Genova dà il via all’insurrezione

“Che l’inse?” (Chi comincia?) motto genovese gridato dal ragazzo di Portoria, soprannominato Balilla, che il 5 dicembre 1746, lanciando il sasso, diede il segnale della rivolta contro i tedeschi.

Alle quattro del mattino i primi colpi di fucile. Subito dopo, le raffiche di mitraglia. Alle cinque, sempre più frequenti, i colpi di cannone e di mortaio.
Alle dieci, il palazzo del comune, la questura, le carceri di Marassi, i telefoni sono in mano del popolo in rivolta. Le Sap si sono moltiplicate. Ai predisposti quattro comandi di settore – Sestri Ponente, Val Polcevera, Genova Centro, Albaro Nervi – è un continuo affluire di nuove squadre che, lì per lì, si costituiscono con le armi tolte ai repubblichini.
Dei fascisti non rimaneva che la Decima Mas in porto. I tedeschi apparivano disposti all’estrema resistenza per mettere in atto, secondo i piani, il ripiegamento.
Abbattuti alcuni pali a traliccio, la circolazione ferroviaria, lungo la costa e verso il Piemonte, risultava interrotta e intralciava i movimenti delle truppe germaniche in ritirata. I ferrovieri avevano smontato alcune bielle e valvole delle locomotive per impedire, al momento critico, anche la trazione a vapore.
Nella notte, qualche colonna tedesca era riuscita a lasciare il centro della città, ma qui rimaneva ancora il grosso delle forze.
Durissima la battaglia al centro, in piazza De Ferrari: dove trecento tedeschi furono dispersi, 3 canoni conquistati, esplosi due autocarri carichi di munizioni. I ragazzi delle squadre cittadine erano andati all’assalto contro i cannoni anticarro che sparavano con l’alzo a zero.
Sempre quella mattina, la banda di Raffe, un manovale di Pré, ripulì dai tedeschi la parte vecchia della città. Altro durissimo scontro alla sera contro una colonna superiore di forze, che cercava di aprirsi la via verso il Nord: la via fu sbarrata e i tedeschi dovettero rientrare nel porto, unendosi ai reparti di marina, che vi stavano asserragliati.
Episodi d’incredibile coraggio. Pittaluga vide – in vico Casana – un partigiano sparare gli ultimi colpi, quando già fegato e viscere stavano uscendo dal ventre squarciato.
Estrose azioni delle Sap tagliavano intanto la corrente elet­trica e l’acqua ai presidii nemici, riuscendo a non disturbarne l’erogazione al resto della città e alle forze patriottiche.
Gli abitati di Sestri Ponente, Cornigliano, Pontedecimo, Bolzaneto, Rivarolo, Quarto e Quinto erano caduti fin dal mattino del 24, in mano agli insorti. Mancava, tuttavia, la continuità territoriale fra le loro posizioni e il centro cittadino.
Dopo il tentativo del mattino, fallito in piazza De Ferrari, un’altra colonna tedesca cercò, nelle prime ore del pomeriggio, d’attraversare la città. Attaccata dai patrioti, riusciva a sfondare, ma era fermata sopra Principe, dove peraltro ingrossava il nucleo che già vi resisteva.
A ponente: da Sampierdarena telefonano che i tedeschi hanno catturato una ventina di donne e bambini in ostaggio e minacciano d’ucciderli, se i patrioti non daranno via libera. I medici avvertono che la situazione è insostenibile: i  feriti aumentano d’ora in ora; non ci sono più letti; i tedeschi premono da ogni lato. Sulla camionale per Milano le colonne nemiche, bloccate nelle gallerie, tentano sortite: non possono più a lungo restare prive d’acqua.
A levante: da Sturla telefonano che il ponte resiste a ogni costo, e non c’è modo di stabilire un contatto con le forze patriottiche di Quarto e di Quinto.
La sera del 24 si chiude in una cupa atmosfera. La guerriglia nel centro della città si poteva dire terminata. Ma nuclei di resistenza nemici permanevano all’Istituto Idrografico della Marina, a Principe, in Albaro, in via Giordano Bruno: in mano nemica erano il porto, lo spiazzo della camionale, la fortezza di San Benigno e Belvedere. A ponente, resistevano le batterie d’Arenzano, nuclei di fanteria a Voltri, all’Ilva di Prà, nella munita Villa Raggio e a Coronata (le due ultime posizioni sbarravano il collegamento fra la periferia di ponente e il centro). In Val Polcevera, nuclei nemici presidiavano ancora alcune gallerie della camionale, e le alture di San Quirico e della Murta. A levante i tedeschi difendevano strenuamente il ponte di Sturla, la Villa Eden di Nervi e le batterie pesanti di Monte Moro.
La situazione era ancora più tragica, per la precisa e categorica minaccia che, dal Comando di Savignone, inviava il generale Meinhold: aprire il fuoco su Genova con le batterie pesanti di Monte Moro e con quelle leggere del porto,  qualora non si lasciassero evacuare in ordine le truppe tedesche.
Gli americani avevano appena raggiunto La Spezia, distanti dunque più di cento chilometri: cento chilometri della vecchia Aurelia, con i contrafforti del Bracco, delle Grazie e della Ruta, con oltre cinquecento curve e cinquanta ponti o viadotti. Le brigate partigiane dei monti avrebbero potuto giungere in città nella migliore delle ipotesi non prima del pomeriggio del giorno seguente.
Fin dalla sera innanzi il Comitato era conscio del rischio che accadesse a Genova quel che era successo a Varsavia; ora se ne profilava un altro: che una ripresa tedesca riuscisse così sanguinosa come quella verificatasi, sia pure per poche ore, durante l’insurrezione di Parigi.
Adesso però – a differenza della sera prima – non c’era più il problema di fidarsi o meno della parola del nemico; adesso il Comitato poteva trattare in termini di forza: aveva nelle sue mani un numero cospicuo di prigionieri tedeschi, non meno di settecento. Qualcuno diceva addirittura mille. Perciò decide d’inviare una lettera-ultimatum al gen. Meinhold: porta il timbro del Comitato di Liberazione Liguria.
Nella notte, il prof. Stefano parte per Savignone su di un’autoambulanza della Croce Rossa. Ha con sé la lettera del CLN e quella del cardinale Botto.
Ore quattro del mattino, Gian Paolo Novara, Gianni Dagnino – comandanti di squadra DC – ritirano dalla sede del CLN sten e bombe a mano e partono con l’ordine di conquistare l’altura di Granarolo, dove sta l’impianto della radio.
Alba del 25 aprile: riprende la battaglia, praticamente in tutta la città.
Ore nove: le Sap di Sestri, dopo ripetuti, sanguinosi attacchi, espugnano il Castello Raggio. Si stabilisce così il collegamento fra le delegazioni del Ponente e il centro cittadino.
Ore nove e trenta: si arrendono i presidii di Voltri e di Prà.
Ore nove e quarantacinque: si arrendono le batterie di Arenzano.
