Già durante la fase di non belligeranza italiana si palesò in Tunisia la diffidenza delle autorità francesi nei confronti degli italiani

A seguito della presa di potere del fascismo in Italia (1922), la collettività italiana in Tunisia fu sottoposta ad un processo di fascistizzazione delle istituzioni, per cui tutti i rappresentanti tradizionali della collettività vennero sostituiti con persone di fiducia del regime, processo che raggiunse il suo culmine con la conquista etiopica e la proclamazione dell’impero <21. La collettività italiana si lasciò influenzare molto dall’ideologia fascista, che si servì strumentalmente della questione della naturalizzazione forzata per i propri fini di propaganda, portando avanti l’argomentazione che il fascismo avrebbe restituito agli italiani l’identità perduta. La maggioranza degli italiani aderì dunque al fascismo, ad esclusione dell’élite borghese; in seguito iniziò a strutturarsi l’opposizione antifascista, con l’arrivo in Tunisia di esuli antifascisti e con la creazione nel 1930 ad opera di Giulio Barresi della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (L.I.D.U.), corrispondente a quella creata a Parigi con il nome di L.I.P.U. L’impegno di Barresi contro il regime si attuò anche attraverso la diffusione della stampa antifascista: il primo giornale antifascista, da lui fondato fu «L’Italiano di Tunisi» (1936-1939), che si faceva portavoce dell’idea che l’italianità non passava attraverso il fascismo.
Negli anni ’40 si creò a Tunisi anche il primo gruppo comunista, che fondò una propria testata chiamata «Il Giornale» (1939), diretta da Giorgio Amendola e Velio Spano, e collegata con il comitato comunista tunisino, partito alla cui fondazione avevano contributo anche alcuni italiani.
21 J. Bessis, La Méditerranée fasciste. L’Italie Mussolinienne et la Tunisie, Karthala, Paris, 1981.
Stefania Milella, Gli italiani all’estero: breve storia della comunità italiana in Tunisia in The Lab’s Quarterly, 2004, VI, 3 (luglio-settembre)

Nel frattempo anche sul versante antifascista la difesa della propria «italianità» era una delle preoccupazioni fondamentali. L’attaccamento all’identità nazionale italiana fu una caratteristica dell’intera comunità, come ha rivelato nel corso di un’intervista qualche anno fa, una delle figure più autorevoli dell’antifascismo italiano in Tunisia negli anni trenta, l’on. Nadia Gallico Spano, la quale sottolinea come «gli Italiani di Tunisia erano molto legati alla vicina Italia […] erano sempre attenti a difendere la propria italianità attraverso la cultura ed il lavoro». Tuttavia, la preservazione dell’italianità non confuse l’azione politica del fronte antifascista. La propaganda mossa dal Consolato verso la fine degli anni venti, non convinceva gran parte dell’opinione pubblica italiana. Il consenso nei confronti delle autorità consolari della colonia italiana si stava progressivamente affievolendo. Ciò trova conferma nell’analisi della collettività italiana nelle cinque regioni della Reggenza, tra il 1930 e il 1931, in cui traspariva un’adesione al fascismo essenzialmente ridotta. La penetrazione propagandistica riguardava pressoché esclusivamente la capitale e non interessò l’interno del Paese, nonostante vi risiedesse un’importante percentuale di italiani che lavorava nell’agricoltura e nel commercio. In moltissime aree della Tunisia non esisteva alcuna organizzazione di carattere fascista, come ad esempio ad Hammam Lif, cittadina poco lontana da Tunisi, dove risiedevano molti italiani di origine siciliana o ad Hammamet, a sessanta chilometri da Tunisi, dove la popolazione italiana, originaria di Lampedusa e Pantelleria, viveva di pesca e non si interessava per nulla alla politica fascista, al punto che in alcuni casi gli stessi rappresentanti consolari rinunciarono a far propaganda <21.
[…] L’antifascismo italiano, riferendo gli orrori che il «regime» perpetrava anche nel corso della «riconquista» della Libia, coglieva l’occasione di mostrare all’opinione pubblica internazionale l’Italia fascista nel suo ruolo di stato aggressore, squalifi candola agli occhi del mondo <29 .
Il malumore delle autorità consolari, secondo quanto segnalava il console Bombieri, era inoltre ravvivato dal consistente flusso migratorio refrattario al fascismo, che giungeva in Tunisia diffondendo informazioni sulla situazione italiana che non collimavano con le dichiarazioni ufficiali. Il Consolato italiano non perse occasione per attaccare gli oppositori sia tramite il ricorso alla violenza sia attraverso la riorganizzazione e il controllo delle strutture istituzionali della comunità <30 .
In questo quadro giocò a favore dell’Italia fascista la questione dei tunisini naturalizzati, i «musulfranc», che infi ammò la Tunisia nei primi anni trenta, poiché si innescò una «entente cordiale» tra fascisti italiani e nazionalisti tunisini, visto che la LIDU non era in grado di comprendere la dimensione religiosa del caso <31. Si trattò, tuttavia, di un accordo temporaneo poiché il riavvicinamento tra nazionalisti e antifascisti iniziò nel 1934, anno di nascita del Néo DESTOUR <32.
La durissima repressione scatenata nel biennio 1934-35 dal Residente generale Peyrouton nei confronti delle manifestazioni di protesta dovuta al malessere socio-economico del Paese, arginò l’attività antifascista per qualche tempo <33.
Dirigenti nazionalisti, comunisti, sindacalisti e antifascisti furono arrestati e deportati nel sud della Tunisia a Bordj Le Boeuf o espulsi dal Paese. Fu un momento estremamente difficile per il movimento antifascista, anche per il legame che si era ricucito con il nazionalismo tunisino verso cui le autorità francesi dimostrarono totale intransigenza.
In questo clima di energica repressione, l’antifascismo fu capace di reagire in virtù soprattutto dell’apporto comunista. All’interno del movimento comunista tunisino, la componente italiana si era messa in evidenza grazie al manifesto di condanna dell’invasione fascista dell’Etiopia scritto da due giovani militanti: Maurizio Valenzi e Loris Gallico <34.
L’atteggiamento di tutto l’antifascismo italiano in Tunisia fu fortemente critico verso un’impresa che tra l’altro poggiava sugli accordi italo-francesi del 1935, fondati sul «baratto italiano», ovvero la rinuncia di Mussolini alla protezione degli interessi della comunità italiana di Tunisia in favore dell’assenso francese alla corsa in Africa orientale.
