Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica

Il primo atto della politica di Salò contro gli ebrei risale al 14 novembre 1943, giorno del primo congresso del Partito fascista repubblicano. Fin dai suoi primi discorsi radiofonici Mussolini pone l’accento sull’importanza del partito: ha bisogno di un’organizzazione forte per unificare le varie istanze interne al fascismo e sulla quale basare la fondazione del suo governo.
In una circolare conservata presso l’Archivio di stato di Mantova, risalente al 26 ottobre 1943, si annuncia la convocazione della «prima assemblea del Partito» da parte del segretario Pavolini; è prevista per il 15 novembre, in luogo ancora da destinarsi (si opterà poi per la Sala della musica del Castelvecchio di Verona): “Per decisione del Duce, essa avrà il seguente ordine del giorno: ‘Presa di posizione del Partito fascista repubblicano sui principali problemi statali e sociali, in vista della Costituente e della proclamazione della Repubblica’. L’assemblea – la cui convocazione è per il momento da tenere riservata – si concluderà con l’emanazione di un manifesto programmatico” <72.
La circolare è diretta a Capi delle province, Commissari e Triumvirati. Attraverso alcuni memoriali come quello di Angelo Tarchi, futuro ministro dell’Economia Corporativa, si conoscono gli stati d’animo e le aspettative dei partecipanti all’assemblea <73.
Il clima di forte partecipazione dei fascismi locali a cui si è accennato precedentemente si ravvisa anche nella circolare di Pavolini, il quale richiede: “(…) prima dell’Assemblea mentre tornerà utile l’elaborazione di proposte per l’Assemblea stessa, deve cessare la pubblicazione di liste di “aspirazioni”, “voti”, “presupposti” eccetera per parte delle Federazioni provinciali sui problemi nazionali. Tali liste sono spesso discordanti fra loro, almeno nei particolari, mentre l’Assemblea avrà appunto il compito di vagliare le idee e di fissare e proclamare un programma unico” <74.
Quella che si propone come una discussione comune per stabilire collegialmente le linee programmatiche future si rivela in realtà un’assemblea priva di valore decisionale, e ne è un segno l’assenza di Mussolini. Pavolini presiede il congresso: apre la seduta leggendo un messaggio del capo dello stato; la sua «lunga relazione sul compito del Partito, sul problema dei giovani, sul Sindacalismo, sulla Costituente <75» è interrotta dal vociare dei partecipanti, che richiedono una discussione collettiva. Il clima è acceso, anche di forte polemica verso le gerarchie fasciste. Sebbene la linea politica prevalente risulti essere quella più feroce e vendicativa, anche riguardo alla sorte dei gerarchi che hanno tradito Mussolini il 25 luglio, Tarchi riporta come nel congresso fossero presenti «la tendenza di una nuova intransigenza rivoluzionaria facente capo a Pavolini e Mezzasoma, e quella di una nuova politica pacificatrice facente capo a Pini, Borsani, Biggini, assertori dell’unificazione nazionale <76».
Gli slanci propositivi non si concretizzano però nell’approvazione del documento finale, già redatto (probabilmente da Pavolini e Bombacci) e approvato da Mussolini.
Il testo, conosciuto come Manifesto di Verona, è di carattere politico e programmatico, articolato in 18 punti e diviso in «materia costituzionale e interna» (art. 1-7), «politica estera» (art. 8) e «materia sociale» (art. 9-18). Esso non ha valenza giuridica, ma, usando le parole di Enzo Collotti, «di fatto rappresentò i principi di una costituzione materiale della RSI <77». Nella prima sezione è presente un articolo riservato agli ebrei: “7. Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica” <78.
