vari comandi subordinati (55 Area compresa) la parola d’ordine AUCKLAND. Alla ricezione di tale parola, tutte le unità dell’Area accampate a nord della città avrebbero cominciato a ritirarsi verso Monfalcone “without further orders”. Le unità presenti a Trieste, invece, avrebbero dovuto radunarsi sul lungomare prospiciente l’albergo Excelsior (situato a un centinaio di metri da piazza dell’Unità), formando una colonna orientata verso nord. Ricevuti gli ordini necessari, esse avrebbero abbandonato la città in buon ordine e, a quanto pare, senza fretta eccessiva. <37 Destinazione finale dell’Area sarebbe stato S. Giorgio di Nogaro, un paese situato nelle retrovie della 56 (London) Division. <38
Non potendo esaminare i documenti prodotti dalla 2 New Zealand Division, è difficile definire con esattezza come sarebbe stata gestita la contemporanea evacuazione dei reparti combattenti. Fortunatamente, alcune fonti complementari ci consentono di estrapolare diversi dettagli interessanti a riguardo. <39 La più importante tra queste è senz’altro il diario del 1 Scots Guards, il battaglione britannico inviato a Trieste per ‘mostrar la bandiera’. Nell’Operation Order No. 2 del 17 maggio, infatti, lo stato maggiore dell’unità illustrava con dovizia di particolari la linea d’azione che questa avrebbe dovuto seguire qualora gli jugoslavi avessero aperto le ostilità. In caso di guai, la brigata neozelandese e i due battaglioni aggregati (quello delle Scots Guards e l’1/363 statunitense) avrebbero abbandonato la città e si sarebbero incolonnati lungo la strada litoranea che collega tuttora Trieste a Monfalcone. Raggiunta un’area di ammassamento situata nei pressi di Duino (a ridosso, quindi, della linea ‘difensiva’ indicata dal 13 Corps), la 9 NZ Brigade sarebbe confluita nella riserva divisionale neozelandese, mentre i britannici avrebbero proseguito verso il monfalconese. Il reparto americano, invece, si sarebbe verosimilmente diretto verso l’area di responsabilità della 91st Infantry Division. <40
Prevedendo che le ostilità sarebbero state precedute da un graduale aumento di tensione – cosa che avrebbe consentito di guadagnare del tempo prezioso – l’Order divideva le operazioni in tre fasi principali. Nel corso della prima fase, il battaglione avrebbe allontanato celermente dall’area di Trieste i mezzi di trasporto non essenziali e avrebbe migliorato la disposizione tattica dei propri reparti. Nel corso della seconda fase, esso avrebbe preso posizione sul lungomare cittadino nei pressi della Stazione Marittima, distaccando il proprio “left flank” presso il quartier generale della 9 NZ Brigade. Nel corso della terza fase, quindi, il battaglione al completo avrebbe cominciato il ritiro, collocandosi tra l’unità americana (posta all’avanguardia) e lo stato maggiore della brigata neozelandese.
Senza dubbio, l’evacuazione vera e propria sarebbe stata una faccenda piuttosto rumorosa. All’effettivo scoppio delle ostilità, infatti, tutte le posizioni nemiche conosciute sarebbero state “engaged immediately with the heaviest weight of fire available.” Sorte analoga avrebbero subito gli edifici in mano jugoslava collocati lungo la via di fuga, i quali sarebbero stati “kept under continuous fire, particularly building at ends of straight stretches.” Se un simile trattamento non fosse bastato a tenere a bada gli jugoslavi, le unità della Royal Navy presenti nel porto avrebbero offerto alle truppe in ritirata il loro “support” (che l’Order non descriveva ma di cui possiamo facilmente ipotizzare la natura). <41
In mancanza dei piani elaborati dai neozelandesi agli inizi di maggio, non è possibile stabilire se un simile accento posto sul fuoco di copertura fosse presente sin dall’inizio (ricordiamo che i piani di evacuazione dell’Area – emessi il 5 maggio – prevedevano, al contrario, un ritiro composto e apparentemente ‘pacifico’) o fosse piuttosto l’espressione del mutato atteggiamento alleato nei confronti degli jugoslavi – un atteggiamento che, col passare del tempo, era diventato sempre meno accondiscendente.
