Firenze si era liberata da sola

Firenze – Fonte: Wikipedia

La Resistenza italiana si diede definitivamente una direzione unitaria nella primavera 1944 <33. Ciò consentì di dare risponde tendenzialmente univoche a questioni che si ponevano con rilievo e modalità diverse nei singoli contesti locali, per la varietà delle condizioni materiali quanto delle dinamiche interne ai Cln. L’unificazione progredì proprio in virtù della capacità di far tesoro delle diverse esperienze di quella estate e di trarne orientamenti generali. Di qui l’interesse rivestito dalla “battaglia di Firenze”, in quanto prima esperienza insurrezionale sostanzialmente riuscita <34. Ripercorrerne genesi e svolgimento consente di delineare l’emergere del progetto, coglierne gli snodi decisivi, e gli ostacoli che si frapposero, valutarne i risultati. L’indicazione dell’insurrezione, quale obiettivo specifico, maturò per la prima volta in seno al Comitato toscano di liberazione nazionale (Ctln), che lo perseguì e conseguì tra la primavera e l’estate del 1944, sull’onda del consolidamento della mobilitazione partigiana locale e dell’arretramento del fronte, allorché nella seconda metà di maggio gli Alleati ebbero spezzato quello di Cassino e preso a risalire la penisola, liberando Roma ai primi di giugno e proseguendo rapidamente verso nord. Non era stato così nel settembre 1943 a Napoli, ove la sollevazione armata era divampata «intrecciando spontaneità e organizzazione», coniugando l’iniziativa di esponenti antifascisti con istanze di ribellismo popolare, ma senza una progettualità politica che non fosse quella, maturata nel corso stesso degli eventi, della reazione e liberazione dalla predatoria e violenta occupazione militare germanica <35.
Così pure a Roma, dove non erano mancati gli attacchi delle forze militare azioniste e comuniste ai tedeschi in ritirata. L’obiettivo dell’insurrezione, quale scelta deliberata di assumere il governo della città in forza di una sollevazione armata, non era stato fatto proprio dal Comitato centrale di liberazione nazionale, né aveva trovato il consenso unanime dei vertici degli stessi partiti di sinistra, sia per la relativa debolezza delle forze disponibili, sia perché non mancavano riserve sull’opportunità di un’iniziativa ritenuta destabilizzante e dunque foriera di contrasti con gli Alleati e con il governo di Salerno <36.
33 Il Clnai assunse i poteri per l’Italia del nord nel mese di marzo e il Comando del corpo Volontari della Libertà si costituì formalmente nel giugno 1944.
34 Una valutazione fatta propria dalla storiografia già con Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1975 [I ed. 1964] pp. 394 ss., e quindi ripresa da Peli, La Resistenza in Italia, pp. 91-93, e da Maria Elisabetta Tonizzi, 23-26 aprile 1945: uno sguardo d’insieme, in «A wonderful job», p. 48.
35 Gloria Chianese, «Quando uscimmo dai rifugi». Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra, Roma, Carocci, pp. 86-91; Francesco Soverina, La difficile memoria. La Resistenza nel Mezzogiorno e le Quattro giornate di Napoli, Napoli, Dante & Des – cartes, 2012, pp. 50-56.
36 La Resistenza a Roma (1943-1944): militari, partigiani e civili, a cura di Marco Lodi, Genova, Brigati, 2011; Francesco Maria Fabrocile, Il segnale dell’elefante. Storia della mancata insurrezione del Partito d’Azione a Roma “città aperta”, Marlin, Cava dei Tirreni, 2017.
Simone Neri Serneri, Resistenza e insurrezione nel secondo conflitto mondiale. Il Comitato toscano di Liberazione nazionale verso la «battaglia di Firenze», Rivista Storica Italiana, Anno CXXXI, fascicolo 1, aprile 2019, Edizioni Scientifiche Italiane

[…] Nonostante la dura repressione, nel 1936 la continuità dello spirito democratico di spirazione repubblicana ed espressione dell’esperienza di Giustizia e Libertà si condensò nuovamente: attorno a Piero Calamandrei si aggregarono personalità quali Tristano Codignola, Enzo Enriques Agnoletti, Carlo Ludovico Ragghianti, Carlo Furno e Raffaello Ramat, che furono poi tra i protagonisti della Resistenza fiorentina. L’incontro di questo nucleo con quello milanese di Giustizia e Libertà, creatosi attorno a Ugo La Malfa, diede vita nel 1942 al Partito d’Azione. L’opposizione del mondo cattolico si manifestò invece più compiutamente solo dopo l’emanazione delle leggi razziali nel 1939, in particolare grazie all’impegno di Giorgio La Pira, Adone Zoli e Mario Augusto Martini, e dopo il 25 luglio 1943 la critica alla guerra e al regime di carattere prettamente intellettuale si consolidò in un antifascismo di inspirazione cristiana di indirizzo più coerente <1.