Fra le nove e trenta e le dieci e trenta: le Sap conquistano Piazza Acquaverde (ma non la Stazione Principe), le caserme di Sturla, l’ospedale di Rivarolo e alcuni punti di resistenza in Val Polcevera. Intanto il dottor Romanzi arriva a Savignone, consegna le due lettere al gen. Meinhold. Dopo un rapido esame della situazione, sulla base delle telefonate che giungono dalla città, il generale decide di recarsi a Genova per trattare la resa. Quale sede delle trattative viene scelta la residenza provvisoria del card. Boetto e di Mons. Siri, Villa Migone (San Fruttuoso).
Ore dodici: Dagnino e Novara comunicano che i giovani Enzo Martino e Gianni Baget Bozzo, a capo d’un pugno di ardimentosi, sfidando il fuoco incrociato delle batterie tedesche di Principe e di San Benigno, hanno raggiunto la stazione radio sull’altura di Granarolo. I mortai tedeschi del porto non riescono – per il gioco delle traiettorie – a battere la stazione, anche se ne tengono sotto tiro ogni via di accesso.
Ore tredici: le Sap espugnano, con gravissime perdite, il ponte di Sturla.
Ore tredici e trenta: il gen. Meinhold e i suoi accompagnatori, giunti con il professor Stefano in città, si rifugiano nella galleria della Lanterna (o della Cava). Quindi, scortati da due partigiani in motocicletta, si recano a Villa Migone, dove si trova già il console tedesco Von Ertzdorf.
Ore diciassette: iniziano le trattative di resa. Rappresentano il CLN Giovanni e Parini.
Ore diciassette e trenta: un grosso contingente dei reparti acquartierati nel porto (i repubblichini della X Mas, i territoriali tedeschi, ma non i mortai della Marina germanica) si arrendono ai partigiani.
Ore diciotto: rimangono ancora in mano tedesca, oltre le postazioni dei mortai nel porto, la stazione Principe, l’altura di San Benigno, alcune piazze e strade in Albaro, l’albergo Eden di Nervi e Monte Moro con le sue batterie.
Ore diciannove: da Savona Carlo Russo telefona che anche là sono insorti: «Parecchi caduti, fra i quali il carissimo amico Ronzello, ma la città è ormai quasi interamente in mano nostra». Primo a entrarvi è stato Lelio con i suoi uomini.
Ore diciannove e trenta: firma, a villa Migone, dell’atto di resa dei tedeschi. Prevede l’entrata in vigore per le ore 9 del giorno successivo (26 aprile).
Prima che la resa venisse firmata si era fatta la conta dei militari tedeschi prigionieri degli insorti della città: 1360. Numerosi altri sono stati e saranno catturati dai partigiani che stanno calando dalla montagna.
Ore ventiquattro e trenta: il colonnello Davidson, comandante in capo delle missioni alleate, giunge alla sede del CLN. Su di un’Appia, impavido nel frastuono della guerriglia, lo ha portato Leo.
Giovedì 26 aprile. Ore quattro e trenta: mediante un parziale sblocco dei telefoni (in mano ai partigiani) il gen. Meinhold trasmette da Villa Migone l’ordine di resa dei presidii tedeschi che ancora resistono: il capitano della Marina germanica Berninghaus si oppone all’ordine del generale e ne dichiara in nome del Fuhrer la condanna a morte.
Continueranno dunque a combattere i reparti di marina che da lui dipendono: i mortai del porto e quelli pesanti di Monte Moro.
Ore 7 circa: il colonnello aiutante di campo del gen. Meinhold si suicida a Villa Migone.
Ore 9: Pittaluga, superando lo sbarramento dei mortai del porto, raggiunge la stazione radio di Granarolo e dà l’annuncio ai genovesi e al mondo: «Genova è libera. Genova è libera: popolo genovese esulta! Per la prima volta nella storia di questa guerra un corpo d’esercito si è arreso dinanzi alle forze spontanee di un popolo: il popolo genovese».
Ore nove e quarantacinque: dalla radio, Pittaluga si reca in Prefettura per insediarvi l’avv. Errico Martino (Parini) designato prefetto dal CLN Liguria. Nell’anticamera dell’ufficio prefettizio s’incontra con due ufficiali tedeschi che erano venuti ad annunciare ufficialmente la condanna a morte del gen. Meinhold e il bombardamento della città con i mortai del porto e di Monte Moro.
La risposta di Pittaluga: – Abbiamo più di mille prigionieri. Non ci costringete a trattarli come criminali di guerra.
Mezzogiorno del 26: giungono al CLN notizie inquietanti. Due reggimenti germanici, in ritirata da La Spezia, hanno raggiunto Rapallo. Che cosa accadrà a Genova se riescono a stabilire i collegamenti con gli assediati di Monte Moro e del porto? Anche Genova, dunque, come Varsavia?
Non passa gran tempo che buone notizie sopraggiungono, scavalcano, alfine disperdono e annullano le cattive.
Fra le 13 e le 18, i partigiani della Cichero e della Pinan Cichero si attestano nei punti nevralgici della città; rinforzando o sostituendo i sapisti. Prendono possesso del centro; vincono le ultime resistenze della Marina tedesca in porto. Intanto altre forze partigiane della montagna tengono saldamente in mano i passi della Bocchetta, dei Giovi, della Scoffera e di Uscio: da qui scendono a bloccare la via Aurelia fra Rapallo e Nervi. Così la colonna tedesca proveniente dalla Spezia si frantuma, si assottiglia, si dissolve.
Ore 19: una interminabile schiera di prigionieri tedeschi sfila per il centro cittadino, inquadrata dai partigiani in armi.
Ore 19,15: dove sarà la Quinta Armata? – si chiede Davidson.
– Perché non telefonare a Chiavari o a Rapallo? – propone Leo – La linea funziona.
Si chiama Rapallo:
– Avete visto gli americani?
– Certo. Che cosa c’è?
– Lascia stare il perché. Andate e pescatene uno, uno qualsiasi. – Pausa. Poi da Rapallo una voce inequivoca:
– What do you want?
Così Davidson e il CLN apprendono dove si trova la Quinta Armata con il suo comandante. Non aveva incontrato ostacoli sul Bracco. Ponti e viadotti intatti. Occupata Chiavari, saliva sulle Grazie, scendeva a Zoagli, giungeva a Rapallo.
– Sono dunque vere le notizie che emette radio Genova libera? Proprio tutte vere? – si chiede Almond, comandante dell’Armata. La risposta gliela dà la telefonata di Davidson.
Con la strada aperta dai partigiani, le avanguardie angloamericane arrivarono a Nervi nella tarda serata del 26 aprile, dieci giorni prima del tempo previsto dai piani.
Era con loro Cevedali, lo scettico della Normale di Pisa, ora capitano di collegamento. Fu lui a riferire che gli alleati non riuscivano a capacitarsi come mai i tram camminassero e la città vivesse ordinata sotto il governo del CLN.
Il giorno successivo – alle ore 13 del 27 aprile – il generale Almond, comandante in capo della Quinta Armata americana, rese per primo visita al CLN, nell’Hotel Bristol. Teneva in mano un mazzo di fiori. Il gesto era un po’ goffo. Ma gli uomini del Comitato, incalliti da venti mesi di guerra, induriti dalle ottanta ore insonni dell’insurrezione, si commossero.
Paolo Emilio Taviani, Pittaluga racconta: romanzo di fatti veri (1943-45), Genova, Ecig, 1988

