Gli alleati, al loro arrivo in Pesaro, trovano appena un centinaio di persone

Una vista su Pesaro – Fonte: Wikipedia

Col passaggio del fronte, la grande storia attraversa, per la prima volta dopo le battaglie risorgimentali, il territorio della regione [Marche], svegliandola per così dire dal suo torpore e costringendola ad abbandonare la sua tradizionale posizione periferica. Via via che il fronte risale la regione, in molti comuni, inclusi quelli dell’entroterra, la popolazione locale osserva un corteo ininterrotto di volti e divise che provocano reazioni emotive contrastanti e propongono agli occhi dei civili una realtà che in qualche caso appare diversa da quella che le notizie giunte in precedenza avevano lasciato presagire: “Era la primavera inoltrata del 1944 e il fronte lentamente si avvicinava. Correvano voci poco rassicuranti sui soldati tedeschi che si ritiravano e che sarebbero sicuramente passati anche a Petriolo [località del maceratese] […] Eccoli …Eccoli …. Sì, finalmente comparvero in quel tratto di strada. Stupita, li vidi sfilare. Sfilare? E’ possibile usare questo vocabolo? Erano uomini appena coperti dai cenci delle loro divise verde scuro, sporchi, scalzi, che trascinavano le gambe con grande fatica. Nessun mezzo di trasporto; zaini, fagotti e armi, ammucchiati sulle loro spalle ricurve. […] Si sparse quindi la voce che non c’era più pericolo per cui i miei compaesani cominciarono timidamente a uscire dalle loro case. Quanto durò l’interregno? Qualche minuto? Qualche ora? Non ricordo. Improvvisamente qualcuno gridò: “Arrivano gli alleati … sono già alle Grazie!” In un baleno Patriolo si animò, impazzì. Dalle porte spalancate la gente si riversò nelle strade, tutti correvano, gridavano, si abbracciavano. Un rumore di ferraglia in movimento annunciò l’approssimarsi dei carri alleati. Dal mio osservatorio li vidi avanzare lentamente, impediti dalla folla che cercava in ogni modo di arrampicarsi sui mezzi cingolati, sui camion, per stringere le mani dei liberatori, abbracciarli, offrire loro fiori […] Un esercito straniero, sconfitto, se ne andava; un altro esercito, ugualmente straniero, vittorioso, arrivava” <354.
A metà giugno ’44 le truppe angloamericane entrano nelle Marche e a fine agosto sono sotto Pesaro a prepararsi per la grande e decisiva offensiva contro la Linea Verde (Gotica). In questo periodo, si combattono sul territorio marchigiano alcune sanguinose battaglie <355 che causano la morte di migliaia di individui: nella sola campagna per la “liberazione” di Ancona (i soldati polacchi entrano in città il 18 luglio) ci furono 400 caduti polacchi, 154 del Cil e circa 2.200 feriti alleati e, dall’altra parte, più di 2.000 morti tedeschi, senza contare i civili <356.
Durante le battaglie per la liberazione della regione il 2° Corpo d’armata polacco (composto da circa 50.000 unità) catturò quasi 35.000 soldati tedeschi, ma dovette registrare tra le proprie fila la morte di quasi 700 soldati e il ferimento di altri 3.000 <357.
