Evidente il progetto di cogliere il paese alle spalle

Paesana (CN) – Fonte: Comune di Paesana
Un’immagine d’epoca della stazione ferroviaria di Barge (CN)

Il primo nucleo partigiano compare a Barge (CN) il 10 settembre 1943. E’ costituito da un gruppo di soldati di Cavalleria provenienti da Pinerolo al comando del Tenente Pompeo Colajanni, “Barbato”, già da tempo in contatto con le organizzazioni clandestine del P.C.I., che si unisce ad un gruppo di oppositori del fascismo e operai provenienti da Torino. La combinazione tra “militari” e “politici” unita ad una chiara visione della guerra da combattere contro i tedeschi e i risorgenti fascisti darà luogo ai reparti più importanti e agguerriti delle Brigate Garibaldi del Piemonte occidentale. All’inizio il gruppo è composto da una trentina di elementi ma in breve, con l’afflusso di militari sbandati, ragazzi del luogo e giovani renitenti alla leva fascista, gli organici aumentano portando alla costituzione di alcuni distaccamenti: i giovani raggiungono le basi direttamente indirizzati dalla popolazione. Tra novembre e dicembre 1943 oltre ai reparti insediati in valle Infernotto e al Montoso ci sono distaccamenti ad Agliasco, Eretta di Calcinere e Serre di Oncino. Il 16 novembre si costituisce il Battaglione Garibaldi “Pisacane” che amplia il suo settore operativo alla valle Varaita e nella bassa valle Po dove un nucleo di Revellesi e Saluzzesi al comando di “Santabarbara” si organizza nella zona di S.Pietro di Revello. Le prime azioni sono dirette soprattutto al recupero di armi e munizioni, equipaggiamenti militari e viveri a danno degli ammassi delle autorità fasciste, agevolate dall’appoggio della popolazione che è favorevole ai volontari anche se preoccupata dalle possibili rappresaglie tedesche. Le energiche azioni partigiane di repressione del banditismo contribuiscono ad aumentare il prestigio dei garibaldini e sia le amministrazioni comunali che le stazioni dei carabinieri, grazie alla personalità del comandante “Barbato”, non interferiscono nell’attività dei patrioti consentendo un relativamente agevole controllo del territorio.
I tedeschi devono affrontare il pericolo rappresentato dalle bande che cresce sotto l’aspetto militare con azioni contro obiettivi germanici. Il 30 dicembre si scatena il primo rastrellamento nelle zone di Montoso e Paesana. L’azione tedesca è rapida e brutale, i distaccamenti partigiani vengono sopraffatti dopo brevi combattimenti sia ad Agliasco che all’Eretta e subiscono la perdita di quindici volontari, caduti negli scontri o fucilati in Piazza Statuto dopo la cattura. Per la prima volta partigiani e popolazione sperimentano la tecnica tedesca del terrore. La solidità del nucleo di comando e dei garibaldini rimasti, temprati dall’azione, unita all’afflusso di giovani che riprende dalle città, consente una rapida ripresa e la costituzione il 14 marzo 1944 della IV^ Brigata Garibaldi “Cuneo” costituita da Comando Brigata e 3 Comandi Valle (valle Luserna; valle Po, Infernotto e Montoso; valle Varaita). La Valle Po è teatro di continue azioni per ostacolare i bandi di leva con la sistematica distruzione delle liste, per prelevare generi alimentari, per minacciare elementi filofascisti o reprimere atti di banditismo e, nel marzo, per appoggiare gli scioperi in corso in tutta l’alta Italia con comizi a Paesana presso lo stabilimento sfollato della FIAT e il lanificio.
Un nuovo ciclo di rastrellamenti si scatena il 21 marzo al Montoso e in val Luserna, e il 25 in valle Varaita. L’attacco in valle Po inizia il giorno 27 quando i tedeschi, a conoscenza della ritirata ad Oncino dei distaccamenti di Montoso e val Luserna, decidono di rastrellare l’alta valle. Il comando partigiano fa filtrare il grosso dei volontari verso la pianura mentre un piccolo nucleo con i comandanti si ritira al rifugio Quintino Sella restandovi sino alla fine del rastrellamento ai primi di aprile. Nonostante lo sganciamento in valle vengono comunque uccisi 22 partigiani soprattutto provenienti o catturati in valle Varaita. A dispetto delle speranze tedesche e fasciste, ogni rastrellamento vede il movimento partigiano uscire rafforzato ed esteso in nuove zone, la valle Po è nuovamente presidiata dal distaccamento “Tommasini” della IV^ brigata con comando a Crissolo e posizioni di difesa al bivio di Oncino mentre sul versante sinistro, nelle zone di Martiniana Po e Sanfront, operano alcuni reparti della XV^ per proteggere la valle Varaita dall’aggiramento per le facili vie di accesso dalla valle Po.
