Gli attori delle stragi naziste in Italia

Abbiamo già avuto modo di osservare che tutte le strutture militari della forza d’occupazione nazista in Italia si macchiarono di crimini contro i civili. Wehrmacht, Luftwaffe e naturalmente SS e Gestapo non esitarono a mettere in pratica scrupolosamente gli ordini draconiani provenienti dallo stato maggiore, spesso travalicando anche i limiti – molto ridotti – contenuti nelle disposizioni operative. Tuttavia, come vi furono unità che interpretarono gli ordini con alcune cautele e un certo senso, se non di umanità, almeno di moderatezza tattica, altri reparti eccelsero nell’attività terroristica, soprattutto quelli con esperienze di «guerra totale» e di sterminio precedentemente acquisite in Europa orientale. Gentile attribuisce le origini della forte inclinazione alla violenza da parte di molte divisioni e reparti dell’esercito tedesco alle particolari vicende che portarono alla loro costituzione e ai trascorsi ideologici degli ufficiali e della truppa.
Esaminando gli episodi stragisti avvenuti dalla primavera all’autunno del 1944, periodo nel quale si scatenò maggiormente la brutalità nazista, due divisioni si distinsero nell’applicazione delle drastiche disposizioni emanate dai comandi tedeschi: la 16^ SS-Panzer-Grenadier-Division «Reichsführer-SS» e la «Hermann Göring».
Nella Toscana nordoccidentale e sull’Appennino tosco-emiliano fu in particolar modo la 16^ SS-Panzer-Grenadier-Division «Reichsführer-SS» a primeggiare nell’efferatezza delle azioni terroristiche ai danni della popolazione civile, disseminando il territorio di un numero di eccidi e stragi non riscontrabile in nessun altro luogo della Penisola. Le operazioni di rastrellamento, rappresaglia e ritorsione condotte dalla divisione comandata da Max Simon costarono la vita ad almeno 2.200 civili (oltre un quinto delle vittime totali).
La 16^ SS-Panzer-Grenadier-Division «Reichsführer-SS» fu costituita nell’autunno del 1943 in Slovenia con effettivi provenienti sia dall’SS-Begleit-Bataillon «Reichsführer-SS», un battaglione destinato alla messa in sicurezza delle retrovie nella campagna di Russia, sia dalla divisione SS Totenkopf, una delle unità delle SS con una famigerata tradizione di violenze proveniente da esperienze di guardia nei campi di concentramento. Una volta giunta in Italia, la divisione fu impegnata nei combattimenti con le truppe angloamericane nel sud della Toscana, nella zona tra Suvereto e Belvedere, dove nel giugno del 1944 l’esercito nazista patì dure sconfitte. Reparti della Sedicesima nei primi giorni di luglio riuscirono a opporre una disperata difesa tra Rosignano e Castellina Marittima ma, a causa delle perdite, delle diserzioni e dello sfondamento delle linee da parte degli Alleati, la divisione si ritirò sulla sponda settentrionale dell’Arno, raggiunta il 20 luglio.
L’area assegnata all’unità corrispondeva a una fascia lunga circa 65 chilometri e larga 15, delimitata ad ovest dal mare, a est dalle pendici lucchesi dei monti Pisani, a sud dall’Arno e a nord dal fiume Magra.
Nei primi giorni di agosto la divisione si rese protagonista dei massacri di Pisa città e dell’immediata periferia (San Rossore, San Piero a Grado), nonché del rastrellamento del 6 agosto sui monti Pisani nella zona de «La Romagna». Terminato il massacro dei civili rastrellati a «La Romagna», la 16^ SS-Panzer-Grenadier-Division scatenò altra e maggiore violenza contro le comunità delle Alpi Apuane, provocando stragi a Sant’Anna di Stazzema, a Bardine San Terenzo e a Vinca, solo per citare gli episodi con un più alto numero di vittime.
Verso la fine di settembre del 1944 la divisione fu assegnata al controllo del territorio intorno al Monte Sole nel comune di Marzabotto e si distinse per la ferocia con cui operò il rastrellamento di civili e la strage che ne seguì. Dopo Monte Sole la sua azione terroristica continuò nei massacri intorno a Bologna e a Vignola, prima del trasferimento alla fine di dicembre sul fronte adriatico.
