Don Ettore Secondo Manzoni si spendeva nell’appoggiare alcuni ferrovieri impegnati nel garantire vie di fuga agli internati

Un angolo di Mestre – Fonte: Mapio.net
Reale Fotografia Giacomelli, Porto Marghera, deposito fertilizzanti alla Montecatini, 1935

Nonostante l’innegabile crescita, Piazza [Patriarca di Venezia dal 1935 al 1948] non era ancora soddisfatto. A suo dire, la penetrazione doveva essere perseguita con maggiore efficacia se Venezia sembrava perdere di «giorno in giorno la sua consacrazione» tra case «fredde e vuote di ogni simbolo religioso», genitori incapaci di educare e di curarsi «se altri educhino davvero», una gioventù trascinata da «allettamenti ignobili o portata via da motivi non sempre giustificati» e un generale «assenteismo di cristiani senza Cristianesimo» <33.
L’eccesso critico del patriarca non restava comunque fine a se stesso qualora posto in una duplice cornice: da una parte, quella bellica, di lì a poco costellata dai radiomessaggi pontifici; dall’altra, quella politica, viziata da rapporti con il regime condizionati dalla finalità dell’orientamento corporativo <34. L’erogazione dei servizi sociali promossa dal fascismo rispondeva infatti più a criteri di «rafforzamento dello Stato che a quelli di giustizia sociale e di soccorso in situazioni di povertà o di bisogno», relegando il cittadino ad un sistema articolato ove contava solo in quanto lavoratore partecipe alla produzione <35. Pur trovando un significativo punto d’incontro nella prospettiva anticonflittuale, invece, l’azione della Chiesa volgeva alla tutela del cattolico, perseguendo con il medesimo mezzo uno scopo di presa sociale connesso ai principi dell’intransigentismo e legato al timore che «lo Stato si [sostituisse] alle libere attività» piuttosto che assumere una funzione di «assistenza e aiuto» <36.
Già con la “Divini Redemptoris” del 19 marzo 1937, d’altronde, Pio XI non aveva solo spinto verso una critica più serrata del comunismo, del collettivismo e del materialismo ateo, ma si era trovato ad incalzare le forze cattoliche – ricalcando la Rerum Novarum – verso un «reale impegno sociale volto a superare pratiche religiose solo esteriori per un effettivo distacco dai beni terreni e per la fusione tra carità e giustizia» <37. L’auspicio, in sostanza, guardava ad un maggior coinvolgimento finanziario delle forze sociali in campo assistenziale e alla loro declinazione spirituale nella forma dei due precetti evidenziati: il primo, la carità, da intendersi come «compimento di quei doveri che procurano nel modo migliore il bene comune»; il secondo, la giustizia, in quanto «virtù che inclina l’animo ad amare Dio sopra ogni cosa, per se stesso e per il prossimo come se stesso per amare Dio» <38. Dettami che risultarono particolarmente sentiti in tempo di guerra, allorquando l’auspicio marciano per una «pace vittoriosa», la «pace delle nostre armi» <39, si tradusse al contempo in un invito alla preghiera, al rispetto dei principi della morale cattolica (obbedienza alle leggi dello Stato, divieto di accaparramento speculativo, dovere della carità da parte dei più abbienti) e alla promulgazione di iniziative caritative <40.
