Fu allora che iniziarono le prime fughe di antifascisti dalla Liguria

Nizza: il porto

L’esilio antifascista si connota per il suo legame con l’emigrazione di massa in Francia tra le due guerre, assumendone e rielaborandone caratteristiche, percorsi, modalità di installazione. Tale fenomeno ha radici nell’emigrazione politica della fine degli anni Dieci, conseguente alla repressione delle lotte operaie del biennio rosso. La sorveglianza sempre più sistematica degli oppositori da parte del regime fascista alimentò gli espatri oltralpe dai primi anni Venti fino alla Seconda guerra mondiale, seppure con ritmi e fasi differenti. I primi a fuggire dall’Italia furono sindacalisti, militanti di base, piccoli quadri di partito che si erano compromessi nelle battaglie sociali del primo dopoguerra. Questa ondata popolare fu seguita dall’espatrio dei veri e propri leader politici. Dal 1926 infatti, con l’emanazione delle leggi eccezionali, i partiti soppressi dal fascismo ricostituirono all’estero gli organi dirigenti, privilegiando come sede d’esilio la capitale parigina (Nota 1).
Riformando la Direzione generale di pubblica sicurezza, l’apparato di repressione del regime si potenziò ed estese oltre i confini italiani, per sorvegliare l’attività dei fuoriusciti e delle comunità emigrate (Nota 2).
Accanto alle figure di spicco dell’Aventino, che ebbero un ruolo simbolico e reale nell’esilio antifascista, espatriavano masse di persone comuni: gli antifascisti erano coinvolti insieme alle loro famiglie, con dinamiche strettamente connesse all’emigrazione economica. Questo fuoriuscitismo popolare era un prodotto della modernità, della politicizzazione di massa, delle guerre e dei totalitarismi del Novecento (Nota 3). Il legame tra migrazione economica e politica è infatti tipico dell’emigrazione antifascista in generale, un legame che nello specifico presenta peculiarità regionali e locali (Nota 4). In tal senso la Liguria si rivela un caso interessante in quanto regione di confine, dove la mobilità transalpina è una tradizione locale (Nota 5). Il contesto ligure-francese consente infatti di mettere a fuoco continuità e simmetrie con l’emigrazione di prossimità, e di valutare l’influenza delle nuove reti politiche nell’incanalarne o deviarne le direttrici.
All’indomani della Grande guerra, la Francia divenne il principale bacino di accoglienza dell’emigrazione italiana, economica e politica. Infatti l’emigrazione oltreoceano si ridimensionò largamente, in conseguenza della recessione statunitense del dopoguerra, e la chiusura nazionalista americana si riversò con particolare veemenza sulla colonia italiana, all’epoca della vicenda Sacco e Vanzetti (Nota 6). Si optò allora per la meta francese, una scelta che trovava le sue ragioni strutturali nel contesto socio-economico di Italia e Francia del primo dopoguerra. All’indomani del conflitto il governo francese si ritrovava in una disastrosa situazione demografica, che comprometteva la ricostruzione, mentre l’Italia usciva dalla guerra provata dalla disoccupazione, dalla crisi rurale e dal peso demografico. Si erano create cioè le premesse per una complementarietà di interessi tra i due paesi che aprì la strada ad accordi governativi per agevolare i flussi di manodopera italiana in Francia (Nota 7).
Anche nel caso ligure lo spostamento migratorio verso la Francia non si deve a semplici ragioni di vicinanza. Per i liguri infatti la prossimità non era mai stata un fattore determinante nella scelta delle destinazioni. Lo era stata piuttosto un’abitudine alla mobilità, praticata di generazione in generazione, che non poneva frontiere alle opportunità di crescita della comunità (Nota 8). Anche durante la cosiddetta grande emigrazione, la meta transalpina continuò a coesistere accanto alla preponderante scelta americana: si mantennero così più opzioni anche all’interno di una stessa famiglia. Fu il Ponente, per ovvie ragioni di vicinanza, a intrattenere più stretti legami con la Francia, e questa continuità si sarebbe manifestata anche nell’emigrazione ligure antifascista (Nota 9).