La Luftwaffe nel corso della Seconda guerra mondiale non si limitò a costituire la forza d’aviazione delle forze armate hitleriane; le sue strutture comprendevano i reparti addetti alla contraerea e quelli addetti alle trasmissioni, oltre a trenta divisioni di paracadutisti altamente addestrati e fanaticamente fedeli al Reich.
Alla fine degli anni Trenta una di queste divisioni, la «Hermann Göring», aveva sostanzialmente funzioni di rappresentanza, ma una volta provvista di autocarri e mezzi corazzati e incrementata da paracadutisti e volontari nel 1942 divenne una vera unità di combattimento, impiegata in Nord Africa e in seguito sul fronte italiano. Insieme ad altri reparti, la «Hermann Gӧring» combattè contro le truppe angloamericane durante l’avanzata verso il nord-Italia, finchè nel marzo 1944 fu assegnata al controllo dei passi appenninici e alle azioni antiguerriglia nella zona compresa tra Bologna e Parma. Il 18 marzo la divisione si rese responsabile di un bagno di sangue (130 vittime) tra gli abitanti di Monchio, Susano e Costrignano, nel modenese. I metodi usati per la caccia ai ribelli furono il bombardamento dei villaggi, il rastrellamento di uomini, donne, vecchi e bambini e la loro successiva fucilazione. Due giorni dopo con la medesima tecnica furono attaccati i paesi di Cervarolo e Civago nel reggiano: le abitazioni furono incendiate, gli uomini uccisi e le donne violentate.
Non ci volle molto prima che il comando del 75° corpo d’armata dal quale dipendeva la divisione realizzasse che i numerosi episodi di violenza senza quartiere sui civili inermi compiuti dalla «Hermann Göring» poco avevano a che fare con la lotta antipartigiana, in virtù del fatto che nessuna incursione procurava prigionieri e (apparentemente) bottino. Non fu tanto la mancata cattura di partigiani – o supposti tali – quanto il rifiuto di consegnare i beni sicuramente razziati prima di dare alle fiamme abitazioni e fattorie a spingere le autorità militari a considerare come atti di puro sciacallaggio le sedicenti azioni di rastrellamento <105.
La «Hermann Göring» continuò comunque indisturbata la propria azione terroristica lungo tutto il territorio emiliano, fino a quando venne trasferita nei dintorni di Firenze e Arezzo. La divisione fu impiegata in aprile sulle pendici del Monte Falterona alla ricerca di partigiani; tracce di questi ultimi ne furono rinvenute poche, ma al termine delle operazioni i soldati avevano ucciso 107 civili tra le località di Vallucciole, Pratovecchio e Stia, compresi donne e bambini. Sempre nella zona di Arezzo la «Hermann Göring» proseguì nella sua azione criminale con le stragi di Civitella in Val di Chiana, Bucine e Cavriglia.
È evidente che non tutti i reparti della «Hermann Göring» furono coinvolti massivamente nei massacri; delle azioni criminali si resero responsabili soprattutto la Feldgendarmerie (le unità di polizia militare) guidati dal capitano Heinz Barz e i paracadutisti al comando del capitano Von Loeben. I primi, ex agenti di polizia e soldati con addestramento speciale, avevano il compito di sovrintendere alla sicurezza e alle missioni antipartigiane nelle retrovie; Le unità di paracadutisti, invece, erano composte di ufficiali e soldati di truppa provenienti da una lunga e dura selezione e fortemente indottrinati; la diffusa sensazione di appartenere a una élite produsse effetti nefasti che “emersero con particolare chiarezza nelle zone occupate. Il senso di superiorità nei confronti della popolazione civile si espresse fin troppo spesso in una fatale tendenza a rispondere con sanguinose azioni di rappresaglia e soprattutto in esplosioni di violenza immotivata, saccheggi e stupri”. <106
[NOTE]
105 Cfr. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia, cit., p. 357.
106 Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia, cit., p. 374.
Livio Marchi, La violenza nazifascista sui civili. Ricerche, soluzioni interpretative e comparazioni, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2016-2017