A questo proposito può essere utile descrivere alcuni dei passaggi che avevano segnato l’evoluzione degli eventi nella Venezia Giulia a partire dal 5 maggio.
Proprio in quel giorno, Alexander aveva comunicato a Tito la propria intenzione di inviare a Belgrado il capo di stato maggiore dell’AFHQ, il generale Morgan, per discutere a quattr’occhi della situazione nella Venezia Giulia. La speranza del SACMED era quella di raggiungere con gli jugoslavi un accordo di tipo militare, incentrato sull’adozione di una linea di demarcazione provvisoria che lasciasse agli alleati Pola, Trieste e le ben note linee di comunicazione con l’Austria. <42
Nel corso di due incontri avvenuti l’8 e il 9 maggio, Tito aveva respinto le proposte d’accordo inoltrate da Morgan, facendo presente come l’intera faccenda avesse ormai assunto una dimensione essenzialmente politica: a suo modo di vedere, infatti, le truppe jugoslave si erano legittimamente conquistate il diritto di occupare la regione in virtù dei sacrifici sopportati per sostenere la causa alleata. Inoltre, egli era deciso a rivendicare in sede di conferenza di pace tutti i territori posti ad ovest dell’Isonzo, cosa che giustificava la presenza jugoslava in quella zona. Per venire incontro agli alleati, tuttavia, il Maresciallo aveva proposto di insediare nella parte occidentale della Venezia Giulia una Joint Military Commission che operasse a fianco della già esistente amministrazione civile jugoslava. <43 Com’era prevedibile, tale controproposta era risultata inaccettabile e Morgan si era rassegnato a tornare a Caserta a mani vuote.
Davanti al fallimento delle trattative, l’iniziativa alleata nella Venezia Giulia aveva subito una momentanea battuta d’arresto e Alexander si era trovato a dover affrontare un grosso problema: stabilire se fosse o meno il caso di usare la forza per sbloccare lo stallo. La soluzione di tale dilemma sarebbe stata, a ben vedere, tutt’altro che semplice. <44
Se gli alleati avessero deciso di usare la linea morbida, infatti, avrebbero dovuto scegliere tra due alternative non particolarmente esaltanti: accettare le condizioni jugoslave oppure lasciare le cose come stavano. A conti fatti, nessuna delle due soluzioni si sarebbe rivelata soddisfacente, dal momento che non avrebbe fornito alcuna garanzia circa la sicurezza delle linee di comunicazione, e ciò avrebbe obbligato gli alleati a individuare – sul lungo periodo – delle linee alternative facenti capo ad Ancona, Venezia o addirittura ai porti dell’Europa nordoccidentale.
Se, invece, le potenze occidentali si fossero decise a mostrare i muscoli, avrebbero dovuto con ogni probabilità fare i conti con la Russia. Nel caso in cui Stalin avesse deciso di sostenere apertamente Tito, le conseguenze sarebbero state semplicemente disastrose, dal momento che le forze alleate presenti in quel momento nel teatro d’operazioni mediterraneo non sarebbero bastate a contrastare il binomio russo-jugoslavo.
