Ettore Castiglioni, un alpinista in cerca di libertà

Ettore Castiglioni, a sinistra, in compagnia di uno dei suoi compagni di cordata prediletti, Bruno Detassis – Archivio Tutino – Fonte: SWI swissinfo.ch

Non furono pochi gli scalatori che durante la Seconda Guerra mondiale salirono in montagna senza velleità alpinistiche. Il movente, però, era lo stesso: sfuggire dalla morsa troppo rigida della società, la cui stretta era decisamente aumentata durante il Ventennio fascista. Tra essi è doveroso ricordare Ettore Castiglioni, il cui spirito libero lo spinse a battersi per un mondo più tollerante.
Castiglioni nacque in Trentino, nel 1908, e l’ombra dei rilievi lo accompagnerà per tutta la vita. Le montagne non dovettero sforzarsi molto per sedurlo. Così, ancora giovane, crebbe in lui il desiderio di assaporare l’epidermide fragile e rugosa delle Alpi. Aveva un formidabile intuito nel rintracciare il percorso più raffinato tra le pareti più scabrose. Un notevole fiuto lo dimostrò anche nella scelta dei compagni di cordata. Si legò ad esempio al grande Bruno Detassis, con cui salì, nel 1934, lo spigolo sud-est del Sass Maòr; oppure a Vitale Bramani, sulla nord-ovest del Pizzo Badile. In seguito a quell’ascesa Bramani depositò il brevetto di quello che sarebbe poi diventato il famoso marchio di suole “Vibram” (dalle iniziali di VItale BRAMani).
L’anima aperta e libera di Castiglioni non poteva certo conciliarsi con l’impostazione severa del regime fascista. Così, nel 1943, lo scalatore trentino decise di mettere a disposizione la sua familiarità con l’ambiente alpino per aiutare il prossimo. D’altronde l’alpinismo ha sempre assorbito i caratteri della società, confermandoli oppure rinnegandoli con fermezza. In questo caso, Castiglioni decise di sfruttare le sue conoscenze per aiutare i perseguitati dai fascisti a sfuggire in Svizzera. Diventò in breve la guida alpina di ebrei e di oppositori politici. Fra i suoi “clienti” (a cui ovviamente il servizio veniva offerto a titolo di favore) spicca il nome del futuro presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Erano viaggi difficili, che richiedevano ore e ore di cammino e di sfibranti tensioni. Tuttavia lo sforzo e la paura venivano largamente ripagati dalla certezza di aver salvato delle vite, dalla convinzione di stare dalla parte giusta.
Nel 1944, venne arrestato dagli Svizzeri. Valicò il confine da solo ed è tutt’oggi sconosciuto lo scopo di quel viaggio. Per ragioni pratiche, prima di metterlo in carcere, gli svizzeri gli sequestrarono l’attrezzatura da montagna e lo rinchiusero nella stanza di un albergo. Era marzo e le montagne che lo separavano dall’Italia erano ancora sferzate dalle intemperie invernali. Ciononostante Castiglioni decise di fuggire, servendosi delle lenzuola per calarsi dalla finestra: ramponate le pantofole ed intabarratosi con una coperta, sgattaiolò rapido verso l’alto fino a quando le temperature lo costrinsero ad accettare un inesorabile destino. Morì assiderato oltre Passo del Forno.
Mi piace immaginare che, prima di chiudere gli occhi per sempre, sia riuscito a godere di un ultimo tramonto tra le sue amate Alpi, sulle cui vette imparò a distinguersi come alpinista ma, soprattutto, come uomo.
Pietro Lacasella, testo scritto per la Biblioteca Civica di Marostica “Pietro Ragazzoni”

Una pagina tratta dai diari di Ettore Castiglioni, dal documentario “Oltre il confine, la storia di Ettore Castiglione” – Archivio diaristico nazionale italiano – Fonte: SWI swissinfo.ch