Gli anni della guerra e la svolta del 1943
L’ingresso dell’Italia in guerra, a Firenze come ovunque nel paese, portò a un rapido e ulteriore peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, mentre la speranza di una rapida conclusione del conflitto, prospettata dal regime, si faceva sempre più remota. Da un punto di vista più strettamente militare, nei primi anni Firenze e in generale la Toscana rimasero estranee ai teatri di guerra. Ma conseguentemente agli sbarchi alleati nell’Africa settentrionale, e ancor più all’occupazione italiana della Corsica nel novembre del 1942, i porti toscani sulla costa tirrenica (Piombino, Livorno, Elba) e sempre più ampie zone della regione assunsero un ruolo strategico di primaria importanza, e conobbero una militarizzazione via via più rilevante diventando, al tempo stesso, obiettivo di bombardamenti aerei sempre più intensi. Le popolazioni urbane, in particolare di un centro costiero come Livorno, iniziarono a conoscere il dramma della guerra aerea e dello sfollamento nei territori rurali della regione <2.
Le sconfitte tedesche sul fronte orientale e su quello africano della primavera del 1943, e nel mese di luglio lo sbarco alleato in Sicilia, portarono al punto di svolta. A seguito di un’azione congiunta fra Corona, parte dei gerarchi fascisti e comandanti delle forze armate, Mussolini fu arrestato, e il generale Pietro Badoglio venne posto a capo del governo. Gli eventi precipitarono rapidamente sino alla firma dell’armistizio con gli alleati (3 settembre 1943) e al cambio di fronte dell’Italia. Le forze armate tedesche rafforzarono immediatamente la propria presenza sul suolo italiano. Il numero di divisioni stanziate in Italia triplicò: il compito principale comunicato agli ufficiali era quello di disarmare le forze armate italiane il più celermente possibile <3. Con l’annuncio dell’armistizio l’esercito italiano, lasciato completamente allo sbando, si disgregò, moltissimi militari furono catturati dai tedeschi e deportati, altri cercarono di fuggire. Intanto, nell’autunno del 1943 le armate naziste riuscivano a fermare l’avanzata alleata sulla linea Gustav. L’Italia era di fatto diventata campo di battaglia per eserciti stranieri.
[…] L’11 settembre i tedeschi occuparono Firenze. Tutte le caserme, i principali edifici pubblici, i punti strategici per il controllo della città e i nodi stradali e ferroviari passarono sotto il controllo tedesco. I fascisti cercarono di ricostituire le loro organizzazioni e di riprendere il controllo della vita cittadina, procedendo innanzitutto alla sostituzione delle varie autorità: riaprì i battenti la Federazione fascista, si ricostituirono i reparti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che nel mese di novembre si fuse con i carabinieri e con la Polizia dell’Africa Italiana per dar vita alla Guardia Nazionale Repubblicana <4. I dirigenti del Fascio repubblicano vennero rinnovati: Mario Carità fu nominato capo dell’Ufficio Politico Investigativo alle dipendenze della GNR, Raffaele Manganiello prefetto e commissario della Federazione, Renato Martini e Bruno Scheggi rappresentanti provinciali del triumvirato, Gino Meschiari segretario federale, Giuseppe Bindi comandante del battaglione “Muti”, Giuseppe Manna questore, Edmondo Zanti
all’Ufficio politico. Ebbe inoltre luogo in questi mesi anche a Firenze la sistematica persecuzione degli ebrei, prima del varo del programma del Fascio repubblicano emanato a Verona il 16 novembre 1943, con rastrellamenti, arresti di massa, esecuzioni. Nacque quindi per iniziativa di Manganiello un apposito Ufficio affari ebraici, alle dipendenze della prefettura e diretto da Giovanni Martelloni. Ma non tutti erano su questa linea. Fra la popolazione si diffusero atteggiamenti di solidarietà e resistenza “civile”. In particolare la Curia fiorentina, guidata dal cardinale Elia Dalla Costa e una commissione appositamente costituita dal Partito d’Azione operarono per dare assistenza agli ebrei perseguitati e a prigionieri sfuggiti ai campi di concentramento <5.
