Fabrizio Vassalli operò a Roma per oltre cinque mesi con un gruppo clandestino, riuscendo a fornire preziose informazioni al Comando alleato

Fonte: ANPI provinciale Roma
Fabrizio Vassalli – Fonte: Wikipedia

Il Fmcr (Fronte militare clandestino di resistenza), comandato inizialmente dal colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo, organizza ufficiali e sottufficiali dell’Esercito e dell’Arma in stretto collegamento con il Comando supremo di Brindisi e con quello alleato con un’ampia rete di gruppi e di bande operanti anche fuori della città e svolge un’efficace azione di Intelligence. Dopo l’armistizio, un ufficiale d’artiglieria, Fabrizio Vassalli, con mezzi di fortuna giunge dalla Dalmazia in Italia, si offre volontario per attraversare le linee e porta a Roma un cifrario che verrà utilizzato per trasmettere informazioni al comando di Brindisi. Assume il nome di battaglia “Franco Valenti” e la rete informativa che organizza prende il nome di “Gruppo Vassalli”. Un luogo di incontro per i militari del Fmcr è lo studio del pittore Giordano Bruno Ferrari, in via Margutta. Ferrari, romano, figlio dello scultore Ettore è conosciuto e apprezzato negli ambienti artistici non solo italiani […] Il 24 maggio 1944 vengono fucilati gli appartenenti al “Gruppo Vassalli”. Corrado Vinci elettromeccanico, siciliano, rappresentante socialista nel Cln della zona Monte Mario, Ottavia, Campagnano è collegato con il gruppo, con l’incarico di osservare ed annotare i movimenti di truppe tedesche nella sua zona fin dal 1943. Salvatore Grasso, anche lui siciliano, è ufficiale dell’esercito. Pietro Bergamini, napoletano è radiotelegrafista. Arrestati, vengono portati a Regina Coeli. Tutti vengono più volte interrogati e torturati in via Tasso. I cinque uomini sono fucilati quasi certamente da un plotone della GdF. Le salme vengono riesumate il mese successivo e definitivamente sepolte al Verano: i corpi vengono trovati con le mani legate da corde come al momento dell’esecuzione. Fabrizio Vassalli sarà insignito di Medaglia d’oro della Resistenza.
Augusto Pompeo (a cura di), Forte Bravetta 1932-1945. Storie, memorie, territorio, SPQR XVI Circoscrizione, Anpi provincia di Roma, 2000

Intanto, a Roma, l’ammiraglio Ferreri prese contatto con il colonnello Montezemolo e con l’ammiraglio Franco Maugeri per organizzare la partecipazione del personale della Marina alla Resistenza. A fine gennaio 1944, Ferreri assunse la direzione del Fronte Clandestino di Resistenza della Marina (F.C.R.dM), mettendosi in contatto con il generale di corpo d’armata Quirino Armellini che, per designazione del Comando Supremo, aveva assunto il comando del F.C.R, con alcune personalità che potevano fornire aiuti finanziari, con il generale Angelo Odone (capo del Fronte Clandestino dell’Esercito) e con il generale Umberto Cappa (capo del Fronte Clandestino dell’Aeronautica). Il collegamento fra il F.C.R.dM. e quello della città fu affidato al capitano di fregata Renato Cordero Lanza di Montezemolo, fratello del colonnello. L’attività della Resistenza laziale fu pesantemente condizionata e legata alle operazioni militari alleate.
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale, Anno XXIX,  2015, Editore Ministero della Difesa