Le truppe tedesche, nell’aprile, erano ancora bene armate e, per quanto lo spirito non fosse più quello degli anni trascorsi, i loro ufficiali non concepivano neppure la possibilità di dover scendere a patti con dei borghesi e dei popolani in armi. Invece fu questo il risultato a cui si giunse, dopo due giornate di vivacissima lotta. La sera del lunedì 23 aprile, le autorità fasciste fuggivano dalla città. Il generale germanico Meinhold faceva sapere al Cardinale Arcivescovo che le truppe tedesche avrebbero abbandonato la città e la provincia in quattro giorni, che non l’avrebbero distrutta, se non in qualche impianto bellico, purchè avessero potuto attuare indisturbati i loro movimenti.
Chiamato dal Vescovo Mons. Siri per ricevere questa comunicazione, io gli feci subito presente che il Comitato di Liberazione non avrebbe potuto accettare alcuna formula di trattative con i tedeschi, poiché troppi esempi scottanti si avevano della malafede nazista.
Comunicai ogni cosa a Martino e tosto convocammo d’urgenza il Comitato e il Comando Regionale. L’uno e l’altro erano composti di persone ricercate attivamente dalle S.S. e che vivevano da mesi alla macchia, cambiando continuamente abitazione, quando non addirittura i connotati. La formula prevista per la convocazione definitiva consisteva nell’avvertire ogni membro che era giunto il momento di aprire una busta sigillata in suo possesso, e di recarsi alla chiesa dedicata al Santo effigiato nell’immagine contenuta nella busta stessa. L’immagine era di San Nicola, e il Comitato si radunò in quel Collegio, nel quale già aveva svolto, venti mesi innanzi, alcune delle sue prime sedute cospiratorie. La riunione del Comitato ebbe inizio alle ore 21 del lunedì 23 aprile. Toccò a me – per il normale turno fra i partiti – la presidenza della seduta. Erano presenti Gabanizza, Cassiani Ingoni, Martino, Toni e Loi. Pessi ci raggiunse all’alba del 24. E sempre nel mattino del 24, si ricongiunse con noi Faralli, sfuggito alle carceri di Marassi.
La seduta – nella sera del 23 e nelle prime ore della notte fra il 23 e il 24 aprile – non fu tranquilla.
A un primo esame della situazione non tutti erano concordi sulla necessità di iniziare l’azione.
Non si dibattevano questioni politiche, ma soltanto questioni di opportunità tattica. Alla fine, poco prima dell’una di notte, il Comitato decise l’azione. Il piano operativo A, predisposto per l’insurrezione cittadina dal Comando di Piazza, agli ordini del Comando Regionale, fu immediatamente posto in atto. Fra le quattro e le cinque del mattino si udirono nella città le prime fucilate. Poi – come quando una miccia raggiunge un carico di esplosivo – l’insurrezione divampò.
Alle dieci del mattino del 24 aprile il Palazzo del Comune, i Telefoni, la Questura, le Carceri di Marassi erano in mano del popolo in rivolta. Le squadre di azione patriottica (SAP), che si prevedevano forti di circa 3000 uomini, erano diventate improvvisamente di 5, lO, 20 mila uomini. Ai predisposti quattro comandi di settore – Sestri Ponente, Val Polcevera, Genova Centro, Albaro, Nervi – era un continuo affluire di nuove squadre che, lì per lì, si costituivano con le armi tolte ai fascisti e ai militari dell’esercito repubblichino. Tutto il popolo genovese si era armato: vecchi, adulti, ragazzi.
Genova acquistava coscienza della sua fierezza, e compiva gesta che, dall’età di Balilla, le sue strade, i suoi vicoli più non conoscevano.
Dei fascisti, ormai, non c’era più neppure l’ombra; nessuno, proprio nessuno, aveva avuto il coraggio di opporre la benchè minima resistenza; ma, se i fascisti erano spariti, non erano spariti i tedeschi, che si mostravano disposti all’estrema resistenza, pur di mettere in atto, ordinatamente, secondo i loro piani, il ripiegamento.
Paolo Emilio Taviani, Breve storia dell’insurrezione di Genova, Roma, OPI, 1968