Il 25 maggio scade il bando della R.S.I. per la resa dei partigiani, renitenti e sbandati, rafforzato da minacce di rastrellamento e distruzione delle bande da parte delle forze armate della repubblica. Le minacce si rivelarono un colossale bluff: i fascisti non hanno infatti alcuna possibilità di attaccare i partigiani senza il massiccio aiuto tedesco. Le notizie della liberazione di Roma (4 giugno 1944) e dello sbarco in Normandia (6 giugno 1944) suscitano un’ondata di entusiasmo tra i partigiani che occupano i paesi dove vengono improvvisati comizi, si suonano le campane a festa e vengono esposte le bandiere italiane. La liberazione sembra ormai imminente e moltissimi nuovi volontari raggiungono le formazioni. Tra la fine di giugno e i primi di luglio i tedeschi tentano per ben due volte di forzare il passaggio al bivio di Oncino ma sono sempre respinti con perdite: la forte posizione, la relativa abbondanza di munizioni, la tattica errata di assalto frontale e la determinazione dei garibaldini costituiscono le ragioni del successo. Nella bassa valle, dove opera il distaccamento mobile “Costanzo Agù” della XV^ Brigata, l’attacco si manifesta il 25 luglio con l’avanzata tedesca lungo la provinciale. Qui, dove si opera in terreno aperto, la tattica garibaldina consiste in una serie di imboscate appoggiate ad ostruzioni stradali che costringono i reparti attaccanti a continue soste. I combattimenti proseguono per quattro giorni durante i quali i tedeschi percorrono solo 10 Km, incendiando per rappresaglia sia Martiniana Po (27 luglio) che Sanfront (28 luglio). I tedeschi attaccano nuovamente il I° agosto 1944 e, dopo un breve scontro al ponte di Croesio con un nucleo della IV^ Brigata, occupano Paesana e la incendiano, mirando con queste azioni, a far cessare l’evidente collaborazione tra le formazioni e la popolazione.
Le forze di occupazione tedesche intraprendono, nella seconda metà di agosto, forti operazioni militari per garantirsi la linea delle Alpi in conseguenza degli sbarchi alleati in Provenza. Nella seconda decade di agosto una serie di attacchi in valle Po e Varaita provoca il crollo delle posizioni partigiane che sono costretti a ritirarsi sconfinando in Francia da dove i partigiani rientrano a scaglioni nelle valli Varaita e Po, trovandole insolitamente sgomberate dai tedeschi. Le speranze partigiane di una rapida avanzata alleata e dell’auspicata liberazione si esauriscono ai primi di ottobre. La XV^ Brigata, con i reparti suddivisi in due valli è in grave crisi di comando che si ripercuote sull’efficienza dei reparti. In particolare nella zona di Martiniana Po, per iniziativa di un comandante di distaccamento, successivamente condannato e fucilato, si verificano gravi reati sia all’interno della formazione che nei confronti degli abitanti, mettendo in pericolo l’immagine dei volontari e attirando l’ostilità della popolazione. Le condizioni dei reparti sono peggiorate dall’inclemenza della stagione invernale, dalla continua minaccia delle spie e dalla limitazione della libertà di azione militare dovuta al sistematico prelievo di ostaggi, minacciati di fucilazione in caso di attacchi partigiani. A gennaio, con la creazione della 181^ Brigata “Morbiducci” composta dai reparti della valle Varaita e la nomina di “Santabarbara” al comando della XV^ Brigata, (circa 150 garibaldini) della valle Po, il reparto viene riportato a livelli di buona efficienza e i mesi di febbraio e marzo vedono il moltiplicarsi delle azioni. Nel quadro dei piani insurrezionali ai partigiani spetta il compito di salvaguardare i ponti della valle e la centrale di Calcinere, contrastare la ritirate del battaglione tedesco e cooperare per la liberazione di Saluzzo. L’ordine di attacco arriva la sera del 25 aprile e i 4 distaccamenti, a cui si sono aggiunti un centinaio di altri volontari si spostano attorno a Paesana occupando anche la centrale di Calcinere. All’alba del 26 inizia l’attacco al presidio tedesco di Paesana, incaricato di tenere a tutti i costi il paese dove deve concentrarsi il resto del battaglione in ripiegamento da Oncino e Crissolo. Lo scontro dura sino verso le ore 13 quando viene concordata una tregua. A Calcinere infatti, dopo un tentativo di attacco tedesco alla centrale fermato dai partigiani, il comandante tedesco ha chiesto di parlamentare, concordando con il comando brigata il libero transito per la valle in cambio delle mancate distruzioni: l’accordo viene raggiunto e il mattino dopo i tedeschi si ritirano definitivamente dalla valle Po.