Ettore Castiglioni scelse di avere come unico confidente il suo diario [Ettore Castiglioni, Il giorno delle Mésules. Diari di un alpinista antifascista, Vivalda]. Le sue parole compongono il ritratto di un grande alpinista e insieme la figura di un uomo solo e inquieto. Ma raccontano un cambiamento profondo: da ragazzo di buona famiglia ad antifascista che all’indomani dell’8 settembre 1943 guidò un gruppo di ex soldati sulle montagne della Valle d’Aosta e si adoperò per portare in salvo sul confine svizzero profughi ed ebrei in fuga dalla guerra. “Dare la libertà alla gente per me adesso è una ragione di vita”: scriveva così qualche giorno prima di cadere in un tranello delle guardie di frontiera. L’ultima nota nel diario è del marzo ’44 e non svela nulla degli avvenimenti successivi. Sconfinò nuovamente in Svizzera e fu arrestato. Privato degli abiti e degli scarponi fu rinchiuso in una stanza d’albergo a Maloja. Durante la notte si calò dalla finestra e affrontò il ghiacciaio del Forno avvolto in una coperta.
Club Alpino Italiano

Le guide alpine di Ettore Castiglioni hanno accompagnato generazioni di alpinisti – Archivio Gino Buscaini – Fonte: SWI swissinfo.ch

Di testimoni oculari a Maloja nel profondo di quella notte del 12 marzo 1944 non ce n’erano. Alle 5 del mattino un uomo si calò dall’ultimo piano dell’Hotel Longhin utilizzando delle lenzuola annodate. Aveva avvolto le gambe con delle strisce di stoffa e si era legato anche dei ramponi. Giunto dall’altra parte del villaggio prese un paio di sci e proseguì di buona lena in direzione del lago Cavloccio e del ghiacciaio del Forno. Diverse ore dopo – nel frattempo s’era ormai fatto giorno, una domenica – il fuggitivo raggiunse il confine sul passo del Forno. Pochi metri dopo, già in Italia, le forze lo abbandonarono, si sedette – e morì congelato. In poco tempo la neve ne ricoprì il cadavere.
A Maloja la notizia della spettacolare fuga del misterioso straniero si sparse in brevissimo tempo. Ancora oggi la si racconta come aneddoto locale. «Un bracconiere italiano», raccontò un giorno ad una conferenza a Maloja l’ex guardiacaccia Peider Ratti, che all’epoca era un ragazzino di 9 anni. «Un tedesco delle Ss che è scappato in pigiama dal Longhin», si ricordò subito il macellaio Renato Giovanoli. «Un amico che adesso è morto ha fermato l’ebreo sul Plan Canin, durante il servizio attivo», riferì Aldo Uffer, pure lui cresciuto a Maloja. Tutti e tre dicono che è così che all’epoca gli avevano raccontato questa storia.
Nel frattempo i tre sanno che si chiamava Ettore Castiglioni quel trentacinquenne che in piena guerra tentava la fuga dalla Svizzera verso l’Italia, perdendo la vita. Era un famoso alpinista e un convinto antifascista. Nel suo ultimo giorno di vita stava probabilmente viaggiando in missione segreta per conto del Comitato di liberazione nazionale, l’organizzazione mantello della Resistenza italiana.
In Italia di Ettore Castiglioni si parla con profondo rispetto. Con il suo nome sono stati battezzati un rifugio, un bivacco, una via alpinistica e una sezione del Club alpino. Sono stati pubblicati il suo diario e una biografia a lui dedicata.
Castiglioni? Benché mi interessi in una certa misura da un quarto di secolo della regione del Maloja non mi ero mai imbattuto in questo nome. C’è voluto, una volta di più, il caso. In relazione con la storia della nascita della Fondazione Salecina mi stavo interessando di colui che per molti anni fu il maestro di Maloja, il socialista Gaudenzio Giovanoli.
Chiesi tra le altre cose all’Archivio federale se ci fosse una scheda della polizia politica su Giovanoli. C’era. A causa però del periodo di divieto di pubblicazione della scheda la consultazione non mi fu subito possibile. Una collaboratrice mi consigliò tuttavia di chiedere gli atti “Castiglioni Ettore *1908” – perché era morto da più di 50 anni.