Ma già prima dell’avvio dello scontro tra gli eserciti in campo, la guerra aveva iniziato a bussare alle porte dei marchigiani – “ora però la guerra batte alle porte delle nostre case e quindi c’è da stare all’erta” si legge in una lettera spedita da Pesaro nel gennaio ’44 <358 – subito dopo l’annuncio dell’armistizio: dal 12 al 16 settembre i tedeschi procedono all’occupazione militare della regione non trovando resistenza, se non quella del resto sconfitta, nell’ascolano (il riferimento è agli scontri di colle San Marco <359); prendono il via numerosi bombardamenti sui centri maggiormente industrializzati della provincia di Ancona, il capoluogo, Chiaravalle, Falconara, Iesi e Fabriano; la città di Pesaro, Fano, nonché numerose cittadine litorali (sedi di porti per la pesca e di insediamenti industriali minori), da Senigallia a Porto Civitanova, Porto San Giorgio, San Benedetto del Tronto (Macerata rimane indenne dai bombardamenti fino all’aprile del 1944, mentre Ascoli viene dichiarata città ospedaliera e così, conclusi gli scontri sul Colle San Marco, non subisce un colpo di cannone o bombardamento di sorta <360): secondo un prospetto elaborato dall’Ufficio servizi demografici del comune dorico, le vittime civili causate dai bombardamenti intervenuti sul futuro capoluogo regionale nel periodo 16 ottobre-30 dicembre 1943 ammonterebbero a 760 <361; migliaia di prigionieri scappati dai campi di prigionia, approfittando dello sbandamento dell’esercito italiano, attraversano le campagne marchigiane in cerca della salvezza (si calcolano in 62.000 gli ex prigionieri alleati assistiti in tutta Italia, dei quali più di un terzo, 21.500, tra Marche e Abruzzi <362); prende il via la Resistenza, con armi e senz’armi, che vede protagonisti migliaia di marchigiani: complessivamente i resistenti armati che hanno operato nelle Marche (inclusi i gappisti e i membri del Cln) sono circa 5000, dei quali circa 900 (di cui 77 stranieri) i caduti <363; successivamente alla nascita della Repubblica Sociale di Salò si assiste inoltre alla faticosa ricostituzione degli organi di governo fascisti con l’emanazione dei bandi di reclutamento nella milizia repubblichina; e ancora decine di migliaia di uomini e donne sono costretti a sfollare dalle loro abitazioni e cercare riparo nei centri dell’entroterra che divengono ben presto saturi, rischiando in numerosi casi il collasso economico e civile.
Su quest’ultimo punto, va sottolineato come la guerra abbia significato anche una mobilità incontrollata della popolazione civile, dovuta dapprima alla forzata emigrazione di ritorno dalle terre d’oltre mare dell’impero, in seguito all’emigrazione verso la Germania a scopo di lavoro, allo sfollamento dal sud verso il centro e il nord del paese e quindi all’evacuazione delle città verso i centri minori e verso le campagne.
Nel territorio regionale, nonostante i piani messi a punto dalle autorità militari tedesche, l’incalzare degli eventi bellici provoca già dall’autunno del 1943 un esodo caotico e disordinato dall’area costiera in genere e soprattutto dai centri urbani maggiori: alcune stime ipotizzano la migrazione di 200.000 persone <364.
Risalendo da sud verso nord: tra l’ottobre del 1943 e il febbraio del 1944 sfolla la maggior parte dei 20 mila abitanti di S. Benedetto del Tronto, mentre comuni dell’interno, come Ripatransone, Monterubbiano e S. Elpidio, triplicano la loro popolazione; Ancona, che inizia a svuotarsi nell’estate del 1943, al momento della liberazione, avvenuta nel luglio dell’anno successivo, conta solo 4.467 abitanti rispetto ai circa 62 mila residenti prima dello scoppio della guerra. Analogo fenomeno si produce a Fano, dove gli sfollati sono 27 mila su un totale di 32 mila residenti e soprattutto a Pesaro, da dove nel gennaio del 1944 se ne sono andati circa 35.000 dei 44.500 abitanti censiti nel 1936, seguiti dalla restante parte della popolazione quando, inconseguenza dell’inasprirsi dei combattimenti lungo la linea Gotica, l’esodo diviene una vera e propria fuga tanto che gli alleati, al loro arrivo in città (1-2 settembre 1944), trovano appena un centinaio di persone <365.
Se fino all’8 settembre l’impatto, in termini di condizioni materiali, dell’evento bellico sulla comunità civile regionale, specie per la popolazione rurale, era stato contenuto, con l’annuncio dell’armistizio e gli eventi che ne seguono, la situazione precipita <366.