Nelle fasi immediatamente successive all’occupazione tedesca presero forma quei nuclei di opposizione al regime nazifascista che si sarebbero poi evoluti in organizzazioni più organicamente coordinate. Pur nelle sostanziali differenze date dai diversi contesti locali, una delle azioni principali messe immediatamente in atto dalle organizzazione partigiane fu la raccolta di informazioni, la cui puntuale trasmissione agli alleati costituì un contributo tattico fondamentale. Di eguale rilevanza furono le operazioni di sabotaggio e disturbo lungo le vie di comunicazione, gli attacchi a mezzi e truppe in movimento, oltre alla protezione svolta verso case isolate e depositi, e ovviamente all’impegno più direttamente offensivo, dagli scontri montani alla guerriglia urbana <6.
Il 9 settembre 1943, immediatamente dopo l’annuncio dell’armistizio, i rappresentanti di sei partiti (PCI, PSIUP, DC, PLI, Pd’A, e Democrazia del Lavoro) costituirono a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale con l’obiettivo di creare un “governo straordinario” rappresentativo dei partiti antifascisti e delle forze che si erano opposte alla guerra, che assumesse i poteri costituzionali per condurre la guerra di liberazione. Tale prospettiva non poté trovare concreta realizzazione, sia per gli indirizzi dati dalla svolta di Salerno, che portò al raggiungimento della tregua istituzionale con la monarchia, sia per il mancato sbocco insurrezionale dell’azione militare del CLN romano (o CCLN, Comitato Centrale di Liberazione Nazionale). Nonostante ciò restava valida l’affermazione di una forte rottura della continuità dello Stato, intenzionata a sancire la scissione delle responsabilità del popolo italiano da quelle della monarchia e del governo
fascista <7.
Nel gennaio del 1944 i CLN regionali che operavano nel Nord Italia (piemontese, ligure, emiliano, triveneto) trovarono un coordinamento comune nella costituzione del CLNAI, Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, la cui forza come principale organo direttivo nell’Italia occupata si rafforzò nei mesi a seguire. Il CLNAI fu investito dal CCLN del potere di rappresentare il centro dirigente e organizzativo di tutto il movimento nazionale nel Nord <8, e il 26 dicembre 1944 il Presidente del Consiglio Bonomi, firmando a Roma un accordo con CLNAI, lo riconobbe ufficialmente quale organo dei partiti antifascisti nei
territori occupati. Dal mese di giugno dello stesso anno l’organizzazione militare di tutte le forze armate partigiane a nord della linea gotica fu accentrata sotto il controllo e la direzione del Corpo Volontari della Libertà, con divisione per Comandi regionali e di zona <9.
A Firenze, pochi giorni dopo la costituzione del CCLN, il preesistente comitato interpartiti si ricompose in Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, composto da Enzo Enriques Agnoletti per il Partito d’Azione, Giulio Montelatici per il Partito Comunista, Mario Augusto Martini e Adone Zoli per la Democrazia Cristiana, Foscolo Lombardi per il Partito socialista e Marino Mari per quello liberale.
Il 2 novembre venne diramata la dichiarazione del CTLN con cui questo si allineava alla posizione del CLN di Roma sancita dal comunicato del 16 ottobre: il Comitato si poneva a guida della lotta di liberazione rivendicando il ruolo di autorità di governo autonomo e indipendente <10. Il Comitato dichiarò inoltre che fino all’elezione della Costituente, che avrebbe determinato il nuovo assetto istituzionale del paese, i poteri di governo provvisorio avrebbero dovuto essere esercitati da emanazioni del CLN, sia sul piano nazionale che su quello locale <11. Oltre alla direzione militare della lotta antifascista, il Comitato intendeva quindi assumere anche quella politica, inserendosi nell’amministrazione, strutturandosi in organo di autogoverno locale alternativo all’apparato statale della RSI e rivendicando un ruolo decisionale effettivo e legittimo <12.
La stagione invernale tra il 1943 e il 1944, che rese più problematica l’attività partigiana sui monti, e il maggiore controllo del territorio messo in atto dalle forze nazifasciste, portarono a uno spostamento del baricentro della lotta partigiana verso la città, dove il CTLN perseguiva il suo impegno organizzativo e i GAP e le SAP mettevano in atto un numero sempre crescente di attacchi, sabotaggi e disarmi a danno delle forze occupanti <13. Qui, se il potere ufficiale era in mano alle autorità della RSI e alle truppe naziste, la popolazione guardava con crescente attenzione al CTLN, che nei mesi si era potenziato e preparato a
costituirsi in organo di governo, e rappresentava efficacemente e unitariamente le varie correnti antifasciste <14.