Sebbene Grassia riferisca che sin dall’ottobre del 1943 Martelli Castaldi aderisse con lucidità alla Resistenza, è anche vero che i primi mesi dell’occupazione furono dedicati ad un pericolosissimo “doppio gioco” che l’ex-generale portò avanti finché gli fu possibile. La sua esperienza come militare, i suoi numerosi contatti anche nei servizi di sicurezza o le storiche amicizie nell’esercito furono fondamentali per il suo lavoro di informatore per i membri della Resistenza. Martelli fornì indicazioni riservate che furono essenziali per l’organizzazione e l’operato della lotta antifascista romana, specialmente durante le prime concitate fasi dell’occupazione tedesca portata a termine dal feldmaresciallo Albert Kesselring. Eppure Sabato Martelli fu anche un uomo d’azione così come lo era stato durante il primo conflitto: non esitò a prender parte insieme al Fronte Militare Clandestino (FMC) e ad altre formazioni partigiane – in cui militavano personaggi politici di spicco come Emilio Lussu, Giordano Amidani o Mario Colacchi (tutti esponenti del CLN fondato a Roma proprio in quei giorni) – ai primi combattimenti di Porta San Paolo, della Montagnola ma anche di Porta San Giovanni sino alla dolorosa resa del 10 settembre. Secondo la ricostruzione di Grassia, la collaborazione con il FMC fu indubbiamente frenetica: Martelli rischiò numerose volte la vita per estrarre armi da alcuni edifici presidiati della capitale occupata, fra cui – lo conosceva particolarmente bene – la sede del Ministero dell’Aeronautica; oppure nei vari tentativi di assistere altri partigiani impegnati in missioni che avevano l’obiettivo di ostacolare le autorità nazifasciste in città.
Matteo Tomasoni, «Edoardo Grassia, Sabato Martelli Castaldi. Il generale partigiano», Diacronie, N° 30, 2 / 2017