Alla malintesa interpretazione dell’annuncio del nuovo capo del governo, che aveva convinto molti che la guerra fosse finita e che si potesse tornare tutti a casa, segue ben presto la consapevolezza della gravità del momento, carico di conseguenze nefaste. Sentimenti di inquietudine e di smarrimento traspaiono dalle lettere esaminate dal Commissione provinciale di Censura di Pesaro; già nella relazione redatta l’11 settembre si sottolinea che dopo “un primo momento di insensata soddisfazione per l’avvenuto armistizio, sono subentrati il collasso e la tristezza, perché la cruda realtà dei fatti si è imposta”. Tra i civili, si legge “è assai diffuso un senso di rassegnazione al destino e molti si rimettono solo a Dio come possibilità di salvezza”; “il presentimento della catastrofe imminente è stato sempre vivo in questa triste settimana e le menti smarrite cercavano di salvare il salvabile in una ridda di affannosi progetti. Continua vivissimo l’allarme finanziario per il caso di invasione nemica e conseguente imposizione di un cambio disastroso”; dal fronte invece i soldati giudicano la situazione nella sua realtà: “non vi è più niente da fare …” – “noi non avevamo né cannoni e né mezzi …”; nelle loro lettere “la nota predominante è la stanchezza e il desiderio di ritornare al più presto alle proprie case. E’ unanime il giudizio della inutilità di ogni ulteriore sforzo contro i mezzi preponderanti del nemico” <367.
I richiami in massa alle armi, la forte mobilità, le molteplici privazioni imposte dall’economia di guerra, le distruzioni, le sofferenze e i lutti costituiscono elementi che influiscono pesantemente del trend demografico regionale.
[NOTE]
354 Adn, memoria di M. A. Garbini, p.p. 1-3.
355 Sulle operazioni militari che hanno coinvolto il territorio regionale, si veda, G. Campana (a cura di), Rapporto sulle operazioni del 2° Corpo polacco nel settore adriatico, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, Ancona, Errebi, 1999; Idem, La battaglia di Ancona del 17-19 luglio 1944 e il 2° Corpo d’armata polacco, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, Ancona, Errebi, 1999; S. Sparapani (a cura di), La guerra nelle Marche 1943-1944, cit..
356 R. Absalom, La strategia alleata sul fronte Adriatico, in S. Sparapani (a cura di), La guerra nelle Marche 1943-1944, cit., p. 24.
357 K. Strzalka, Il 2° Corpo d’armata polacco e la Liberazione delle Marche, in S. Sparapani (a cura di), La guerra nelle Marche 1943-1944, cit., p. 89.
358 Avb, Fondo S. Severi, Prefettura di Pesaro – Commissione provinciale di censura – Pesaro, elenco degli stralci quindicinali, dal 1° al 15 febbraio 1944.
359 Sull’episodio si veda S. Bugiardini, Memorie di una scelta. I fatti di Ascoli Piceano, settembre-ottobre 1943, Istituto provinciale per la storia del movimento di liberazione delle Marche, Ascoli P.-Ripatransone, Maroni 1995.
360 G. Bertolo, Le campagne, le Marche, in Operai e contadini nella crisi italiana del 1943/1944, Milano, Feltrinelli 1976, pp. 295-296.
361 Ibidem, p. 296, nota 55.
362 C.V.L. – Corpo Volontari della Libertà, La Resistenza Italiana, Milano 1947, in lingua italiana e francese, seconda ed. riveduta e ampliata, febbraio 1949, ristampa 1995, p. 118.
363 M. Fratesi e M. Papini, Il ruolo della Resistenza nella Liberazione delle Marche, cit., p. 109.
364 G. Bertolo, Le campagne, le Marche, cit., p. 297.
365 Dati tratti da L. Segreto, Economia e società di una regione in guerra, cit., pp. 26-27.
366 A tal proposito, va sottolineato come nelle numerose testimonianze raccolte, i ricordi dei testimoni della guerra si definiscano in modo più preciso proprio attorno agli eventi successivi all’8 settembre 1943. Si veda D. Pela, Una notte che non passava mai, cit., pp. 173-195; L. Pasquini, La storia, le storie, le testimonienze orali, in P. Giovannini (a cura di), L’8 settembre nelle Marche. Premesse e conseguenze, Ancona, Il lavoro editoriale 2004, pp. 235-240.