Nei primi mesi del 1944 le organizzazioni partitiche, in particolare Partito Comunista e Partito d’Azione, avevano messo in atto azioni militari, di rifornimento, assistenza, sabotaggio e controspionaggio autonomamente, pur sotto le direttive del CTLN. Di fondamentale importanza fu il collegamento radio tenuto dal servizio “CoRa”, Commissione Radio del Partito d’Azione, di cui Carlo Campolmi fu tra i principali
collaboratori, soprattutto per la trasmissione di informazioni militari agli eserciti alleati. Radio CoRa inoltre collaborava strettamente con l’ufficio addetto alla falsificazione di documenti coordinato da Maria Luigia Guaita <15.
Nella primavera del 1944 la sempre maggiore partecipazione diretta al movimento resistenziale rese possibile un salto di qualità, effettivo tanto sul piano organizzativo quanto su quello militare. L’incremento del numero dei partigiani combattenti portò a un rafforzamento dei reparti esistenti e alla creazione di nuovi gruppi, e rese necessaria una organizzazione più strutturata e funzionale, che progressivamente portò al passaggio dal livello del distaccamento o banda a quello della brigata <16.
[…] Sulla scia degli eventi nazionali, il CTLN moltiplicò le iniziative e si dichiarò deciso a esercitare i poteri di governo. Venne diramato un appello per mobilitare la popolazione in vista degli scontri per la liberazione di Firenze. Tale risoluzione era data dalla volontà di liberare la città senza attendere l’azione delle truppe angloamericane <17. Il Comitato si riuniva quotidianamente, operando per aumentare le adesioni alle forze della resistenza negli uffici pubblici, e diede vita a un gran numero di commissioni, tra cui le più importanti erano quelle dei trasporti, dell’alimentazione, quella finanziaria, della stampa e radio, di controllo civico, e di controllo della Questura <18. Si provvide a definire i criteri dell’epurazione degli enti pubblici e delle imprese economiche, e si ridefinì il Comando militare, che prese il nome di Comando Marte.
All’interno del Comando si dosarono innanzitutto le cariche in modo paritario, secondo i principi del CTLN, e si creò un organismo tecnico militarmente efficiente. Il ruolo di comandante fu affidato al col. Nello Niccoli (Pd’A), e vennero nominati vice comandante Nereo Tommasi (DC), commissario politico incaricato di rappresentare il CTLN presso il comando militare Luigi Gaiani (PCI), vice commissario politico Dino del Poggetto (PSIUP), capo di stato maggiore Achille Mazzi (PLI). Il Comando Marte assunse quindi la direzione della guerra di liberazione in Toscana e soprattutto nella città di Firenze, dando così indirizzo unitario alla lotta, e svolse il compito di organizzare e potenziare militarmente le bande, oltre a occuparsi dell’attività informativa per il comando alleato. Inizialmente l’attività del comando fu volta all’inquadramento e alla preparazione bellica delle numerose bande disseminate sul territorio. Venne innanzitutto dato l’ordine di intensificare gli attacchi a caserme, reparti in movimento ecc per sopperire alla carenza di armi e munizioni <19. Le forze a disposizione erano di 2015 combattenti del Partito Comunista e 610 del Partito d’Azione organizzati nelle bande, e rispettivamente 1530 e 868 nelle squadre cittadine <20.
Per l’occupazione e la difesa di Firenze la città fu divisa in quattro zone: I – Oltrarno, II – Cascine – Porta a Prato – Rifredi, III – Centro, IV – Via Faentina – Via Bolognese – Campo di Marte. Le zone erano ulteriormente suddivise in settori d’azione. Per ogni zona il comando militare nominò un ispettore con il compito di coordinare l’opera dei comandanti. Dai primi di giugno il Comando elaborò un piano per organizzare l’insurrezione di Firenze, che venne sottoposto all’approvazione del CTLN e diramato agli Ispettori e ai Comandanti militari di ogni Zona <21. Il Comando predispose a questo punto gli obiettivi da presidiare, organizzò le zone di pronto soccorso, i comandi di zona allestirono depositi alimentari, centri di raccolta per armi e munizioni. Si portò inoltre avanti un’intensa opera di propaganda con affissione di manifesti e cancellazione delle scritte fasciste dai muri dei quartieri <22.