A questo fine, nell’estate del 1944, Adeodato Piazza si era speso nell’elogiare la carità dei poveri per reclamare quella dei più abbienti:
“Oh, i poveri come si aiutano tra di loro; non è solo una frase letta o da ripetere, ma è l’esperienza che tante volte ci è caduta sott’occhio, a rimprovero della nostra resistenza di abbienti! – se lo siamo – all’impulso della carità. I beni della terra legano, impacciano l’anima e la volontà. Attutiscono gli slanci più nobili e spontanei del cuore, disturbano e spezzano le feconde comunicazioni effusive tra uomo ed uomo, tra classe e classe, irrigidendo in quella prudenza del dare che è l’antitesi della legge predicata dal Vangelo. […] La insaziabile lupa dantesca ha sempre mietuto stragi e rovine nel gregge di Dio. Così il domani non potrà essere ricostruito efficacemente se non sulla effettiva applicazione di questa legge santa, che impone al ricco di farsi amministratore del povero e che insegna a diventar povero per donare con maggior larghezza. I programmi e le discussioni valgono poco. È solo la rinuncia eroica quella che può salvare l’ordine sociale. I poveri – più vicini sempre al cuore di Cristo – ce ne danno tante volte l’esempio”. <41
Cifre alla mano, la sollecitazione venne accolta con impegno dalla cittadinanza: la Giornata Missionaria, dai 72.567.25 di lire raccolti nel 1942, passò ai 106.272.75 del 1943; crebbero le elargizioni destinate alla Propaganda Fide (da 42.302.20 a 55.931.05 di lire), all’Opera Santa Infanzia (da 29.622.05 a 34.898.40 di lire), all’Opera di San Pietro apostolo per il clero indigeno (da 19.013.000 a 44.633. 35 di lire) e alle Opere Varie (76.549.75 di lire nel 1943), per un totale complessivo di circa 90 milioni di lire in più (318.285.30) rispetto a quelli convogliati nel biennio 1942-1943 (228.476.60) <42. Somme che conferirono nuova linfa al laicato cattolico veneziano <43, evidenziando la volontà di investire sul clero nativo per sensibilizzare la comunità ecclesiale al sacerdozio e consolidare i processi di evangelizzazione sulla terraferma. Soprattutto, però, l’istituzione di nuove parrocchie e la presenza ecclesiastica in terraferma si rivelò fondamentale dalla seconda metà del 1943 e in seguito ai bombardamenti su Mestre del marzo 1944, quand’anche tra il clero veneziano presero piede esperienze di assistenza e di carità <44 in contrasto all’occupazione tedesca.
Uno dei nodi più significativi – pur collocabile al di fuori del campo caritativo ed assistenziale – riguardò senza dubbio l’opera di soccorso clandestino prestata agli ebrei, esercizio di assistenza che impegnò in modo considerevole parroci e laici. Nonostante inutili tentativi di salvare parte della comunità ebraica veneziana dalla deportazione nel campo di concentramento di Fossoli (da dove sarebbero poi partiti per la Germania), non mancarono iniziative atte a nascondere i ricercati, a soccorrere coloro che si nascondevano, ad avvertire gli interessati ad ogni nuovo allarme e ad aiutarli a fuggire in Svizzera. Se Piazza esitava a prendere posizioni esplicite, parte del tessuto diocesano si mosse invero con efficacia, aprendo le porte dei conventi (come nel caso delle suore di Nevers, del Sacro Cuore e delle francescane di Cristo Re) e trovando solidi esempi nelle figure del parroco di S. Marcuola don Giovanni Barbaro <45, del francescano Gentile Baù, dell’assistente fucino don Alessandro Gottardi, di monsignor Giuseppe Scarpa e di convinti antifascisti quali don Federico Tosatto (arciprete di Zelarino) <46 e don Giovanni Bettanini <47.
Supporto non mancò neanche ai prigionieri di guerra, descritti da Tramontin come uomini in «condizioni pietose, privi di cibo, di acqua e di vesti, ammassati peggio delle bestie nelle stive e sulle coperte di alcune navi giunte a Venezia dall’Istria, dalla Dalmazia e dalla Jugoslavia e destinati ad essere trasbordati sui treni con destinazione […] Germania» <48.
Anche su questo fronte furono le suore dell’Ospedale al mare a dimostrarsi tra le più attive grazie all’invio di barche cariche di viveri, minestre, pane, vino ed acqua, mentre il clero delle parrocchie di Lido e di Castello coadiuvò la fuga di molti giovani dalla prigionia e i padri Serviti del convento di Sant’Elena – guidati dal frate don Michele Selmo – si impegnarono a soccorrere «centinaia di soldati italiani che arrivavano dalla Grecia e dai Balcani» <49.
Altri sacerdoti, tra cui monsignor Giuseppe Olivotti, don Giovanni Bevilacqua <50, don Marco Tessaro <51, don Mario Gidoni <52 e don Giovanni Zanin <53, furono oltretutto incaricati dal patriarca di svolgere un’opera di assistenza sui moli marittimi, laddove l’arciprete di Mestre don Ettore Secondo Manzoni <54 si spendeva nell’appoggiare alcuni ferrovieri impegnati nel garantire vie di fuga agli internati.