367 Avb, Fondo S. Severi, Prefettura di Pesaro – Relazione della Commissione provinciale di Censura, 11 settembre 1943.
Luca Gorgolini, Un lungo viaggio nelle Marche. Scritti di storia sociale e appunti iconografici dal web, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2005-2006

29 GIUGNO 1944 GIOVEDI’. Narra Rolf Dittman, comandante della sesta compagnia del 993: “Nella notte tra il 29 e il 30 la nostra Divisione abbandona le posizioni sul fiume Chienti per ritirarsi dietro il fiume Musone… Per noi è ora terminato il periodo di riposo e veniamo nuovamente impiegati in prima linea. Al pomeriggio sul Musone, vengono assegnate ai Comandanti di Compagnia le nuove posizioni da difendere. Ci è chiaro che ora la nostra situazione ricomincia a farsi seria e che dobbiamo difenderci per sbarrare il più a lungo possibile al nemico l’accesso ad Ancona. Alle ore 22 le compagnie occupano le posizioni sulla linea del Musone. Al tenente Leipold (settima compagnia) viene assegnato il settore costiero, a me quello mediano ed al sottotenente Scholl (quinta compagnia) lo scomodo settore di destra. Qui infatti potrebbero localizzarsi il punto critico del nostro settore dato che la Via Adriatica (Strada Statale 16 N.d.T.) passa proprio attraverso la line tenuta dalla quinta compagnia. La linea assegnata alla mia Compagnia (la sesta) va dal terrapieno della ferrovia,dove confina con la quinta, allo sbocco del fiume Aspio nel Musone, dove confina con la settima. Il settore assegnato al battaglione è talmente esteso per cui tutte le compagnie fucilieri devono venire impegnate in prima linea. Siamo poco entusiasti della nostra linea perché il nemico, da Loreto, posto in altura, potrebbe distinguerne ogni particolare. Ho impegnato tutte le truppe disponibili in prima linea, compresi I due gruppi di riserva e la squadra mitragliatrici pesanti. Ci trinceriamo sulla sponda settentrionale del Musone. Il settore della Compagnia è ampio 1.800 metri. Considerate le cattive condizioni di visibilità, resto con il mio posto di comando tattico soltanto 200 metri dietro la linea del fronte” (Dittman R. Die Neue Bruecke n.25 pasqua 1962 e 26 agosto 1962)
30 giugno 1944. VENERDI’- Le truppe tedesche sono appena ripiegate nella notte sul fiume Potenza che in mattinata giunge un nuovo ordine di ripiegare nella notte successiva sulla “Linea Albert” (leggi Edith da parte opposta) sul fiume Musone.
“Sull’ala occidentale, la 6 Brigata di fanteria Leopoli, avanguardia del 5 Divisione Kresova, progrediva con lentezza a causa dell’accidentata natura del terreno e per le immense distruzioni stradali poste in atto dai tedeschi in ritirata. Tuttavia, alle ore 16, occupò Morrovalle e la zona circostante.Da queste posizioni, sul calar della sera, mosse verso il fiume Potenza, che era stato intanto raggiunto e valicato con facilità, la sera stessa, dalla 1 Brigata karpatica, reparto di punta della 3.Divisione omonima operante nella zona litoranea” (Santarelli pp ).
Durante la notte il Comando di Divisione del generale Hoppe lascia Castelfidardo per trasferirsi a Montemarciano.