Alla vigilia dell’insurrezione il Comando militare regionale ligure (1) poteva contare complessivamente su 18 mila partigiani ripartiti in 11 divisioni (oltre alle 40 brigate SAP della città) dislocate in quattro zone. (2)
Il piano operativo A prevedeva che l’azione in città dovesse impegnare tutte le brigate SAP con il concorso di aliquote di partigiani provenienti dalla montagna. Il Comando Piazza aveva diviso la città in quattro settori operativi e precisamente:

Si trattava in tutto di 3100 uomini, insufficientemente armati, con scarse munizioni, ma animati da grande spirito combattivo. All’insurrezione della città dovevano concorrere le unità di montagna, della VIa zona, più vicine e precisamente le brigate “Severino,” “Balilla,” “Pio,” “Umberto” e “Buranello.”
Queste erano ben armate e ottimamente inquadrate, disponevano di grande quantità di munizioni, anche in seguito ai lanci effettuati dagli Alleati. Di fronte ad esse stava un possente schieramento di forze nemiche, complessivamente tra Rapallo e Varazze a levante e a ponente di Genova sono concentrati 30 mila tedeschi e fascisti con artiglierie e carri armati, di cui 600 tedeschi lasciati in città per la difesa ad oltranza, 800 dislocati nella zona del Passo dei Giovi tra Savignone e Campomorone sotto il comando del generale Meinhold e del col. Amers, altri mille uomini della marina tedesca situati a Nervi al comando del capitano di vascello Beminghaus, altri 1500 accantonati a Uscio, forze imprecisate situate ad Albaro, all’Istituto idrografico e nella zona occidentale, oltre ad efficienti batterie di artiglieria appostate nei forti di Belvedere, Coronata, Granarolo, S. Ilario e a Monte Moro alla periferia della città, in complesso una cinquantina di bocche da fuoco tra cui alcuni pezzi da 381 e da 152. Truppe fasciste: 1500 marinai ben armati della Xa flottiglia Mas al comando del capitano di vascello Asillo, 1500 brigatisti neri per la difesa del porto, altri 600 brigatisti “antipartigiani” capitanati da un certo Pisano, 1400 uomini dell’esercito repubblichino, duemila bersaglieri posti a difesa delle opere costiere tra Bolzaneto e Arenzano.

Sin dal 15 aprile il transito della rotabile 45 (Genova- Bobbio-Piacenza) era già quasi completamente controllato dalle formazioni partigiane; tutte le puntate tedesche tendenti ad alleggerire la pressione partigiana ed il blocco delle vie di comunicazione erano fallite ed il nemico aveva subito dure perdite.
Nei giorni precedenti l’insurrezione le azioni ed i colpi di mano dei patrioti si erano moltiplicati anche in città. Di particolare importanza il sabotaggio mediante il brillamento di una bomba, della portaerei “Aquila” che i tedeschi avrebbero voluto affondare all’imboccatura del porto per ostruirne l’accesso. Il colpo effettuato dai patrioti provocò lo sbandamento della portaerei sul fianco destro riducendola all’immobilità.

Al mattino del 23 il Comando militare regionale ligure, informato della imminente offensiva decisiva alleata, si riuniva clandestinamente in via Napoli 36, proclamava lo stato d’emergenza e lo sciopero generale provocando l’arresto di tutti i treni, delle linee elettriche e dell’intera rete telefonica. Il generale Meinhold, tramite il console tedesco fece sapere all’arcivescovo Siri la sua decisione di evacuare la città effettuando un pacifico trapasso di poteri. Chiedeva quattro giorni di tempo per organizzare la ritirata, durante i quali le autorità ecclesiastiche avrebbero dovuto garantire che le truppe tedesche non sarebbero state attaccate dai partigiani. In cambio i tedeschi si impegnavano a rinunciare alla distruzione degli impianti portuali e industriali.
Il CLN ligure, informato dalla Curia, rifiutò di trattare col nemico e trasmetteva a tutte le formazioni l’ordine dell’insurrezione (applicando il predisposto piano A) per le ore 19 del giorno stesso ed inviava al Comando della Vlla zona operativa una comunicazione urgentissima:

Il Comando Zona deve immediatamente, col mezzo più celere: 1) impartire l’ordine alle formazioni “Buranello,” “Pio,” “Balilla” e “Severino” di mettersi agli ordini del Comando Piazza di Genova. Le formazioni “Umberto” e “Virgola” devono premere sulle forze avversarie nella zona Uscio-Chiavari per agganciarle e impedire il loro afflusso in città. La “Buranello” d’accordo col Comando Piazza deve scendere sopra Voltri e puntare sul centro di Sestri. Il distaccamento “Pio” scendendo su Pontedecimo in collaborazione con le forze SAP agirà verso Bolzaneto – Rivarolo e puntando su Sampierdarena la investirà ad occidente, mentre la “Balilla” scendendo a Belvedere dovrà infilarsi fra il colle Granarolo e lo Sperone per arrivare a piazza Di Negro. Le forze SAP faciliteranno tale compito occupando la Galleria della Certosa. 2) Il Comando Zona dia immediatamente disposizione alle brigate garibaldine “Jori” e “Banfi” e alle divisioni “Chichero,” “Pinan” e “Mingo” perché si avvicinino agli obbiettivi della città. Il Comando Zona mantenga i più rapidi collegamenti col Comando militare regionale e lo tenga continuamente informato degli avvenimenti. (3)