[…] Con l’intento di contattare gli ambienti che si opponevano al fascismo, giunse in Tunisia anche il comunista Ambrogio Donini, che stilò un rapporto in cui, oltre a riassumere i contatti con le associazioni avversarie del regime, descrisse come l’unione antifascista nel Paese nordafricano avesse assunto la forma di una «piattaforma largamente democratica», ribadendo l’azione politica contro le «brigantesche pretese del fascismo italiano» (Mattone, 1978,
p. 96). Fu su queste basi che si prese la decisione di far nascere, il 5 marzo 1939, un nuovo quotidiano: «Il Giornale», che nella propria redazione contava figure di spicco del comunismo italiano, tra cui Giorgio Amendola, direttore, e Velio Spano, capo-redattore.
In questo contesto, alla fine di agosto del 1939, giunse inaspettata la notizia della fi rma del patto tedesco-sovietico. Sopraggiusero considerevoli difficoltà, tra cui l’immediata soppressione de «Il Giornale» per la rottura che si generò con il gruppo di finanziatori ebrei e l’inevitabile frattura in seno al fronte antifascista.
Socialisti, repubblicani, anarchici furono estremamente critici verso la fi rma del Patto, e nel corso di una riunione decisero congiuntamente per l’espulsione dei comunisti dalla LIDU, costituendo il Comitato Nazionale italiano <43.
Di conseguenza, anche la responsabilità del settimanale della Lega, l’Italiano di Tunisi, fu tolta a Loris Gallico (Sebag, 2001, p. 18). La fase aspramente critica in cui versò il comunismo italiano in Tunisia ci è stata descritta da Nadia Gallico Spano, che pochi anni fa confessò:
“Noi prendemmo la posizione che presero tutti i partiti comunisti nel mondo […]se l’hanno fatto una qualche ragione ci doveva essere e noi siamo andati alla ricerca di queste ragioni, anche se personalmente non le ho ancora comprese […] purtroppo l’unità delle forze antifasciste venne meno. La repressione che seguì si abbatté soprattutto sui compagni. Fu per me, Velio e gli altri compagni un momento di grandissima difficoltà”.
[NOTE]
21 AQO, Tunisia (1917-1940), b. 695, Ricerca effettuata dai servizi di polizia della Reggenza sulla situazione degli italiani, circolare n. 89, dal Commissaire Divisionnaire Garanger, Chef des Services Généraux al Directeur de la Sûreté Publique, 22 agosto 1931.
29 Il partito DESTOUR, in seguito a un appello lanciato nel maggio del 1931 dal Comitato esecutivo dei popoli musulmani di Cirenaica e Tripolitania, in cui si invitavano i musulmani di tutto il mondo a boicottare i prodotti italiani, esortava i musulmani dell’Africa del Nord a scuotere l’opinione pubblica occidentale tramite manifestazioni, dibattiti e incontri pubblici. Si veda AQO, Tunisia (1917-1940), b. 695, Rapporto: Politique italienne en Libye, répercussion en Tunisie.
30 Il timore che si estendesse una tendenza antifascista e che investisse tutta la comunità preoccupava sempre più le autorità consolari. Si avvertiva, dunque, la necessità di bloccare l’azione cospirativa del movimento antifascista, attraverso qualsiasi mezzo. Fu così che sembrò essere coinvolto in una storia di corruzione Vincenzo Serio, sospettato di aver ricevuto dall’allora direttore del giornale fascista, L’Unione, Achille Benedetti, una somma pari a 35.000 franchi per sabotare la LIDU. Il risultato fu l’interruzione della pubblicazione del giornale La Voce Nuova, che chiuse i battenti il 4 novembre 1933 e l’espulsione di Serio dalla LIDU.
31 Il fascismo italiano cercava un’intesa con il movimento nazionalista tunisino, nel tentativo di risolvere la questione della proroga trimestrale delle convenzioni e superare nel contempo l’isolamento del gruppo antifascista. In questo frangente, i rapporti tra la Francia e il movimento nazionalista tunisino erano molto tesi a causa deimusulfranc, ossia i musulmani naturalizzati. Una questione che aveva già creato, a ridosso della promulgazione della legge sulla cittadinanza del 1923, la denuncia dei nazionalisti. Emarginati sia dagli autoctoni, sia dai francesi, i tunisini naturalizzati furono i fautori dei disordini che scoppiarono tra il 1932 e il 1933 tra la nazione protettrice e i nazionalisti.
32 Nel marzo del 1934, durante il Congresso di Ksar-Hellal, a causa della linea imposta dal DESTOUR, alcuni militanti tra cui Habib Bourguiba e Tahar Sfar decisero di fondare una nuova corrente trascinandovi gli elementi più giovani: il Néo-DESTOUR.
33 Dirigenti destouriani (di cui Habib Bourguiba), comunisti e sindacalisti tunisini verranno confi nati a Bordj-le-Boeuf nell’estremo sud del Paese a partire dal 3 settembre 1934, mentre dirigenti sindacalisti e socialisti furono espulsi alla volta della Francia. La stampa di opposizione fu fatta tacere attraverso decreti di sospensione. Tuttavia, la SFIO condannò duramente la repressione del rappresentante francese, dichiarando che voleva che i territori d’oltremare non fossero una sorta di confi no per alti funzionari non desiderati nella metropoli. La politica di Peyrouton nella Reggenza fu talmente dura da sopprimere le libertà sindacali e, con grande soddisfazione delle autorità consolari italiane, vietò il diritto sindacale agli italiani; quindi soppresse il diritto alla creazione di sindacati in Tunisia, che era stata oggetto del decreto del 16 novembre 1932.
34 Tra gli esponenti comunisti c’erano anche dei dirigenti del giornale Domani, come riferiva una nota della polizia tunisina, tra cui «Gallico Renato, Raffaele, avocat, ayant son étude 6 rue de Lorraine, son fi ls Loris, Converti Nicolo, médecin toléré, Damiani Luigi, artiste-peintre, Luoghi Achille, horloger, Sanna Luigi, sans profession bien défi nie, italiens, tous anarchistes et communistes notoires. Le nommé Lentini Pasquale, italien, communiste, s’occupe de la diffusion, de la vente et des abonnements du Journal». Si veda ANT, série E, b. 530, Note d’information du Secrétariat Général du Gouvernement Tunisien – Police tunisienne, n. 16.715-4. Objet: Presse Italienne, Journal Domani.