Lessi così in verbali delle Guardie di confine e della Polizia cantonale grigionese di come, nel penultimo inverno di guerra, una persona a me sconosciuta giunse a Maloja con un passaporto falso e di come lì l’inganno fu scoperto ad un posto di controllo. In un primo momento l’italiano sospetto fu rinchiuso in una mansarda dell’Hotel Longhin. Giacca, pantaloni, scarpe e sci gli furono tolti.
Ma cosa c’entra tutto questo con il maestro di Maloja? Il consigliere di Stato ticinese Guglielmo Canevascini, una figura chiave nella lotta antifascista, chiese in quel periodo a Moses Silberroth, granconsigliere socialista grigionese, di raccogliere informazioni a Maloja su Castiglioni, di cui si erano perse le tracce. Silberroth telefonò a Giovanoli, e questi si informò presso la guardia di confine locale. Ciò bastò alla polizia politica a Berna per mettere assieme una scheda sul pacifista di tendenze religiose e sociali. Una scheda che a un certo punto ricevette il temutissimo timbro “V”. “V” come “Verräter”: traditore. Se la situazione l’avesse richiesto lo si sarebbe internato […]
Castiglioni, un milanese di famiglia borghese liberale, aveva studiato diritto, ma non lavorò mai come avvocato. A lui interessavano le montagne. Nella sua vita gli riuscì di compiere circa 200 prime scalate, dalle Dolomiti attraverso la Bregaglia fino alla Valle Maria, in Piemonte. Assieme a Vitale Bramani conquistò nel 1937 la parete nord-ovest del Badile. I due arrampicarono con la suola Vibram, che avevano appena inventato. La suola avrebbe anche potuto chiamarsi Ettocast, ma furono le prime lettere di Vitale Bramani a darle il nome.
Castiglioni scrisse numerose guide per l’arrampicata che, per la loro precisione, sono ancora oggi leggendarie. Lui, a cui l’arrampicata piaceva così tanto, cercava vie il più possibile eleganti e diritte. Durante l’inverno visitava le collezioni d’arte nei diversi musei europei. E suonava volentieri e con molta passione il pianoforte.
Nel settembre del 1943 Castiglioni era istruttore nella scuola degli Alpini di Aosta. Dopo l’armistizio fuggì con una dozzina di suoi allievi su un alpe nei pressi del confine con la Svizzera. Il gruppo di cospiratori aiutò numerosi rifugiati nella fuga verso la Svizzera, fra i quali anche colui che sarà il primo presidente eletto della nuova Italia, Luigi Einaudi. In relazione ad un misterioso baule pieno di brillanti Castiglioni fu attirato per qualche metro dentro al territorio svizzero ed incarcerato per cinque settimane a Martigny (i retroscena di questa vicenda non sono però ancora stati chiariti).
Il diario di Castiglioni si interrompe all’inizio del 1944, dopo migliaia di pagine. Evidentemente non voleva più lasciare tracce. Tutto lascia credere che abbia voluto mettere la sua conoscenza della regione e della lingua al servizio del movimento antifascista, per conto del quale viaggiava per allacciare i contatti con gli alleati.
L’11 marzo 1944 – un sabato – quest’uomo solitario lasciò la capanna Porro nella Valmalenco e si diresse con gli sci verso Maloja; voleva essere di ritorno domenica sera. Oscar Braendli, un giovane svizzero espatriato che nella capanna Porro seguiva un corso di alpinismo, gli prestò il suo passaporto. «Per noi era chiaro», dice Braendli oggi, «che Castiglioni stava compiendo una missione per il Cln, il Comitato di liberazione nazionale».
Jürg Frischknecht, Eroe in Italia, non in Svizzera, in area (Traduzione a cura di area di un testo apparso sulla Wochenzeitung del 25 maggio 2006. Si ringraziano l’autore e Andrea Tognina per la collaborazione), 23 giugno 2006 – Anno IX numero 25

