Di Pavese non sapevo assolutamente nulla

Cesare Pavese – Fonte: Wikipedia

La prima volta che vidi e strinsi amicizia “politica” con Cesare Pavese fu uno di questi primi giorni di ottobre… ma nel 1948. Già. Ero a Torino da nemmeno dieci giorni ed ero tipografo compositore-impaginatore appena assunto di corsa il mattino del 28 settembre da Mario Appiano, allora proto… dopo aver telefonato presso una panetteria in via Oddino Morgari, dove il tram 16 sferragliava rumorosamente, per presentarmi poi da Appiano. Ero arrivato a Torino la sera precedente da Pavia, via Milano, in vagone bestiame… e panchina al Valentino la notte a seguire… morto di sonno… affamato… ed in cerca di lavoro… per un ventiduenne pavese stanco della tipografia Galli di via Paolo Sarpi di Milano… tutti i giorni su è giù da Pavia su puzzolenti carrozze “cavalli 8 – uomini 40″… come scritto all’esterno della carrozza.

Di Pavese non sapevo assolutamente nulla. Il nome, però, richiamava la mia città natale Pavia. Ed era già un bel biglietto di presentazione per me.

Ogni volta che Cesare veniva in tipografia in via Saluzzo 49 per farsi consigliare un tipo di carattere e, con quello scelto, produrre un libro era un saluto ed un “ciao”. Ciao?… direte voi… Certo!… perché la tipografia TiPo (Tipografia Popolare) era di proprietà del PCI torinese e chi veniva da noi il “ciao” era d’uso… e poi lui era un iscritto presso la cellula PCI dell’Einaudi… seppi poi. Erio Rino, l’altro compositore della TiPo, era l’addetto ad accontentarlo. Col tempo (il poco rimasto) subentrai io come compositore confidenziale. Quella volta che scelse il carattere Baskerville per stampare la prima edizione de “La bella estate” presso, mi pare, l’Artistica (tipografia in centro a Torino, molto più attrezzata della TiPo che aveva solo 13 dipendenti mentre l’Artistica superava i 50 ed aveva macchine da stampa più moderne) e che poi Giulio Einaudi decise fosse usato il Garamond come carattere… si confidò con noi due compositori dicendoci che Giulio Einaudi (figlio del famoso Luigi, Presidente della Repubblica in carica) era un Editore-Dittatore. Quando entrava in tipografia sembrava un condannato a morte. Testa reclinata e braccia con mani unite dietro la schiena… e con la pipa in bocca e, poche volte, la solita sigaretta Nazionale dal pacchetto azzurro-cenere da 10 sigarette che gli pendeva dalla bocca. Fumatore incallito ed anche “amatore”… così si sussurrava nel PCI… anche se talvolta la prescelta gli diceva di no (ma lui non se la prendeva… aveva riserve). Settantadue anni fa… e forse oggi. Alfredo Schiavi