Dal dopoguerra all’avvento del fascismo: il tessuto antifascista popolare

Caratteristica dell’emigrazione ligure economica e antifascista fu sin dai suoi esordi la pluralità dei soggetti coinvolti per livello sociale e politicizzazione. Da un lato vi erano le campagne povere dell’entroterra, che spingevano all’emigrazione contadini e piccoli commercianti agricoli: per essi la mobilità era una strategia per alleggerire il carico dell’economica familiare, un fattore di riequilibrio della vita di paese (Nota 10), tanto più per le famiglie che subivano le conseguenze delle persecuzioni fasciste. Parallelamente i grandi poli industriali genovese, savonese e spezzino sprofondavano nella crisi all’indomani della Grande guerra, con la smobilitazione dell’industria bellica. La grave disoccupazione che ne seguì andò a colpire le classi lavoratrici urbane. È in questo contesto che maturò il movimento operaio ligure, mobilitandosi nei sindacati nelle grandi aziende e poi nelle campagne dei pendolari. Una tale politicizzazione di massa, legata all’intensa industrializzazione ligure voluta dallo Stato unitario, influì nel determinare un fuoriuscitismo popolare (Nota 11).
In Liguria si erano sviluppati movimenti sociali differenziati, in relazione anche alla frammentarietà del territorio, cosa che avrebbe inciso sul diverso dispiegarsi delle reti migratorie locali. La sinistra genovese era legata al socialismo riformista, che organizzava i lavoratori portuali e gestiva i rapporti con il padronato. La frazione comunista prevaleva invece nelle zone industriali, nella Valpolcevera e sulla costa di Ponente, dove forti erano anche anarchici e sindacalisti (Nota 12). A Porto Maurizio primeggiavano i riformisti, a Oneglia i comunisti. Savona, principale centro comunista in Liguria, assieme al Vadese e alla Val Bormida era caratterizzata dal tessuto industriale urbano e da un movimento operaio combattivo. A La Spezia l’Unione Sindacale Italiana, di ispirazione libertaria, dava voce ad un radicato movimento anarchico (Nota 13).
Fu dopo il successo socialista alle elezioni del 1919 che il fascismo cominciò ad attecchire in Liguria. Nell’estate 1920 le squadre d’azione si diedero ad un’intensa attività di organizzazione, anche se di fatto in Liguria il movimento si sviluppò meno rapidamente che altrove (Nota 14). Nonostante le prove di resistenza dei lavoratori liguri (Nota 15), nell’agosto del 1922, tra le ultime regioni del paese, la Liguria cadeva sotto i colpi del fascismo. Le municipalità socialiste erano delegittimate e iniziava la repressione padronale con licenziamenti di massa, le formazioni di camicie nere davano il via a persecuzioni contro gli organizzatori dei moti popolari in città e in campagna, mentre i dirigenti politici subivano arresti, violenze, esecuzioni sommarie. Intanto famiglie intere pagavano le conseguenze delle rappresaglie del costituendo ordine fascista (Nota 16).

I primi flussi degli anni 20: sindacalisti e militanti di base a Nizza e Marsiglia