Verso la liberazione
Con l’avanzare delle truppe alleate si pose la questione della sorte che sarebbe toccata alla città: non si sapeva se Firenze come Roma sarebbe stata considerata città aperta, o se i tedeschi avrebbero dato battaglia per rallentare gli anglo-americani. Furono guidate a tal proposito complesse trattative diplomatiche con le forze occupanti, che videro il diretto interessamento della Curia e del cardinale Elia Dalla Costa. Le autorità della RSI speravano forse di trattare col CTLN un pacifico trapasso del potere, come dimostrano i entativi in questa direzione messi in atto dal segretario federale Fortunato Polvani.
Tuttavia alla fine di giugno tali trattative furono interrotte <23.
Dalla seconda metà di giugno gran parte dei gerarchi fascisti iniziò ad abbandonare la città.
La decisione era ormai data dalla consapevolezza che i tedeschi erano intenzionati a ritirarsi da Firenze per apprestare una nuova linea difensiva sugli Appennini. Rimasero solo funzionari non troppo compromessi col fascismo. Il 6 luglio anche il prefetto Giotto Danielli lasciò la città, a inizio luglio fu il turno del maggiore Carità, sostituito da Giuseppe Bernasconi, ex squadrista poi maresciallo delle SS italiane. Poco dopo partì
anche Manganiello, seguito poi da tutti gli altri gerarchi fascisti, a eccezione del viceprefetto Gigli e del vice-podestà De Francisci. Il 20 luglio anche l’esercito tedesco lasciò la città, dove come retroguardia e copertura rimasero circa 500 uomini, tra paracadutisti e guastatori, agli ordini del colonnello Fuchs <24.
Fu a questo punto il CTLN a intervenire. Il Comitato infatti, non avendo riposto fiducia né aspettative sulle trattative coi nazi-fascisti e avendo già deciso per l’insurrezione, si preparava a porsi come interlocutore privilegiato delle forze alleate in quanto organo rappresentativo e di governo. Le cariche pubbliche e amministrative vennero distribuite nel modo più equilibrato possibile, nell’attesa che la popolazione si esprimesse con libere elezioni. Si decise che il sindaco sarebbe stato Gaetano Pieraccini, affiancato da due vice sindaci, uno comunista e uno democristiano. La presidenza della deputazione provinciale venne attribuita alla Democrazia Cristiana, la presidenza del Consiglio Provinciale dell’Economia ai liberali. Fu nominato questore il dott. Soldani Bensi, già vice questore in carica, affiancato da una commissione politica di controllo del CTLN. Furono inoltre composte numerose commissioni tecniche grazie alle quali vennero ripristinati vari settori della vita pubblica: dalla cultura, ai trasporti, alla sanità pubblica, al controllo civico, alle comunicazioni stampa e radio. Di fatto quindi il CTLN esercitava funzioni di governo,
dirigendo la lotta di liberazione e immettendo suoi rappresentanti in varie branche dell’amministrazione cittadina. Addirittura, nei giorni antecedenti l’emergenza, un gruppo di partigiani guidato dal Roberto Martini occupò formalmente la Questura <25.