In questo contesto, con chiari riflessi sul loro ruolo futuro all’interno della diocesi, si distinsero in modo particolare il segretario del patriarca don Giulio Mapelli e monsignor Giovanni Urbani. Due figure ancora poco studiate, eppure chiave nel lavorare sottotraccia secondo un senso di «dovere civico e carità cristiana» <55.

Reale Fotografia Giacomelli, Porto Marghera, sala turbine alla Sava, 1936

[NOTE]
33 Motivi pastorali. Dopo la prima sacra visita, in «Bollettino Diocesano», 2 (1942), 30-51: 39-40.
34 Come messo in evidenza da Giovanni Vian, dal 1921 La Fontaine aveva guardato con crescente convinzione al sistema corporativo come «possibile soluzione delle tensioni sociali». Una condizione alla quale «saldò l’esigenza di limitare l’avanzata socialista, non solo per gli aspetti di controllo dell’occupazione che questa stava assumendo a Venezia, ma soprattutto perché era portatrice di una soluzione della questione sociale fondata sulla lotta di classe, recepita in radicale opposizione alla via indicata dalla dottrina sociale cattolica»: cfr. G. VIAN, Tra democrazia e fascismo. L’atteggiamento del card. La Fontaine, patriarca di Venezia, nel primo dopoguerra, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», XXVI/1 (1990), 75-116: 105.
35 P. CORNER, Fascismo e controllo sociale, in «Italia Contemporanea», 2/228 (2002), 381-405: 395. Cfr. anche C. GIORGI, Le politiche sociali del fascismo, in «Studi Storici», 1 (2014), 93-108: 99.
36 I. GIORDANI (ed.), Le encicliche sociali dei papi da Pio XI a Pio XII, Studium, Roma 19564, 466 ss.
37 G. VECCHIO, Chiesa e problemi sociali, cit., 51. Nel 1937, Piazza aveva comunque firmato la lettera che – sulla scia dell’enciclica – i vescovi triveneti avevano decisivo di stilare in merito al pericolo comunista: riportando per ben sette volte le parole di Mussolini, il fascismo vi era inoltre reputato un solido argine al pericolo rosso e un veicolo per l’esportazione della «civiltà di Cristo» in Abissinia: cfr. B. BERTOLI, Indirizzi pastorali del patriarca Piazza, cit., 41.
38 APGL, b. 2, fasc. Varie, Opuscolo “La dottrina sociale cattolica”, a cura dell’Azione cattolica di Venezia, 1954.
39 Cfr. B. BERTOLI, Indirizzi pastorali del patriarca Piazza, cit., 42.
40 Ai miei Rev.mi parroci del Patriarcato, in «Bollettino Diocesano», 3 (1942), 56-57. Per quanto riguarda le iniziative umanitarie, cfr. Raccolta di lana per i soldati, in ivi, 4-5 (1942), 117-118.
41 La carità dei poveri, in «La Settimana Religiosa», 33/XXXI, 13 agosto 1944, 1.
42 Ufficio Diocesano Missionario. Relazione annuale, in «Bollettino Diocesano», 4 (1945), 12-15: 12. A queste elargizioni ne devono comunque essere aggiunte altre, spesso mirate e destinate a casi specifici: il 14 gennaio 1941, ad esempio, l’avvocato Alessandro Brass inviava a don Armando Berna un assegno circolare da 100.000 lire come «modesta offerta per le vostre innumerevoli opere di bene»; in APGL, b. 2, fasc. Varie, Raccomandata dell’avvocato Alessandro Brass a don Armando Berna, 14 gennaio 1941.
43 La Gioventù Femminile veneziana, ad esempio, era passata dalle circa 2.300 iscritte del 1932 alle 3.500 socie del 1942; inoltre, se agli inizi degli anni Trenta l’Azione Cattolica diocesana raccoglieva in totale meno di 7.000 persone, nel 1941-1942 le statistiche registrarono un’impennata fino a 9.400 tesserati in città; 11.700 nelle foranee e 1.700 aderenti alle associazioni interne: cfr. L. NARDO, Il tessuto cattolico, cit., 1558.