Nella sua brevità il settimo punto delinea una modifica radicale dello statuto giuridico delle persone interessate: si indica al legislatore di operare la sospensione della cittadinanza in base a un criterio razziale. È inoltre significativa la deliberata assenza di indicazioni riguardo alla cittadinanza degli ebrei in tempo di pace <79. All’interno del manifesto questo articolo è posizionato al termine della sezione della politica interna, in una posizione di cerniera tra l’ambito nazionale e quello esterno. L’identità del redattore di questo punto non è nota, ma sembra accettabile l’attribuzione a Mussolini, Pavolini e Bombacci fatta da Giorgio Pini nel suo memoriale <80.
Liliana Picciotto interpreta la stesura di questo articolo in relazione all’alleato occupante: «la prima mossa italiana autonoma in risposta all’atteggiamento tedesco giunse il 14 novembre sotto forma di enunciato ideologico inserito nel lungo testo programmatico della nascente Repubblica sociale italiana <81». Sarebbe quindi un tentativo di riportare l’azione persecutoria in atto sul proprio territorio sotto il controllo governativo.
Lo svolgimento caotico della discussione, con il prevalere di molte questioni inerenti al partito, è interpretato da De Felice come il segno di «quanto la questione ebraica apparisse poco essenziale anche alla maggioranza dei fascisti repubblicani <82»; arrivando persino a ipotizzare la volontà mussoliniana di un mero internamento degli ebrei fino alla fine della guerra, come se le gerarchie fasciste non avessero sentore dello sterminio. Pur essendo mancato un approfondimento sulla questione ebraica durante il congresso, va ricordato che nella sua relazione il segretario Pavolini afferma: “(…) si sta in questi giorni provvedendo al prelievo dei patrimoni ebraici. Si tratta, non per fare della retorica, appunto di sangue succhiato al popolo italiano. È giusto che questo sangue ritorni al popolo. Mi pare non vi sia migliore via, per farlo tornare al popolo, che quella di provvedere ai bisogni dei sinistrati dai
bombardamenti, di color che furono colpiti dalla guerra, la cui principale responsabilità risale agli ebrei” <83.
L’utilizzo propagandistico della confisca dei beni ebraici fatto da Pavolini ottiene commenti di approvazione da parte dei partecipanti all’assemblea ed è sintomatico di un antiebraismo profondamente assimilato dai fascisti, che identifica l’ebreo come il nemico per eccellenza, dalle plutocrazie su scala internazionale fino alla ribellione antifascista a livello locale. Basti ricordare lo svolgimento degli eventi di quel giorno quando, a seguito della notizia dell’omicidio del segretario federale di Ferrara Igino Ghisellini, Pavolini invia due formazioni squadriste sul posto, mentre a Ferrara è diramato l’ordine di arrestare tutti gli uomini ebrei della città: quattro di loro saranno fucilati per rappresaglia, insieme ad altre dieci persone <84.
[NOTE]
72 P.N.F.: Circolare del 26 ottobre 1943, ASM, Fondo Prefettura, Archivio dell’Ufficio di Gabinetto, b.6, f.4.
73 A. Tarchi, Teste dure, S.E.L.C., Milano 1967.
74 P.N.F.: Circolare del 26 ottobre 1943, ASM, Fondo Prefettura, Archivio dell’Ufficio di Gabinetto, b.6, f.4.
75 Tarchi, Teste dure, cit., p. 47-49.
76 Ibid.
77 E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei: le leggi razziali in Italia, Laterza, Roma 2006, p. 127.
78 Il testo completo in M. Viganò, Il Congresso di Verona (14 novembre 1943): documenti e testimonianze, Settimo Sigillo, Roma 1994.
79 Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, cit., p.357.
80 G. Pini, Itinerario tragico, Omnia, Milano 1950, p. 40.
81 Picciotto, Il libro della memoria, cit., p. 891.
82 De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p.503.
83 Viganò, Il Congresso di Verona, cit., p.138.
84 Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, cit., p. 269.
Sara Garbarino, La Repubblica sociale italiana e la persecuzione degli ebrei, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, anno accademico 2016/2017