43 Vengono espulsi dalla LIDU: Loris Gallico, Ruggero e Renato Gallico, Maurizio Valenzi, Salvatore Pesco, Antonino Campio, Giuseppe Sicurella, Lodovico Lombardo, Reger Taleb, Alberto, Ferruccio e Silvano Bensasson, Maria Provvedi, Nadia Gallico, Maria Triton, Francesco Abate, Pasquale Briseda, Antonino Salomone, Velio Spano, Salvatore Mangione, Pietro Bongiovanni, Giuseppe Spada, Guglielmo Vella, Gilda Meimon, Oreste Modigliani. Si veda ACS, CPC, Gallico Loris, Elenco di antifascisti espulsi dalla LIDU, perché filocomunisti, Lettera del Consolato italiano al Ministero dell’Interno…
Leila El Houssi, Gli antifascisti italiani in Tunisia tra le due guerre in Altreitalie 36-37 gennaio-dicembre 2008

Il contributo di Leila El Houssi, frutto della sua tesi di dottorato e dato alle stampe grazie al contributo dell’Anppia (Associazioni Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti), si inserisce nella ormai crescente storiografia delle migrazioni italiane in area mediterranea, confermando l’autrice come una delle fautrici dello sviluppo di questa componente degli studi. Il tema è stato troppo spesso taciuto o affrontato in maniera superficiale e monolitica, soprattutto in Italia; come nota la stessa El Houssi, invece, gli studi francesi sono stati più abbondanti e precoci. La storiografia italiana ha presentato per lungo tempo una comunità allineata col regime mussoliniano, senza indagare sul movimento antifascista, sulle sfaccettature della presenza italiana e sull’eterogeneità della collettività migrante. Ed è proprio la volontà di raccontare gli italiani di Tunisia come non solo silenziosi sostenitori del fascismo uno degli obiettivi principali del lavoro qui recensito, come dichiara la stessa autrice nell’introduzione.
El Houssi delinea a questo proposito le peculiarità del movimento di opposizione al fascismo, partendo dalle caratteristiche della stessa comunità e tracciando i vari contesti di politica italiana e di relazioni internazionali che facevano da cornice. La ricerca è resa possibile dall’utilizzo di fonti di varia natura, intrecciate magistralmente. L’autrice si muove infatti tra gli archivi italiani, francesi e tunisini, affiancando a essi la memorialistica e le testimonianze dirette di alcuni dei protagonisti. A questo si accompagna una profonda conoscenza della bibliografia precedente, sia italiana che francese.
La monografia rappresenta un importante contributo alla conoscenza delle migrazioni nel Mediterraneo e della presenza italiana in paesi a noi molto vicini, sia allora che oggi. Il merito dell’autrice è anche quello di avere fatto un testo di agile lettura, arricchito da illustrazioni in appendice.
Il volume si articola in cinque capitoli in una carrellata cronologica dall’inizio del Protettorato francese alla vigilia del Secondo conflitto mondiale. Il primo è un utile strumento anche per i non addetti ai lavori, soprattutto per quanto riguarda la panoramica sulla comunità e le ragioni dell’approdo degli italiani nel paese nordafricano. Da queste prime pagine emerge uno degli aspetti imprescindibili quando si parla di comunità migranti nei paesi coloniali, ossia quello dei rapporti di forza tra la potenza coloniale e il paese d’origine dei migranti. Nel caso della Tunisia il tutto è molto complesso. L’Italia infatti aveva delle mire su quello che veniva considerato un territorio vicino e quasi un’appendice geografica naturale della penisola, in particolar modo e soprattutto nelle dichiarazioni del governo fascista (secondo l’interpretazione di El Houssi, molto più nelle parole che nei fatti). Allo stesso tempo, gli italiani di Tunisia si erano sentiti trascurati dalla madrepatria e temevano che le politiche assimilatorie della Francia fossero di ostacolo al mantenimento dell’italianità, quest’ultima una parola e un concetto utilizzati dalle diverse componenti politiche e sociali della collettività. In questa parte del volume, come nelle altre, è interessante la descrizione dell’evolversi non solo del movimento antifascista ma anche delle posizioni del governo fascista, alla ricerca di una strategia equilibrata contro l’opposizione degli italiani, l’antifascismo internazionale, il partito nazionalista tunisino e, come già visto, la Francia. I comportamenti del regime furono diversi: dalla fascistizzazione alla ricerca del dialogo, fino e passando per l’apparente abbandono della questione.
Nella seconda sezione vengono analizzate le diverse sacche di opposizione al regime e le loro origini. L’antifascismo in Tunisia poggiava sulla tradizione massonica e liberal borghese che aveva come protagonisti soprattutto gli ebrei di origine livornese, ma anche sulla parte operaia della comunità che si avvicinava ai movimenti di sinistra e poi al partito comunista. Fu soprattutto la crisi economica, come mostrato nel terzo capitolo, a dare coesione e motivi di aggregazione alle frange antifasciste e a porre le basi per il protagonismo del partito comunista nella lotta clandestina contro il regime, anche in terra tunisina. Siamo quindi negli anni trenta, decennio in cui, con il patto Mussolini-Laval (1935) sembra confermata l’altalenanza che in particolar modo il governo italiano applicò alla questione tunisina. Questo aspetto, come pure l’impresa etiopica e la spinta del Front Populaire e della guerra di Spagna, diedero nuova forza all’antifascismo. Nel quinto e ultimo capitolo sono presentati gli ulteriori scontri tra Italia e Francia e viene ricostruita la vicenda dell’assassinio del giovane falegname comunista Michele Miceli, ucciso da un commando fascista di cadetti della marina militare italiana. L’evento segnò un punto di svolta, nonché la prova dell’esistenza di un fronte unito e compatto dell’antifascismo, ormai conscio dell’importanza della Tunisia, inviandovi esponenti del calibro di Velio Spano e Giorgio Amendola.
Sara Rossetti, Leila El Houssi, L’urlo contro il regime. Gli antifascisti italiani in Tunisia fra le due guerre, Roma, Carocci, 2014, pp. 230, € 22 in Altreitalie 51 (luglio-dicembre 2015)

La guerra ebbe un impatto dirompente sull’antifascismo italiano in Tunisia. Il patto Molotov-Ribbentrop divise irrimediabilmente i comunisti filo-sovietici dal resto degli antifascisti, schierati su posizioni filo-francesi, creando una spaccatura che ridimensionò la loro capacità di esercitare un ruolo rilevante (Tomaselli, 2008, p. 80). Con lo scoppio della guerra, il governo di Parigi dichiarò fuori legge il partito comunista e mise in prigione perfino i suoi parlamentari. Queste misure furono adottate anche in Tunisia, dove, per la lontananza dal fronte o per il minore seguito di cui godeva il partito, furono applicate con minore rigidità; i comunisti tunisini, che comprendevano un buon numero di italiani, furono costretti alla clandestinità.
Già durante la fase di non belligeranza italiana, si palesò la diffidenza delle autorità francesi nei confronti degli italiani, anche per quelli antifascisti. Le manifestazioni degli antifascisti vennero proibite, anche nel tentativo di non fornire pretesti all’Italia (Mattone, 1978, p. 55). Del resto, già nel periodo precedente, le autorità di Tunisi non si erano opposte al fascismo e furono anzi inclini a considerare, in sintonia con esso, gli antifascisti italiani alla stregua di «pericolosi guastafeste» (Pasotti, s.d., p. 110).