44 È comunque doverosa una separazione dei piani: con «assistenza», infatti, faccio riferimento alle iniziative connesse all’Ente comunale di assistenza secondo la riforma del 1937; con «carità», invece, indico iniziative private, elargizioni e beneficienza.
45 Nato a Venezia nel 1903, fu alunno della parrocchia di S. Silvestro. Ordinato sacerdote nel 1927, venne nominato parroco di san Marcuola dal 1937 al 1968. Notaio e giudice del tribunale ecclesiastico regionale, fu anche assistente diocesano dell’Unione Donne di Azione Cattolica. Morì il 29 agosto 1994: cfr. M. RONZINI (ed.), Liber vitae, 108.
46 Nato nel 1887 a sant’Ambrogio del Grion (diocesi di Treviso), venne ordinato sacerdote dal vescovo Andrea Longhin nel 1913. Arciprete della parrocchia di Zelarino dal 1919 (dal 1927 parte del patriarcato), fu cappellano militare durante la prima guerra mondiale e decorato con la medaglia d’argento al valore. Morì il 5 marzo 1947: cfr. ivi, 41.
47 Nato a Venezia nel 1886, fu ordinato sacerdote da monsignor Cavallari nel 1909. Esercitò il suo ministero a S. Luca e a S. Lorenzo di Mestre, ritirandosi poi ai Fatebenefratelli. Coadiutore dell’ufficio amministrativo diocesano dal 1929 al 1937, morì il primo febbraio 1963: cfr. ivi, 27.
48 S. TRAMONTIN, La Chiesa veneziana dal 1938 al 1948, cit., 468-469.
49 G. TURCATO – A. ZANON DEL BO, 1943-1945. Venezia nella Resistenza. Testimonianze, Comune di Venezia, Venezia 1976, 169.
50 Nato a Venezia nel 1905, venne ordinato sacerdote nel 1929. Cooperatore a S. Pietro e a S. Martino di Castello, fu anche cappellano dell’Apostolato del mare e insegnante di francese nel Seminario patriarcale. M. RONZINI (ed.), Liber vitae, 96.
51 Nato a Venezia nel 1905, sacerdote dal 1927, fu cooperatore a S. Silvestro, rettore a S. Giacometo e poi vicario a S. Niccolò dei Mendicoli. Nel 1938 fu nominato parroco dell’Angelo Raffaele e nel 1943 fu trasferito a S. Maria del Giglio. Assistente diocesano della Gioventù Femminile dell’Azione Cattolica, nel 1967 divenne canonico penitenziere della basilica di San Marco. Morì il 7 ottobre 1981: ivi, 121.
52 Nato a Venezia nel 1900, ordinato sacerdote nel 1923, insegnò lettere in Seminario per oltre vent’anni. Fu vicario a San Niccolò dei Mendicoli e, dal 1952 al 1966, parroco di San Francesco di Paola. Morì il 17 gennaio 1996: cfr. ivi, 18.
53 Nato a Ponso (Padova) nel 1900, fu ordinato sacerdote da La Fontaine nel 1927. Cappellano a Caorle, san Canciano e Mira, vicario economo a Mazzorbo, nel 1946 venne nominato vicario a San Giovanni Crisostomo. Dopo essersi distinto per l’apostolato tra i giovani e gli ammalati, morì il 4 luglio 1986: cfr. ivi, 90.
54 Nato a Vittorio (diocesi di Ceneda) nel 1883, fu ordinato sacerdote da Cavallari nel 1907. Cappellano a Caorle e poi arciprete di Torcello, nel 1919 venne trasferito nella parrocchia di San Giovanni Battista in Bragora. Nel 1931 fu nominato arciprete di S. Lorenzo di Mestre e nel 1944 canonico arciprete di S. Marco. Morì il 27 marzo 1945: cfr. ivi, 50.
55 S. TRAMONTIN, La Chiesa veneziana dal 1938 al 1948, cit., 471.

Reale Fotografia Giacomelli, Porto Marghera, celle elettrolitiche alla Montevecchio, 1937

Federico Creatini, Dalla laguna a Porto Marghera. Lungo le questioni del patriarcato di Angelo Giuseppe Roncalli, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Anno accademico 2017/2018