Fu allora che iniziarono le prime fughe di antifascisti dalla Liguria. Come nel resto del paese, le partenze erano cominciate già durante l’occupazione delle fabbriche e così i primi a lasciare la regione furono sindacalisti e militanti di base. Si trattava di uomini compromessi politicamente e come privati cittadini, “sovversivi” additati pubblicamente. Si comprende allora l’implicazione della vita privata e familiare, turbata da irruzioni, angherie, licenziamenti fatali per la sussistenza domestica. Le esigenze di mettersi in salvo e di assicurare un lavoro al capofamiglia andavano ad alimentare un’emigrazione antifascista intrecciata a quella economica (Nota 17).
È difficile distinguere nettamente tra migrazione politica ed economica. A livello qualitativo gli storici sono ormai d’accordo nel considerare l’emigrazione antifascista come fenomeno in gran parte popolare legato ai flussi economici di massa. Più incerta rimane la stima quantitativa, soprattutto per la discordanza delle fonti (Nota 18). Tuttavia gli studi focalizzati su reti locali e sull’uso di fonti differenti restituiscono un quadro più articolato del fenomeno. L’intreccio di fonti italiane e francesi mette in luce la compenetrazione di vari progetti migratori e la loro evoluzione a contatto con la società di accoglienza. Inoltre le fonti private, e specialmente la corrispondenza, restituiscono una preponderante dimensione familiare della migrazione politica, nella mobilità, nei rapporti mantenuti con la comunità di partenza, nell’immaginario. Il fuoriuscitismo antifascista è così collocato nel suo contesto politico ma anche migratorio, e studiato attraverso categorie proprie della storia sociale e della gente comune (Nota 19).
I primi espatri erano fughe frettolose, gestite privatamente da piccoli gruppi locali, dettate dall’urgenza del momento. In tali condizioni di precarietà ci si poteva appoggiare soltanto a solidarietà già strutturate, poiché di fronte al precipitare degli eventi i movimenti popolari non riuscivano ancora a mobilitarsi. I pionieri sfruttarono così le preesistenti reti migratorie intessute dalle comunità locali, fatte di vincoli di amicizia, parentela, vicinato (Nota 20). Ci si dirigeva nelle aree di maggiore concentrazione ligure, dove il savoir-faire migratorio delle comunità di provenienza poteva guidare correndo meno rischi: Nizza e Marsiglia.
Per comprendere le dinamiche migratorie degli antifascisti liguri è importante riferirsi alle loro reti economiche articolate in Francia. Tradizionalmente insediati tra Marsiglia e Tolone, fra le due guerre i liguri si erano approssimati al confine italiano, installandosi nelle Alpi Marittime e in particolare a Nizza. Fino alla Grande guerra Marsiglia era stata la prima destinazione italiana in Francia e i liguri vi figuravano tra le principali comunità regionali, ma a partire dagli anni Venti venne scalzata da Parigi. Non fu però così per i liguri, che predilessero la migrazione di prossimità (Nota 21). Vi fu sì un fuoriuscitismo ligure nella regione parigina, ma si trattò di una minoranza sperimentata, perlopiù urbana, indirizzatavi dai partiti. La gran parte dei liguri si installò piuttosto a Nizza, dove in epoca fascista gli italiani raggiunsero il 25% della popolazione. I legami tradizionali con Marsiglia, seppur minoritari, non vennero però allentati dai liguri ed anzi sarebbero stati alimentati da un filone ben determinato per appartenenza politica e provenienza regionale.

La Spezia: la rete anarchica nel Var e nelle Bouches-du-Rhône

Nello Spezzino gli espatri oltralpe avvennero fin dai primi tempi dell’affermazione dello squadrismo. Nella primavera del 1921 il movimento anarchico locale ne fu investito con particolare veemenza. Il fascismo recuperava Sarzana “la perduta”, percepita nell’immaginario dell’epoca come avamposto irriducibile di un anarchismo ribelle e sanguinario. Le violenze di massa culminarono nei noti fatti del 21 luglio, momento di spartiacque che segnò l’inizio di un esodo spontaneo con l’avvio dei processi agli antifascisti (Nota 22).
I primi spezzini a lasciare la regione espatriarono tra il 1922 ed il 1923, un’emigrazione antifascista precoce in Liguria che presentò caratteristiche piuttosto omogenee fin dai suoi esordi: si tratta di un gruppo di militanti locali di spicco legati all’anarchismo dell’anteguerra (Nota 23). Il personaggio di maggiore levatura politica, capo carismatico, fu Ugo Boccardi, il “Ramella” che già alla fine del 1922 prese clandestinamente la via della Alpi. Dopo una tappa provvisoria in Costa Azzurra, dettata probabilmente dalla prossimità, si spostò a Marsiglia e a La Seyne-sur-Mer, nel vicino dipartimento del Var; non era forse un caso che si installasse proprio nel Marsigliese, che aveva accolto le personalità più celebri dell’esilio anarchico italiano nella belle époque (Nota 24). Grazie al suo ascendente e alle capacità organizzative Boccardi fece di La Seyne un punto di ritrovo dell’anarchismo spezzino, attraendo nuovi esuli dal paese natale e stabilendo una rete transnazionale in grado di mobilitare uomini, risorse, aspettative (Nota 25). Già nella prima metà degli anni Venti un folto gruppo di antifascisti spezzini, perlopiù anarchici, si insediò tra Marsiglia e La Seyne, dando vita ad una colonia dalla spiccata identità regionale e politica (Nota 26). Negli anni successivi e per tutti gli anni Trenta la filiera spezzina di La Seyne avrebbe continuato a nutrirsi di nuovi arrivi, richiamati dalla comune ascendenza libertaria e dalla volontà di ricongiungersi ai familiari (Nota 27). Il Marsigliese diventava una seconda patria per gli anarchici della Lunigiana.
Anche la Costa Azzurra costituì un punto di riferimento per molti spezzini in fuga […]