In questi giorni concitati e drammatici avviene la cattura del tenente Adriano Adami detto “PAVAN” che durante la guerra presta servizio in Croazia e dopo l’otto settembre aderisce alla RSI e viene destinato alla divisione alpina “Monterosa”. A metà novembre 1944 inizia l’attività della famigerata e tristemente nota “Banda” da lui capitanata e composta da elementi fedelissimi che, per quasi sei mesi si dedica esclusivamente alla caccia dei partigiani nelle valli Varaita e Maira. Si distingue per freddezza e determinazione, e caratterizzandosi per l’estrema durezza nei confronti della popolazione locale. Con l’approssimarsi della liberazione, consapevole delle conseguenze di una sua cattura, cerca scampo nella fuga. Il 27 aprile lascia Casteldelfino con altri 6 alpini e una ausiliaria e, attraverso il passo di S. Chiaffredo, si sposta in valle Po dove giunge a Crissolo la sera del 28. Cercata invano una guida per farsi accompagnare verso la valle Pellice il gruppo si sistema in una baita a monte di Crissolo Borgo dove avviene uno scontro a fuoco con alcuni ausiliari partigiani che hanno un ferito. Frattanto la notizia della presenza di un gruppo di repubblicani ha messo in allarme i partigiani e il vice-comandante della XV^ Brigata “Remo” parte da Paesana con una squadra composta dal comandante di distaccamento “Diavolo Rosso” e da due disertori tedeschi, per catturarli. Avvalendosi delle conoscenze sul posto di “Diavolo Rosso”, originario di Crissolo e della collaborazione di alcuni civili, raggiungono un punto obbligato sulla via per la valle Pellice a monte del paese per intercettare il gruppo repubblicano che, alle prime luci dell’alba, viene catturato dopo un intenso scontro a fuoco. Ritenuti un gruppo di sbandati vengono condotti a Crissolo e poi con un motofurgone verso Paesana ma al passaggio in Calcinere, il tenente Adami viene riconosciuto da un ex alpino passato ai partigiani. L’ufficiale, la cui triste fama è ben nota anche in valle Po, maltrattato e sbeffeggiato viene allora condotto a piedi in corteo sino a Paesana dove tutto il gruppo viene concentrato nelle scuole. La notizia della cattura si diffonde in un baleno e a Paesana giunge una grande folla, alcuni anche dalla valle Varaita che circondano la scuola urlando e chiedendo giustizia sommaria. Il comando di Brigata pensa di fucilare i prigionieri a Paesana ma l’intervento di Don Ghio convince il comandante “Santabarbara” a trasferirli a Saluzzo. Domenica 29 aprile, con la colonna partigiana della XV^ Brigata diretta a Saluzzo, i prigionieri vengono condotti in camion in città, a stento difesi dal linciaggio da parte della folla e imprigionati alla Castiglia. Riconosciuto colpevole di crimini di guerra, dopo un regolare processo davanti ad un tribunale popolare costituito dal comando della XI^ Divisione Garibaldi “Cuneo”, il tenente Adami viene fucilato con altri 4 membri della squadra antipartigiana il 3 maggio 1945 nel cortile della Caserma “M. Musso” da un plotone di esecuzione formato da partigiani. (Dalla testimonianza di Antonio Biglia, “Remo” vice-comandante della XV^ Brg. “Saluzzo” e Osvaldo Grechi Tenente della 7° Cp. del Btg. “Bassano” della Divisione Alpina “Monterosa”). Mentre tutta la valle è in festa per la liberazione i reparti partigiani sono impegnati nel controllo della colonna tedesca in ripiegamento. Il 29 aprile la brigata entra in Saluzzo per poi spostarsi nei pressi di Savigliano, dove un ultimo attacco alla retroguardia di una colonna tedesca conclude le operazioni. Amarezza suscita nei partigiani la comparsa improvvisa di tantissimi “ausiliari” e partigiani dell’ultima ora che sovente creano problemi di ordine pubblico tanto che il comando di divisione dovrà ordinarne il disarmo mantenendo operativi per il controllo del territorio i reparti organici che verranno smobilitati il 7 giugno concludendo venti mesi di resistenza durante i quali sono caduti in valle 72 partigiani.