Gli antifascisti italiani si mostrarono tuttavia sensibili alla causa francese e tentarono di arruolarsi nell’esercito, desiderando offrire il proprio contributo al conflitto contro la Germania, da essi letto in chiave antifascista. A Tunisi gli antifascisti sostennero perfino la proposta del Comitato nazionale italiano di Parigi, volta a creare una legione garibaldina italiana che, come durante la guerra franco-prussiana e la Prima guerra mondiale, si sarebbe dovuta unire all’esercito francese per combattere il Reich (Bessis, 1981, pp. 284-85; Mattone, 1978, pp. 54-55). Tuttavia le loro richieste vennero respinte. Semmai, per le autorità francesi, gli italiani avrebbero potuto arruolarsi nella legione straniera, un’ipotesi degradante per gli italiani antifascisti e che venne dunque scartata (Bessis, 1981, pp. 284-85; Amendola, 1973, p. 7). Tale rifiuto dimostrò come, per le autorità francesi, il conflitto in corso avesse connotazioni nazionali più che politiche, come sarebbe stato evidente dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini.
La grande maggioranza della comunità italiana rimase fedele «alle istituzioni ufficiali dello Stato italiano e riconosceva nel fascismo una forza che aveva rialzato il prestigio dell’Italia» (Amendola, 1973, p. 8). Del fascismo, gli italiani di Tunisia apprezzavano varie componenti: il nazionalismo, l’interesse mostrato per gli italiani all’estero e la creazione di istituzioni assistenziali che lenivano il disagio in cui si trovavano molti di loro. Ma occorre sottolineare anche come il fattore nazionale dominasse la vita politica, economica e sociale della Tunisia, dove esistevano «gruppi sociali ed etnici ben delimitati, e separati nella vita quotidiana» (Amendola, 1973, p. 5). Perfino i salari variavano, a parità di lavoro, su base nazionale, lungo una scala gerarchica che vedeva la comunità francese ai vertici, quella italiana in posizione intermedia e quella araba, che era anche la più numerosa, relegata in fondo.
Inoltre in Tunisia gli italiani erano, in virtù della loro condizione di «stranieri», direttamente o indirettamente dipendenti dalle autorità consolari italiane per tutta una serie di bisogni concreti, che andavano dal rilascio dei documenti all’iscrizione alle scuole italiane, fino al ricovero nell’ospedale italiano.
Dopo aver preso il potere a Roma, il fascismo assunse il controllo delle organizzazioni politiche, economiche e culturali che regolavano la vita della comunità, senza incontrare ostacoli da parte francese. Si può dedurre che, se furono numerose le adesioni convinte al fascismo, la comunità italiana rimase fedele soprattutto all’Italia e alle sue istituzioni, indipendentemente dal colore politico del suo governo. Ed è significativo come diversi italiani di Tunisia rimasti fascisti anche dopo la caduta del regime, dessero del fascismo una lettura prettamente nazionale; esso rappresentava ai loro occhi una rivalsa dell’italianità contro l’arroganza francese (Russo 2016, 287). Non stupisce, in questo contesto, che i moniti degli antifascisti, volti a sottolineare come le politiche di Mussolini fossero foriere di futuri gravi conflitti, cadessero nel vuoto (Amendola 1973, 9).
Giordano Merlicco, La calda estate del 1940. La comunità italiana in Tunisia dalla guerra italo-francese all’armistizio in Altreitalie 53 (luglio-dicembre 2016)

Una seconda questione è quella relativa all’operato di Velio Spano in Tunisia e al suo rapporto con gli ambienti dell’antifascismo italiano, con il Partito Comunista Tunisino (Pct) e i nazionalisti del Neo-Dustur. La ricerca verificherà se e come Velio Spano e gli altri comunisti italiani in Tunisia tentarono di guadagnare il consenso della popolazione tunisina più sensibile alle istanze dell’indipendenza nazionale, considerando che il sentimento di ostilità nutrito da quest’ultima verso il governo coloniale francese la avvicinava, potenzialmente, agli argomenti della propaganda fascista. In questo senso, importanti informazioni possono essere ricavate dalla corrispondenza, dagli appunti di Spano e dai volantini di propaganda custoditi in 2 b) e 5. Inoltre, lo spoglio della stampa rappresenta una fonte fondamentale, in particolare 7 d), organo della Lega Italiana dei Diritti dell’uomo, che raggruppava le forze anti-fasciste italiane sul territorio tunisino, e 7 e), f).
Una terza questione è legata al ruolo del Comintern nell’organizzazione delle missioni di Spano e di Barontini: se è noto che l’iniziativa della missione Barontini partì da Ruggero Grieco e Giuseppe di Vittorio, non è tuttavia chiaro quali furono le direttive di Mosca, in una circostanza in cui l’Urss stava adottando un atteggiamento di sempre maggior riserbo nei confronti della politica di unità anti-fascista. In questo senso, sarebbe da chiarire anche come venne definita la partecipazione a questa missione di figure legate ai servizi segreti inglesi e francesi. Questa questione potrebbe trovare una risposta nelle carte in 2 c), e); 6 e 4 b).
Giulio Fugazzotto, Al servizio di una rivoluzione globale? I comunisti italiani e il colonialismo tra antifascismo e anti-imperialismo, 1926-1950, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, 2021

Lo scoppio della guerra causò un rapido sconvolgimento nella vita della comunità italiana in Tunisia: l’attività antifascista si intensificò e le donne furono coinvolte in alcune attività e iniziative «forse limitate ma capaci comunque di far sentire la presenza antifascista» (Gallico Spano, 2005, p. 131). Possiamo affermare che solo con l’esperienza tragica della guerra le donne divennero soggetti storici visibili; la necessità scardinò i tradizionali ruoli di genere, creando una situazione di concreta parità e condivisione di ideali, responsabilità e timori. Gli anni della guerra possono essere definiti come il momento “eroico” di questo gruppo di donne che passarono dalle retrovie della lotta di classe alla prima linea dello scontro diretto. Le donne ripetevano spesso che chi sarebbe riuscito a sopravvivere alla guerra avrebbe visto «un mondo più bello e più giusto» e che volevano partecipare attivamente alla costruzione di quel
futuro (Gallico Spano, 2005, p. 172). Come ricorda Ferruccio Bensasson, nelle sue memorie “Utopie perdute”: «il partito visse in quel periodo dell’amore di queste compagne» (Bensasson, 2008, p. 214).