“Quando il 30 giunse un nuovo ordine di ripiegare nella notte seguente sulla Linea Albert sul fiume Musone, nell’interesse della situazione vista nel suo complesso, si dovette rinunciare ad importanti vantaggi consistenti in primo luogo nel fatto che la vecchia linea sul fiume Potenza aveva una lunghezza di soli 20 chilometri contro I 30 di quella sul Musone e secondariamente nel fatto che, con le alture dominanti di Recanati e Loreto, cadevano nelle mani del nemico importanti punti di osservazione e posizioni da cui predisporre azioni offensive. Così molto a malincuore, nella notte fra il 30 e il 1 luglio venne abbandonata la linea sul fiume Potenza per attestarci sulla Linea Albert che era stata da giorni accuratamente esplorata ma non per questo soltanto aveva assunto maggiore importanza. E proprio lungo questa linea si doveva giungere alla battaglia” (Hoppe pp ).
A Porto Recanati verso mezzogiorno i tedeschi fanno saltare il ponte sul Musone evacuando la zona. Arrivano nel pomeriggio i soldati polacchi della 3 Divisione Karpatica del 2 Corpo d’Armata. L’avv.Camillo Pauri sarà il primo sindaco dopo la liberazione nominato dal CLN locale.
A Potenza Picena il GAP locale assume il controllo del paese e prepara la popolazione ad accogliere i liberatori. Alle ore 15 batterie tedesche dall’altura di Recanati aprono il fuoco contro Potenza Picena uccidendo 10 persone e ferendone altre. Con prontezza i partigiani accorrono e coadiuvati da alcuni civili trasportano all’ospedale i feriti.
A Macerata, alle ore 14,30 provenienti da Civitanova passando internamente per Monte San Giusto e Corridonia giungono in corso Cairoli le prime camionette polacche, seguite dai reparti dei paracadutisti della Nembo del CIL. I partigiani del gruppo Nicolò, provenienti da Sforzacosta, issano per primi il tricolore sul monumento ai caduti. (Pinci G. in Macerata, 4).
A Montelupone alle ore 18,15 le truppe polacche entrano in città.
A Tolentino alle 3 del mattino saltano i ponti della città. Alle 14 entrano i partigiani e i motociclisti della Nembo tra l’esultanza della popolazione.
A Recanati,i tedeschi evacuano la città ed elementi di retroguardia guastatori fanno saltare il Ponte Nuovo e la strada sotto il Duomo. Rappresaglia tedesca nella zona di Costa dei Ricchi. Ne è vittima Armando Nina,di anni 32, da poco congedato e reduce dall’Albania.I tedeschi lo obbligano a scavarsi la fossa insieme al padre e alla moglie e lo falciano con una raffica di mitra. A Filottrano invece per un soldato ucciso i tedeschi fucilano 10 persone prese a caso, altre 7 per un fatto simile ne hanno fucilate giorni addietro a Staffolo
1 luglio 1944. Sabato. Le truppe tedesche hanno abbandonato nella notte la posizione difensiva sul fiume Potenza e hanno ripiegato sulla “Linea Albert” di 30 chilometri che corre parallelamente al Musone da ovest a est. Il punto centrale di questa linea è la posizione elevata di Osimo ma prima ancora, dopo un secolo dallo scontro piemontese-pontificio, la cittadina di Castelfidardo con la Selva di Monte Oro (la Battuta).