Fabrizio Vassalli nacque a Roma il 18 ottobre 1908 da Arturo Vassalli e Bice Ferrari. Nella città natale trascorse gli anni della sua formazione giovanile, compiendo gli studi di scuola media presso il Collegio San Giuseppe – Istituto De Merode, dei Fratelli delle scuole cristiane, sito in piazza di Spagna a Roma. Fu nel corso di questi anni trascorsi presso il collegio che V. si iscrisse all’associazione giovanile interna di Ac. Terminate anche le scuole superiori, si iscrisse alla facoltà di Scienze economiche e commerciali dell’Università La Sapienza di Roma. Nel corso degli anni di studio presso l’ateneo romano dovette rispondere alla chiamata di leva e, nel 1930, prestò servizio militare in qualità di allievo ufficiale d’artiglieria; nel giugno dell’anno successivo, fu nominato sottotenente e assegnato al VII Reggimento di Artiglieria pesante da campagna, di stanza a Livorno. Posto in congedo, ebbe modo di riprendere il percorso accademico e, nel 1933, conseguì la laurea.
Conclusi gli studi, si avvicinò al mondo del lavoro e venne assunto dall’Azienda minerali metallici: prima venne impiegato come segretario e, successivamente, venne assegnato al settore commerciale.
Nel corso del mese di settembre del 1939, fu richiamato sotto le armi e dovette lasciare temporaneamente il posto di lavoro per assumere il grado di tenente nel XIII Corpo d’Armata che era dislocato in Sardegna. Rimase in questa occupazione fino al dicembre del 1941, anno in cui, dopo aver assunto la qualifica di capitano, venne messo a disposizione del Ministero della Marina ed ebbe quindi modo di far ritorno nella capitale. Dopo poco tempo venne però destinato al comando di una batteria contraerea e contronave che operava nell’isola di Saseno, in Albania. Raggiunto dalla notizia della firma dell’armistizio di Cassibile, l’8 settembre 1943, decise di abbandonare in tutta fretta il reparto per non finire nelle mani della guarnigione tedesca ed essere destinato ai campi di internamento in Germania. Si diresse quindi verso Brindisi per raggiungere quello che considerava il governo legittimo operante in Italia e al suo arrivo si mise immediatamente a disposizione del Comando militare guidato dal maresciallo Pietro Badoglio. Dopo pochi giorni, fu assegnato ai Servizi informativi del comando e inquadrato nel Regio esercito che andava ricostituendosi.
Nel corso dell’ottobre successivo, decise di offrirsi volontario per una missione molto rischiosa che prevedeva di oltrepassare le linee nemiche per raggiungere Roma e consegnare al Fronte militare clandestino un cifrario utile al collegamento con il comando alleato attestato a Brindisi. Il 4 ottobre del 1943 riuscì dunque a far ritorno nella capitale e a prendere contatti con il colonnello Cordero Lanza di Montezemolo, organizzatore di uno dei primi nuclei di Resistenza nella città, con il quale si adoperò per avviare una linea di comunicazione sicura con gli alleati.
Nel corso della sua permanenza a Roma, riuscì, rischiando personalmente la cattura a più riprese, a mettersi a capo del coordinamento di una cellula di spionaggio e sabotaggio che per diversi mesi operò tra le fila della Resistenza capitolina e che prese il nome di «Gruppo Vassalli». Nelle carte del processo del tribunale tedesco contro V. venne segnalato come egli, muovendosi nella clandestinità, decise di assumere «dal mese di novembre 1943 il nome di Franco Valenti» e «si procacciò anche dei documenti personali con tal nome», riuscendo a stringere solidi rapporti con la rete informativa di Franco Malfatti, che faceva capo all’organizzazione militare partigiana socialista delle Brigate Matteotti, guidata da Giuliano Vassalli, cugino di V.
Nello stesso processo così venne descritta l’organizzazione guidata da V.: «Dalla fine del 1943 si trova a Roma una organizzazione spionistica molto ramificata che lavora per il governo Badoglio e per i nemici della Germania. […] Capo di un gruppo dipendente è l’imputato Vassalli. Questi raccoglieva dai suoi incaricati informazioni sui movimenti di truppe e di mezzi di trasporto per le diverse strade di Roma, su depositi carburanti, sugli effetti dei bombardamenti nemici etc.».
Fu proprio questa continua ricerca di notizie utili all’attività partigiana e alleata che attirò su V. le attenzioni delle forze di occupazione tedesche che, il 13 marzo del 1944, riuscirono ad arrestarlo mentre si trovava nel Centro di informazioni sito in via del Babuino e, insieme al pittore Giordano Bruno Ferrari, a condurlo nel carcere romano di Regina Coeli. Nella scheda matricolare che venne compilata lo stesso giorno al momento del suo arrivo nel luogo di detenzione, redatta con il falso nome di Valenti Fabrizio segnato nei suoi documenti, vi fu apposto come motivo dell’arresto «spionaggio» e fu inoltre espressamente sottolineato che sarebbe stato preso in consegna dalla sezione di controspionaggio tedesca per gli accertamenti dovuti.
Per i successivi due mesi V. venne fatto oggetto di duri interrogatori e atroci sevizie da parte dei carcerieri tedeschi, allo scopo di estorcergli informazioni utili per l’individuazione della cellula clandestina di informatori e per conoscere nomi e luoghi di rifugio dei partigiani operanti a Roma. Nel suo fascicolo personale del carcere Regina Coeli vennero segnati solamente gli interrogatori condotti dalla sezione controspionaggio, datati 1° e 3 aprile del 1944. Visto l’ostinato silenzio dietro al quale si trincerò, le indagini si fecero sempre più pressanti e portarono alla cattura di sua moglie, Amelia Vittucci, e di altre cinque persone che facevano parte del gruppo di informatori dello stesso V. Sottoposti a diverse torture e a un sommario processo tenuto il 27 aprile del 1944 dal tribunale tedesco di Roma, guidato, in funzioni di presidente, dal consigliere del tribunale tedesco di guerra Reineke, il 29 aprile del 1944 tutto il gruppo ricevette la sentenza di condanna a morte. Nella motivazione redatta dal tribunale, che affermava di operare «in nome del popolo tedesco» e condannava a morte gli imputati, si legge che gli imputati V. e Corrado Vinci furono condannati «anche per possesso di apparecchi radiotrasmittenti». Inoltre, «tutti gli imputati hanno segretamente reperito, in zona di guerra delle forze armate tedesche, notizie per comunicarle al nemico. Si sono resi colpevoli perciò di spionaggio» […]
ISACEM