Nella notte del 23 i partigiani e i Gappisti attaccano il nemico nei suoi fortilizi alla Darsena, a Ponte dei Mille e a Ponte Eritrea, liberano i prigionieri politici dalle carceri di Marassi e iniziano il combattimento in parecchi punti della città. Le formazioni dell’esercito repubblichino non oppongono resistenza, sin dall’inizio si disgregano, in gran parte i militi si danno alla fuga indossando abiti civili, in parte si arrendono, alcune aliquote di bersaglieri passano attivamente dalla parte dei patrioti.
I partigiani occupano la prefettura, la questura, il municipio, la sede del Secolo XIX. I tedeschi oppongono ancora una debole resistenza, più che altro allo scopo di coprire la loro ritirata.
Nelle prime ore del 24 le truppe tedesche tentano di evacuare la città, ma alle 6 del mattino, in base a quanto predisposto dal piano A, le SAP cittadine passano all’attacco; i tedeschi colpiti e braccati da tutte le parti sono costretti a rinunciare al tentativo di sgombero, si ritirano nei loro fortilizi concentrandosi in alcuni punti di resistenza.
Aspri combattimenti si sviluppano a Mele, Voltri, Arenzano, Cornigliano, S. Benigno, Bolzaneto, Rivarolo, Pontedecimo, ai Cantieri del Tirreno, a piazza di Negro, al Righi, in via Corsica, alla Foce, ad Albaro, a Sturla, a Quarto ed a Nervi ove si trovano assediati i principali nuclei di resistenza tedeschi.
Tutta Genova è nelle strade, donne, uomini, ragazzi partecipano alla battaglia servendosi di qualsiasi arma. Di ora in ora alle brigate SAP viene ad aggiungersi una massa sempre più grande di lavoratori che, prelevate le armi nelle caserme dei brigatisti neri in fuga, partecipano attivamente all’insurrezione.
Vengono via via liberati i centri industriali di Cornigliano (la resistenza è piuttosto vivace a Villa Reggio e alla Coronata), di Pontedecimo, di Rivarolo, Bolzaneto, Certosa e Sampierdarena. La guerriglia infuria accanita nel centro della città, al porto, all’Istituto Idrografico, a piazza Principe e a Di Negro. I tedeschi cercano di sfondare il cerchio di ferro che i partigiani stringono attorno a loro; ma appena qualche reparto riesce a sfuggire alla morsa, è attaccato lungo le strade dalle finestre, dai tetti, da ogni angolo.
Le squadre d’azione della brigata “Bellucci” comandata da Primiano Marollo (Mario) attaccano l’Hotel Bristol in via XX Settembre sede del Comando tedesco e le due casematte poste a sua difesa. La battaglia divampa furiosa per alcune ore, i colpi di fucile e di mitraglia crepitano da tutte le parti, poi i tedeschi tentano la fuga dalla parte opposta dell’albergo, in via Vemazza. La manovra è presto scoperta; il comandante della “Bellucci” lascia metà dei suoi uomini a continuare il fuoco davanti all’Hotel Bristol, mentre egli va ad appostarsi con gli altri dietro la fontana di piazza De Ferrari. Non tardano a comparire undici camion carichi di SS e di funzionari del Comando tedesco; giunti nei pressi della fontana vengono investiti da una valanga di fuoco. Tre autocarri stivati di armi e munizioni saltano in aria, gli altri tentano la fuga bloccando la salita del Fondaco e sparando all’impazzata, ma sono costretti ad arrendersi da un fìtto lancio di bombe a mano.
Il distretto militare viene occupato senza lotta, mentre invece i tedeschi rinchiusi nella caserma Andrea Doria si difendono con vigore e si arrendono soltanto dopo due ore di duro combattimento. Anche a Nervi le truppe di marina asserragliate all’Albergo Eden oppongono vivace resistenza prima di arrendersi. La caserma Ilva dove sono accantonati reparti della guardia nazionale fascista viene occupata dopo cruenta battaglia; fu questo uno tra i pochi reparti fascisti che si batterono sino all’ultimo col coraggio della disperazione. In quest’attacco la brigata “Beliucci” e i popolani ebbero numerosi morti.
Un intero rione popolare combatte a fianco dei partigiani contro reparti tedeschi barricati nell’ospedale Duchessa di Galliera, la stessa cosa avviene a Staglieno ove un gruppo di artiglieri si difendeva dall’assalto della popolazione del quartiere.
Una banda di brigatisti neri travestiti da partigiani riesce a penetrare nelle sedi della questura e della prefettura tentando di disarmare le SAP poste a difesa, ne nasce un violento combattimento che si conclude rapidamente con la vittoria dei patrioti. Nel tardo pomeriggio un parlamentare tedesco chiede di essere ricevuto dal CLN. Si tratta di un colonnello che dice di comandare il presidio tedesco di via Pozzo, probabilmente è mandato dal generale Meinhold ehe tenta ancora, se gli è possibile, ottenere di poter ritirarsi con le sue truppe. Viene ricevuto dai membri del CLN. (4) Uno di essi, Mariani, conduce la discussione.

Colonnello tedesco: chiedo a quali condizioni mi è permesso di raggiungere i Giovi con le mie truppe.
Mariani: dovete arrendervi senza condizioni. Vi garantiamo nel modo più assoluto che sarete trattati come prigionieri di guerra.
Colonnello: abbiamo ancora la possibilità di fare saltare interi rioni e le attrezzature industriali.
Mariani: se i tedeschi commetteranno ancora un atto ostile verso la città saranno considerati criminali di guerra e come tali passati immediatamente per le armi.
Colonnello (lamenta che la popolazione sia insorta e che ci si trovi senza una via d’uscita).
Mariani: i tedeschi hanno una via d’uscita, arrendersi senza condizioni.
Colonnello: i partigiani che scendono dai monti sono comunisti o badogliani?
Mariani: sono soldati della libertà.
Colonnello: i partigiani col fazzoletto rosso appartengono alle formazioni del PCI o del PSI?
Mariani: il fazzoletto rosso è il distintivo delle brigate garibaldine.
Colonnello: cercherò di mettermi a contatto col mio comando e spiegherò il pericolo che incombe su di noi.
Mariani: non possiamo garantire, date le operazioni in corso, neppure un allacciamento telefonico col suo comando.
Colonnello: parlerò subito con i miei uomini. Desidererei prima, com’è naturale, conferire col mio comandante superiore.
Mariani: non è da escludersi che stanotte i partigiani attacchino il presidio di via Francesco Pozzo.
Colonnello: ma io non sono un alto comandante, non posso decidere.
Mariani: non ci sono più alti comandanti. Berlino è caduta nelle mani dell’esercito sovietico.
Colonnello: la guerra è perduta, lo so, per noi tedeschi è finita.