Assai migliori sarebbero state le prospettive di successo alleate qualora Tito fosse rimasto da solo. Era chiaro, tuttavia, che neppure in quel caso ci si sarebbe trovati di fronte ad una passeggiata, e proprio per tale motivo il SACMED aveva fissato come requisito di forze minimo in caso di conflitto la quota di 11 divisioni (5 delle quali da dispiegarsi nella Venezia Giulia e 6 in Austria – dove era in corso un altro contenzioso territoriale con gli jugoslavi). <45
Fortunatamente per Alexander, la decisione finale sarebbe toccata ai governi britannico e statunitense, le cui posizioni in merito alla questione giuliana stavano finalmente convergendo. <46
Il 10 maggio Truman, che in precedenza si era sempre dimostrato estremamente restio a usare la forza “per non coinvolgere il proprio paese in una nuova guerra”, era giunto alla conclusione che l’unica soluzione realistica fosse quella di ‘sbattere fuori’ gli jugoslavi da Trieste. <47 Il giorno successivo, il presidente americano aveva espresso a Churchill la propria intenzione di adottare una linea più dura nei confronti della Jugoslavia, sostenendo che “the minimum we should insist upon is that Field Marshal Alexander should obtain complete and exclusive control of Trieste and Pola, the line of communication through Gorizia and Monfalcone, and an area significantly to the east of this line to permit proper administrative control.” <48 Ciò non voleva dire, tuttavia, che gli Stati Uniti fossero disposti a intraprendere delle azioni offensive senza essere attaccati – particolare, questo, che Truman avrebbe messo bene in chiaro il 14 maggio. <49
Nei giorni che erano seguiti, Alexander aveva incaricato gli strateghi dell’AFHQ di preparare dei piani che contemplassero l’avvio di operazioni contro gli jugoslavi nel Nord Italia e in Austria. Al tempo stesso, aveva chiesto al generale Eisenhower, allora comandante supremo delle forze armate alleate in Europa, di mettere a sua disposizione delle truppe aggiuntive qualora si fosse giunti ad un conflitto. <50
Arriviamo così alla data in cui il 1 Scots Guards elaborò il suo piano di evacuazione da Trieste. In quello stesso 17 maggio, Alexander inviò ai suoi superiori un resoconto della situazione in Austria e nella Venezia Giulia, sottolineando come il comportamento tenuto dagli jugoslavi stesse facendo una pessima impressione sulle truppe alleate, generando un risentimento che aumentava di giorno in giorno. Questa puntualizzazione rettificava il contenuto di una precedente missiva destinata ai CCS, in cui il SACMED aveva osservato che, grazie anche all’aura di rispetto che circondava il movimento resistenziale di Tito, “both US and British troops would be very reluctant to engage at this stage of the war in a fresh conflict against the Jugoslavs”. <51
Il giorno 18, gli jugoslavi inoltrarono agli ambasciatori statunitense e britannico una nota che respingeva un’ulteriore proposta d’accordo ricevuta alcuni giorni prima, riaffermando il diritto della Jugoslavia di occupare la regione contesa e riproponendo l’offerta di co-tutela amministrativa fatta da Tito a Morgan. <52
Tale risposta non sortì altro effetto che quello di indurire l’atteggiamento dei britannici e di dissolvere definitivamente le ultime remore degli statunitensi.
Il 19 maggio, Alexander diramò ai propri uomini un proclama in cui denunciava senza mezzi termini gli appetiti territoriali di Tito, osservando come l’apparente intenzione jugoslava di dare atto alle proprie rivendicazioni con la forza delle armi fosse “too reminiscent of Hitler, Mussolini and Japan”. <53 Il giorno successivo, Truman scrisse a Churchill suggerendogli di rafforzare, “with assistance from General Eisenhower”, le “front line troops” di Alexander “to such an extent that our preponderance of force in the disputed areas and the firmness of our intentions will be clearly apparent to the Yugoslavs”. <54 Contemporaneamente, il presidente americano chiese a Stalin di usare la sua influenza “to assist in bringing about the provisional settlement outlined in our recent note to Marshal Tito”. <55
Da quel momento in poi la situazione progredì molto rapidamente, portando in pochi giorni all’accettazione jugoslava delle proposte d’accordo angloamericane e all’avanzamento del ‘fronte’ alleato verso est. <56
[…] Ciò non toglie che alcuni di questi piani sarebbero rimasti in vigore – just in case – fino alla definitiva partenza degli jugoslavi e avrebbero esercitato una certa influenza sulla successiva produzione strategica alleata. <80 È interessante notare, a tal proposito, come alcuni concetti offensivi e difensivi adottati nella primissima fase dell’occupazione sarebbero ricomparsi con una certa ricorrenza nella pianificazione degli anni a venire. Ci riferiamo, ad esempio, all’impiego delle artiglierie navali in appoggio alle operazioni terrestri (reso particolarmente indicato dalla scarsa profondità del ‘fronte’ alleato nel settore compreso tra Trieste e Monfalcone), oppure all’uso dei mezzi da sbarco per procedere all’evacuazione di posizioni non difendibili (vedi i piani per il ritiro della guarnigione di Pola), ma non solo.