In questi anni maturò un nuovo sentimento femminile di autosufficienza, di autostima e di fiducia in se stesse, legato alle necessità cui le donne riuscivano a far fronte. Lucia Valenzi racconta che le regole della militanza comunista resero la madre «una donna capace di assumersi responsabilità in maniera totale» (Valenzi, 2013a, p. 19). Litza, infatti, insieme ad altre donne, mogli e sorelle degli arrestati, tra cui Elda Allegra Zuili, Nadia Gallico e Gilda Meimon, passato il primo momento di sconforto e consapevoli della responsabilità verso la propria famiglia e verso la comunità, organizzarono una rete di solidarietà e assistenza intorno ai compagni carcerati e latitanti (Bensasson, 2008, p. 214). L’organizzazione femminile si occupava di procurare documenti falsi, di trovare un rifugio e di mettere in contatto i latitanti con le famiglie e di recapitare direttive ai carcerati. La vita di queste donne era scandita dalle
visite in prigione, durante le quali cercavano di far passare messaggi per informare i prigionieri sugli ultimi avvenimenti politici (Gallico Spano, 2005, p. 178). Significativi sono i ricordi di Nadia sui tentativi di incontrare i compagni carcerati per avere un breve colloquio, non appena le donne vennero a conoscenza del loro trasferimento dal carcere di Tunisi al campo di concentramento di Kef. Nadia racconta che, approfittando di tale trasferimento:
“ogni mattina, verso le cinque e mezzo, ci trovavamo di fronte al forte in cui erano rinchiusi, in attesa di vederli uscire e, con l’unico conforto di un ftairi, una frittella araba ben calda, che ci concedevamo a metà dell’attesa, restavamo lì fin verso le nove, ma spesso il trasferimento era rinviato. Una mattina il cancello si aprì e i compagni uscirono. Riuscimmo abbracciandoli, a dare loro notizie su quello che era successo fuori nel frattempo e sulla loro futura sorte. Da parte loro rispondevano con altrettante notizie sul loro stato e sulle loro necessità e infine stabilivamo come comunicare eventuali provvedimenti o trasferimenti nei loro confronti (Gallico Spano, 2005, p. 167)”.
Durante la guerra le donne furono impegnate anche nell’organizzazione delle evasioni di carcerati. Le evasioni erano precedute da una lunga e attenta preparazione:
“Lungo la strada da percorrere era previsto un mezzo rapido, in genere una bicicletta, per arrivare al rifugio. Questo era allestito e controllato in precedenza: la chiave doveva funzionare senza intoppi, in casa dovevano esserci provviste sufficienti perché non fosse necessario un contatto nei primi giorni (Gallico Spano, 2005, p. 187)”.
Uno dei primi a evadere dal carcere grazie alla rete organizzativa delle donne fu Ferruccio Bensasson, il quale stava scontando una condanna di cinque anni. A causa di una malattia doveva ogni settimana essere condotto all’ospedale per alcune visite. Approfittando della confusione di queste visite, riuscì a evadere e la perfetta organizzazione gli permise di arrivare al rifugio prima che la polizia si accorgesse della fuga. Fu portato a buon fine un gran numero di evasioni, tutte perfettamente riuscite.
Nessun latitante, infatti, fu mai ripreso. Alcuni di questi latitanti furono ospitati nelle case delle famiglie antifasciste. Ne fu un esempio la casa del commerciante Emilio Boccara, padre di Ilia, una delle dirigenti del movimento femminile antifascista <36. La casa, nella quale furono ospitati alcuni latitanti condannati a durissime pene, fu anche sede di molte riunioni degli antifascisti durante il periodo della latitanza (Gallico Spano, 2005, p. 196).
Altro esempio è quello di Clelia Barresi, moglie di Silvano Bensasson, la quale ospitò nella sua casa, correndo un gran rischio, Diana Gallico, ricercata dalla polizia (Gallico Spano, 2005, p. 173).
La prima vera prova che le donne dovettero affrontare fu l’internamento, subito dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini alla Francia, dei compagni nel campo di Sbeitla, una località al confine della zona desertica. Come racconta Nadia Gallico:
“A Sbeitla non c’era un campo di concentramento, ma solo un vasto appezzamento di terreno abbandonato e senza neppure una costruzione, delimitato da una linea che era proibito superare. Chi lo faceva, sia pure per distrazione, rischiava di essere abbattuto senza preavviso (Gallico Spano, 2005, p. 146)”.
L’internamento a Sbeitla durò poco, perché Parigi cadde quaranta giorni dopo e, una volta firmato l’armistizio, i prigionieri furono rilasciati. Il pericolo maggiore per i prigionieri italiani era rappresentato da una clausola dell’armistizio stesso, secondo la quale tutti i detenuti italiani sarebbero dovuti essere liberati e riaccompagnati ai confini con l’Italia. Per rispettare tale clausola, la polizia francese avrebbe dovuto organizzare un esodo di massa, poiché non si trattava di prigionieri, ma di cittadini residenti regolarmente a Tunisi. La preoccupazione fu che i prigionieri fossero lasciati al confine con la Libia, territorio italiano (Gallico Spano, 2005, pp. 146-147). Le donne rimaste a Tunisi fecero il possibile per liberarli. Tra queste ricordiamo Nadia Gallico e Litza Cittanova, le quali, trattando direttamente con le autorità francesi, riuscirono a inviare nei pressi del campo di concentramento un numero di macchine destinate a riportare a Tunisi i prigionieri (Gallico Spano, 2005, p. 147).
Dopo la deportazione, come racconta Maurizio Valenzi, «illudendoci di ingannare la polizia, ostentammo la vita di sempre» (Valenzi, 2007, p. 43). Il clima in Tunisia, come nel resto dell’Europa, era però profondamente cambiato. Con l’instaurarsi del regime di Vichy furono intensificati i controlli e le perquisizioni, come ha scritto anche Lucia Valenzi, «con la violenta repressione operata dal governo di Vichy si apre un nuovo periodo: arresti, ergastoli, torture, condanne a morte» (Valenzi, 2008, p. 40). Il Partito comunista tunisino tentò di riorganizzarsi, ma la polizia francese minacciava, anche solo per una presa di posizione, arresti o deportazioni.
Nel novembre del 1941, in seguito alla denuncia di un delatore (il comunista Pauser), la maggior parte del gruppo dirigente del Partito comunista tunisino fu arrestata. Il PCT fu costretto a passare all’illegalità, avendo perso anche l’appoggio del Centro esteri del PCI a Parigi. In questo periodo, tuttavia, furono stabiliti preziosi contatti con i gollisti e i socialisti francesi e con il partito arabo del Neo-Destur di Burghiba per una lotta comune contro il governo collaborazionista di Vichy (Valenzi, 2008, p. 20).