Redazione, I Partigiani, la Valle Po e Paesana nella guerra di Liberazione, Comune di Paesana

A Barge, negli anni della Resistenza, i partigiani giunti in paese potevano trovare una sistemazione nella casa parrocchiale. In un secondo momento, don Agnese, parroco della cittadina, li smistava nelle basi (quando la situazione si fece più pericolosa, questo divenne compito della sorella).
Oltre ad essere un rifugio sicuro, la casa parrocchiale fungeva anche da punto di incontro delle principali autorità cittadine, quali il podestà e il maresciallo dei carabinieri, che vi si riunivano per discutere le questioni più rilevanti.
Poteva succedere che venissero effettuate delle perquisizioni da parte dei tedeschi, com’era d’usanza anche negli altri edifici. I comandanti erano molto attenti ai particolari che risultavano insoliti, come, ad esempio, il numero eccessivo di piatti sporchi e di posti letto trovati il giorno dell’Epifania del 1944: in quell’occasione don Agnese li giustificò al comandante sostenendo che fossero destinati ai sacerdoti (e non a presunti partigiani).
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Novembre 1943: la casa di Maria Rovano, sita in Piazzetta della Madonna a Barge, diventa il rifugio per le bande partigiane delle Brigate Garibaldi e la sua proprietaria si presta a fare da staffetta per la resistenza civile, partecipando alla liberazione della città di Torino.
Sulle montagne piemontesi arrivano ragazzi da tutta Italia, ma la vita sarebbe impossibile senza l’aiuto degli abitanti del posto. I partigiani agiscono in pianura, tengono i collegamenti tra le basi, dormono ogni notte in case e stalle diverse e stringono uno stretto rapporto non solo con i contadini – che hanno sempre una casa aperta per questi “povri fieui” – ma anche con persone note del paese, come per l’appunto Maria.
In una vallata dove tutti prima si conoscevano e parlavano la stessa lingua, ora si mischiano idealmente diverse regioni d’Italia e, ognuno, a modo suo, lotta per i propri ideali e per la libertà.
Maria, nome di battaglia Camilla, in questi ideali trova la forza e il coraggio per farsi valere al pari degli uomini, anche se da un suo compagno si sentirà dire: «Ma tu sei solo una donna»
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Al tempo della Resistenza, la zona prospiciente la stazione venne utilizzata per l’addestramento delle truppe tedesche ed era pertanto usuale la presenza di autocarri, in quanto gli stessi soldati partivano proprio da questo luogo per compiere le proprie scorribande in paese.
La stazione ferroviaria fu testimone di diversi tragici episodi, come la sparatoria del 6 gennaio 1944 e, l’arresto, nel luglio seguente, di Carle Costanzo, partigiano bargese accusato del possesso illecito di carte e documenti destinati a un comando partigiano. Questi fu condotto nella vicina Gabiola, dove venne ucciso nella propria abitazione.
Quanto osservato ci dimostra come la stazione fosse all’epoca parte integrante della vita dei bargesi e come la ferrovia fosse il mezzo di trasporto sia della crudeltà tedesca sia di grandi figure della Resistenza – come, ad esempio, Emanuele Artom – che da Torino arrivarono a Barge.
Bibliografia
– Don Antonio Agnese, La Resistenza a Barge, Cuneo, A.T.E.C., 1965
– Giuseppe Barbero e Davide Ribotta, Ventimesi 1943-1945. La guerra partigiana di Liberazione tra l’Infernotto e la Val Luserna. Luoghi e memorie, Savigliano, L’ARTISTICA EDITRICE, 2011
– Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, La Resistenza taciuta: dodici vite di partigiane piemontesi, Milano, LA PIETRA, 1976
– Michele Calandri e Marco Ruzzi, Con la guerra in casa: la provincia di Cuneo nella Resistenza, 1943/1945, Cuneo, PRIMALPE, 2016
(a cura degli studenti dello) I.I.S. Soleri-Bertoni di Saluzzo con la collaborazione dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo, I principali luoghi della Resistenza a Barge, nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) del Ministero dell’Istruzione per l’anno scolastico 2018-2019 “I giovani: i custodi della memoria. Storie di Resistenza e persecuzione”

Un gruppo di partigiani a Barge
Paesana (CN) – Fonte: Comune di Paesana

Dal diario storico della IV Brigata del Comandante Milan (Isacco Nahoum).