Anche la Curia insiste perché il CLN accetti la proposta del generale Meinhold; che in caso contrario minaccia di fare bombardare e distruggere la città. Il CLN respinge sdegnosamente e all’unanimità la proposta e risponde che se i cannoni avessero sparato su Genova, avrebbe considerato i diecimila soldati e ufficiali tedeschi prigionieri come criminali di guerra e li avrebbe trattati di conseguenza.
Accettare la proposta del generale tedesco avrebbe voluto dire permettere alle sue truppe di ritirarsi liberamente e piombare alle spalle dei patrioti e dei partigiani combattenti a Torino e a Milano.
Il generale Meinhold chiedeva allora su quali basi il CLN era disposto a concordare la resa, ancora una volta gli venne risposto: resa senza condizioni e cioè cessione di tutte le armi, resa dei soldati e degli ufficiali quali prigionieri di guerra.
In seguito agli sviluppi della situazione, la battaglia insurrezionale è praticamente vinta, alla sera del 24 il CMRL trasferisce la sua sede alla Certosa di Rivarolo e assume direttamente il Comando delle operazioni insurrezionali con l’obbiettivo di accelerarne la conclusione.
A tarda sera il comando della Xa Mas del Porto si arrende. Durante la notte continuano i combattimenti, ma è un susseguirsi di annunci di fortilizi nemici che capitolano.
Al mattino del 25 vengono sgominati gli ultimi nuclei di resistenza nel centro di Voltri e alle ferrovie Ilva di Pra, così pure le posizioni tenute dai tedeschi a Erzelli e Bozoli. La brigata “Buranello” dopo aver attaccato con i mortai un convoglio tedesco, fa il suo ingresso a Sestri Ponente. Si arrendono i presidi nazisti di Bolzaneto e Rivarolo. Resistono ancora alcuni nuclei a Coronata, alla Murta, ai Barabini, a S. Quirico, al forte Belvedere, sulle alture di S. Benigno ed a Sampierdarena.
Nel settore Genova centro le truppe asserragliate all’Istituto Idrografico R. Marina si arrendono mentre nuclei di tedeschi e della Xa Mas continuano a battersi a Di Negro ed a Principe.
Le formazioni brigatiste “antipartigiane” sono completamente sbaragliate e il loro comandante ten. Pisano, catturato, si uccide gettandosi da una finestra.
Le unità partigiane della IVa Zona che il giorno prima hanno liberato La Spezia prima dell’arrivo della 92“ divisione americana, occupano Sassello e Ovada. Si combatte anche a Savona. Ventimiglia e S. Remo vengono liberate dalla divisione garibaldina “Felice Cascione” mentre altre unità accorrono ad Imperia dove infuria il combattimento tra la popolazione insorta ed i nazifascisti.
Nella zona a nord-est di Genova i partigiani occupano Crocefischi e Pasignone. Un’accanita battaglia si sviluppa a Molassana dove 250 tedeschi si battono disperatamente. Vengono frattanto liberate Pontedecimo, S. Quirico e Uscio. I GAP e le SAP si impossessano saldamente del sobborgo Staglieno controllando così quasi tutta la grande Genova.
Le strade dei Giovi, il Turchino, la Bocchetta e la camionabile sono già occupate da forti formazioni partigiane (dalle brigate “Oreste,” “Arzani,” dalla divisione “Pinan Cichero” e da altre unità), le truppe tedesche npn hanno più via d’uscita, il loro accerchiamento in città è ormai completato.
Nel pomeriggio il generale Meinhold si decide finalmente alla resa e fa sapere a mezzo del console tedesco barone von Hesso Etzdorf e del console Scmidt di essere disposto a scendere in città per le trattative.

L’incontro tra le parti avviene nella Villa Migone del cardinale Boetto a San Fruttuoso e l’atto di resa incondizionata è firmato alle ore 19,30 del 25 aprile dal generale Gunther Meinhold assistito dal capo di S. M. Asmus da una parte e da Remo Scappini (5) assistito dall’avv. Enrico Martino e dal magg. Mauro Aloni comandante la piazza di Genova, per il CLN.

L’accordo doveva entrare in vigore alle ore 9 del 26. Le direttive di Hitler e della Wehrmacht imponevano però ai soldati ed agli ufficiali tedeschi di “morire sul posto di combattimento” e di uccidere chi avesse cercato di arrendersi al nemico. Nell’intento di applicare tali direttive, appena fu a conoscenza dell’atto di resa, il capitano di marina, il nazista Max Beminghaus riuniva immediatamente un raccogliticcio tribunale straordinario formato da alcuni generali, che condannava a morte come “traditore” il maggior generale Gunther Meinhold. Il comando delle truppe, che ripresero a combattere, fu affidato al capitano Berninghaus.
Intanto le unità partigiane provenienti dalle montagne impegnando violenti combattimenti liberano Novi, Tortona, Broni, Busalla, Ronco e tutto il retroterra genovese catturando migliaia di soldati tedeschi. Verso sera i primi distaccamenti partigiani giungono in città liquidando gli ultimi nidi di resistenza.
Il 26 capitolano anche i caposaldi nemici che ancora resistevano a Di Negro ed a Principe. Nel pomeriggio vi è un ritorno di fiamma, l’azione tedesca per ordine di Berninghaus ha ripreso con un certo vigore e coordinamento. Una colonna mista della marina tedesca e della Xa Mas affiancata da reparti alpini, complessivamente duemila uomini, che già si era allontanata da Nervi, sta ritornando sui suoi passi puntando su Genova. La colonna viene prontamente attaccata dai partigiani della brigata “Severino” e da aliquote della brigata “Sori.” Una parte delle truppe tedesche fa marcia indietro puntando su Uscio e l’altra si asserraglia nei grattacieli della Foce. Vengono intavolate trattative con i comandi di dette truppe che fanno sapere di essere disposti ad arrendersi all’indomani, come difatti avvenne.
Max Berninghaus si porta nella zona del porto e precisamente a Ponte dei Mille – ove reparti tedeschi continuano a resistere – e valendosi anche dell’appoggio di alcuni reparti della Xa Mas riesce a fare disporre sui fondali 73 grosse casse magnetiche dimostrando così di essere deciso a distruggere il porto e la città. Ma le brigate partigiane non danno tregua e nonostante le forti, dolorose perdite rinnovano gli attacchi uno dopo l’altro. Si tratta di riuscire ad impedire il criminoso disegno del Berninghaus. Finalmente anche costui fu costretto a piegarsi alla forza delle cose e ad accettare la resa. La grande battaglia per il salvataggio del porto era terminata.