Nonostante la durezza della repressione, dunque, il movimento antifascista continuò la sua attività «nella clandestinità più nera» (Valenzi, 2007, p. 43). Dalla primavera del 1942 furono diffusi giornali clandestini, volantini di poche pagine, inizialmente distribuiti dalle donne a mano o inseriti nelle buche delle lettere. In seguito, per ridurre i rischi, si decise di utilizzare la posta. Tra le pubblicazioni ricordiamo «l’Avenir Social» in francese, «Ettalia» in arabo e «Il soldato italiano» destinato alle truppe. La polizia venne in possesso di alcune copie di questi giornali e, attraverso le attente indagini di esperti di calligrafia, si arrivò ad attribuire la scrittura dei volantini al piccolo gruppo di donne, poi processate.
Gli anni del regime si caratterizzarono anche per i numerosi arresti. Giovanni De Luna ha osservato che per gli antifascisti la prospettiva di finire in carcere era una certezza accettata con serenità, considerandola un elemento su cui misurare di volta in volta i propri progetti di vita: «erano preparati caratterialmente e ideologicamente a quella prova […]. La dimensione carceraria era considerata una sorta di irreale normalità in grado di segnare anche la più banale routine della vita quotidiana» (De Luna, 1995, pp. 143-144).
Dallo studio delle biografie emerge come anche per questo gruppo di antifascisti tunisini il passare per il carcere fascista rappresentasse un titolo di merito. Come racconta Lucia Valenzi, nel libro “Qualcosa su mia madre”, un documento
come la richiesta fatta dalle donne al carcere per un incontro nel parlatorio con il marito diventerà in seguito un quadretto da appendere nel corridoio di casa, come accade per i diplomi o le lauree (Valenzi, 2013a, p. 7).
36 ACS, Casellario Politico Centrale, b. 682, fasc. A18455.
Lucia Caruso, Donne e antifascismo in Tunisia tra il primo e il secondo dopoguerra, Laboratorio di ricerca, Vol. 11, n° 13 / 2015

Ebreo tra gli arabi, comunista sotto il fascismo, oriundo italiano sotto il protettorato francese in Tunisia. Poi, quarantenne, la nuova vita in Italia. E la carriera politica che lo porterà a essere senatore della Repubblica e sindaco di Napoli. Le molte anime di Maurizio Valenzi, che a novembre di quest’anno taglierà il traguardo del secolo di vita, vengono evocate da sua figlia Lucia nel volume da lei curato “Italiani e antifascisti in Tunisia negli anni Trenta”, edito da Liguori, che arriva in questi giorni in libreria. I saggi sono firmati, oltre che dalla stessa Valenzi, anche da Sonia Gallico e da Teresa Tomaselli. L’introduzione è di Giuseppe Galasso.
[…] «La storia della Tunisia – scrive Lucia Valenzi – è stata a lungo caratterizzata dall’ incontro di diverse popolazioni e culture: berberi, arabi, ebrei, italiani, francesi, maltesi. Tra le due guerre la presenza di comunità nazionali diverse, e in particolare di una comunità italiana importante, fa della Tunisia un luogo di tensioni, ma anche di vivace vita politica». Maurizio Valenzi vive il suo antifascismo, nei primi anni, in maniera avventurosa e anche goliardica: un’ insofferenza all’ ortodossia che sarà ben leggibile anche negli anni della maturità. Da ragazzo Maurizio gioca a mettere in contrasto, per mezzo di finte telefonate, le autorità francesi del protettorato con il preside della sua scuola, fascista tutto d’ un pezzo. Tinge la sua barca di rosso. Organizza con alcuni amici il salvataggio, a Lampedusa, di un curioso personaggio che si spacciava per un leader socialista in realtà scomparso da anni. Ma, con l’ incupirsi dei tempi, l’ ex pittore si vota a una regola di vita più severa. Nel 1935, all’ età di 26 anni, si iscrive al Partito comunista tunisino, all’ epoca illegale e clandestino. Per qualche tempo svolgerà la sua attività a Parigi. Subirà persecuzioni e processi. Nel 1939 l’incontro con Giorgio Amendola, inviato a Tunisi dal Partito comunista italiano. Sarà lui a parlare al giovane Maurizio di Napoli, «delle riunioni in casa Croce, della rivoluzione del 1799». Dopo la guerra, Valenzi sceglierà di vivere proprio in questa città. Per lo spirito di accoglienza che vi regna, per la sua natura cosmopolita di crocevia del Mediterraneo. La città nella quale l’ ex pittore farà crescere i suoi figli: Marco, nato in Tunisia nel ’41, e la stessa Lucia, nata in Italia nel ’52. Della sua città d’adozione, Valenzi sarà sindaco dal 1975 al 1983. Un ebreo comunista che parla un italiano senza accenti: il segno di una novità senza precedenti e di una svolta senza inganni.
Antonio Tricomi, Da ribelle a senatore, un ebreo nel ‘900, la Repubblica, 07 gennaio 2009

“È stato utile ricorrere alla lettura di cento testi per scrutare la complessa questione politico-sociale dei quattro Punti Cardinali: italiana, francese, musulmana e ebraica. Quattro popoli che nell’arco di circa un secolo hanno coabitato in Tunisia, che hanno professato quattro culti politico-ideologici spesso tra loro concorrenziali ed edonistici con la velleità di scrivere – ognuno per conto proprio – la “vera storia dei vincitori”. Ma perché gli italiani nelle loro scuole aperte a tutti hanno insegnato anche il francese e l’arabo, mentre nelle scuole francesi non era contemplato l’apprendimento di nessuna altra cultura al di là della propria? […]” (E. Tartamella; 2011; p. 5).
Secondo fonti francesi, gli italiani in Tunisia nel 1898 erano 32 mila. I dati dell’anno successivo, sempre di fonte francese, riportano numeri assai inferiori. Doveva essere proprio una vera ossessione quella dei governanti francesi i quali, infatti, fecero di tutto per accrescere fittiziamente la propria popolazione. Da allora in poi, i francesi sfruttarono in maniera intensiva questi dati.
Nel suo libro “La traversata del deserto” la scrittrice Marinette Pendola racconta: «Definire il numero di questa migrazione è pressoché impossibile poiché i dati furono frequentemente manipolati a fini puramente politici» (2014; p. 114).[…]
Antonio Bernardo Farruggia, L’emigrazione siciliana in Tunisia, A.S.E.I. – Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana, 11 aprile 2019

Gli italiani di Tunisia formarono anche diversi battaglioni, i cosiddetti battaglioni T. Inizialmente si riteneva che avrebbero dovuto formare il proprio reggimento – Reggimento Volontari Tunisini – ma dopo la decisione che avrebbero dovuto essere incorniciati in unità della dimensione massima di un battaglione, il reggimento fu sciolto e, al suo posto, nel gennaio del 1943, fu fondato un Raggruppamento Volontari Tunisini, composto da tre battaglioni e con quartier generale a Soussa. Già a quel tempo, uomini di questi battaglioni furono trasferiti per rafforzare i reggimenti di fanteria della Divisione Superga.