Dalle memorie del generale Hoppe: “La Divisione si accorse di essersi sbagliata se, con il rapido sganciamento, aveva sperato di guadagnare il vantaggio di almeno qualche giorno di tempo. Infatti, sebbene la nuova linea venisse a trovarsi più indietro di 20 chilometri, quindi sufficientemente arretrata e tale da costringere il nemico ad effettuare una ulteriore avanzata, I polacchi non si attardarono in lunghi preparativi. Giustamente, dal nostro rapido sgombero della linea sul Potenza avevano tratto la conclusione che avremmo proseguito nel nostro arretramento e ci rimanevano quindi alla calcagna. Con l’impiego dell’aviazione essi erano facilmente in grado di compensare la mancanza dell’appoggio dell’artiglieria pesante che non poteva tenere dietro all’avanzata con la dovuta rapidità. I polacchi ci seguivano immediatamente ma senza incalzare troppo: il 1 luglio si accontentavano soltanto di premere sulle retroguardie della 278 divisione, lasciate per sicurezza sulla zona antistante la nostra linea, e si deve ringraziare questa circostanza se la Divisione si è potuta organizzare nella nuova linea di difesa. Questa andava da occidente [Battaglia di carri sotto Loreto] ad oriente e passava a sud di Filottrano lungo la riva settentrionale del torrente Fiumicello sino al punto dove questo sbocca nel Musone. Il punto centrale di questa linea era rappresentato dalla piccola città di Osimo, posta su un’altura. Pertanto la Divisione si attendeva che il nemico avrebbe attaccato o a sud ovest o a sud est di Osimo per far cadere la città investendola ai fianchi. Se il nemico avesse invece diretto il suo attacco principale nella zona di Filottrano, puntando su Jesi e Chiaravalle, in tal caso avrebbe rivelato l’intenzione di accerchiare la 278 divisione presso Ancona e di annientarla. Se con il grosso delle sue truppe il nemico avesse sfondato il fronte ad oriente di Osimo allora lo avrebbe allettato la rapida conquista del porto di Ancona, importante per I rifornimenti. Soltanto l’andamento dei combattimenti avrebbe mostrato quale soluzione aveva scelto l’avversario” (Hoppe pp.)
Nella mattinata poiché la 71 Divisione non è ancora in grado di combattere, la 278 deve da sola sostenere il peso della linea spiegandosi con sei battaglioni effettivi e uno di riserva come segue per la difesa della “Linea Albert“: A destra il 994 sotto il comando interinale del maggiore Rudolf Godorr, aiutante il capitano Helmut Wollin, con il 1 battaglione a destra e il 2 a sinistra, in collegamento con la 71 Divisione nel settore Filottrano-S.Biagio; al centro il 992, sotto il comando interinale del maggiore Werner Krueger, aiutante il tenente Erich Widmaier, con il 2 battaglione a destra e il 1 a sinistra, nel settore a sud di Osimo; a sinistra il 993, al comando del colonnello Paul Broecker (aiutante il tenente della riserva Hermann Eicher), con il 1 battaglione a destra e il 2 a sinistra, nel settore Castelfidardo-costa. Come riserva divisionale il 278 battaglione fucilieri, ad Offagna, comandato dal capitano Dister, aiutante il tenente Amhoff. Il 278 Reggimento artiglieria al comando del maggiore von Lonski ,aiutante il capitano Boehm, assegnato in appoggio al 994 col suo secondo gruppo ed il 992 col suo primo gruppo. Il 305 Reggimento artiglieria , al comando del colonnello Kurt, col suo primo gruppo era destinato ad appoggiare il 993 e col suo quarto gruppo effettuava la copertura di fuoco sul centro e sul settore sinistro del fronte. I gruppi terzo e quarto del 278 artiglieria erano ancora distaccati presso la 71 Divisione ma avevano il loro raggio di azione nella zona antistante il settore del 994 granatieri. Il 278 gruppo controcarro divisionale, al comando del capitano della riserva Kurt Knorn (aiutante il sottotenente della riserva Siegfried Bohlmann), veniva impegnato su due gruppi misti alle due estremità dello schieramento. Il 278 battaglione guastatori veniva dislocato fra il Musone e lo Esino col compito di creare sbarramenti e di simulare istallazioni militari. La guarnigione della piazzaforte di Ancona era costituita da un comandante appartenente alla marina, che disponeva di parecchie sezioni di artiglieria di marina, e dagli anziani elementi della Territoriale del 903.mo battaglione da fortezza e dal 676 battaglione di sicurezza che non disponevano delle armi pesanti della fanteria ed avevano pertanto scarsa efficienza combattiva. Il 924 Reggimento di fortezza, al comando del colonnello Von Seydlitz, assieme al 278 battaglione complementi ed al 3 battaglione del 755 Reggimento russo (Turcomanni) assicuravano la difesa del litorale di Ancona sino a Montemarciano.