Savona: l’antifascismo popolare a Nizza, la rete socialista di Pertini, i quadri comunisti a Parigi

Anche dalla provincia di Savona l’antifascismo meno organizzato seguì le rotte della mobilità economica. Come nel resto della regione, i primi esuli si diressero nelle regioni francesi dove già erano installate colonie liguri. Si tratta dell’esperienza di fuoriusciti poco noti nella provincia, dove la memoria dell’emigrazione antifascista è legata alla preponderante figura di Sandro Pertini. Ma in effetti non furono i leader gli iniziatori del fuoriuscitismo savonese, quanto piuttosto militanti di base, perlopiù comunisti dei paesi del Vadese. Qui il radicato movimento dei lavoratori aveva portato a duri scontri con l’apparire delle prime spedizioni squadriste. Similmente allo Spezzino, anche nel Savonese fu un episodio in particolare a destare l’impressione dell’opinione pubblica: l’uccisione del fascista Andrea Prefumo alle celebrazioni del 1 maggio 1922. Ne seguirono aggressioni e rappresaglie e infine un processo che segnò la nascita del primo flusso di esuli (Nota 34). Questi pionieri si diressero nel Nizzardo e vi crearono una rete di conoscenze ancorate alla comune provenienza, capace di attrarre altri compaesani. Non pochi riuscirono già dai primi anni a ricongiungersi con mogli e figli all’estero e non furono rari i casi di matrimoni interni alla piccola comunità savonese immigrata (Nota 35).
Parallelamente si stabilivano in Francia anche migranti dell’entroterra, simpatizzanti meno coinvolti nelle lotte dell’epoca. Si installavano nel Nizzardo o nel Tolosano e tendevano a raggrupparsi secondo vincoli di parentela più che di affinità politica (Nota 36). Intanto vi era anche chi partiva per destinazioni antiche, come il socialista Giuseppe Scarrone, l’industriale altarese che portò l’arte vetraia del suo paese a Rio de Janeiro realizzando un progetto di “sogno americano”. Evidentemente negli anni pionieristici del fuoriuscitismo l’emigrazione oltreoceano destava ancora aspettative nei perseguitati politici (Nota 37).
Tra la fine degli anni Venti e nel corso degli anni Trenta vediamo consolidarsi l’emigrazione antifascista savonese, nel vicino Nizzardo ma anche nel Marsigliese e nel Var. […]