Il 21 gennaio di quell’anno, un rapporto indicava che i tre battaglioni disponibili (I, II e III) constavano di circa 700 uomini ciascuno, raggruppati nella città di Sfax. Gli ufficiali e i sottufficiali erano pochi e impreparati, le truppe non avevano praticamente nessuna capacità di movimento e il loro armamento era precario e scarso, privo di mitragliatrici o armi pesanti. Il morale, per giunta, risultava basso, anche perché non tutti i volontari erano idonei fisicamente <19.
Perché questi battaglioni funzionassero, alcuni ufficiali furono portati direttamente dall’Italia mentre altri furono trasferiti da unità lì presenti, in particolare dalla Divisione Superga. Anche così, la mancanza di ufficiali avrebbe inizialmente causato problemi di indisciplina, risolti dal comando militare <20.
Nel febbraio del 1943 venne proposto lo scioglimento di questi battaglioni per rinforzare gli effettivi della divisione Superga <21. La proposta non ebbe seguito, ma ad aprile i battaglioni vennero riorganizzati. Il III battaglione venne sciolto, mentre il II battaglione fu ribattezzato XI battaglione, un’unità costituita da 400 uomini a cui era affidato il controllo della costa. Il I battaglione era dotato di pieni effettivi – 700 soldati – e venne stanziato a Mahdia, a 50 km da Susa. Centinaia di uomini vennero trasferiti nel battaglione d’assalto T <22.
Il battaglione I, che accolse i volontari meglio preparati e alcune armi pesanti, venne collocato sulla linea di combattimento, in sostegno del 92° reggimento di fanteria. Fino al maggio del 1943, il battaglione combatté conseguendo alcuni successi, in particolare contro i francesi, contando decine di morti e numerosi feriti e prigionieri. Alcuni si diedero alla fuga e tornarono a Tunisi, a riprova di come la prossimità geografica della comunità avesse ripercussioni sul piano militare <23.
L’unità maggiormente coinvolta dai combattimenti fu il battaglione d’assalto T, una derivazione dal Centro T. Questo era ritenuto di gran lunga il migliore (per morale e formazione) tra i Centri, specialmente rispetto ai Centri A e I. Alcuni dei suoi membri avevano seguito corsi sull’uso di lanciafiamme, combattimento anticarro e molti presero i gradi come paracadutisti, sabotatori e arditi. Assorbirono anche una parte del materiale e degli ufficiali del battaglione indiano dopo la sua dissoluzione <24.
Costituito in Italia a partire dal Centro T nell’ottobre del 1942, il battaglione d’assalto T riuniva italiani residenti o nati in Tunisia, Algeria, Egitto e Marocco. Era costituito da tre compagnie, più una della MVSN. Nel gennaio del 1943 i suoi 440 uomini si trasferirono in Tunisia, dove vennero inseriti altri 400 volontari provenienti dai battaglioni T.
Il Battaglione d’assalto T, sotto il comando del maggiore Pasquale Ricciardi, riuniva le truppe più motivate e in migliori condizioni in termini di fisico e allenamento. Affrontò le forze americane e francesi tra il gennaio e il maggio del 1943, riportando centinaia di vittime. Nei mesi successivi, operò a sostegno delle unità tedesche e italiane sino alla resa. Alcuni reduci giunti a Roma, insieme ad altre unità del Raggruppamento Frecce Rosse, difesero Palazzo Braschi dai tedeschi nel settembre del 1943 <25.
Anche la MVSN formò un’altra unità in Tunisia, il 570° battaglione CCNN. Nel febbraio del 1943, il comandante della MVSN, Enzo Galbiati, scrivendo a Mussolini e, ritrasmettendo le informazioni di Remo Scaparra – l’ufficiale di reclutamento della milizia – lo informava del fatto che si fossero presentati già 2015 volontari tunisini, di cui 1188 erano già stati addestrati e arruolati <26. Un numero probabilmente esagerato, dal momento che la documentazione dell’esercito indica come il battaglione non superasse 500 uomini e fosse impiegato essenzialmente come unità di lavoro <27.
Oltre ai soldati impiegati come ausiliari nelle operazioni di sabotaggio dell’esercito provenienti dai centri T e A, ai battaglioni volontari tunisini, al battaglione d’assalto T e al 57° battaglione CCNN, altre unità italiane vennero rinforzate con uomini originari della comunità italiana di Tunisia. Nel marzo del 1943, altri mille uomini si trovavano nei vari centri di addestramento, nei depositi di personale o nelle unità antiaeree e di supporto. Alcuni soldati erano stati inviati nel 5 ° battaglione CCNN, proveniente dalla Libia <28 e circa 200 erano stati incorporati nella Regia Marina, nei battaglioni San Marco e nelle unità di Milizia di Artiglieria Marittima (Milmart); altri italiani si unirono come ausiliari alle unità tedesche <29. Complessivamente circa 4.000 tunisini italiani si sarebbero offerti volontari, un numero considerevole per una collettività di circa 150.000 persone, che comprendeva donne e bambini.
La grande questione è comprendere l’atteggiamento di queste migliaia di uomini dal momento che non erano semplicemente italiani che venivano reclutati per la guerra: vivevano in un territorio straniero sotto occupazione, molti di loro non erano nemmeno nati in Italia e il numero di naturalizzati francesi era rilevante. Questa particolare caratteristica ha contrassegnato l’intero processo di costituzione di queste unità militari.
4. Volontari e reclute
Già nel 1941 – come accennato in precedenza – circa 200 italiani di Tunisia erano stati inviati in Italia per l’addestramento nel Centro T. Nel novembre del 1942, ai cittadini italiani residenti in Tunisia fu consentito arruolarsi come volontari nelle truppe italiane. All’inizio, per evitare problemi con le autorità francesi, venne annunciato che il volontariato sarebbe stato destinato al lavoro in Libia, ma presto divenne chiaro come si stesse trattando per rafforzare le unità italiane che si stavano preparando al conflitto. Sempre per evitare problemi con i francesi, i volontari chiesero di essere formalmente inseriti nell’esercito italiano, il che avrebbe conferito loro lo status legale di soldati. Allo stesso modo, chiesero che le loro uniformi non avessero distintivi speciali, così da essere identificati dai francesi come semplici soldati italiani <30.