Scrive ancora il generale Hoppe: “Nel corso della giornata il fuoco aumentava sempre più, gli aerei aggiustavano il tiro dell’artiglieria e quando per la prima volta i cacciabombardieri effettuavano incursioni sulla linea di combattimento, la Divisione informava il 51 Corpo d’Armata che era imminente un attacco in grande stile, chiedendo ordini precisi che sono stati così formulati: “tenere Ancona il più possibile, evitando la frantumazione del fronte e senza perdere I collegamenti nel corso dei graduali movimenti di retrocessione” (Hoppe pp. )
Segue ora la narrazione fatta dal capitano Rolf Dittman del settore operativo del 993: ” … La scorsa notte ci siamo trincerati sulla sponda settentrionale del Musone ed attendiamo con ansia gli eventi. Ma i polacchi hanno compiuto solo esitanti puntate e così c’è stata calma per quasi tutta la giornata. Solo nel tardo pomeriggio alcune autoblindo si muovevano sulla sponda opposta. Ai nostri tentativi di raggiungerle con granate controcarro, si sono sottratte con violente sparatoria. Ma, all’imbrunire, un carro leggero si sofferma a circa 300 metri avanti alla linea tenuta dal nostro primo plotone e resta bloccato nel fosso a lato della strada. Prendo la decisione di affrontarlo con alcuni volontari. Il sottotenente Jaensch della 14.ma compagnia partecipa a questa azione con un lancia razzi controcarro chiamato Ofemrohr (letteralmente tubo da stufa). Dopo aver predisposto l’indispensabile fuoco di copertura, guadiamo il Musone con l’acqua che ci arriva sino alla coscia. Dal pendio della sponda, alto circa due metri, osserviamo con I binocoli il terreno antistante ma non riusciamo a notare alcun movimento nelle vicinanze del mezzo corazzato. È rimasto inclinato nel fosso a lato della strada e soltanto il cannone e la mitragliatrice sono rivolti minacciosi nella nostra direzione. Ci avviciniamo piano piano con cautela sino a circa cento metri dal carro armato e Jeansch gli lancia contro la prima granata-razzo. Sebbene avesse cominciato ad emettere subito un fumo denso, senza attendere oltre, gli viene lanciata contro una seconda granata, dopo di che esplodono le munizioni all’interno del mezzo corazzato che va immediatamente in fiamme. Ora però si è fatta attenta anche l’artiglieria nemica e ci infastidisce con alcune salve. Rapidamente ci ritiriamo, raggiungendo indenni la nostra posizione. Usando un’arma controcarro da combattimento ravvicinato, con la nostra azione abbiamo distrutto un mezzo corazzato, il primo nel settore del nostro reggimento. Il fatto che l’equipaggio avesse già abbandonato il carro armato e che pertanto l’azione avesse presentato una relativamente scarsa pericolosità, pregiudica molto poco la nostra soddisfazione” (Dittman.pp)
Nel 1978 il colonnello Helmut Wollin, che nel luglio del 1944,col grado di capitano, apparteneva al 994 Granatieri in qualità di aiutante maggiore del comandante, ha rintracciato nell’archivio militare federale l’originale di un rapporto che il maggiore Wolfgang Klennert, allora ufficiale di stato maggiore della 278 Divisione aveva trasmesso al comando del 51 Corpo di Armata alpino. “I combattimenti nella zona di Ancona sono caratterizzati dalla tattica nemica di occupare prima le importanti posizioni dominanti sulle alture per conquistare poi tutto il territorio che si può osservare dalle alture stesse”.
Prima fase della battaglia per la presa di Ancona. Il nemico incominciò la battaglia occupando di forza, con l’impiego parziale di forti reparti, dapprima il bastione di S.Biagio ad oriente di Filottrano sul fronte tenuto dalla divisione, esteso per 32 chilometri. Con il grosso delle sue forze, partendo dalla zona a nord di Loreto, attraverso Crocette (la Selva), ha condotto poi l’attacco principale in direzione di Castelfidardo e di qui verso Osimo che domina tutte le posizioni tedesche sulla Linea Albert ( Klennert W., Rapporto al 51 Comando Alpino in data 29.7.1944 in Die Neue Bruecke n.64 giugno 1978, pp ).