La battaglia di Firenze
Il 29 luglio venne pubblicata dal comando tedesco un’ordinanza per lo sgombero di vaste zone della città prospicienti l’Arno, in previsione di attacchi “nemici” ai ponti. Si impose quindi lo sfollamento a circa 150.000 persone in una città già sovrappopolata per le fallaci dichiarazioni di riconoscerla città aperta. Gli sfollati trovarono rifugio presso parenti e amici, nelle poche strutture del comune ancora disponibili, negli spazi di Palazzo Pitti <26. L’ordine di sgombero, interrompendo i contatti tra le forze dislocate in Oltrarno (quasi 800 uomini di cui solo 500 armati) e quelle di qua d’Arno (cui restavano circa 2000 uomini) e soprattutto compromettendo la difesa dei ponti fiorentini, colse di sorpresa il Comando Marte. Si dovette agire in fretta per riorganizzare le forze di là e di qua d’Arno, e per trasportare armi, munizioni e viveri nei nuovi centri di raccolta tempestivamente designati. Seguendo le disposizioni del Comando Marte, già dai primi di agosto parte delle brigate della Divisione “Arno”, che riuniva le brigate comuniste operanti nella provincia fiorentina nei mesi precedenti, e la 2° Brigata “Rosselli” stanziavano nei pressi della città, mentre il comando della divisione, due compagnie della Brigata “Lanciotto” e la Brigata “Sinigaglia” si trovavano sui rilievi a sud-est della città. Altre due compagnie della “Lanciotto” si trovavano vicino alla stazione ferroviaria di Campo di Marte, mentre la Brigata “Caiani” e la 3° Brigata “Rosselli” si erano portate sulle colline a nord di Settignano <27. Il 3 agosto una nuova ordinanza imponeva alla cittadinanza di serrare porte e finestre e non uscire in strada, né di notte né di giorno. La sera stessa due squadre partigiane tentarono di disinnescare le mine già piazzate dai tedeschi al Ponte della Vittoria e al Ponte della Carraia, ma entrambe le azioni fallirono. Nella notte tra il 3 e il 4 agosto furono fatti saltare i cinque ponti di Firenze, con l’unica eccezione del Ponte Vecchio, ma a costo della perdita dei quartieri adiacenti, distrutti dalle mine naziste proprio per impedire l’accesso al ponte. Le esplosioni si susseguirono dalle 22 della sera del 3 fino alle 4 o 5 del mattino. Poco prima delle 6 del mattino la prima pattuglia alleata entrò in città da Porta Romana, e il grosso delle truppe arrivò nel corso della giornata, accolto dalla folla che si riversava nelle strade.
Il CTLN comunicò agli alleati l’intenzione a procedere all’insurrezione e la volontà di assumere la rappresentanza del popolo toscano. Si creava così un importante precedente nel comportamento alleato nei confronti della Resistenza e dei CLN: dopo un iniziale atteggiamento contrario gli alleati accettarono infatti che il Comando Militare portasse avanti i suoi piani insurrezionali, e ne riconobbero l’affermazione di rappresentatività <28. I reparti partigiani ricevettero l’ordine di entrare a Firenze: la Brigata “Caiani” e la “Rosselli” furono ostacolate da un reparto germanico, si disgregarono e subirono diverse perdite, mentre gli altri reparti entrarono in città senza ulteriori difficoltà. Giunsero in Oltrarno della Colonna la Brigata “Sinigaglia”, la Divisione “Arno” e la Brigata “Lanciotto” <29. Presero avvio i rastrellamenti per individuare i franchi tiratori ancora numerosi soprattutto nelle zone di San Frediano, Conventino e San Nicolò, mentre la riva destra dell’Arno viveva ancora sotto l’occupazione tedesca. Qui per il comando militare del CTLN si riunirono in seduta permanente Enzo Enriques Agnoletti per il Partito d’Azione, Giuseppe Rossi (sostituito per alcuni giorni da Giulio Montelatici) per il Partito Comunista, Mario Augusto Martini per la Democrazia Cristiana, Foscolo Lombardi e Natale dall’Oppio per il Partito Socialista, Aldobrando Medici Tornaquinci per il Partito Liberale e la staffetta Adina Tenca <30. Grazie all’azione delle staffette e all’uso di documenti falsificati si mantennero i contatti tra CTLN, Comando Marte, vari comandi di zona e posto d’osservazione sulla cupola del Duomo. Inoltre, per opera del comandante Enrico Fisher era stato creato lo stesso 4 agosto un collegamento telefonico tra le due sponde dell’Arno attraverso il Corridoio Vasariano che collega la Galleria degli Uffizi a Palazzo Pitti. Il CTLN decise di rimanere nella zona occupata, inviando Oltrarno il comandante Nello Niccoli, assieme a Enrico Fischer e Carlo Ludovico Ragghianti per concordare con gli alleati il piano per l’insurrezione e fornire loro gli schieramenti tecnici necessari. Niccoli tornò poi nella zona occupata, sempre attraverso il corridoio Vasariano, mentre Ragghianti fu trattenuto presso le autorità alleate <31. Il comando alleato dava rassicurazioni sul fatto che le truppe inglesi sarebbero entrate in città a monte e a valle evitando nuovi bombardamenti e cannoneggiamenti sul centro, dichiarando inoltre che avrebbero comunicato al CTLN l’inizio delle operazioni per coordinare l’insurrezione cittadina.