Un mese dopo, si contavano già duemila uomini, numero successivamente cresciuto sino a quattromila. Il sistema era gestito tanto dai rappresentanti diplomatici italiani in Tunisia quanto dai militari (presieduti dal tenente colonnello Vincenzo Orsini); la vicinanza dei loro luoghi di residenza comportò problemi poiché alcuni volontari approfittarono del loro nuovo status per regolare vecchi attriti con i vicini, il che generò problemi di indisciplina e saccheggio a Tunisi <31. La vicinanza dei familiari causò anche continui problemi di diserzione e di congedi non autorizzati <32.
Il 25 gennaio 1943, la necessità imperativa di nuovi uomini per sostituire le vittime crescenti portò i militari a decidere, con l’approvazione di Mussolini, il servizio di leva tra gli italiani della Tunisia, al fine di rinforzare i battaglioni T e le altre unità dell’esercito. Questo condusse a discussioni tra i militari e i diplomatici a Roma e in Tunisia. La proposta era di iniziare la convocazione per classi, così da irreggimentare coloro che non si erano offerti volontari. Si riteneva che, nella fascia di età compresa tra i 18 e i 40 anni, al massimo duemila reclute sarebbero potute essere richiamate, poiché tutti gli altri già si trovavano sotto le armi <33.
Il Ministero degli Affari Esteri – nella persona di Attilio Di Cicco, capo della Direzione Generale degli Italiani all’estero – si pronunciò contrapponendosi alla volontà dei vertici militari. A suo parere, gli italiani in Tunisia avevano già fornito cinquemila uomini (un numero esagerato) e la chiamata avrebbe prodotto pochi rinforzi. Inoltre, i diplomatici affermavano che sarebbe stato ingiusto imporre il reclutamento in Tunisia mentre altre comunità italiane nei territori occupati ne erano esenti; sostenevano, infine, che non avrebbero avuto modo di garantire la fede fascista delle nuove reclute e temevano il verificarsi di rappresaglie nei confronti degli italiani lì residenti nel caso in cui l’Asse avesse abbandonato l’Africa. Il Ministero raccomandava perciò che si seguisse la legislazione generale sul servizio militare degli italiani residenti all’estero, senza la necessità di crearne una particolare per la Tunisia <34.
[NOTE]
19 Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito – AUSSME)… f. Impiego formazioni arabe in Tunisia dal 25 dic. 1942 all’aprile 1943, rapporto del Comando del Raggruppamento Centro Militari al Comando del XXX Corpo d’Armata, 21/1/1943.
20 AUSSME, Fondo I4, b. 51, f. Chiamata alle armi di volontari tunisini (4 febbraio – 22 giugno 1943), fonogramma del Ministero degli Affari Esteri al Comando Supremo, 22/12/1942; promemoria per il generale addetto (Comando Supremo), 23/12/1942 e telespresso del Comando Supremo al Ministero degli Affari Esteri, 26/12/1942.
21 Ibidem, Fondo I4, b. 46, f. Impiego formazioni arabe in Tunisia dal 25 dic. 1942 all’aprile 1943, nota del Comando Supremo, Stato Maggiore Africa, 11/2/1943.
22 Ibidem, b. 51, f. Chiamata alle armi di volontari tunisini (4 febb – 22 giugno 1943), nota dello Stato Maggiore dell’Esercito per il Barone Scammaca dalla Direzione Generale degli italiani all’estero, 10/4/1943.
23 AUSSME, N1/11 Diari Storici della Seconda Guerra Mondiale, b. 1103, rapporto intitolato Brevi cenni sull’arruolamento, spirito, addestramento ed impiego dei volontari tunisini (luglio 1944), redatto da Leo Cataldo, comandante del I Battaglione di volontari tunisini, luglio 1944; Ibidem, Diario Storico I Battaglione Volontari T. I documenti sono trascritti anche in RAINERO, Romain, I reparti arabi e indiani dell’Esercito italiano, cit., pp. 200-211.
24 Ibidem, b. 780, f. Comando Raggruppamento Centri Militari, promemoria del Comando Raggruppamento Centri Militari, 15/11/1942, e altri documenti annessi.
25 Ibidem, b. 1103, rapporto intitolato Relazione del tenente colonello Ricciardi, comandante del battaglione d’assalto T, 27/7/1944. Disponibile anche in RAINERO, Romain, I reparti arabi e indiani dell’Esercito italiano, cit., pp. 200-204. Si vedano anche: RONCOLINI, Osvaldo, «I cinquemila della Tunisia», in Il Legionario, 21, 11, 15 giugno 1943; FABEI, Stefano, op. cit., pp. 7-79.
26 Ibidem, Fondo I4, b.53, f. Arruolamento tunisini nella MVSN (23 febbraio – 18 aprile 1943), nota di Enzo Galbiati a Mussolini, 11/2/1943.
27 Ibidem, b. 51, f. Chiamata alle armi di volontari tunisini (4 febbraio – 22 giugno 1943), promemoria per il generale addetto (Comando Supremo), 23/12/1942.
28 Ibidem, documento intitolato Ordinamento dei reparti costituiti finora con volontari tunisini, 20/3/1943.
29 Oltre alla documentazione citata, si veda anche: CAPPELLANO, Filippo, «I battaglioni volontari tunisini», in Rivista Militare, 6, 2005, pp. 94-107, in particolare le pp. 96-97.
30 AUSSME, N1/11 Diari Storici della Seconda Guerra Mondiale, b. 1104, promemoria del Consolato Italiano a Tunisi intitolato “Arruolamento e impiego elementi locali”, 1/12/1942.
31 Ibidem, rapporto del generale Leone Santi intitolato “Relazione sulla situazione e organizzazione dei volontari tunisini”, 29/12/1942.
32 Ibidem, rapporto di Leo Cataldo, comandante del I battaglione di volontari tunisini, intitolato “Brevi cenni sull’arruolamento, spirito, addestramento ed impiego dei volontari tunisini”, luglio 1944.
33 Ibidem, Fondo I4, b. 46, f. Impiego formazioni arabe in Tunisia dal 25 dicembre 1942 all’aprile 1943, rapporto del Comando del Raggruppamento Centro Militari al Comando del XXX Corpo d’Armata, 21/1/1943.
34 Ibidem, b. 51, f. Chiamata alle armi di volontari tunisini (4 febb – 22 giugno 1943), nota del Ministero degli Affari Esteri, 16/2/1943.
João Fabío Bertonha, «Emigranti nelle forze armate italiane. Il caso dei volontari tunisini nella Seconda guerra mondiale» in Diacronie. Studi di Storia Contemporanea : Costruzione dell’identità e prospettive transnazionali, 38, 2/2019, 19/07/2019