All’ala sinistra del fronte: “I Polacchi della Divisione Kresowa varcano con le avanguardie il Fiumicello e la 6 Brigata di fanteria Leopoli accompagnata dagli Ulani del 15 Reggimento con forte appoggio di carri armati, attaccano verso S.Biagio, fatti subito segno ad un fitto fuoco di artiglieria e mitragliatrici. Messi I carri in prima linea, I polacchi attaccano dalle ore 17 alle 20, contrastati dal 2 battaglione/994 che contrattaccava inutilmente. S.Biagio è presa, I tedeschi arretrano, chiedono l’intervento della riserva divisionale (il 278 battaglione fucilieri di stanza ad Offagna) ma il sopraggiungere della notte arresta le operazioni. Il comandante tedesco Hoppe ordina un contrattacco con le riserve del 2 battaglione/994 appoggiato dai cannoni corazzati semoventi in numero di 4 quale artiglieria mobile controcarro, da effettuare l’indomani. Intanto anche I reparti della Nembo hanno raggiunto la linea del fronte e si preparano ad appoggiare l’azione dei polacchi verso Filottrano”, (Pierpaoli p.190) […]
Alcune cose di questa cronistoria, contrariamente alla consuetudine, sono riprese dalla letteratura di parte opposta e quindi la prospettiva che si offre in questo articolo é, per così dire, a 360° e quindi il rinscontro con la realtà é altamente probabile. Alcune tracce sono di Massimo Morroni autore di “Osimo Libera”, ed. ANPI Osimo 2004. Spesso a sproposito si parla della “battaglia di Ancona”. Leggendo questa cronaca ci si rende conto benissimo in realtà che fu una “Battaglia per Ancona” in quanto la parte preponderante dello scontro avvenne lungo la linea del fiume Musone che corre tra l’Acqwuaviva (Loreto/Castelfidardo) e le Casenuove/Filottrano. Un episodio non inquadrabile temporalmente ma determinante per lo sconfinamento in terra osimana da parte polacca fu quello della cattura di un ufficiale della Wermacht che, catturato in zona ponte di San Domenico (Padiglione) dal distaccamento “Franco Stacchiotti” rese testimonianza scritta del posizionamento dell’artiglieria leggera posta a difesa di Osimo nella zona sotto la SS. 361. I partigiani con quella importantissima informazione si recarono presso il comando polacco di Recanati che li respinse perché al collo avevano il fazzoletto rosso. Increduli da quel respingimento ma fermi nella certezza della bontà di ciò che avevano in tasca, i partigiani si recarono all’altro comando polacco che stazionava a Villa Spada il quale prese sul serio quelle informazioni fornendole alle artiglierie che se ne servirono per centrare i tedeschi e scendere da Recanati verso Osimo. Singolare é il fatto che l’ufficiale tedesco, una volta catturato e portato al comando del distaccamento, la prima cosa che disse vedendo quei partigiani con il fazzoletto rosso disse loro “Comunisti ?”. I partigiani risposero positivamente e, a quella risposta, lo stesso ufficiale si strappò dalla divisa dosso ogni fregio tedesco e disse ai presenti “datemi carta e penna”; e disegnò la difesa tedesca. Quell’ufficiale non era di origine tedesca ma di nazionalità austriaca dal 1938 annessa al III Reich. Questo suo gesto fu forse di rivalsa verso chi aveva occupato il proprio paese e lo aveva trascinato in una guerra non sua o forse per convinzione politica ma fu certamente determinante. L’austriaco fu poi tradotto presso la sede vescovile di Santo Stefano adattata a carcere “sui generis” per i prigionieri e comandata dal raggruppamento GAP ” Vilfredo comandato da Vilfredo Giannini. Nelle frequenti escursioni di pattuglie lungo la zona tra Ancona e Osimo, una di queste attaccò proprio il luogo di reclusione e lì l’ufficiale austriaco venne ucciso.
Armando Duranti (da testimonianze registrate)
Redazione, La battaglia per Ancona, ANPI Osimo