L’Hotel Longhin di Maloja da dove Castiglioni è fuggito: ristampa di una cartolina – Fonte: SWI swissinfo.ch

È il 12 marzo 1944, verso le quattro e mezza di mattina. Da una finestra del secondo piano dell’albergo Longhin a Maloja, un villaggio tra l’Alta Engadina e la Val Bregaglia, nel canton Grigioni, un uomo scivola lentamente a terra lungo alcune lenzuola annodate. Indossa pochi abiti. Una coperta di lana lo protegge a malapena dal freddo. Ai piedi ha delle pantofole di feltro. Si guarda intorno furtivo, cerca qualcosa. Nel villaggio trova un paio di sci e dei bastoni. Li prende e sia avvia a passo spedito verso le montagne, nella neve. Qualche tempo dopo un soldato bussa alla porta della camera del Longhin. Entra. Il letto è vuoto, la finestra aperta. Risuonano grida d’allarme. I soldati escono sulla strada, cercano tracce nella neve, perlustrano i dintorni, invano. Poi una pattuglia di guardie di frontiera si avvia verso la mulattiera che conduce al passo del Muretto e al ghiacciaio del Forno. Oltre il crinale c’è l’Italia.
Trovano delle tracce, le seguono. Alle 10.45 sono ai piedi del ghiacciaio del Forno. «Poiché il fuggitivo non si vedeva da nessuna parte e il ghiaccio compatto gli aveva reso più facile la fuga, un ulteriore inseguimento non avrebbe avuto alcun senso, tanto più che si tratta di un alpinista altamente qualificato», scriverà due giorni dopo il capoposto delle guardie di frontiera caporale Toscano in un rapporto.
Ma chi è il fuggitivo? E cosa ci faceva a Maloja?
Il suo nome è Ettore Castiglioni, nato nel 1908 da una ricca famiglia milanese, laureato in giurisprudenza, amante della musica, dell’arte e, soprattutto, della montagna. L’hanno capito subito anche le guardie di frontiera svizzere: «È un alpinista eccellente. Da quanto ha raccontato, si capisce che conosce molto bene l’area di frontiera della Bregaglia e di Maloja e che ne ha scalato quasi tutte le montagne, che ha citato per nome», si legge in un altro rapporto del marzo 1944.
Castiglioni comincia ad arrampicare nelle Dolomiti fin dall’adolescenza. Da allora la passione per la montagna non lo abbandonerà più. «A Milano mi sento sempre di passaggio, anche quando vi resto per parecchi mesi. Fra le mie crode mi sento a casa mia», scriverà anni dopo nel suo diario […]
Castiglioni è noto anche come autore di importanti guide di arrampicata edite dal Club alpino italiano (CAI) e dal Touring club, in uso ancora nel dopoguerra e fonte di ispirazione per intere generazioni di alpinisti. «Castiglioni non solo apre e descrive vie classiche come la parete sud della Marmolada o la parete nordovest del Pizzo Badile, che scala nel 1937 insieme a Vitale Bramani, ma perlustra anche molte vie meno conosciute», osserva lo scrittore e giornalista Marco Albino Ferrari, direttore di Meridiani Montagne e curatore dell’edizione dei diari di Castiglioni.
Il suo ideale di alpinismo non sta tanto nella ricerca della difficoltà pura, quanto nella volontà di esplorare con meticolosità interi gruppi montuosi. Un approccio alla montagna, il suo, che lo tiene lontano dalla retorica della conquista di stampo fascista e nazionalista.
Le sue imprese gli valgono nel 1934 una medaglia d’oro al valore alpinistico, ma Castiglioni accoglie il riconoscimento con fastidio. «Ora ho anche la seccatura della medaglia che mi tocca accettare per non offendere chi me l’ha assegnata, credendo di farmi piacere e mi toccherà andare alla cerimonia […] Cosa c’entrano tutti loro? Le mie ascensioni le ho fatte per me, e per me solo, e sono e resteranno soltanto mie», scrive nel suo diario.
«Castiglioni era un solitario, in qualche modo un misantropo, certamente un anticonformista. Teneva le distanze dalla società e aveva un forte spirito critico», osserva Marco Albino Ferrari. «Guardava al fascismo come a una grande mascherata» […]
Nel maggio del 1943 Castiglioni è richiamato alle armi ed è assegnato alla scuola di alpinismo militare di Aosta, con il ruolo di istruttore. Dopo l’8 settembre, quando ormai l’esercito è allo sbando, con alcuni commilitoni raggiunge l’Alpe Berio, in Valpelline, in una posizione strategica a ridosso del confine italo-svizzero. Qui nasce una piccola comunità di alpinisti antifascisti, basata su principi di uguaglianza tra soldati e ufficiali. «Massima solidarietà; nessuno deve pensare per sé, ma solo per la comunità; tutti i beni, tutti i profitti (in denaro o in generi), tutti i lavori saranno in comune», annota Castiglioni nel suo diario.