Lo sganciamento delle truppe tedesche dal centro storico avvenne la notte tra il 10 e l’11 agosto, sebbene lo stato d’allarme fosse già stato diramato l’8. Alle 6.45 del mattino scattò il segnale d’insurrezione: la Martinella, campana di Palazzo Vecchio, suonò a martello, e poco dopo le fece eco la campana del Bargello. Ai partigiani fu dato ordine di muovere attacco alle retroguardie tedesche. Il CTLN abbandonò il rifugio in via della Condotta ed entrò a Palazzo Medici Riccardi, dove si insediò anche il Comando militare. Carlo Ludovico Ragghianti, attraversato il passaggio su Ponte Vecchio accompagnato dal maggiore Mackintosh della Special Force, giunse a Palazzo Riccardi e assunse la presidenza del CTLN <32.
I tedeschi si attestarono oltre una linea che andava pressappoco dalle Cascine all’Affrico seguendo il Mugnone, anziché arrivare sino ai contrafforti sulle colline a nord della città. E il previsto attacco alleato alla ritirata tedesca non ebbe luogo: i partigiani erano soli di fronte all’avversario tedesco. E di nuovo le forze antifasciste erano separate, dal momento che la linea difensiva tedesca separava la III zona dalla II e dalla IV, e in particolare i combattenti della II e della IV zona si trovarono isolati nel settore tenuto dai tedeschi. Soltanto il 13 agosto le prime truppe alleate si attestarono alle spalle della Brigata “Sinigaglia”. Nel frattempo il CTLN decise la soppressione delle squadre cittadine, i cui componenti furono inquadrati nelle brigate partigiane. Inoltre la suddivisione in zone fu sostituita da quella in tre settori, due affidati alla Divisione “Potente” e uno alla I Divisione “GL” <33. Dopo l’11 agosto il CTLN, soprintendendo alla vita cittadina, diede sin dai primi giorni dimostrazione delle capacità di autogoverno. Il sindaco Gaetano Pieraccini aveva preso il suo posto a Palazzo Vecchio, affiancato dalla giunta paritetica designata dal CTLN, e lo stesso facevano gli altri commissari e funzionari nominati. La Giunta comunale, oltre al sindaco Pieraccini, ebbe fra i suoi componenti Arturo Bruno e Mario Fanfani per il PSI, Mario Fabiani (vice sindaco), Renato Giunti e Bruno Somigli per il PCI, Adone Zoli (vice sindaco), Rodolfo Francioni e Bruno Borghi per la DC, Vittorio Fossombroni e Renato Fantoni e Giacomo Devoto per il PLI, Athos Albertoni, Nello Traquandi e Ugo Mattei per il Pd’A <34.
Firenze fu la prima città in Italia in cui il CLN locale si impose come autorità militare e di governo effettiva e capace, tale da porsi come interlocutrice diretta delle forze alleate. La città si era liberata da sola, all’ingresso degli alleati le autorità cittadine erano già insediate da quattro giorni ed erano operative. Sebbene gli alleati avessero una loro lista di nominativi cui assegnare le cariche cittadine (noti esponenti dell’aristocrazia fiorentina, alcuni dei quali compromessi col fascismo), nel succedere al governo provvisorio decisero di riconoscere come valide le disposizioni di questo. Quando il 16 agosto ebbe termine il governo provvisorio del CTLN, il Comitato rimase in carica come organo rappresentativo della cittadinanza <35. Nel frattempo non si arrestava la battaglia per respingere i tedeschi, che il 15 agosto erano giunti sino in Piazza San Marco. Ma nei giorni successivi i partigiani guadagnarono terreno verso le Cure, Rifredi e San Domenico, e altre brigate riuscirono a entrare in città. I tedeschi a poco a poco si ritiravano, e verso il 27 agosto cessarono i bombardamenti, almeno sul centro. Le truppe alleate presero il sopravvento. Il 31 agosto i nazisti lasciavano l’ospedale di Careggi, estremo lembo della città occupato e presidiato nei giorni precedenti. Il 7 settembre, conclusi i combattimenti nelle immediate vicinanze della città, il Governo Militare Alleato sciolse le forze militari del CTLN con una cerimonia solenne tenutasi presso la Fortezza da Basso. La Resistenza a Firenze era finita.
I caduti antifascisti nei combattimenti dal 3 agosto al 2 settembre furono 205, i feriti 400, i dispersi 18. Complessivamente nella provincia di Firenze i caduti, fra partigiani, deportati e fucilati per rappresaglia furono circa 1530 <36.
1 Per una trattazione esaustiva, cfr. PALLA M., Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze, Olschki, 1978, e GABRIELLI P., Antifascisti e antifasciste, in PALLA M. (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, Roma, Carocci, 2006, vol. I, pp. 11-83.