“…Arrestato dalle autorità tedesche e sottoposto alle più inumane torture manteneva il più assoluto segreto circa il movimento informativo e patriota della zona, salvando così l’organizzazione e la vita dei propri collaboratori”. Fabrizio Vassalli, nato a Roma nel 1908, fucilato a Roma il 24 maggio 1944, capitano d’artiglieria, Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria. Si trovava nell’isola di Saseno (Albania) al comando di una batteria contraerea quando fu proclamato l’armistizio. Per evitare di finire in mano ai tedeschi, lasciò il reparto e raggiunse Brindisi, dove si mise a disposizione del Comando supremo. Meno di un mese dopo, si offrì volontario per una missione rischiosa: attraversare le linee e raggiungere Roma. Nella capitale occupata dai tedeschi operò per oltre cinque mesi con un gruppo clandestino, riuscendo a fornire preziose informazioni al Comando alleato. Il 13 marzo del ’44, il capitano Vassalli fu arrestato con il pittore Giordano Bruno Ferrari e rinchiuso in via Tasso. Per due mesi i tedeschi sottoposero Vassalli ad atroci torture, ma non riuscirono ad ottenere informazioni dal giovane ufficiale. Intanto anche Amelia Vittucci, moglie di Vassalli, l’ufficiale Salvatore Grasso, l’elettromeccanico Corrado Vinci, il radiotelegrafista Pietro Bergamini, Bice Bertini e Jolanda Gatti, moglie di Vinci e incinta di sette mesi, erano caduti nelle mani degli occupanti. Tutti i patrioti furono sottoposti dal Tribunale di guerra tedesco ad un processo sommario, che si concluse con la condanna a morte di tutti gli arrestati. Le tre donne riuscirono a salvarsi per il sopraggiungere a Roma degli Alleati. Vassalli, Ferrari, Grasso, Vinci e Bergamini furono fucilati, pochi giorni prima della liberazione della Capitale, sugli spalti di Forte Bravetta. Padri e Madri della Libertà

Il 27 aprile 1944 vengono processati Piero Bergamini, Salvatore Grasso, Fabrizio Vassalli, Corrado Vinci, Giordano Bruno Ferrari, Amelia Vitucci, moglie di Vassalli, Jolanda Gatti, moglie di Vinci (allora incinta di sette mesi) e Bice Bertini. Il 17 maggio Vassalli viene trasferito nel reparto italiano di Regina Coeli. Negli interrogatori subiti nei due mesi di prigionia mantiene il più assoluto silenzio; le SS, però, riescono a farlo parlare con l’inganno presentandogli in un colloquio il giudice istruttore per un avvocato inviato dalla famiglia. Gli inquirenti accertano che il gruppo Vassalli fa riferimento al capitano Fulvio Mosconi, comandante della banda omonima. Gli incontri sono avvenuti nella casa di Giordano Bruno Ferrari, in via T. Campanella, o in quella di Vassalli, in Via Massimo 13. Bice Bertini raccoglieva i biglietti lasciati dai componenti del gruppo per stendere delle relazioni dattiloscritte che restituiva a Vassalli che, con Mosconi, provvedeva a trasmettere le informazioni agli alleati. Il collegio giudicante è presieduto dal Consigliere del Tribunale di Guerra Reineke, dai tenenti delle SS Jentsch e Knaub, dal consigliere Plate per la pubblica accusa, dai graduati Stolz e Gyorgyfalvay in veste di cancellieri. Gli imputati sono condannati a morte per spionaggio; Vassalli e Vinci anche per possesso di apparecchio radiotrasmittente. Le donne verranno graziate […] Ma l’opposizione politica e armata, pur senza la prospettiva dell’insurrezione, continua e soprattutto, mentre la situazione al vicino fronte si evolve favorevolmente per gli anglo-americani, appaiono efficaci e decisive le operazioni di “Intelligence” che molti gruppi svolgono, in particolare il Fmcr, nei confronti del quale, in questa fase dello scontro, si rivolge la repressione. Archivio Storico del comune di Roma