L’insurrezione a Genova aveva raggiunto tutti i suoi obbiettivi, e apportato un notevole contributo alla battaglia decisiva che si combatteva più a nord. “Due divisioni tedesche che avrebbero potuto ritirarsi sul Po, difendere Milano e Torino e organizzarsi poi sull’Adige venivano invece distrutte e disperse da un popolo in armi e dai partigiani. Le divisioni tedesche del Piemonte rimanevano isolate e più facilmente potevano essere battute dai forti contingenti partigiani delle Langhe e delle Alpi.”

Genova: Ponte Monumentale di Via XX Settembre

Fonte: Fondazione Gramsci
Fonte: Fondazione Gramsci
Fonte: Fondazione Gramsci


Alla sera del 26 la città era completamente libera ad eccezione del diaframma S. Benigno-Piazzale della Camionale, Forte Belvedere e del caposaldo di Monte Nero dove però già erano in corso trattative di resa.
Nel tardo pomeriggio del 26 le truppe alleate giungevano nella zona di Rapallo ed in serata il CMRL riusciva a mettersi in comunicazione telefonica con la 92“ divisione americana.
I quattro giorni di battaglia insurrezionale costarono ai partigiani ed ai patrioti di Genova 400 morti e 850 feriti; furono catturati 6000 prigionieri tedeschi e fascisti in città e 12 mila in montagna.

Fonte: Fondazione Gramsci

Pietro Secchia, Aldo dice: 26 x 1. Cronistoria del 25 aprile 1945, Feltrinelli, 1963, pp. 68-76

Note

(1) II Comando militare regionale ligure nel corso della lotta subì, a causa degli arresti, diverse trasformazioni, ma alla vigilia della insurrezione, dal febbraio 1945, risultava così composto: generale Enrico Martinengo (Durante) indipendente, comandante generale, Carlo Farini (Manes) [anche Simon] del PCI, vicecomandante, Giovanni Trombetta (Tornasi) del Partito d’Azione, vicecomandante, Egidio Feralasco (Costa), della DC, da Ferdinando Croce (Jack) del Partito liberale, da Rinaldo Mereta (Naldi) del Partito repubblicano, dall’avv. Costante Bianchi (Vasco) del Partito socialista sostituito in seguito da Carlo Olivari (Gotelli) del PSI.

(2) Le quattro zone erano cosi ripartite:

VI Zona
a nord di Genova, settore a cavallo dello Scrivia e del Trebbia, delineato grosso modo dalle località Arenzano-Sassello-Ovada- Novi-Tortona-Bobbio e Chiavari. Nella zona operavano complessivamente 7200 partigiani ripartiti in sei divisioni (“Cichero,” “Pinan Cichero,” “Mingo,” “Aliotta,” “Lombardia,” “Gramsci,” “Giustizia e Libertà,” “Matteotti,” “Oltre Po Pavese,” le ultime tre agivano a nord verso il Po) e tre altre unità: la brigata “Caio,” la brigata G.L. “Umberto” e il battaglione “Val Bisagno”. Comandante della VI zona era il col. Miro (Ukmar).
IV Zona
(zona de La Spezia tra le rotabili del Passo Bocco, rotabile 62 e 1 centro della zona: Monte Gotero) vi operavano due divisioni, complessivamente 2500 uomini. Comandante della IV zona il col. Cossu.
II Zona del Savonese con una sola divisione (“Bevilacqua”) ed una brigata autonoma “Sambolino,” forza complessiva 1400 uomini. Comandante della zona il col. Testa. Al momento dell’inizio dell’insurrezione passeranno alle dipendenze della II zona le brigate delle Langhe ed una di “Giustizia e Libertà” con una forza complessiva di 800 uomini.
I Zona, comprendente il territorio imperiese ed anche la zona di Albenga. Vi operavano due divisioni, “Bonfante” e “Cascione” con una forza complessiva di 2.700 uomini. Comandante della zona è il col. Curto.
Comando Piazza di Genova alla cui testa è il col. Violino dispone di una quarantina di brigate SAP.

(3) La comunicazione è firmata per il Comando militare regionale ligure dal col. Manes (Carlo Farini).

(4) Sono presenti i membri del CLN ligure: avv. Enrico Martino, Cassiani Ingoni, Paolo Emilio Taviani, Gabanizza, il gen. Martinengo, Secondo Pessi. Il colloquio è stato stenografato dalla segretaria del CLN Jenni.

(5) Remo Scappini, operaio nato a Empoli il 1° febbraio 1908, responsabile del triumvirato insurrezionale della Liguria e presidente del CLN della provincia di Genova.

(6) Paolo Emilio Taviani, Genova ha dato il primo segno dell’insurrezione, “Il Ponte” n. 3 giugno 1945.

(7) Dalla relazione riassuntiva degli avvenimenti che hanno condotto alla liberazione della città di Genova, fatta dal CMRL il 10 maggio 1945, firmata dal gen. Enrico Martinengo e dai comandanti Carlo Simon Farini e Giovanni Trombetta.