1° agosto 1944
“Forti colonne tedesche motocorazzate attaccano le nostre postazioni alla Colletta di Paesana e a Sanfront. Fortissimi combattimenti vengono ingaggiati con i nostri distaccamenti, che sono costretti a ripiegare fino a Paesana ed oltre sotto l’incalzare dei superiori mezzi nemici. Molte case di Paesana, vengono bruciate. A tarda ora della sera, dopo aver subito qualche perdita, il nemico si ritira. Da parte nostra, 2 morti”.
E’ una delle giornate più tristi nella storia di questo paese ai piedi del Monviso. Il Partigiano Aldo Allocco, nel suo libro: “Un Partigiano racconta”, descrive minuziosamente gli eventi:
“….E’ l’alba, la giornata si preannuncia serena, calda come le precedenti. Il paese ancora dorme, per poco però; i negozi aprono alle sei e chiudono alle otto per riaprirsi dalle diciotto alle venti. E’ l’orario di guerra perché chi può passa la giornata nelle frazioni alte per evitare la “CICOGNA“, vecchio ed asmatico aereo che sovente sorvola il paese, sorveglia, intimorisce, mitraglia e sgancia qualche bomba. Nella piazza del Municipio si incontrano quattro uomini per scendere a piedi a Barge e salire sul primo treno per Torino; alla Colletta ricuperano il quinto compagno: il sottoscritto. Né loro né chi ancora dorme prevede la tragica giornata che li attende anche se in molti la temono. Le “spedizioni punitive” in vallata hanno già colpito, incendiando giovedì 27 Luglio Martiniana e venerdì 28 Sanfront. Alcuni ottimisti fanno affidamento sugli ostacoli che sbarrano le strade per Barge e per Saluzzo e sul fatto che il ponte di Croesio è stato fatto saltare dai partigiani.
Riprendiamo i cinque uomini che scendono a Barge: giunti al “Punt d’Ajut” incappano in un gruppo di repubblichini che, controllati i documenti, autorizzano a proseguire; poco oltre è di parere contrario il Capitano dei Tedeschi che con un secco “Nein-Nein” ordina di tornare indietro davanti a loro, situazione poco allegra, c’è il pericolo d’incassare qualche pallottola vagante. Li richiama il Capitano Tedesco: “FOI SAPERE DOVE STARE SAN VINCENZO?” Nessuno lo sa. “FOI CONOSCERE CARTA TOPOGRAFICA?” Meno che meno; sulla carta che ha nella mani sono segnate due tracce rosse che puntano su S. Grato ed Agliasco: è evidente il progetto di cogliere il paese alle spalle. Fortunatamente deciderà di seguire la strada grande che è più comoda e meno pericolosa. Alle sei i cinque uomini sono alla Colletta, le truppe che li seguono dilagano a destra e a sinistra, rastrellano, incendiano, bruciano case, stalle e fienili raggiungendo il centro del paese e continuando nella loro barbara rappresaglia. A S. Margherita si spara e tutta la popolazione è fuggita in alto; tedeschi e repubblichini provenienti da Saluzzo, lasciati gli automezzi a Robella, attraversano il Croesio ed investono le posizioni dei partigiani che, dopo un breve scontro, riescono a sganciarsi evitando l’accerchiamento.
I partigiani perdono due uomini e qualche arma, i tedeschi occupano la loro sede logistica, la frazione Rossetti viene totalmente incendiata. Un piccolo reparto nazifascista si è staccato dal grosso, ha attraversato il Po e si è preso cura della Rocchetta dove rastrella, incendia e si unisce poi al gruppo che dalla Colletta è salito a Mombraccetto. Sono le nove.L’incendio ha raggiunto la massima intensità. Tutta la popolazione è stata rastrellata e concentrata nella piazza del Municipio sotto stretta sorveglianza di militari pronti a sparare su chiunque tenti la fuga. Gli ufficiali dei due gruppi si sono riuniti ed hanno deciso: gli uomini sono divisi in due gruppi; uno resta a disposizione del comando di S. Margherita, l’altro, più numeroso, ha l’incarico di sgomberare la sede stradale fino a Barge liberandola da tutti gli ostacoli. Parte la colonna dei rastrellati per la Colletta con in testa il Comando Tedesco, il Podestà ed il Parroco, le donne poi gli uomini. Quando la colonna arriva alla Colletta le donne sono lasciate libere e corrono disperate verso le loro case. Nel frattempo a S. Margherita i nazifascisti, soddisfatti della loro azione di guerra, scendono verso il centro abitato dopo aver incendiato quattro case perimetrali.