Fonte: Rete Parri

24.5.1944
Carissima Amelia,
sono la braccio italiano ed ho consegnato la roba
che ti daranno.
Sii buona e pensa che ti ho voluto tanto bene. La roba
verrà a te: tu sostieni i miei. Te li affido e dì loro che
mi perdonino il grande doloro che reco loro.
Sono sereno e mi dolgo solo di non aver visto i nostri
entrare a Roma.
Spero che finanziariamente non resterai male e che con
la pensione ed altro che ti verrà da me non debba essere
dipendente da nessuno né lavorare per vivere. Ciò mi era
stato promesso.
Riposati pure e ricordami. Sii però ugualmente una fi-
glia per i miei.
Rammentati della Bice che tanto era affezionata ai miei
ed a me.
Ti bacio con tutta l’anima
Fabrizio tuo

Ultima lettera di Fabrizio Vassalli alla moglie, in Rete Parri


Fonte: Rete Parri

Carissimi papone e mammina,
Perdonatemi il dolore che vi reco che é veramente una
angoscia per me. Pensate che tanti sono morti per la Patria
ed io sono uno di quelli. La mia coscienza é a posto: ho
fatto tutto il mio dovere e ne sono fiero. Questo deve es-
sere per voi vero conforto. Vi abbraccio con tutta l’anima.

Fabrizio vostro

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La spilletta regalatela a Bice e così un altro ricordino:
anche ai miei nipotini.
Saluto e abbraccio tutti, Enrico, Gina, ecc.
Non fate storie per il cadavere od altro. Dove mi but-
tano mi buttano. Quando potrete mettete l’inserzione sui
giornali.
Viva l’Italia

f.

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Ultima lettera di Fabrizio Vassalli ai genitori, in Rete Parri

Fabrizio Vassalli
Dottore in scienze economiche e commerciali, di 35 anni. Nato a Roma il 18 ottobre 1908 da Arturo e da Bice Ferrari. Sposato con Amelia Vittucci. Nel ’30 si arruolò volontario nell’esercito. Intanto si era iscritto alla facoltà di scienze economiche e commerciali. Ottenne la laurea nel ’33, e nel ’39 fu richiamato in servizio in Sardegna, dove rimase fino al ’41 come ufficiale di artiglieria. Promosso capitano, fu inviato in Albania. Alla firma dell’armistizio era al comando di una batteria contraerea nell’isola di Saseno (Dalmazia). Scampato agli eccidi tedeschi raggiunse l’Italia del Sud con mezzi di fortuna e si mise messo a disposizione del Governo legittimo, che aveva sede a Brindisi. Si offrì volontario per attraversare le linee nemiche e portare nella capitale occupata un cifrario necessario per il collegamento fra il Comando alleato di Brindisi ed il Fronte militare clandestino romano. Per oltre cinque mesi collaborò con il colonnello Montezemolo nel servizio informazioni o in azioni di sabotaggio e comandò, con il nome di battaglia di Franco Valenti, la formazione del Fronte Clandestino che da lui prese il nome di “Gruppo Vassalli”. La sua banda si occupava di raccogliere informazioni sul traffico di truppe e sui mezzi di trasporto tedeschi, inviandole poi a Montezemolo che a sua volta le faceva pervenire al comando alleato. Le riunioni del gruppo avvenivano spesso nella sua dimora, in via di Villa Massimo 13. Fu catturato dalle SS il 13 marzo del ’44 in via del Babuino, insieme alla moglie Amelia, a Giordano Bruno Ferrari, suo cugino per parte materna, Salvatore Grasso, Pietro Bergamini, Corrado Vinci, la moglie di questi, Jolanda Gatti, e Bice Bertini, tutti membri del gruppo. Fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli dove subì più volte la tortura. Fu condannato a morte il 27 aprile dal Tribunale militare di guerra tedesco, al termine di un processo sommario. Il 24 maggio fu fucilato a Forte Bravetta, insieme a Ferrari, Grasso, Vinci e Bergamini. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò “Viva l’Italia”. Medaglia d’oro al valor militare “sul campo”.
Redazione, Fabrizio Vassalli, Storia XXI secolo