Fonte dei testi soprastanti e delle immagini, non diversamente indicate: Sito Comunista

Partigiani della Brigata SAP Pinetti a Genova nei giorni della Liberazione – Fonte: Fondazione Gramsci

Completiamo la traduzione della Parte IV del Report on N. 1 Special Force Activities, during April 1945 iniziata nel fascicolo n. 3 1949 della Rassegna, e riportiamo integralmente la traduzione delle Parti V, VII e X e parzialmente, per ciò che pare interessare più direttamente la Resistenza Italiana, la Parte VIII. Rimandiamo, per le informazioni sul documento, alla Nota introduttiva pubblicata sul precedente fascicolo.
[…]
f) Genova e l’area intorno alla città.
Per i seguenti obiettivi la necessità di precedenza fu portata a conoscenza delle nostre Missioni, con richiesta di piani dettagliati per la loro protezione:
1) il porto di Genova;
2) la strada e le comunicazioni ferroviarie con il retroterra di Genova;
3) le centrali e in particolare quelle che alimentano la città e il porto di Genova e le strade ferrate che si dipartono dalla città;
4) tutti i servizi di pubblica utilità.
Le attività di contro-sabotaggio per il porto di Genova furono le seguenti:
1) Furon fatti tentativi per scoprire i dettagli dei piani di demolizione preparati dal nemico. Mediante l’ausilio di agenti si vennero a conoscere la collocazione delle cariche esplosive, i previsti affondammenti di navi a scopo di ostruzione, i criteri di sorveglianza e i sistemi per entrare nel porto dalla terra e dal mare.
2) Il 18 aprile fu fatto un tentativo di affondare la nave Aquila, destinata a scopi di ostruzione, nella sua sede di ancoraggio. L’operazione fu progettata dal Royal Navy e messa in atto in collaborazione con il personale italiano di immersione, provvisto da questo Q. G. Una torpedine fu disposta sotto la chiglia dell’«Aquila», ma non era evidentemente sufficiente per affondare la nave che era carica di pietre e di altra zavorra.
3) Ai primi di aprile un ufficiale italiano dello Stato Maggiore del Q. G. tedesco in Genova fu catturato, e una considerevole massa di informazioni sul porto fu ottenuta da lui. Egli fu trasportato con un aereo il 25 aprile per essere interrogato dal Royal Navy, ma arrivò troppo tardi perchè la sua deposizione potesse essere di alcun valore per ciò che si riferiva a questo settore nemico. I dettagli ottenuti da lui furono in ogni modo di grande utilità per gli ufficiali sul posto.
4) Il 14 aprile un ufficiale del N. 1 Special Force raggiunse paracadutato la Missione nella zona di Genova, allo scopo di ottenere notizie e informazioni sul porto prima e dopo la liberazione. Questo ufficiale interrogò il prigioniero sopra menzionato.
5) Il 16 aprile una Missione italiana, composta da un ufficiale e da un radio operatore, raggiunse, paracadutata, la Missione nella zona di Genova. Essa aveva il compito di entrare nella città e fornire informazioni sulla città e il porto ed anche tenere i collegamenti con i gruppi S.A.P. e G.A.P. nella città.
6) Fondandosi sulle informazioni ottenute da varie fonti, i gruppi G.A.P. e S.A.P. progettarono dettagliatamente l’infiltramento nella zona del porto al momento in cui apparisse che il nemico preparava la ritirata, con il preciso intento di impadronirsi dei punti vitali e di evitare le distruzioni. In ciò sarebbero stati aiutati da alcuni lavoratori dei docks. A questo punto l’ufficiale superiore di collegamento nella zona, espresse l’opinione che la difesa del porto era un compito che avrebbe esaurito le risorse partigiane sino all’estremo e che se il nemico era veramente deciso a distruggerlo, solo una piccola parte di successo era da aspettarsi.
7) Riguardo alle comunicazioni stradali e ferroviarie, le brigate partigiane unificate vennero istruite dettagliatamente per impadronirsi delle posizioni chiave ad un dato momento e di rimuovere dai ponti le cariche di esplosivo immediatamente prima che fosse previsto che i tedeschi erano in procinto di farli saltare. Questi piani furon predisposti con cura e si previde che un largo successo avrebbe dovuto esser raggiunto.
8) Le formazioni partigiane unificate sulle montagne e i gruppi S.A.P. e G.A.P. in Genova si divisero i compiti per impadronirsi e difendere le centrali elettriche e i servizi di pubblica utilità. Dove l’occupazione di tali obiettivi appariva di difficile realizzazione, furono prese disposizioni per effettuare finte demolizioni o per rimuovere i macchinari più vitali.
I risultati raggiunti superarono ogni più ottimistica aspettativa.
In parte perchè la ritirata nemica era affare d’urgenza e in parte perchè, grazie al pronto intervento partigiano, pochi sforzi risoluti furon fatti dal nemico per effettuare le demolizioni.
Grazie alla determinazione dei partigiani di non concedere libera ritirata dalla città al nemico, ne furono impediti i movimenti lungo le rotabili e le ferrovie. Il nemico ritardò le distruzioni su queste linee di comunicazione nella speranza che la guarnigione della piazza di Genova potesse ritirarsi per mezzo di esse, dando così ampio modo ai Partigiani di dare esecuzione ai loro piani di contro-sabotaggio, cosa che essi fecero sfruttando l’occasione con ottimi risultati. Le uniche distruzioni stradali di cui si ebbe notizia avvennero sulla rotabile Genova-Savona.
Nella città stessa il fatto che il nemico si ritirò nella zona portuale consentì alle S.A.P. ed ai G.A.P. di occupare tutti gli impianti di pubblica utilità, di modo che entro poche ore tutti i servizi funzionavano normalmente in Genova.
Nel porto, sebbene il nemico fosse in grado di effettuare distruzioni notevoli, dato che esso era materialmente nelle sue mani, in pratica non ne furono fatti che pochi tentativi. L’ufficiale navale entrato nella zona ha già fatto il suo rapporto dal quale risulta che la maggior parte dei danni furono causati al porto dai bombardamenti alleati. Taluni danni relativamente lievi erano stati causati più recentemente e l’entrata principale era stata bloccata in parte da navi
colate a picco, lasciando solo uno stretto passaggio che la nave Aquila avrebbe dovuto chiudere. L’energica azione dei partigiani, unita alla incertezza del comandante tedesco, salvò il gran porto da una completa distruzione. Redazione, Il contributo della Resistenza italiana in un documento alleato: relazione sull’attività del N. 1 Special Force in Italia contemporanea (già Il Movimento di liberazione in Italia dal 1949 al 1973), n. 4, 1950, Rete Parri