[…] Finalmente, il 9 giugno i rappresentanti di Gran Bretagna, Stati Uniti e Jugoslavia firmarono il cosiddetto accordo di Belgrado, un trattato di carattere prettamente militare il cui scopo era quello di dare alla Venezia Giulia una sistemazione provvisoria in attesa che la conferenza di pace ne decidesse il destino ultimo. Al centro del trattato vi erano, naturalmente, la divisione della regione contesa in due distinte zone d’occupazione (denominate A e B), e l’estensione del GMA a Trieste, Gorizia e Pola.
[NOTE]
1 Il primo reparto ad entrare in città fu il 22 NZ Battalion (un’unità di fanteria motorizzata) accompagnato da alcuni carri del 20 NZ Regiment e da autoblindo del 12 Lancers, un reparto esplorante britannico distaccato presso la divisione neozelandese. Vedi 22 NZ Battalion, WD, Vol. LXVIII (May 1945), in http://www.22battalion.org.nz/war-diary/1945-may.htm, consultato il 15 gennaio 2017.
2 La guarnigione del castello di S. Giusto si arrese ai neozelandesi già alle 17:30 del 2 maggio. La cosa non fu presa molto bene dagli jugoslavi, che ‘assediarono’ vincitori e vinti per tutta la notte. Il caposaldo di Villa Geiringer, forte di 700 uomini, capitolò attorno alle 04:00, dopo che il comandante di piazza di Trieste, il generale Linkenbach, ebbe ricevuto l’assicurazione che il personale germanico sarebbe stato preso in custodia dai soldati del Commonwealth. Il presidio del tribunale, invece, rifiutò decisamente di arrendersi, non lasciando ai neozelandesi altra scelta che quella di bombardare l’edificio con i carri armati. I tedeschi, asserragliati nei sotterranei, vennero stanati dagli jugoslavi entro la mattina del giorno successivo. Quanto alla guarnigione di Opicina, il 22 Battalion cercò di intavolare delle trattative la mattina del 3 maggio (gli stessi tedeschi avevano fatto sapere di essere disposti ad arrendersi), ma non riuscì ad ottenere alcun risultato a causa delle resistenze opposte dagli jugoslavi. Mentre erano in corso le discussioni coi tedeschi, il battaglione perse addirittura un uomo, colpito per errore da ‘fuoco amico’. Dopo aver cercato inutilmente di giungere ad un accordo con gli jugoslavi, i neozelandesi rientrarono in città, lasciando al diffidente alleato il compito di accogliere la resa tedesca. Cfr. 22 NZ Battalion, WD, Vol. LXVIII (May 1945), cit. e Henderson, J., The Official History of New Zealand in the Second World War 1939–1945: 22 Battalion, Wellington (NZ): Historical Publications Branch, 1958, pp. 440-445.
3 Vedi Pupo, R., Trieste ’45, Roma/Bari: Laterza, 2010, p. 155 e Whittam, J. R., “Drawing the Line: Britain and the Emergence of the Trieste Question, January 1941-May 1945”, in The English Historical Review, Vol. 106, No. 419 (Apr., 1991), p. 367.
4 Per una trattazione esaustiva dell’argomento si rimanda a: Fox, G., The Race for Trieste, London: William Kimber & Co., Ltd, 1977; Pupo, R., Trieste ’45, cit.; Valdevit, G., La questione di Trieste 1941-1945. Politica internazionale e contesto locale, Milano, Franco Angeli, 1987; Valdevit, G., a cura di, La crisi di Trieste, maggio-giugno 1945: una revisione storiografica, Trieste: Sciarada, 1995 e Whittam, op. cit. 5 Whittam, op. cit., p. 346.
