Ebbene sì: ho letto “Le mie prigioni”!

Carlo Felice Biscarra, Silvio Pellico e Piero Maroncelli dopo la condanna iniziano da Venezia il viaggio verso lo Spielberg, Museo Civico di Saluzzo (CN) – Fonte: Wikipedia

[…] Fu un best-seller non solo in Italia, che tecnicamente non esisteva ancora; ma anche in tutta Europa.

[…] parliamo de “Le mie Prigioni” di Silvio Pellico.
E io so già che cosa stai pensando.

“Ma come? Silvio Pellico? La fortezza dello Spielberg? Il Risorgimento e tutta quella roba lì?”.

Sì, tutta quella roba lì; ed è dannatamente interessante.

Come detto, si tratta di un’opera che ebbe un successo stratosferico in tutta Europa; ma fu anche vittima di un malinteso che dura anche ai nostri giorni. Se noi apriamo questo libro e leggiamo le prima righe, troviamo Pellico che sgombra il terreno da qualunque dubbio. Non è un’opera politica; al contrario. È un’opera religiosa.

Pellico aveva avuto un’educazione cristiana come tutti a quell’epoca, e poi se ne era allontanato abbracciando le idee liberali e illuministiche che andavano per la maggiore. Poi, la catastrofe: l’arresto, l’interrogatorio, il trasfermimento nella prigione dei Piombi a Venezia e poi, appunto, allo Spielberg. Carcere duro. E si riavvicina alla fede cristiana.

Sotto certi aspetti quindi abbiamo lo stesso percorso di Fedor Dostoevskij; anche lui viene arrestato, addirittura condannato a morte e per questo finisce davanti al plotone di esecuzione. Graziato dallo zar, viene spedito in Siberia. E pure lui si riavvicina alla fede cristiana, quella ortodossa.

Ma allora: se “Le mie prigioni” è un’opera dichiaratamente religiosa, perché viene considerata politica? Proprio perché è un’opera religiosa! Adesso provo a spiegare.

Silvio Pellico affronta la catastrofe dell’arresto e della prigionia senza mai scagliarsi contro il governo austriaco o gli austriaci. Mai. Non c’è una sola parola di odio o di risentimento. Verso il carceriere dello Spielberg non ha mai un sentimento di vendetta. Affronta i lunghi anni di carcere duro (10 anni) senza mai lasciarsi andare all’odio.

La disperazione è ben presente, anche perché la malattia lo assale più volte. Avere un medico non è semplicissimo. Anche la richiesta da parte del medico di migliorare la dieta di Silvio Pellico per aiutarlo nella guarigione, è tutt’altro che accolta velocemente. Ma il suo atteggiamento verso i carcerieri è sempre rispettoso. Forse è qui la forza di questa opera. Silvio Pellico in tutti quegli anni di prigionia non ha mai rivestito gli austriaci della comoda veste di nemico.

Non si è mai rifugiato nell’ideologia per odiare o disprezzare gli austriaci. Li guarda, li osserva senza mai giudicare. Li vede come uomini, esattamente come lo è lui, e non importa se essi lo considerano un italiano, quindi un nemico che attentava alla sicurezza dell’impero austro-ungarico.

Qualcuno ha osservato che “Le mie prigioni” ha avuto successo perché in primo piano Pellico pone non la politica, oppure l’ideologia. Bensì indica quale deve essere l’atteggiamento da avere quando si decide comunque di combattere una battaglia giusta, come quella per l’indipendenza dell’Italia dall’Austria.

Vale a dire stare distanti dalle ideologie che cancellano gli esseri umani per sostituirli con “idee” che hanno un grande vantaggio. Le idee possono essere schiacciate, “sparate”, uccise insomma, nell’illusione che non fai nulla di male, perché sono appunto delle idee. In realtà si tratta sempre di persone, di esseri umani.
Pellico probabilmente torna al cristianesimo perché lo considera il mezzo migliore per sfuggire alla tentazione dell’ideologia. Che vede lì, a portata di mano. Lui si batte per l’Italia, contro l’Austria e per questo viene arrestato, interrogato, imprigionato per anni.

Ma un po’ come Dostoevskij, comprende che la soluzione non è abbracciare l’ideologia per cancellare l’umanità degli austriaci. Bensì puntare l’attenzione proprio su di essa, e scovarla sempre, sottolinearla sempre. Celebrarla sempre. Un po’ come farà molti anni dopo, in un posto lontano lontano dall’Italia, un uomo chiamato: Gandhi […]

Marco Freccero su raccontastorie

[ Nato in provincia di Savona nel 1966, Marco Freccero continua a viverci. Ha svolto diversi mestieri (garzone, operaio, aiuto magazziniere, magazziniere, addetto alla vendita), prima di mollare tutto e diventare Web editor per siti di commercio elettronico. È stato per anni parte del gruppo di autori che ha guidato il sito Web dedicato alla piattaforma Apple: “IlMac.net”. Dal 2010 ha rispolverato la sua passione: la scrittura. In quell’anno ha pubblicato l’ebook “Insieme nel buio” (tre racconti neri liguri), iniziando così ufficialmente la sua carriera di autore indipendente. Nel 2012 c’è stata la sua unica incursione nel campo delle case editrici. Infatti per 40K pubblica l’ebook: “Starter kit per blogger”. Il romanzo “L’ultimo dei Bezuchov” è il suo nono libro. Nel 2014 ha pubblicato la raccolta di racconti (ambientati soprattutto nella città di Savona) dal titolo “Non hai mai capito niente”, prima parte del progetto ben più ampio e ambizioso della “Trilogia delle Erbacce”. Progetto che ha visto nel 2015 l’apparizione del libro “Cardiologia”, seguito nel 2016 dal capitolo finale intitolato “La Follia del Mondo”. Nel 2017, assieme alla scrittrice Morena Fanti, ha pubblicato il romanzo a 4 mani “L’ultimo giro di valzer”. Da questa esperienza è scaturito il libro “La scrittura a 4 mani”, dedicato a questo “particolare” modo di raccontare le storie. Sempre nel 2017 ha pubblicato l’ebook “La scrittura è difficile – Manuale controcorrente” (aggiornato nel 2018) dedicato a chi desidera avvicinarsi al mondo della scrittura ]