Genova: anarco-sindacalisti nel Sud-Est, comunisti a Parigi

Il fuoriuscitismo genovese è legato all’esperienza di quadri di partito, alcuni dei quali avrebbero avuto parte attiva nella costruzione della Prima repubblica. La loro emigrazione si situa nel flusso dei capi politici che scelsero la via dell’esilio all’indomani della proclamazione delle leggi fascistissime del 1926. Ciò non toglie che anche nel Genovese si siano verificate emigrazioni precedenti. La prevalenza della corrente riformista in Genova aveva in una certa misura mitigato le spedizioni squadriste, ma non fu così per il Ponente sestrese, dove anarchici e sindacalisti rivoluzionari furono presi di mira dai fascisti già dal 1921. Fu tutta una serie di operai, attivissimi militanti di base, a nutrire i primi flussi d’esilio. Come altrove, molti di essi scelsero la Francia, ma rimase ancora battuta la via delle Americhe (Nota 47).
Tra le figure maggiori del fuoriuscitismo genovese il primo a espatriare fu Giovanni Battista Canepa, avvocato benestante di Chiavari, allora esponente di spicco del socialismo, poi del partito comunista (Nota 48). La sua intensa attività di propaganda gli attirò le mire squadriste e già nel 1924 dovette rifugiarsi a Parigi, dove fu messo in contatto con i maggiorenti del partito. Attraverso Sandro Pertini poté partire alla volta della Spagna rossa e alla fine degli anni Trenta giunse a Marsiglia, dove si installò con la moglie e si inserì tra i socialisti immigrati. A quel tempo il movimento antifascista locale era visto dall’Ovra come «il più noto e pericoloso della Francia», anche per il sostegno garantitogli dalle autorità locali filo-socialiste (Nota 49). I contatti tra Marsiglia e la Liguria erano solidi e negli anni del Fronte popolare accorsero nel Marsigliese responsabili liguri socialisti, comunisti, militanti di Gl, allora alleati. Evidentemente ai vertici del partito le reti a volte si allargavano attraversando le strutture micro-regionali (Nota 50).
Da Genova si mosse anche un’emigrazione massonica borghese, che si legò agli ambienti repubblicani e di Gl a Parigi (Nota 51). La figura più nota è quella di Raffaele Rossetti, tra i fondatori del movimento Italia libera, collaboratore stretto di Pacciardi, Schiavetti e Salvemini e poi dirigente di Gl con Rosselli, Lussu, Cianca e Tarchiani, infine cofondatore della Giovine Italia assieme a Facchinetti (Nota 52).
Fu solo più tardi che prese forma il flusso genovese più politicizzato di matrice comunista, quando il Pcd’I locale fu falcidiato dagli arresti nella seconda metà degli anni Venti. Raffaele Pieragostini, Emilia Belviso e il marito Attilio Tonini, Agostino Novella e Amedeo Ugolini sono solo i nomi più noti di tutta un’emigrazione comunista di estrazione urbana e popolare che si diresse quasi esclusivamente a Parigi. La capitale francese attirava in massa i comunisti più politicizzati dalla Liguria, in particolare da Genova e Savona. L’organizzazione fortemente centralizzata del Pcd’I canalizzava i percorsi dei suoi elementi più sperimentati, in quegli anni Trenta in cui il partito e le sue associazioni di massa erano ormai compiutamente strutturate e onnipresenti nelle comunità immigrate (Nota 53).
Giungevano poi da Genova a Parigi comunisti meno inseriti negli organismi di partito, che partivano anche con progetti economici familiari. Spesso le famiglie comuniste riuscivano a riunirsi nella capitale, agevolate dalla politica francese che privilegiava l’arrivo di interi nuclei. È nota nella memoria locale la storia della famiglia Diodati, che visse a Parigi con i numerosi figli, futuri protagonisti della resistenza in Francia e in Italia (Nota 54). Meno conosciuta è la vicenda dei Martini, che giunsero a Parigi fuggendo dal fascismo ma anche per realizzare una piccola impresa pasticcera nel quartiere di Montmartre, e che avrebbero partecipato alla resistenza parigina accanto ai Diodati e ai Pajetta (Nota 55).
Vi furono poi ancora casi di famiglie antifasciste che seguirono più rotte migratorie, differenziando i percorsi a seconda delle opportunità via via offertesi. Vi fu chi lasciò Nizza e i parenti lì emigrati per aprire un’attività più redditizia a Parigi o ancora chi dalla Francia si installò in America (Nota 56). Altri si ritrovarono in una stessa zona d’arrivo per motivi differenti, politici o di lavoro (Nota 57). C’era poi chi si installava nell’Algeria francese mentre altri familiari restavano in Francia o in Italia (Nota 58). Poteva capitare addirittura che un ramo della famiglia fosse coinvolto nell’emigrazione antifascista e un altro in quella coloniale al servizio dello stato fascista (Nota 59). […]

Imperia: un’emigrazione di gente comune in Costa Azzurra

Il caso imperiese si presenta molto più omogeneo rispetto alle altre province liguri. Si tratta in generale di un’emigrazione protesa verso la confinante Costa Azzurra, nutrita da contadini, giardinieri, piccoli commercianti agricoli, domestiche che si muovevano secondo le dinamiche dell’emigrazione di lavoro. Se si eccettua infatti il caso di un leader di fama nazionale come Giuseppe Amoretti, il fuoriuscitismo imperiese fu un fenomeno largamente popolare e contadino, legato al transnazionalismo locale. Qui non si verificarono veri e propri eventi separatori che segnarono l’inizio dei flussi in Francia. Espatri e rimpatri nel vicino Nizzardo erano stati costanti nelle vicissitudini delle famiglie coinvolte, dove gli elementi più anziani avevano già fatto esperienza di emigrazione oltralpe all’inizio del secolo, rimanendovi anche in modo definitivo (Nota 60). Si muovevano cioè su un territorio a loro familiare, sapevano valutare le opportunità offerte e godevano di conoscenze che agevolavano l’impiego, la socializzazione, l’inserimento e l’uso della lingua (Nota 61). […]

Emanuela Miniati, Antifascisti liguri in Francia. Caratteristiche e percorsi del fuoriuscitismo regionale, in «Percorsi Storici», 1 (2013)