6 Ivi, pp. 346-347.
7 Roosevelt era contrario a fissare a tavolino il futuro assetto territoriale dell’Italia mentre la guerra era ancora in corso. Whittam, op. cit., p. 353.
8 Whittam, op. cit., pp. 347 e 364. Nel corso del briefing tenuto a Caserta (sede dell’AFHQ) prima del viaggio a Belgrado, Alexander aveva ribadito che per gli alleati sarebbe stato indispensabile poter disporre di linee di comunicazione che collegassero Trieste e l’Austria, e aveva suggerito di fissare una linea di demarcazione che passasse 10 miglia ad est delle linee stesse. La cosa non aveva mancato di sollevare le critiche degli americani presenti, i quali seguivano rigidamente le direttive provenienti da Washington. Ivi, pp. 364-365.
9 Whittam, op. cit., p. 365 e Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit., pp. 78-79.
10 Si vedano Whittam, op. cit., pp. 365-366 e Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit., pp. 79-89.
11 22 NZ Battalion, WD, Vol. LXVII (Apr. 1945), in http://www.22battalion.org.nz/war-diary/1940-april.htm, consultato il 17 gennaio 2017.
12 Whittam, op. cit., p. 366.
13 FAN 536 (28 aprile 1945), dai CCS al SACMED, TNA, WO 204/621/339.
14 22 NZ Battalion, WD, Vol. LXVIII (May 1945), cit.
18 “Diagrammatic order of battle as at 1200B, 1 May 45”, in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section J/1, TNA, WO 170/4286.
19 Cfr. 13 Corps (G), WD (May 1945), TNA, WO 170/4286 e “Diagrammatic order of battle as at 1200 hrs, 5 May 45”, in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section J/4, TNA, WO 170/4286.
20 Nel corso di questa parentesi (21 maggio–26 giugno 1945) la 91st Infantry Division era passata alle dipendenze del 2nd US Corps, nel frattempo insediatosi a Gorizia. Vedi 13 Corps Message form (21 May 1945), in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section B/21, TNA, WO 170/4286 e 13 Corps Message form (26
Jun. 1945), in 13 Corps (G), WD (Jun. 1945), Section B/26, TNA, WO 170/4287.
21 Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. p. 90.
22 13 Corps Op. Instr. No. 8 (4 May 1945) in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section D/1, TNA, WO 170/4286.
23 Ibid.
24 13 Corps Op. Instr. No. 8 (4 May 1945), cit.
25 13 Corps Message form (4 May 1945), in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section B/4, TNA, WO
170/4286.
26 13 Corps Message form (5 May 1945), in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section B/5, TNA, WO
170/4286.
27 Vedi 13 Corps Message form (6 May 1945), in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section B/6, TNA, WO 170/4286 e 13 Corps Infm Log (5 May 1945), serials No. 21, in 13 Corps (G), WD (May 1945), TNA, WO 170/4286.
28 Vedi 13 Corps Message form (6 May 1945), in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section B/6, TNA, WO 170/4286 e 22 NZ Battalion, WD, Vol. LXVIII (May 1945).
29 Cfr. 13 Corps Message form (11 May 1945), in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section B/11, TNA, WO 170/4286 e 13 Corps Op. Instr. No. 9 (10 May 1945) in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section D/3, TNA, WO 170/4286.
30 56 (Lon) Division Standing Operation Instructions Venezia Giulia (8 Nov. 1945), chapter ‘B’, p. 1, in 56 (London) Division (G), WD (Nov. 1945), Appx D/1, TNA, WO 170/4370.
31 13 Corps Op. Instr. No. 10 (14 May 1945) in 13 Corps (G), WD (May 1945), Section D/5, TNA, WO 170/4286. Vedi anche 55 (Army) Area Order of Battle and Location Statement No. 2 (24 May 1945), in HQ 55 (Army) Area, WD (May 1945), Section I/6, TNA, WO 170/4532.