Il gruppo si impegna ad aiutare esuli ebrei e antifascisti in fuga a raggiungere il confine svizzero, attraverso la Fenêtre du Durand, un valico tra Val D’Aosta e canton Vallese a quasi 2800 metri di altitudine. Tra le persone accompagnate in Svizzera dalla comunità del Berio c’è anche Luigi Einaudi, il futuro presidente della Repubblica italiana.
Sono settimane di febbrile attività, cruciali per l’esistenza di Castiglioni. La ribellione istintiva ma essenzialmente passiva dell’alpinista nei confronti del regime fascista si trasforma in azione. «Dopo l’8 settembre è come se Castiglioni rispondesse a una chiamata. Potrebbe scappare, come ha sempre fatto, e invece decide di andare verso le persone. Capisce che è arrivato il momento di scegliere», afferma Marco Albino Ferrari.
L’8 ottobre però Castiglioni è attirato oltre il confine e arrestato dai soldati svizzeri. La vicenda è poco chiara, finora non sono emersi documenti di parte elvetica che permettano di fare maggiore luce sull’episodio. In ogni caso Castiglioni trascorre un mese in Svizzera, prima nel carcere di Martigny, poi a Sion, infine è espulso verso l’Italia.
Al suo rientro Castiglioni trova la cascina del Berio abbandonata. In dicembre torna a Milano. La città è devastata dai bombardamenti. Forse in quel periodo stringe contatti con ambienti della Resistenza. L’ultima annotazione nel suo diario è del 10 gennaio 1944: «Vorrei tanto poter ritornare tra i monti, per ritrovarmi, per ritrovare tutta la mia energia, il mio spirito d’iniziativa, la mia volontà d’azione, il più vero me stesso.»
L’11 marzo, insieme a una comitiva guidata da Vitale Bramani, Castiglioni sale dalla Val Malenco al Passo del Forno. Qui lascia il gruppo e varca il confine, scendendo con gli sci verso Maloja. In tasca ha un passaporto svizzero, prestatogli da un conoscente, Oskar Brändli, e un elenco di nomi di persone residenti in Svizzera. Nello zaino ha i diari del nipote Saverio Tutino, internato in Svizzera.
Alle 15.30 il telefono del posto delle guardie di frontiera di Maloja squilla, all’altro capo c’è il gerente del ristorante Alpina. Informa il caporale Thöny della presenza nel suo locale di una persona sospetta. Poco dopo Castiglioni è fermato e condotto nel locale delle guardie. La sua vera identità è presto svelata. Castiglioni afferma di essere entrato in Svizzera per consegnare degli effetti personali a suo nipote e portare dei saluti ad alcuni internati italiani. Le guardie di frontiera decidono di consegnarlo alla polizia a St. Moritz, ma l’ultima corriera per la località engadinese è partita. Lo conducono quindi all’albergo Longhin, gli tolgono scarpe, pantaloni e giacca per evitare che fugga, lo chiudono in una stanza del secondo piano.
Il corpo assiderato di Ettore Castiglioni sarà ritrovato tre mesi dopo, sul versante italiano del passo del Forno. I motivi del suo viaggio in Svizzera, della fuga disperata, le cui conseguenze dovevano essere ben chiare a un esperto alpinista come lui, rimangono avvolti in un fitto mistero […]

Due libri e un film
Già nel 1993 il giornalista Marco Albino Ferrari aveva curato una prima edizione dei diari di Ettore Castiglioni, con il titolo di “Il giorno delle Mésules. Diario di un alpinista antifascista”. Alcuni anni dopo lo stesso Ferrari ha ricostruito gli ultimi mesi di vita di Castiglioni in una biografia romanzata dal titolo Il vuoto alle spalle. Storia di Ettore Castiglioni.
Nel 2017 i registi Andrea Azzetti e Federico Massa hanno realizzato un documentario sulla vita del grande alpinista, “Oltre il confine, la storia di Ettore Castiglioni”, coprodotto dalla Radiotelevisione della Svizzera Italiana (RSI) e dalla Imago Film di Lugano.
Il film sarà trasmesso mercoledì 13 dicembre alle 22.50 dal secondo canale della RSI, La 2. In occasione dell’uscita del film, l’editore Hoepli di Milano ha pubblicato una nuova edizione de “Il giorno delle Mésules”, con prefazione di Paolo Cognetti, scrittore di montagna e vincitore del premio Strega.


Andrea Tognina, Ettore Castiglioni, un alpinista in cerca di libertà, SWI swissinfo.ch, 12 dicembre 2017