Giunti in piazza il Parroco Don Occelli li affronta con coraggio di ex cappellani militare, protesta energicamente contro le intenzioni di incendiare, assicurando che il Borgo è totalmente disabitato. Infatti i tedeschi non trovano anima viva e si accontentano di rovesciare in piazza tutto quel che trovano, svuotano negozi ed abitazioni, prelevano ciò che a loro interessa. Don Occelli per tenerli buoni, offre loro un bicchiere di vino ed un piccolo spuntino, alle tredici il grosso dei tedeschi e repubblichini se ne vanno facendosi accompagnare dai pochi uomini rimasti disponibili, che guidano carretti e carri colmi di refurtiva fino a Robella, per trasbordarla sui loro automezzi. A testimonianza della loro permanenza lasciano il cadavere di un operaio rastrellato alla Rocchetta ed impiccato all’ultima casa di S. Margherita. Alle quindici se ne vanno anche gli ultimi ed il Parroco suona le campane a storno per annunciare la fine del pericolo. Scendono i fuggiaschi del mattino per aiutare a spegnere gli incendi. Verso le diciassette arrivano a Barge gli uomini che hanno sgombrato la strada, hanno lavorato in un modo bestiale per spostare tonnellate di tronchi senza altri mezzi che le proprie braccia, senza pane, senza acqua e sotto la minaccia continua delle armi.
Nel frattempo il Parroco ed il Podestà, sotto la sorveglianza del Capitano tedesco sono ostaggi preziosi; c’è la minaccia di deportare tutti in Germania, Don Ghio non è nuovo a queste cose: in precedenza era già stato arrestato, imprigionato, minacciato di essere messo al muro e condannato a morte. La disperata comitiva Paesanese é accolta sul vialone di Barge dal Podestà e dal Parroco nonché dalla popolazione che vorrebbe offrire un po’ di ristoro ma è tenuta lontana dai militari; si effettua il ricontrollo dei documenti e si attende la sentenza. Prima però arriva il discorso del Capitano tedesco che il Capitano Repubblichino traduce in un italiano migliore: “Il vostro paese ha avuto ciò che si meritava, siete dei traditori che aiutate i partigiani, stare attenti perché, se necessario torneremo ancora”.Poi la sentenza: andranno a Torino per essere deportati, in quattro: un ferroviere, un impiegato municipale, un ufficiale sfollato a Crissolo, un giovane di Barge rastrellato cammin facendo. I primi due riuscirono a fuggire. Al rompete le righe, chi ha ancora energie da spendere sale di corsa verso casa, mentre gli altri, stremati, si fermano per rifocillarsi. Dalla Colletta lo spettacolo su Paesana è allucinante: tutta la piana arde e la ricopre una cappa di fumo. Tutta la popolazione si è improvvisata “pompiere” e si spegneranno fiamme fino a notte.
Cala la sera, Paesana ha vissuto la sua tragica giornata di lutto e di guerra, la terribile rappresaglia è portata a termine da poco più di centocinquanta nazifascisti, metà tedeschi e metà repubblichini saliti in egual numero da Barge e da Saluzzo. Ma più grave ancora il conteggio delle vittime: sei morti, cinque dei quali andranno ad aggiungersi ai ventuno che li hanno preceduti. Essi sono: un partigiano, una staffetta partigiana, un anziano che rifiuta di lasciare la propria casa, un contadino che impaurito tenta la fuga, un contadino prima rilasciato poi ucciso alle spalle e l’operaio della Rocchetta impiccato a S. Margherita. E’ bruciato l’80% dell’abitato, asilo compreso, salvi il Municipio, le due Parrocchiali, le scuole, l’ospedale e le due fabbriche….”.
Redazione, Paesana brucia. 1° agosto 1944, La bottega del ciabattino, 31 luglio 2014