2 PERONA G., La Toscana nella guerra e la Resistenza: una prospettiva generale, in PALLA M. (a cura di),
Storia della Resistenza in Toscana, vol. II, Roma, Carocci, 2009, pp. 69-71.
3 PIERACCINI P., Guerra, liberazione ed epurazione a Firenze, 1939-1953. Un caso esemplare: il corpo dei vigili urbani, Firenze, Giampiero Pagnini Editore, 1997, p. 90.
4 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., p. 95.
5 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., pp. 90 e segg. Si veda inoltre MAZZONI M., La Repubblica
Sociale Italiana in Toscana, in PALLA M. (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, cit. pp. 147-187.

6 PERONA G., La Toscana nella guerra e la Resistenza, cit., pp. 95-98. È rilevante ricordare che i principali fattori che nel tempo determinarono crescita e radicamento dei gruppi furono le condizioni locali e la presenza di esponenti autorevoli, oltre al peso della tradizione politica e sociale. L’azione delle forze politiche, in particolare del Partito d’Azione e del Partito Comunista, ma anche delle organizzazioni repubblicane, cristiano-sociali e anarchiche, rese poi possibile la maturazione del movimento partigiano in vera e propria struttura militare antifascista, coordinata prima dai Comitati interpartiti e successivamente dal CTLN.
7 SPINI V., Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale di fronte al al problema della ricostruzione, in ROTELLI E. (a cura di), La ricostruzione in Toscana dal CLN ai partiti, vol. I, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 67-68.
8 QUAZZA G., voce Comitato di liberazione nazionale in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, vol. I, Milano, La Pietra, 1968, pp. 602-603.
9 COSATTINI A., Voce Corpo volontari della libertà in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, vol. I, Milano, La Pietra, 1968, p. 678.
10 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., pp. 84-86.
11 SPINI V., Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, cit., p. 69.
12 VERNI G., La Resistenza armata in Toscana, in PALLA M. (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, vol. 1, Roma, Carocci, 2006, p. 206.
13 Ivi, p. 222.
14 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., p. 150.

15 Ivi, pp. 152-157. Il 7 giugno il Partito d’Azione dovette affrontare la cattura dei componenti del servizio “CoRa”: Enrico Bocci, Luigi Morandi, Gilda Larocca, Carlo Campolmi, Franco Gilardini, Guido Focacci. Morandi morì in ospedale per le ferite d’arma da fuoco, gli altri furono portati a “Villa Triste”, torturati e interrogati per diversi giorni. Il fatto si concluse con la sommaria fucilazione di Italo Piccagli, Pietro Ghergo, Dante Romagnoli, Ferdinando Panerai, e inoltre Anna Maria Enriques Agnoletti, e un altro prigioniero di cui non si conosce l’identità. Nonostante il durissimo colpo, furono rapidamente trovati nuovi locali e attrezzature per la trasmissione radio, e il 17 giugno i contatti furono ripristinati.
16 VERNI G., La Resistenza armata in Toscana, cit., pp. 243-245.
17 RAGGHIANTI C.L., Disegno della Liberazione italiana, Firenze, Vallecchi, 1975, pp. 156-157.
18 PIERACCINI P., Guerra, liberazione ed epurazione a Firenze, cit, p. 110.
19 ISRT, fondo Nello Niccoli, b. 1, filza 3, cc. 65-66.
20 PIERACCINI P., Guerra, liberazione ed epurazione a Firenze, cit, p. 108.
21 ISRT, fondo Nello Niccoli, b. 1, filza 3, c. 70.
22 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., pp. 228-229.
23 Per un approfondimento e una trattazione puntuale e completa dello svolgimento di tali trattative cfr. FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., pp. 230 e segg.
24 PIERACCINI P., Guerra, liberazione ed epurazione a Firenze, cit,Ivi, pp. 119-120.
25 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., pp. 265-267.
26 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, citcit.,pp. 261-262.
27 VERNI G., La Resistenza armata in Toscana, cit., p. 266.
28 SPINI V., Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, cit., p. 72.
29 VERNI G., La Resistenza armata in Toscana, cit., p. 267.
30 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., pp. 270-273.

31 Ivi, pp. 275-277.
32 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit., pp. 279-280.
33 Ivi, p. 283.
34 Ivi, p. 285.
35 FRANCOVICH C., La Resistenza a Firenze, cit.,p. 287.
36 Ivi, pp. 290-291.

Alice Fazzari, L’archivio di Nello Niccoli. Inventario (1924-1977), Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2015/2016