32 HQ 55 (Army) Area, WD (May 1945), TNA, WO 170/4532.
37 I veicoli si sarebbero mossi a gruppi di dieci, con un intervallo di cinque minuti tra un gruppo e l’altro.
38 55 (Army) Area Op. Instr. No. 1 (5 May 1945), cit.
39 Il diario del 22 NZ Battalion, ad esempio, riporta che “Plans were drawn up for a fighting withdrawal from the city in the event of trouble”. 22 NZ Battalion, WD, Vol. LXVIII (May 1945), cit.
40 Si deduce, quindi, che il compito di presidiare la linea avanzata Miramare – Monrupino sarebbe spettato a una delle brigate dislocate nei dintorni di Trieste. Vedi 1 S.G. Operation Order No. 2 (17 May 1945), in 1 Bn. Scots Guards, WD (May 1945), Section D/5, TNA, WO 170/4981.
41 1 S.G. Operation Order No. 2 (17 May 1945), cit. L’11 maggio erano giunti a Trieste l’incrociatore leggero HMS Orion e i caccia di scorta HMS Beaufort e Lauderdale. Vedi lettera 3754/380 (16 Aug. 1945) “Occupation of Trieste by Party ‘Oboe’”, p. 6, TNA, ADM 199/2433.
42 Questa mossa seguiva di poco uno scambio di messaggi in cui il Maresciallo si era lamentato per l’ingresso degli alleati nella ‘sua’ zona d’operazioni e Alexander aveva espresso il proprio stupore per la mancanza di parola jugoslava. Vedi Whittam, op. cit., p. 368 e Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit., p. 93. Vedi anche NAF 948 (5 May 1945) da Alexander ai CCS, TNA, WO 204/621/239-240.
43 Cfr. Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. pp. 93-94 e WDM-3 (9 May 1945) da Morgan a Alexander, TNA, WO 204/621/176.
44 Cfr. Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. pp. 94 e 100.
45 NAF 960 (11 May 1945) da Alexander ai CCS, TNA, WO 204/621/162-163.
46 Per un’esaustiva disamina del dibattito interno statunitense circa la linea da seguire nella Venezia Giulia si veda Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. pp. 94-99.
47 Vedi Whittam, op. cit., p. 369 e Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. p. 96.
48 Vedi Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. p. 98 e FRUS, 1945, IV, pp. 1156-1157.
49 Vedi Whittam, op. cit., p. 369 e Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. p. 99.
50 Vedi Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. p. 100.
51 Vedi NAF 976 (17 May 1945) da Alexander ai CCS, TNA, WO 204/621/97-98 e NAF 960 (11 May 1945), cit.
52 Cfr. Pupo, R., Trieste ’45, cit., p. 179, Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. p. 100 e FRUS, 1945, IV, pp. 1165-1167.
53 FX 77751 (18 May 1945) dal SACMED alle unità dipendenti dall’AFHQ, TNA, WO 204/621/84-85. Le istruzioni allegate al proclama recitavano: “This message will be released to all troops under your command at 1200B hours 19 May.”
54 Valdevit, La questione di Trieste 1941-1945, cit. pp. 100-101 e FRUS, 1945, IV, pp. 1169-1170.
55 Cfr. Pupo, R., Trieste ’45, cit., p. 180 e FRUS, 1945, IV, p. 1169.
56 FX 79563 (21 May 1945) dal SACMED al 15th Army Group, TNA, WO 204/621/56.
80 Cfr. Amendment No. 4 to 55 (Army) Area Op. Instr. No. 2 (9 Jun. 1945), in HQ 55 (Army) Area, WD (Jun. 1945), Section D/1, TNA, WO 170/4532 e HQ 55 (Army) Area 300-1 G (28 Jun. 1945), in HQ 55 (Army) Area, WD (Jun. 1945), Section D/3, TNA, WO 170/4532.
Lorenzo Ielen, La guarnigione britannica di Trieste, 1945-1954: ruolo strategico, attività operativa e rapporti con la realtà socio-economica locale, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 2014/2015